Translate
sabato 29 settembre 2012
Cosa fanno 1000 persone che alle 24.00 comprano 1000 IPhone5 a 1000 euro l’uno? 1 milione di co...oni.
Oggi
usiamo una vignetta presa da Facebook. Basterebbe questa per commentare ciò
che è accaduto la scorsa notte davanti agli Apple Store d’Italia. Motivo di tanta
frenesia, l’immissione sul mercato del fallico IPhone5, il must del Terzo
Millennio. Servizio all’ora di pranzo del Tg2. Il giornalista lo lancia così: “Vediamo
ora cos’è accaduto questa notte a mezzanotte all’apertura degli Apple Store. In
vendita l’IPhone5”. Parte il servizio. La giornalista si avvicina ai ragazzi in
fila e inizia la lunga serie di domande, sempre una, sempre la stessa: “Tu da
quanto sei qui?”. Risposta di un ragazzotto mezzo addormentato: “Dalle sette e
mezza di ieri sera”. Altra domanda: “Tu da quanto sei qui?”. Risposta: “Da
mezzanotte di ieri”. La giornalista: “Hai dormito qui davanti?”. Risposta: “Ner
sacco a pelo”. Domanda: “Tu da quanto sei qui?”. Risposta: “Dall’altro ieri,
vengo da Catania”. Ancora: “E dove hai dormito?”. Risposta: “Non me lo ricordo”.
Incredibili i siciliani! Cambia la domanda: “Cos’è l’IPhone5 per te?”.
Risposta: “La vita”...e la madonna! Altra domanda: “Non ti sembra che costi un
po’ troppo?”. Risposta: “Aho, ma che me frega a me, ho vinto alla Snai. Ho
intascato i soldi e me so’ messo ‘n fila”. All’apertura dello Store, i commessi
abbracciano tutti insieme, tutti commossi, il primo della fila, quello che
probabilmente ha sostato davanti alla vetrina tre giorni e tre notti. Il
ragazzo è emozionato, abbraccia a sua volta tutti, li bacia e poi, carta
American Express Gold in mano, si avvicina al bancone e la scatoletta magica
con l’IPhone5 si apre per mostrargli il gioiello dei suoi sogni proibiti. Ora,
e non per fare i moralisti. Ci chiediamo che cazzo stanno a fare i minatori del
Sulcis asserragliati nelle gallerie pronti a farsi esplodere. Ci chiediamo cosa
cazzo sono saliti a fare sulla balconata del gasometro gli operai dell’Ilva di
Taranto. Ci chiediamo cosa cazzo sono scesi a fare in piazza gli operai della
Cgil e della Uil ieri a Roma, quando quelli della Cisl stavano a lavorare (“Non
si proclama uno sciopero con un tavolo di trattativa aperta”, si è giustificato
il casiniano Bonanni dai microfoni del Tg3), o in fila per l'IPhone5. Ci chiediamo, infine, se non avesse
ragione Over the Topa quando tempo fa affermò solenne: “Ma quale crisi, in
Italia ogni persona ha almeno due cellulari”. Ci piacerebbe riflettere su cosa
abbiano nella testa i ragazzi italiani mentre i loro coetanei greci e spagnoli
sfasciano vetrine e incendiano auto in attesa di quelli francesi che,
considerato il piano economico di Hollande, li raggiungeranno a breve. Ci
piacerebbe sapere dove cazzo hanno trovato 1000 euro i ragazzotti del servizio
del Tg2 per comprarsi (cash) quello che ormai, evidentemente, non è più, o solo,
un telefonino, ma la propaggine ideale del loro misero uccello, un transfert
sessual-erotico-fallico che non lascia presagire nulla di buono, soprattutto
rispetto al contenuto del cervello. Noi abbiamo un vecchio, mitico Nokia N70,
un attrezzo che ai suoi tempi furoreggiò come pochi altri e costava davvero una
manciata di euro. Il nostro cellulare per anni ha solo ricevuto, mai chiamato
(problemi di ricarica) ed è arrivato a un punto tale che solo ultimamente, a
causa di telefonate più frequenti, sta dando qualche problema di tenuta di
batteria. Il nostro cellulare ci sveglia tutte le mattine alla solita ora, la
sveglia è suadente, quasi tenera. Poi, se potesse, ci offrirebbe pure il caffè ma,
siccome non può, si accontenta di starci vicino mentre lo beviamo. Svolge
egregiamente il suo compito, che è quello di fare e ricevere telefonate. A volte
fotografa, male ma fotografa, ogni tanto s’inceppa ma, considerata l’età e il
tempo, ci sta. Il nostro cellulare è un telefono. L’IPhone5 che diavolo è, un
self godeur da 1000 euro? Ha ragione Silvio: spende un fottio di affitti e di
bollette ma almeno tromba con le donne, al contrario del vincitore Snai che
probabilmente si masturba guardando il suo IPhone5 comprato notte fonda all’Apple
Store.
venerdì 28 settembre 2012
Cervelli in pappa. La lotta a chi spara più minchiate fra chi governa e chi vorrebbe farlo procede serrata.
Fra
chi ci governa, e quelli che vorrebbero farlo con tutte le loro forze, c’è una
confusione totale. Un impoverimento di idee, di proposte, di etica e di morale
che ormai ci rende un paese degno di essere ascritto nel pur nobilissimo Quarto
Mondo. Solo ieri, fra il premier in corso e coloro che ne inseguono il ruolo e
i privilegi, è stato un florilegio di scemenze che manco a “La sai l’ultima”,
tutto lavoro per Blob che ovviamente non si perde una perla e ringrazia. Mario Monti.
Parlando a New York il premier ha detto: “Se me lo chiedono, in circostanze speciali
valuterò. Però non mi candido”. Il Professore parlava della possibilità di
essere ancora lui a guidare il governo che uscirà dalle elezioni del 2013, dando
a tutti l’impressione che gli piace vincere facile, diciamo un 3 a 0 a
tavolino senza scendere in campo, una partita persa per abbandono dell’avversario.
Insomma, Professore, se vuole governare perché non si candida alle prossime
politiche sottoponendosi, come perfino la Polverini ha fatto, al giudizio
popolare? Da questo orecchio Mario Monti sembra essere sordo come una campana,
resta il fatto che comunque ci sta provando. È proprio vero che il potere
logora chi non ce l’ha (o non ce l’ha più). Al premier hanno risposto a stretto
giro di take sia Bersani che Berluspony. Il primo dallo chalet di Cesenatico
dove stava sorseggiando una birra da solo, il secondo dalla presentazione del Grande
imbroglio, l’ultimo best seller di Renato Brunetta. A questo proposito c’è da
dire che Silvio ne ha dette di tutti i colori. Ha iniziato attaccando ancora l’euro
definendolo “un imbroglio” e ha finito dicendo “Se la Germania dovesse decidere
di uscire dalla moneta unica non sarebbe un dramma”. Nel mezzo ha avuto il
tempo per svillaneggiare Brunetta sulla sua altezza (lui, il Nano Bifronte!), e
di prendere una topica colossale sul Ferrara direttore del Foglio, che ha
chiamato Giovanni invece di Giuliano. Insomma, un Berluspony completamente fuso
al quale o qualcuno decide di cambiargli le bronzine o correremo il rischio di
ritrovarcelo a presentare Sanremo al posto di Fazio con Nicole a far da
valletta sfilando in lingerie. Intanto non passa la legge anticorruzione. Il
fronte del no è larghissimo e ne fanno parte esponenti di quasi tutti i partiti
politici. In questo paese non c’è modo di colpire in maniera esemplare chi
corrompe e chi si lascia corrompere. E meno male che la Severino, appena
insediata, aveva dichiarato a tutto il mondo che avrebbe inserito fra i reati
penali anche la corruzione fra privati. Perla delle perle. Bocciata la proposta
di legge che intendeva introdurre anche in Italia il reato di “tortura”. Sapete
chi si è opposto? Il Pdl, la Lega e il partito del Moscone Verde, Pierfy
Casini, l’Udc. Ma la chiesa, onorevole eminenza Bagnasco, che ne pensa?
giovedì 27 settembre 2012
La presunta estorsione di Dell’Utri a Berlusconi passa da Palermo a Milano. Delusi i giudici siciliani ma...
Ci
sono momenti in cui occorrerebbe che la storia facesse il proprio corso senza
intralciarne la volontà. La Storia, si sa, è maestra di vita e come tale in
grado di assumere il ruolo anche della nemesi, anche del riscatto, anche della
catarsi. I giudici di Palermo scoprono il flusso ininterrotto di milioni di
euro che, dai conti di Berluspony finiscono direttamente in quelli di Marcello
Dell’Utri. Questo fiume di denaro cash (si dice quaranta milioni di euro), diventa
inarrestabile pochi giorni prima che la Corte di Cassazione emetta la sentenza
che avrebbe potuto mandare Marcellino in galera, qualora gli fosse stata
confermata l’accusa di “mafiosità”. Quel denaro, come poi scopriranno i giudici
palermitani, servì a comprare una villa sul lago di Como pagata molto al di
sopra del suo valore commerciale, una pezza d’appoggio utilizzata da Dell’Utri
per acquistare anche una casa a Santo Domingo, dove poi attese la sentenza
della Corte. In poche parole, se Dell’Utri fosse stato condannato, la giustizia
italiana non avrebbe mai potuto mandarlo in galera perché nel frattempo, armi e
bagagli, si era trasferito nella repubblica dominicana. Con il braccio sinistro
di Silvio, era finita nel registro degli indagati anche la di lui consorte responsabile,
a quanto sembra, del movimento di denaro dalle casse del Capo a quelle del
maritino. Tutti quei soldi, sempre secondo i giudici palermitani, erano il
pagamento di una estorsione che Dell’Utri avrebbe fatto al suo padrone per
tacere sui rapporti economici che Silvio aveva intrattenuto, negli anni ’70, con
noti esponenti della mafia siciliana. Come tutti sanno, fra Marcellino e i
giudici di Palermo non corre buon sangue. Lo hanno tirato dentro a quasi tutte
le inchieste che riguardano i rapporti fra mafia e politica e perfino nel “trattatuni”
intercorso fra i colletti bianchi di Totò Riina e alcuni grand commis dello Stato.
Un rapporto sfociato poi nella pesantissima accusa di essere un collettore di
rapporti mafiosi al Nord, una specie di ambasciatore plenipotenziario o, se si
preferisce, considerato il potere che ha, un nunzio apostolico. Inevitabile che
gli avvocati di Dell’Utri tentassero di ricusare i magistrati ed altrettanto inevitabile,
visto che i fatti imputati si erano svolti a Milano, che i fascicoli passassero
dalla procura di Palermo a quella del capoluogo lombardo. Nei giorni scorsi si
era espresso a favore del trasferimento lo stesso procuratore nazionale
antimafia Aldo Grasso, e la cosa aveva causato non pochi malumori. Il fatto è
che, nonostante la disperata resistenza dei giudici siciliani, tutto l’incartamento
è stato trasferito a Milano. Sapete dove? Nell’ufficio di Ilda Boccassini.
Quando si dice il culo...
mercoledì 26 settembre 2012
Monti non si candida. La Polverini non si ricandida. Forse è la volta buona che vince il Pd. Intanto è stato rinviato a giudizio Laudati, il procuratore insabbiatore delle escort.
Non
si candida o ricandida nessuno. E questa è una buona notizia. Se non fosse che
lo stesso desiderio non è stato purtroppo espresso da Berluspony, da D’Alema,
da Casini, da Rutelli, da Veltroni e da Violante, potremmo dire che il sol dell’avvenire
lascerebbe a ben sperare e invece... Sono tutti lì, pronti sulla linea di
partenza, per intraprendere un altro mandato che, sebbene più “povero” dei
precedenti, a lor signori non frega una mazza visto che i privilegi ormai se li
sono portati tutti a casa. Renatina in tutta questa storia, continua a fare la
parte della vittima designata, ha recitato il ruolo anche ieri sera a Ballarò.
Nonostante Fiorito: “La governatora sapeva tutto”, madame Polverinì ha
indossato gli abiti di Giovanna D’Arco (buone le battute di Bersani quando
imita Crozza) e non ha alcuna intenzione di dismetterli anzi, sembra all’improvviso
essere diventata la paladina dell’anticorruzione, un po’ come Totò Cuffaro dell’antimafia.
Chiusa la parentesi Lazio, (si torna a votare e vedremo come la butterà), la
notizia del giorno è quella del rinvio a giudizio per abuso d’ufficio di
Antonio Laudati e del suo sostituto Giuseppe Scelsi, i giudici baresi che
indagavano sull’allegro giro delle escort di Berluspony. I fatti sono noti e si
riferiscono al 2011. L’allora procuratore capo Laudati avrebbe “aiutato
Gianpaolo Tarantini e gli altri indagati nel medesimo procedimento a eludere le
indagini avviate dal sostituto procuratore Giuseppe Scelsi nel procedimento in
corso sulle escort portate da Tarantino a Palazzo Grazioli, nel quale era
coinvolto quale fruitore delle loro prestazioni sessuali il presidente del
Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, al fine di favorire
indirettamente quest’ultimo preservandone l’immagine istituzionale”. Con
Laudati e Scelsi, sono stati rinviati a giudizio anche quattro giornalisti
pugliesi accusati di diffamazione. Adoperando i parametri berlusponeschi,
Laudati e Scelsi sono buoni giudici, seri, onesti, competenti ed equilibrati.
Quelli di Milano invece...
martedì 25 settembre 2012
Azzerata la Regione Lazio. Si rivota. Il pesce di nome Pierfy scarica la Polverini.
Il
complimento più bello glielo ha fatto quel gran pezzo di galantuomo fascista
che si chiama Francesco “Er Dux” Storace: “Cacasotto”, ha detto in perfetto francese all’ex sindacalista nera. Perché secondo lui,
Renatina doveva resistere a tutti i costi, all’insegna e per rispetto del vecchio
motto dei Figli della Lupa: “Boia chi molla”. I fascisti sono fatti così, gran
pezzi d’uomini con il mito delle palle, qualunque esse siano, fisiche o di un
moschetto fanno sempre il fascista perfetto. Stavolta però le palle non sono
bastate alla Spolverini che, in una affollata e commovente conferenza stampa ha
detto: “Ce ne andiamo da persone pulite e i farabutti a casa ce li mando io”,
mostrando la mascella volitiva che fa tanto balcone di Piazza Venezia. Meno aplomb hanno
dimostrato gli uomini (si fa per dire) del suo staff che, come spesso accade,
se la sono presa con una telecamera notoriamente meno pericolosa di Fiorito-Batman,
e soprattutto dotata di un fisico decisamente più sfilato dell’ex capogruppo
del Pdl. “Che te pensi che nun c’ho er coraggio de spaccatte la faccia?”, ha
detto il fascista in fasce Pietro Giovanni Zoroddu (capo di gabinetto di
Renatina) al povero giornalista Dario Prestigiacomo dell’agenzia Vista. Che volete
farci, i fascisti spintonano, sputano, insultano, tirano calci, schiaffi,
pugni, minacciano con lo sguardo assatanato e le mani sudate chi non la pensa
come loro, ma solo dopo aver appurato che fisicamente sono inferiori perché i
neri, per chi non lo sa, si reputano anche intelligenti, poverini! Finisce così,
con il pesce Pierfy che da democristiano di ferro ha pensato fino alla fine
come comportarsi, il regno di Renatina in Regione Lazio, un regno voluto
fortemente da Santa Madre Chiesa Cattolica d’Oltretevere e da una pseudo
coalizione di sinistra che nel regno Vaticano presenta una mangiapreti e a sindaco
di Roma l’inguardabile Cicciobello Rutelli, per la serie “a noi vincere non
piace, governare costa troppa fatica”. Non poteva non farsi sentire la voce
suadente e molto ingentilita del cardinale Bagnasco, capo dei vescovi italiani.
Ha approfittato dello scandalo della Regione Lazio per dire tre cose. La prima:
“Scandali inaccettabili. Via dalle liste politici chiacchierati”, a meno che le
chiacchiere non si possano contestualizzare. La seconda: “Avanti con il governo
Monti”, come se gli italiani ordinassero al Papa di eleggere Paperon de’
Paperoni presidente della Cei. E la terza, decisamente più incisiva delle altre
due: “Il registro delle coppie di fatto avrà conseguenze nefaste”, che non c’entrava
una mazza con quanto accaduto. A meno che, Fiorito e la Polverini...
lunedì 24 settembre 2012
Un pesce di nome Pierfy. Wanda, scusaci.
Alla
fine, volente o nolente, vuole sempre essere l’ago della bilancia. Il suo
collega di partito, onorevole Buttiglione, aveva appena detto che l’Udc avrebbe
lasciato le sue poltrone nel consiglio regionale del Lazio, che Pierfy ha fatto sapere che
lui ci deve pensare, ci deve ragionare, deve soppesare, analizzare,
sintetizzare e poi decidere. Il maledetto vezzo democristiano di non prendere
mai nessuna decisione, ma lasciare che il tempo decanti le situazioni, resta e
resterà impresso per sempre nella mente del Cocorito di Forlani, altrimenti che
Cocorito sarebbe? Lo stato dei fatti è questo. Oggi i consiglieri regionali del
Pd si sono dimessi in blocco. Nel pomeriggio, a stretto giro di lanci d’agenzia,
si sono dimessi quelli dell’Idv, di Sel e dei Verdi. Chi resta per il momento l’unico
baluardo a difesa di Renatina? Ma l’Udc, of course, e che c’erano dubbi? Casini
è Casini e se ripetessimo ancora una volta che nel nome sta il destino delle
persone, non faremmo un cent di danno. Lui, sempre il Pierfy, è pronto a salire
sull’ennesimo carro del vincitore, cosa che gli riesce abbastanza bene visto il
fiuto affinato in anni di doroteismo d’accatto. Solo che stavolta ci si sono
messi di mezzo i vescovi e, a meno che sua eminenza Camillo Ruini non gli abbia
consigliato anche lui di staccare la spina agli encefalici dei pidiellini, la
parola di Bagnasco e quella di Villani non bastano, soprattutto tenendo in considerazione
che il cardinale Carrozziere non si è ancora pronunciato. Questa volta Casini
non potrà neppure tirar fuori l’alibi della governabilità perché cosa è rimasto da governare in una regione come il Lazio, stentiamo a decifrarlo, men
che meno a capirlo. Ha ragione Di Pietro quando dice che il controsenso
esistenziale del centrosinistra non è l’Idv ma l’Udc. E ha ancora ragione il
bucolico presidente dell’Italia dei Valori quando paragona il Pierfy al moscone
verde attaccato al culo dei somari. La fregatura per Casini vostro è che qualche volta, da quel
culo, non sempre esce acqua di colonia.
domenica 23 settembre 2012
I Pidini della Regione Lazio verso le dimissioni di massa. Inizia l’assalto al fortilizio Polverini.
“Il
Pd è come il pidocchio della frutta. Ha capito che fa meno fatica a farsi
ammazzare piuttosto che a impegnarsi per difendersi”. Non è nostra ma di
Ascanio Celestini. Ci è tanto piaciuta la storia del pidocchio della frutta che
abbiamo deciso di riportarla paro paro all’esperienza del Pd nella politica
italiana. Voi direte “Ma che c’entra il Pd se Fiorin Fiorello Fiorito si è
fregato una barca di milioni?”. C’entra eccome perché in Regione Lazio, in due
anni, sono transitati 30 milioni di euro senza che nessuno dell’opposizione, e
quindi anche Idv, Sel e i Verdi, abbiano mosso un dito per “scoperchiare il
pentolone” (vecchia battuta di un marito cornuto qualche anno fa). Ora, tutti
insieme appassionatamente, codesti partiti hanno deciso di far dimettere i loro
consiglieri. Dice Esterino Montino, capogruppo pidino in regione: “Abbiamo
avviato la raccolta di firme per le dimissioni dei consiglieri del Pd”. La
speranza è che le firme che Esterino sta raccogliendo siano appunto quelle dei
consiglieri e non degli iscritti al partito che potrebbero addirittura prendere
a calci nel culo i loro rappresentanti distratti ma soprattutto inetti. Renatina
Polverini, dal grido di dolore è arrivata alla difesa più arcigna delle
posizioni sue e dei suoi colleghi mentre da Oltretevere ha tuonato il cardinale
Bagnasco, presidente della Cei: “Si sentono cose vergognose”, al quale ha fatto
eco il vicario di Roma cardinale Vallini che ha detto: “Abusi intollerabili”.
Ci piacerebbe tanto sapere che indicazioni di voto ha dato la Chiesa ai suoi
fedeli quando si è trovata a scegliere fra l’arcidiavola Emma Bonino e la
nera non per caso Renata Polverini, vogliamo scommettere che i prelati hanno
puntato tutto sulla nera? E ora, dopo che di sprechi ne hanno approfittato a
iosa durante l’interregno di Berluspony, si dimostrano tutti innocenti come
angeli e sorpresi come fichi secchi caduti dal pero (metafora surreale di un concetto
concreto). In questo paese, prendiamone atto, c’è qualcosa che non va. Ieri
Grillo ha dato degli infamoni ai giornalisti, proprio come Silvio, proprio come
Maximo. Marchionne ha detto, dopo cinque ore di colloquio con il Professore,
che la Fiat resterà in Italia, ha taciuto però sugli sgravi e sugli incentivi
che l’azienda ha preteso dallo Stato. In questo paese, insomma, nessuno fa
niente per niente. Perché dovrebbe farlo Fiorito?
sabato 22 settembre 2012
A Milano arrestato un pensionato spacciatore. Voleva un po’ di soldi per andare ai Caraibi senza passare per Daccò.
Siccome
ci siamo rotti abbondantemente i cabasisi di Renatina e di Franchino, di
Massimino e di Piergigi, di Matteuccio e di Berluspony, almeno oggi che è
sabato parliamo d’altro, anche se alla fine sempre loro c’entrano.
A
Milano i carabinieri hanno arrestato un sessantenne che aveva addosso un
sacchetto di plastica con dentro 50 grammi di cocaina. Sapete come l’hanno
individuato? Il signor Umberto L., ex muratore, attualmente in pensione, si
aggirava in via dei Missaglia, zona capolinea della metropolitana, visibilmente
agitato. Si guardava intorno muovendosi a scatti e dando l’impressione di avere
qualcosa da nascondere. I militi lo hanno adocchiato, si sono avvicinati, gli
hanno chiesto i documenti e il signor Umberto è crollato: ha tirato fuori dalla
tasca il sacchetto con la coca e lo ha consegnato ai carabinieri allibiti. La
prima cosa che ha detto il pensionato spacciatore è stata: “Io con 400 euro di
al mese non campo, ho trovato questa cosa facile facile e mi sono offerto di
farla”. Interrogato sul perché avesse deciso di consegnare la droga ai
carabinieri, il signor Umberto ha risposto: “Pensavo foste voi le persone alle
quali dare il sacchetto”. Ovviamente è stato arrestato, ovviamente lo
condanneranno per spaccio, ovviamente questo “favore” retribuito all’ex
muratore costerà una cifra. Ci sono tornate il mente le storie assurde dei
reduci del Vietnam, le condizioni penose (dal punto di vista umano e
lavorativo) che si sono trovati a vivere in patria, il tentare di sbarcare il
lunario accontentandosi di una qualsiasi opportunità gli venisse offerta,
spaccio di droga compresa. Perché la disperazione può spingere, oltre che a
fare gli homeless e vivere grazie alle suffragette, anche a spacciare droga o a
vendere alcolici ai minorenni. Di queste storie, di anziani che spacciano,
ormai se ne sentono sempre di più. Un po’ di tempo fa ne arrestarono uno che
smerciava direttamente in ospizio, poco prima avevano arrestato una vecchietta
che teneva in casa l’hashish del nipote, la fregatura fu che la signora non
aveva nipoti e i finanzieri non si impietosirono. Ci sarebbe da riflettere
lungamente sul signor Fiorito ma anche sul governatore lombardo che ama i
Caraibi come fossero casa sua, per il momento ci accontentiamo di segnalare un
fatto: si chiama disperazione e somiglia molto a metastasi che prima o poi
invadono tutto il corpo, comprese le parti sane.
venerdì 21 settembre 2012
Fiorito non è un ladro. La colpa è del sistema che gli ha dato i soldi da fregarsi.
In
poche parole Franco Fiorito ha detto: “È vero, ho gestito somme enormi.
Rispetto agli incarichi ricoperti avrei dovuto avere 900mila euro, ne ho presi
solo 800mila. Non ho rubato nulla, tutto è stato giustificato comprese le
ostriche e lo champagne. Tutto rendicontato. Lo scandalo non sono io, la
vergogna vera sta nel fatto che ho avuto tutti quei soldi a disposizione”.
Insomma, come ha poi riconfermato la Renatina, la colpa è del sistema che mette
a disposizione tali somme, non dei politici che le usano per comprarsi la
Smart. È una versione anzi, una visione di un fatto ormai assodato. Non è vero
che la politica costa, è vero che a costare sono i politici. Il che si desume
proprio dall’affaire Fiorito il quale, se avesse avuto una coscienza civica,
avrebbe dovuto rifiutare le somme messe a disposizione che lui pensava fossero
eccedenti al fabbisogno e non sputtanarle, è il caso di dirlo, a tarallucci e
vino. Conosciamo ex politici regionali che godono di vitalizi dal giorno dopo che
sono decaduti dall’incarico, che hanno usufruito sfacciatamente di aspettative
per anni, che per fare politica non ci hanno rimesso un centesimo né sprecato
un attimo del loro preziosissimo tempo. La sapete una cosa? Qualora Barack
Obama dovesse perdere le elezioni, non prenderebbe un dollaro di buonuscita
manco se si ritrovasse nel centro di Manhattan a chiedere l’elemosina. Tony
Blair, dimessosi da primo ministro, campa tenendo conferenze a pagamento e
scrivendo saggi di politica e di economia. Jimmy Carter, finito il mandato di
presidente è tornato a coltivare le noccioline. Helmut Kohl, terminato il
cancellierato, si è messo addirittura a fare il nonno a tempo pieno. Margareth
Thatcher è diventata consulente di imprese multinazionali, Bill Clinton ha
scritto un libro, ha creato la sua fondazione e gestisce i soldi che gli
arrivano dai diritti d’autore facendo beneficienza. Qualcuno sa che fine ha
fatto Sarkozy? Ouì, litiga tutti i giorni con Carlà che si è rotta le palle di
avere fra i piedi un pensionato nullatenente e un po' rinco. L’Italia è l’unico
paese al mondo che ha i senatori a vita, che ogni presidente della repubblica
che termina il mandato diventa “emerito” e siede, fino a che la morte non arriva
a compiere il suo dovere, in senato. L’Italia è il paese che se un politico
viene trombato alle elezioni, corre per le amministrative e un ruolo di
assessore o addirittura di presidente di regione o di provincia non glielo nega
nessuno. L’Italia è il paese in cui se un politico non riesce ad accaparrarsi
almeno uno degli incarichi di cui sopra, viene sistemato nelle partecipate,
nelle municipalizzate, nei consigli di amministrazione di qualsiasi entità
purché ci sia un gettone di presenza. L’Italia è il paese in cui si resta in
Parlamento vita natural durante e se qualcuno prova a dire “ e mo’ basta” si
becca del fascista o del grillino, ché tanto per D’Alema e Bersani fa lo stesso.
L’Italia è un gradissimo paese e questo non ce lo toglierà mai nessuno dalla
testa, il problema è che purtroppo è pieno di teste...di minchia.
giovedì 20 settembre 2012
La classe di Obama da Lettermann e le lacrime della Polverini in consiglio regionale: “Abbiamo superato la soglia del ridicolo”. E meno male...
Abbiamo
visto Barack Obama da David Letterman. Nonostante le domande puntute dell’anchorman
più famoso degli Usa, il Presidente non si è scomposto, non ha dato dei
coglioni agli americani che non votano per lui, non ha dimenticato agende alla
Casa Bianca, non ha ruttato, offeso, alzato il dito medio, scorreggiato, dato
del frocio a Romney e soprattutto non ha detto che le repubblicane puzzano
perché non si lavano. Ha detto che il presidente di un grande paese come gli
Stati Uniti è un buon presidente se si occupa di tutti i cittadini non solo di
una parte, ha detto che dalla recessione si esce insieme, contribuendo ciascuno
secondo le proprie possibilità, ha difeso l’istruzione e la sanità e esaltato
il ruolo del ceto medio. Ha detto che gli americani sono dei gran lavoratori,
che non sono sfaccendati, rubagalline, mangiapane a tradimento, bamboccioni,
perditempo matricolati. Ha difeso la sua politica che tende a mettere sullo stesso piano tutti i
cittadini, criticando elegantemente quella repubblicana che invece vuole
tutelare solo i ricchi. Mentre ascoltavamo Barack Obama, un presidente che
abbiamo continuato ad ammirare anche dopo le critiche che gli sono piovute
addosso dopo la sua elezione, come in un flash ci sono comparsi davanti
agli occhi Formigoni e la Polverini, Gasparri e Bossi, Scajola e Brunetta e ci
siamo detti: “Ma ‘sti cazzi!”. Eppure è così, eppure in Italia accade che
Fioroni non vuole che Vendola partecipi alle primarie della coalizione perché
ha provato a dire che Sora Elsa, sull’articolo 18, ha fatto un sacco di cazzate. Ma possibile che nel 2012, dopo venti anni di
Berluspony forever dobbiamo ancora fare i conti con teste di cazzo simili? Eppure
è così, la nostra dannazione continua nonostante Matteo Renzi de’ Medici, nonostante
la bonomia di Bersani, nonostante D’Alema stia ancora brigando per far pagare a
Mediaset lo 0,50 per cento di concessioni invece dell’1 per cento del suo
bilancio, roba da far tremare i polsi al conte Dracula. A proposito della
Polverini. Sembra che la governatora del Lazio si sia incontrata con la
ministra dell’Interno per parlare di dimissioni e di elezioni anticipate.
Apriti cielo. Sono insorti nell’ordine Gasparri, la Meloni e Gnazio che si sono
precipitati dal Nano Bifronte in crociera per dirgli di convincere Renatina a
non dimettersi. A perdere anche il Lazio loro non ci stanno proprio, chi gliele
paga altrimenti le ostriche annaffiate con lo champagne e la Smart a mezzo servizio?
mercoledì 19 settembre 2012
Berluspony affila le armi, Porro litiga con Bersani e sabato Monti incontra Marchionne. Ci fosse mai una buona notizia!
Se
qualcuno aveva dubbi sulla possibile ridiscesa in campo di Berluspony, ieri
sera dovrebbe averli dissipati. È bastato ascoltare Porro, il vice di Sallusti
l’Esangue, per rendersi conto che le truppe cammellate sono state riposizionate
e che è iniziata l’ennesima campagna elettorale di questo paese martoriato dai
nani e dalle mignotte. Aver detto a Bersani che le feste del Pd le finanziano
le municipalizzate, significa che nulla è cambiato, che l’armamentario comunicativo
è sempre lo stesso becero insulto all’avversario, che le idee sono le stesse e
gli stessi i protagonisti. Il buon Floris non aveva finito di leggere il
cartello su Batman de Noantri (noto esponente del Pdl romano), che la furia di
Porro si è riversata totalmente sulle feste del Pd. È vero, lo spunto iniziale del contendere era stato
il servizio sulla nave da crociera dei lettori del Giornale di Silvio, ma la
veemenza oratoria di Tirapiedi 2 è risultata alla fine fuori luogo e fuori
contesto, insomma, una gran caciara e nulla più. Fallito l’assalto a La7 da
parte di Mediaset (Santoro terrorizza ancora, specie in campagna elettorale),
accusato il colpo da Pier Silvio che si è comportato come la volpe con l’uva,
lanciata la parola d’ordine “via l’Imu”, raccolte un po’ di mignotte in giro
per il popolo coglione, Silvio continua a sbarcare nei porti italiani portando
ovunque il suo verbo (il presente, gli altri tempi non li conosce) e
millantando ancora una volta, spudoratamente, cure miracolistiche per una
nazione che ha distrutto alle fondamenta sconquassandone la scuola,
estirpandone la cultura, dilaniandone l’identità. E ci sono ancora persone che
lo invocano, che lo acclamano, che lo idolatrano in nome di cosa e di chi non
si sa, forse della disperazione, forse dell’ignoranza, forse dell’inconsapevolezza,
magari anche per una sorta di malcelato autoerotismo distruttivo. Dalle altre
parti non stanno sicuramente meglio. Grillo viene ormai considerato un
pappagallo, una marionetta manovrata da mani sapienti; i candidati alle
primarie del Pd sono arrivati a 8; Vendola insiste a dire che vuole sposarsi
con il suo compagno mentre Casini gli dice che non si può; Di Pietro va in giro
per l’Italia a parlare di porti e D’Alema è ancora lì, fermo come un pointer
qualsiasi, immobile e inamovibile come una cariatide sull’Acropoli. Fra un po’
il Maximo verrà messo sotto tutela dall’Unesco, ma lui non lo sa. Buone nuove
invece, sul versante Fiat. Sabato il Professore incontra Marchionne il quale,
presagendo l’aria che potrebbe tirare, ha specificato che la “Fiat resterà in
Italia”. La sede del Lingotto sicuramente sì e pure la targa e l'insegna, ma gli stabilimenti? E l’indotto? E la rete vendite? Belle domande
frà, ma che te serve?
martedì 18 settembre 2012
Silvio: “Via l’Imu, giù le tasse”. Ma quando finirà il più brutto film mai girato in Italia?
Al
Nano Bifronte il fatto che il film più brutto della storia del cinema lo abbia girato
addirittura il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, non è mai andato
giù. Tanto che, pur di tentare di emulare il suo idolo d’oltreoceano che aveva
girato “Contratto per uccidere”, Silvio pensò di girare “Contratto con gli
italiani”, due veri e propri thriller sanguinolenti. Ora si ripropone. Vuole produrre
il sequel del lungometraggio che realizzò totalmente in interni da Bruno Vespa,
preferendo però gli esterni di una nave da crociera, e con lo stesso titolo più
un 2 alla Rambo: “Il contratto con gli italiani 2”. Se nel primo proponeva l’abolizione
dell’Ici, nel sequel proporrà quella dell’Imu. Se nel primo erano le tasse che
dovevano scendere, la stessa cosa accadrà anche nel secondo perché Silvio sa
che la parola “tasse”, per gli italiani è una vera e propria tag, soprattutto se
a fianco ci scrive “evadere”. Informata del possibile ritorno sulla scena
politica di colui che la definì “culona inchiavabile”, Angela Merkel,
sorridendo, ha detto: “Io sono democratica”, facendo intendere che se poco poco
non lo fosse, lo passerebbe volentieri per le armi, magari affidandolo a una
popputa birraia bavarese. Silvio progetta dunque il suo ritorno mentre le regioni
governate da quell’assurdo storico che si chiama Pdl, affonda con i comandanti
emuli di Schettino: scappano tutti. Se stoicamente resiste solo Roberto
Formigoni, vessato da Repubblica e non dagli imbrogli con Daccò, nel Lazio
Renata Polverini sta pensando seriamente di prendere la prima scialuppa di
salvataggio utile. Ieri ha detto: “Quello che è accaduto in consiglio regionale
è una catastrofe politica, sto pensando di dimettermi”. Renata è incazzata nera
con gli spreconi dei suoi colleghi di partito dei quali i giornali hanno
pubblicato ricevute e fatture per migliaia di euro in cene, pranzi, agende
griffate, borse in pelle, gioielli, vacanze esclusive, champagne a fiumi. Chissà,
se Renata avesse magari rinunciato ad andare in elicottero a Rieti alla Sagra
del Peperoncino, oggi la governatora del Lazio potrebbe essere più credibile,
ma tant’è, quando la nave affonda scappano pure i sorci anzi, loro sono i primi.
E
terminiamo con Dieguito Della Valle che dopo aver fatto incazzare Luquito Montezemoloño
bastonando il duo delle meraviglie Marchionne-Elkann, invece di darsi una
calmata c’è andato ancora giù di brutto. Ha detto il calzaturiero nostro
corregionale: “E brava la Fiat, alla chetichella sta lasciando l’Italia”. E poi
Marchionne si lamenta se quelli della Fiom gli tirano con la fionda una mignon
di grappa mentre è al volante della sua Audi...
lunedì 17 settembre 2012
L’Annus Horribilis 1994. Quando Massimo e Silvio strinsero il patto...
Il post di oggi non è ispirato alla
cronaca politica degli ultimi giorni ma a un pensiero di Ferdinando Imposimato
postato ieri su Facebook. In pochissime parole l’ex magistrato richiama quanto
accaduto in questo paese nel 1994 e, più precisamente, l’accordo scellerato fra
Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. Le conseguenze di quel patto sono sotto
gli occhi di tutti e, purtroppo, anche di un Paese al quale due decenni di
governo di centrodestra hanno tolto la storia, la memoria, la dignità. Fra i due c’è
sempre stata una simpatia latente sfociata da una parte nel riconoscimento di
Mediaset come “grande impresa culturale”, dall’altra il tentativo fallito di
far nominare “Baffino” ministro degli esteri europeo... e non solo. C’è poco da
stare allegri e infatti, stavolta nessuna ironia. Matteo Renzi non ha tutti i
torti a voler rottamare la classe dirigente di un Pd che di quell’accordo è il figlio
naturale, peccato che la proposta venga da un personaggio che ha fatto dei
luoghi comuni il “luogo della politica” e del Mausoleo di Arcore il suo
personale Vittoriale di risulta. Dice Imposimato:
“Non ci libereremo mai di Berlusconi
se non ci liberiamo di Massimo D'Alema. Il governo di centro sinistra si
pronunciò per l'eleggibilità di Berlusconi per l'ambizione di D'Alema che
mirava ai voti del premier per stravolgere la Costituzione introducendo il
Presidenzialismo. Fu Massimo
D'Alema che diede a Silvio Berlusconi, nel
1994, l'assicurazione che il suo impero mediatico non sarebbe stato toccato.
Ignorava l'allora capo della opposizione che il 69,3% degli italiani decide
come votare guardando la TV. La verità la confessò Luciano Violante nel
febbraio 2002, quando disse, nello stupore del Paese: “L'on Berlusconi sa per
certo che gli è stata data garanzia piena nel 1994 che non sarebbero state
toccate le televisioni. Voi ci avete accusato, nonostante non avessimo fatto la
legge sul conflitto di interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante
le concessioni”. E ciò in violazione della legge 30 marzo 1957, ignorando
l'appello di Giorgio Bocca, Paolo Sylos Labini e Giuseppe Laterza. Non c'era
stata ignoranza ma un consapevole patto scellerato tra D'Alema e il suo amico
di Arcore. Un regime nato e cresciuto sui rapporti con la mafia stragista, sui
servizi deviati alleati della mafia, sui poteri occulti, sulle ingiustizie
sociali, sui potentati economici, sulla umiliazione della scuola pubblica e
dell'Università”.
domenica 16 settembre 2012
Tutti contro Marchionne, anche i fan più accaniti. Silvio va in crociera e parla, come Quelo.
Un
lunghissimo elenco di ex sostenitori del Marchionne Caesar et Dux, gli sta chiedendo conto delle dichiarazioni nelle quali recentemente, senza batter ciglio, non
ha dato un soldo di speranza a Fabbrica Italia. L’elenco? Eccolo: Corrado
Passera, Sora Elsa (Fornero), Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti direttamente
dal reparto verniciatura della Chrysler a Detroit, Roberto Cota, Pierfy Casini
e, udite udite, Angelino Alfano. Chiamparino, Fassino, D’Alema e Veltroni,
Bersani e Renzi, Rosy Bindi e Franceschini tacciono, ma solo per pudore. Tutti,
in coro, stanno chiedendo a Marchionne cosa diavolo intende fare mentre, quando
la Fiom e la Cgil imploravano gli altri sindacati di aspettare il piano
industriale prima di firmare l’accordo, i metalmeccanici rossi venivano presi per barricaderi rivoluzionari
contrari al progresso e, quindi, rivoluzionari revisionisti: i peggiori,
proprio come i cattocomunisti. A Marchionne di mantenere in vita la Fiat in Italia
può interessare come a Berlusconi i problemi degli altri, praticamente niente.
L’assurdo è che mentre Bellopupo Elkan dichiara trionfalmente l’entità dei
dividendi spettanti quest’anno agli azionisti, si contano le ore di cassa
integrazione non solo per gli operai ma anche per i colletti bianchi. Non si sa
perché Grillo tace, forse a lui della Fiat non frega una mazza o forse non gli
hanno ancora rimesso a posto il sito, resta il fatto che sui problemi spinosi
di questo paese a pezzi, lui non interviene mai. Ci piacerebbe anche sapere cosa
pensa del referendum sulle leggi della Fornero che hanno stravolto l’articolo
18, ma lui tace preferendo parlare di zombi e pappa, di stracotti e strafatti.
Questo è uno degli aspetti di Grillo che non ci piace, se fosse un po’ meno
santone e un po’più vicino ai problemi veri della gente magari si attirerebbe
qualche simpatia in più. D’altronde è semplice sparare sull’euro, un po’ più
complicato spiegare come riportare l’economia reale al centro della finanza facendole
riprendere il posto che attualmente occupa la carta straccia (derivati e
affini). Prendersela con il Beppe però non serve a nulla, lui cavalca lo
sfascio, la cosa più semplice e redditizia in questa nazione ancora infettata
dal morbo del berlusconismo. A proposito, Silvio se n’è andato in crociera. Ha
approfittato del viaggio promozionale del Giornale e si è imbarcato a Venezia
con Sallusti, Feltri e Danielona Santanché che, dopo le ultime uscite contro l’Islam,
per salire a bordo della MSC si è travestita da Lady Gaga. Prima di partire,
Silvio ha parlato e ha scolpito sul marmo della politica che siamo in una
grande confusione, che c’è grande crisi, che questa è una politica che ci porta
dritti alla recessione, che serve una guida. Sembra di ascoltare Quelo, la
seconda che ha detto.
sabato 15 settembre 2012
Pentanews Italia. Da Marchionne a Silvio che non c’è, una giornata ricca di notizie. Manca solo Matteo de’ Medici.
Quando
troppo, quando niente. Quest’estate pur di parlare di qualcosa, ci siamo
ridotti a fare l’esegesi della canotta da muratore di Bossi, oggi, a metà
settembre, le notizie rimbalzano come clik-clak sul polso degli imbranati.
Velocemente. Sergio Marchionne è uscito allo scoperto. È un bluff. Il Progetto
Italia non c’è più, con buona pace di Bonanni, Angeletti, Chiamparino, Fassino,
Vuolter e di tutti coloro che lo avevano definito frettolosamente il nuovo
Messia. Tutto sommato è un trombone, finiti gli aiuti di stato, Sergio se n’è
andato per altri lidi, tutti ancora da spremere. Dalla Serbia alla Polonia,
dall’India a Detroit, Sergio sembra un mungitore in servizio effettivo
permanente. Ora sono tutti col fiato sospeso perché la Fiat ha definitivamente
archiviato ogni tipo di investimento in Italia. S’è incazzato pure Diego Della
Valle che ha tuonato: “I vertici della Fiat, Marchionne e Bellopupo Elkan, sono
furbetti e inadeguati”. Ha risposto il suo compagno di merende, Corderon de
Montezemolo: “Parole inaccettabili”. Dopo Casini (che gli ha fregato la sora Emma), Luquito ha litigato pure con Dieguito.
Roba da ricchi, direbbe qualcuno se di mezzo non ci andassero ancora una volta
operai e impiegati bastonati da un Marchionne che, pure nell’aspetto fisico, si
sta adattando a fare il clochard di lusso e non su Pont Neuf. E a proposito di
lavoro che non c’è, Piergigi Bersani si è un po' alterato con Mario Monti che aveva
definito l’articolo 18 un “reperto archeologico che frena gli investimenti”. Ma
Bersani, si sa, è un signore e non potendo affondare l’attacco nei confronti del
Professore, ha concluso la sua falsissima intemerata con un: “Però Monti è una
persona preziosa” che, detta da lui, suona solo come una ruffianata bella e buona.
Ieri doveva essere il ritorno di Silvio B. sulla scena della politica. Nano
Bifronte avrebbe dovuto infiammare di nuovo i cuori dei giovani del Pdl alla
manifestazione Atreju, invece non c’è andato, si è defilato e i commenti si
sono sprecati. Qualcuno dice che l’assenza sia stata una strategia in attesa
del grande ritorno in campo, qualcun altro invece l’ha buttata sull’estetico: “Quest'estate non ha avuto un cazzo da fare ed è aumentato di 10 chili”. Silvio ha
affidato a Facebook la sua versione: “C’è un tempo per parlare e uno per tacere”,
ha detto parafrasando l’Ecclesiaste, come se sapesse davvero cos’è. E infine
una notizia fresca fresca. A prescindere da qualsiasi considerazione si possa,
e voglia fare, sul prossimo ritorno di Silvio in politica, resta il fatto che
Mediaset vuole acquistare La7. Magari non potrà perché si suppone che ci possa
essere il pericolo di un intervento dell’Antitrust, ma non ci giureremmo
troppo. Silvio, pur di non far andare Michele Santoro in chiaro, è disposto a comprarsi
anche l’emittente che lo ha assoldato per la prossima stagione. Telecom tace,
Passera tace, Napolitano tace. Tacciono tutti, ma che paese di taciturni chiacchieroni!
venerdì 14 settembre 2012
Regione Lombardia: delibera fai da te. 200 milioni di euro alla Maugeri, 70 dirottati off-shore. Introvabile l’agenda di Formigoni.
Il
congegno era semplicissimo e anche conosciutissimo. Non solo fra gli addetti ai
lavori perché spesso, per capire alcuni meccanismi, basta davvero poco. Dunque.
Rapporti politici strettissimi, quasi amicali sono il presupposto indispensabile
perché la cosa funzioni. Sistemati i rapporti interpersonali, i beneficiari di
somme più o meno cospicue preparano la bozza di delibera dopo aver fatto i
conti con la calcolatrice, possibilmente solare, inquina meno. Allora, dicono,
per far quadrare i conti occorrono, facciamo un esempio, 10 milioni di euro.
Alla Regione presentiamo pezze d’appoggio tarocche per un importo
corrispondente, consulenze false e qualche prestanome si trova. A quel punto la
giunta regionale cosa fa? Eroga i 10 milioni di euro e i conti riportano. La
fregatura inizia quando su quella somma qualcuno inizia a farci la cresta. Il signor
Daccò si accontentava di poco, il 18 per cento. Abbiamo sentito di personaggi
che non scendevano sotto il 20 neppure con l’intervento dall’alto di Gesù
Bambino, per cui ci può stare. Il denaro intascato confluiva direttamente in
conti esteri che servivano a pagare un po’ di tutto, ville, yacht, cene e
pranzi di Natale, convegni e congressi, gite e soggiorni, settimane terapeutiche
nelle beauty-farm, camicie a fiori, pantaloni rossi, cinture blu e una serie di
applicazioni UVA in strutture specializzate. A rompere il giocattolo, come
quasi sempre accade, è il pentito di turno, quello che i soldi se li vede
passare sotto il naso e può solo sentirne l’odore. E allora vengono fuori le
cene di Natale con esponenti del mondo sanitario legati a Cl, brindisi con
Formigoni e Daccò a capotavola, gite fuori porta e fuori acque territoriali, agende con
intestazioni in oro zecchino che hanno lo strano vezzo di scomparire manco
fossero rosse. Il pentito della Maugeri, quello che ha messo nei guai Daccò e
mezza giunta regionale lombarda, si chiama Gianfranco Mozzali di professione
factotum, uno di quelli che dei soldi sentiva solo l’odore e non la consistenza
in tasca. Ai giudici ha raccontato tutto, proprio tutto e i magistrati si sono
fatti un’idea molto precisa di quanto, in 10 anni, l’amicizia Formigoni-Daccò sia costata alle casse della Regione Lombardia: 200 milioni di euro dei quali oltre
70 hanno preso vie diverse da quelle del libretto di risparmio della
Fondazione. Ora, comunque la si voglia mettere, in quasi tutti gli affari non
cristallini della politica lombarda, emergono sempre personaggi di spicco
legati a Cl. Ci sarà pure una ragione per cui la riteniamo una congrega e non una
congregazione. O no?
giovedì 13 settembre 2012
Un filmaccio scatena la rappresaglia in Libia. La Santanchè: “L’Islam è una religione assassina”. Un’altra occasione persa per tacere, un rischio serio per le protesi di silicone.
Il motivo scatenante di tutto è un filmaccio, una puttanata di due ore
costata 5 milioni di dollari e interamente finanziata da 100 ebrei ricchi con
il marchio del sionismo stampato in faccia. Lo sceneggiatore è un 56enne agente
immobiliare che lavora in California, tal Sam Bacile, cittadino americano che
si definisce ebreo israeliano e che del suo filmaccio dice: “La mia opera
aiuterà Israele perché fa vedere al mondo le imperfezioni dell’Islam”. Quando
il film è stato presentato in anteprima, quasi di nascosto, in un cinema di
Hollywood, ad assistere alla proiezione non c’era quasi nessuno, neppure i 59
attori e i 45 tecnici che avevano contribuito alla sua realizzazione. Innocence
of Muslims (L’innocenza dei musulmani) è una presa in giro feroce contro
Maometto che nel film viene mostrato come un personaggio folle, un imbroglione
matricolato e un donnaiolo quasi quanto il nostro Nano Bifronte. Ma non solo. Alle
immagini hanno fatto seguito le parole di quel gran pezzo di sionista che si
chiama Bacile (un nome, un programma), che ha detto: “L’Islam è un tumore. Il
problema principale è che sono stato il primo ad aver presentato Maometto sullo
schermo e questo li ha fatti impazzire. Ma dobbiamo aprire questa porta: dopo l’11
settembre tutti dovrebbero essere portati davanti a un giudice, perfino Gesù e
Maometto”. Non sappiamo come i neocon reagiranno alle parole di Bacile né se Cl
prenderà ufficialmente posizione per proibire il filmaccio in Italia, quello
che sappiamo di certo è che i musulmani, offesi a morte, si sono incazzati e che
a rimetterci la pelle sono stati l’ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens
e tre membri del suo staff. Quattro morti a causa di un sionista che ha dipinto
Maometto esattamente coma la goebbelsiana propaganda nazista dipinse alla fine
degli Anni ’30, gli ebrei. C’è da dire che il tutto è scoppiato dopo che il
trailer del film è stato proposto su YouTube e dopo che il reverendo Terry
Jones, il campione di tolleranza che diede fuoco a un centinaio di copie del
Corano (scatenando proteste in mezzo mondo), ne ha mostrato uno spezzone. Sam
Bacile è caduto dal pero: “Non avrei mai pensato che il film potesse scatenare
un putiferio simile”, salvo scomparire subito dopo e rendersi irreperibile, per
la serie “a noi il coraggio non ci manca, è la fifa che ci frega”. Poteva
mancare l’intervento illuminante di Danielona nostra Santanchè? Mavalà. Ha
detto Bellelabbra: “L’Islam è una religione assassina. Ciò sia di monito anche
in Italia a quanti hanno fatto festa per la cosiddetta primavera araba come risveglio
della democrazia, e si ostinano a non considerare l’Islam come una minaccia per
la libertà dell’Occidente”. A Danielona brucia ancora da matti la fine del suo amico Gheddafi, ma rischiare di ritrovarsi con una molotov che le da fuoco al
silicone ci sembra davvero eccessivo.
mercoledì 12 settembre 2012
And now: “Matteo De’ Medici”. Parte in camper la campagna per le primarie del Pd del sindaco di Firenze e Formigoni: “Ohibò, non ho le ricevute...”.
Prima
di parlare della tournée di Matteo De’ Medici, durante la quale non si esibirà
in loop ne “La porti un bacione a Bersani”, ma per accattar voti in vista delle
primarie del Pd, ci tocca segnalare l’ennesima puntanata dell’affaire
Formigoni. Il governatore a vita della Lombardia (“C&L me l’ha data, guai a
chi me la tocca), è uno specialista nel farsi cogliere con le dita nella
marmellata, salvo poi querelare i giornalisti che lo scrivono. E così, dopo che
La Repubblica per l’ennesima volta, gli chiede conto dei prestiti ricevuti dal
Daccò, Formigon De Formigoni risponde: “Ho restituito tutto fino all’ultimo
cent però non ho le ricevute. Che quando uno restituisce un prestito a un amico
si fa fare la ricevuta?”. Noi crediamo di sì se il beneficiario in questione è
un personaggio pubblico, ma in questo caso le nostre opinioni, ovviamente,
divergono da quelle del Governatore. “È inutile che chiedono in continuazione
le mie dimissioni – chiosa Roberto – me ne andrò nel 2013 dopo aver festeggiato
i 20 anni di presidenza”. Ma travolto dall’enfasi autodifensiva, il numero uno
dei lumbard tira in ballo l’imprenditore Carlo De Benedetti, proprietario di
Repubblica: “Tutti sanno quali sono gli interessi che l’ingegner De Benedetti
ha nella sanità in Lombardia ...“, come dire che Ezio Mauro segue gli interessi
del padrone e non la sua specchiata onorabilità. Su De Benedetti torneremo
quanto prima, ci sarà da ridere. Comunque. Parte da Verona la campagna per le
primarie del Pd di Matteo Renzi De’ Medici. Il mezzo di trasporto previsto: il
camper. Lo slogan: “Renzi. Adesso!”. Sconosciuti, al momento, i finanziatori
della campagna per la nomination, ma siamo convinti che Matteo le ricevute le
farà e se le farà fare. L’urlo di battaglia del primo fiorentino è: “Arriva un
momento in cui il coraggio deve essere più forte della comodità e la speranza
deve prendere il posto della rassegnazione. Giovedì a Verona inizierà un
cammino nuovo, difficile e impegnativo come tutti i sentieri non battuti. Ma
con la forza di un sorriso e la libertà di chi non ha nulla da perdere,
giocheremo questa partita per restituire un minimo di dignità alla politica”.
Un pensiero che, volendo parafrasare un po’, potrebbe suonare come “L’ora solenne segnata
dal destino ...” ma lasciamo stare confronti irriverenti. C’è da segnalare
invece il fatto che, durante la campagna per le primarie, Renzi sarà alla
presentazione dell’ultimo romanzo di Vuolter alle Cascine, a Firenze. Ma volete
vedere che il Vuolter versione romanziere affascina sul serio Matteuccio
nostro! Certo, dopo Topolino e Spider Man...
martedì 11 settembre 2012
Il Pd senza padroni ma anche senza un leader. Renzi attacca Veltroni, gli operai dell’Alcoa strattonano Fassina. Non è un bel momento...
Non
sappiamo che tipo di letture abbia fatto Matteo De’ Medici né la cosa ci
arrovella. Non sappiamo, insomma, se il sindaco di Firenze si sia nutrito a Murakami
e Musil oppure abbia optato per Topolino e Spider Man. Magari si è imbattuto in
Elio Vittorini o forse, reduce dalla Ruota della Fortuna, si è gettato a
capofitto nell’autobiografia di Mike Buongiorno e da lì non si è più mosso, quello che è certo anzi,
assiomatico, è che definire Vuolter Veltroni un romanziere è come dire che Alessandro
Sallusti è un giornalista: un controsenso esistenziale, almeno nell’accezione
profonda dei termini. Alla domanda di un birichino giornalista di Radio2Rai: “Ma
lei preferisce Veltroni come politico o come romanziere?”. Renzi De’ Medici ha
risposto: “Direi che i successi maggiori li ha avuti come romanziere”,
tirandosi immediatamente addosso le invettive degli altri dirigenti del
partito. Dopo Bersani, D’Alema, Rosy Bindi e Franceschini, sotto il tritatutto
di Matteuccio è passato anche Veltroni, per la serie “che-non-si-fa-pe’-rottamà”.
E non è certamente andata meglio a Stefano Fassina. Ieri mattina, il
responsabile economico del Pd ha avuto il coraggio, ammirevole, di presentarsi
davanti al ministero dello Sviluppo economico per cercare di dialogare con i
lavoratori dell’Alcoa. Manifestazione ad altissimo rischio e infatti ci sono
stati feriti e contusi. Fassina è stato accolto al grido di “Buffone” e l’offesa
è continuata sempre più potente e con un numero sempre crescente di voci. “Qualche
facinoroso”, “Non erano neppure operai dell’Alcoa”, “Noi abbiamo il coraggio di
andare a spiegare le nostre scelte agli interessati”, “Non generalizziamo,
quattro gatti non l’intero gruppo dei manifestanti”. Subito dopo il fattaccio,
il tentativo di sminuire quanto era appena accaduto si è trasformato in un vero
e proprio atto di auto giustificazione non richiesto né dovuto. Ma in questo
periodo le cose vanno in questo modo, è difficile per un politico scendere in
mezzo alla gente e farsi ascoltare. Anzi, sta diventando impossibile e la cosa
che maggiormente ci sorprende è che nessuno dei politici coraggiosi si chieda
semplicemente “perché?”. Non crediamo ci voglia tanta intelligenza a compiere
un gesto di umiltà e mettersi, per un momento, nei panni di chi lotta
disperatamente per un posto di lavoro. Evidentemente è dura, tanto dura, troppo
dura.
lunedì 10 settembre 2012
Bersani chiude col botto la festa del Pd e dal palco tuona: “Il governo lo decideranno gli italiani con il voto, non i banchieri”.
A
meno che in questo paese allo sfascio non ci siano 31 milioni di banchieri, la
vediamo difficile che al voto possano vincere i derivati tossici di Rockfeller.
E certo che al voto vanno gli italiani e che decidono loro su chi li guiderà,
poi può succedere che la sovranità del voto popolare venga messa in discussione
da un colpo di stato bianco, ma resta il senso che non sempre le scelte
politiche degli italiani, referendum in testa, alla fine abbiano la meglio come
sancisce la nostra Costituzione. Può accadere, ad esempio, che un governo di buffoni
matricolati stia facendo affondare la carcassa di una nave in mezzo al mare, e
che l’armatore decida di cambiare improvvisamente il comandante per tentare di
salvare il salvabile. Un armatore rischia di suo e il cambiare rientra nelle
sue prerogative contrattuali ma lo stesso discorso non si potrebbe fare se a
scegliere quel comandante fosse stato, perché così stabilisce il codice di
navigazione, l’equipaggio: sicuramente ci sarebbe un ammutinamento. In Italia
invece non ci si ammutina più anzi, non si protesta neppure, ché tanto non serve a
un cazzo. Così, ad esempio, potrebbe accadere che un governo a guida Pd si
comporti peggio di quello a guida LettaLetta (Silvio, come si sa, era impegnato
in altre faccende), a quel punto l’armatore potrebbe decidere di cambiare il comandante,
la decisione finale di chi sarebbe, dell’equipaggio che ha votato e ha scelto
da chi essere governato o dell’armatore impazzito? Continuare a credere nella
sovranità popolare è una palla gigantesca. Ce lo dicono i referendum, ce lo
dicono i milioni di firme raccolte che hanno preso per anni la polvere negli
archivi della Corte Costituzionale. Ce lo dicono le petizioni popolari buone
per rollarci una sigaretta e le manifestazioni di protesta dei giovani, dei
disoccupati, dei cassintegrati, dei minatori e degli operai della Fiat. Il
popolo, in questo paese non conta più una mazza, pensate se a guidarlo fosse
Bersani. Porco boia!
domenica 9 settembre 2012
Fra crolli pompeiani e lazzi montiani, l’Udc si ritrova a Chianciano. Ecco i giovani rottamatori della Balena Bianca.
Mentre
a Pompei crolla un altro pezzo di storia patria, un’asse di legno di 4 metri
che reggeva il tetto della Villa dei Misteri, segnale unico e inequivocabile
che pure ai Professori della cultura (e della Storia) non frega una mazza al di
là dei calcoli ragionieristici di bilancio. Mentre il Pdl si sta mettendo ancora
una volta di traverso sulla nuova legge anticorruzione, dando la dimostrazione
che loro a batterla non ci pensano proprio (domanda: chi non vuole che passi
una legge contro la corruzione, è possibile definirlo corrotto o corruttore?),
i giovani dell’Udc, a Chianciano, tentano di rottamare un po’ delle idee del
loro partito e aprono decisamente sul testamento biologico, le coppie di fatto
e l’Imu che anche la Chiesa dovrebbe pagare. A Chianciano sarà perché le acque compiono miracoli (tanto
che molti anni fa venne coniato lo slogan “Chianciano, fegato sano”),
evidentemente la cura funziona se è vero che Rifondazione Comunista da queste
parti arrivò come un partito e se ne andarono in due e che fra i Verdi finì a
martellate. Apparentemente, questa kermesse delle idee udiciane, è la solita
passerella di vecchi maggiorenti democristiani in cerca di cure e di benessere.
Bevono acqua e fuggono in bagno in barba all’età e alla sciatica ma,
soprattutto, ragionano del nuovo che avanza. I giovani, che sono arrivati
investendo in proprio e mettendo mano al portafoglio, osservano, deducono e
concludono: “Qui ci vorrebbe una grande rottamazione di gruppo, ma poi, in
Campania, chi ci assicurerebbe i 200mila voti che prendiamo con Paolo Cirino
Pomicino?”, per la serie: così giovani e già così maledettamente democristiani.
E allora via alla presentazione dell’ultimo libro dell’ex andreottiano, ché
tanto non può nuocere anche se a presentarlo sono 2232 e Luciano Violante, un
ex socialista iscritto alla P2 e un ex comunista teorico delle “morti uguali”
per tutti, fasci e partigiani. Gli 'attrezzi' che girano a Chianciano sono
Ciriaco De Mita, Enzo Carra con le manette appese al panciotto, Paola Binetti con l'inseparabile cilicio, Savino Pezzotta, Ferdinando Adornato
e, come già detto, quel gran pezzo di scrittore di peso (elettorale) che si
chiama Paolo Cirino Pomicino che sembra più un senatore romano che un deputato
campano. Dietro le quinte, pronti però a un ingresso trionfale sulla scena, si
aggirano Michel Martone e la mancata velina berlusconiana, nonché ex presidente
di Confindustria, Emma Marcegaglia la quale, dopo aver abbracciato Pierfy ricavandone un istinto
sessual-primordiale pari a quello che si proverebbe con un manico di scopa,
dice alla platea in formato standing ovation: “Io sono con voi” e confessa, la
signora, come se ce ne fosse stato bisogno, che in passato lei ha votato per il
Pdl ma che poi si è pentita: insomma, il tempo di assicurare alla sua famiglia
la gestione del mega hotel costruito alla Maddalena per il G8 abortito e
cambiare bandiera. La novità di questa riunione di studio e di elaborazione
delle idee del nuovo Udc, sono però proprio i giovani che dicono: “Noi la
Democrazia Cristiana non sappiamo neppure cos’è stata, siamo moderati e ci
piace stare al centro del dibattito politico”. Però poi si ricordano che essere
giovani non è un reato e allora vengono fuori altre idee ed altre
considerazioni e si lasciano andare: “Ci vuole pragmatismo. Come possiamo non
chiedere che la Chiesa paghi l’Imu? Come possiamo continuare a negare che sul
testamento biologico occorre un’altra visione? Le coppie di fatto esistono e
fanno parte del nostro conteso sociale, non possiamo mica ignorarle”. Insomma,
questi giovani dell’Udc sono esattamente come i loro coetanei degli altri
partiti (Pdl escluso ovviamente): desiderano parlare e confrontarsi, capire e
aprirsi al nuovo che avanza. Poi vedono caracollare Ciriaco De Mita e si rendono conto che
non sarà facile rottamarlo, pur continuano a pensare che la Balena Bianca sia solo l’incubo
del comandante Achab. Loro Moby Dick l’hanno letta e perfino capita.
sabato 8 settembre 2012
venerdì 7 settembre 2012
Tutte le donne del Pdl innamorate di Matteo Renzi. Un tempo lo furono di Bertinotti. Non c’è che dire, amano i rottamatori della sinistra.
A
19 anni, Matteuccio nostro che svolazza libero fra gigli (fiorentini) immacolati,
ebbe la ventura di partecipare alla buongiorniana Ruota della fortuna. Fra una pubblicità del Cotto Rovagnati e un Sole Piatti Antiscivolo, il sindaco di Firenze si portò a casa la bella cifra di 48
milioni di vecchie lire, rispondendo a domande tipo: “Di che colore era il
cavallo bianco di Giuseppe Garibaldi?”. Sembra che quello che poi sarebbe
diventato il primo cittadino della Signoria De’ Medici, fu l’unico che rispose “bianco”,
tutti gli altri andarono sul nero o sul maròn, perdendo franosamente. La
frequentazione dei salotti berlusconiani era, insomma, già nel dna di colui che
vorrebbe ora rottamare tutti, non sottoponendosi però a quotidiana e
fondamentale revisione delle sue sinapsi. Dopo la gita familiare ad Arcore,
dove sembra che Silvio gli abbia offerto un posto nel mausoleo cascelliano proprio
accanto a Sandro Bondi, Renzi è diventato il sinistrorso più amato
dalle lady del centrodestra, tanto che una delle più cazzute esponenti, la
signora Aquila di Ligonchio, Iva Zanicchi, lo ha detto chiaro e tondo: “Tutte le
donne del Pdl sono innamorate pazze di Matteo Renzi”. Il discorso crediamo sia
semplice, avendo le gentili dame del Popolo delle Libertà come unico punto di
riferimento politico e sessuale quel gran pezzo d’uomo che si chiama Silvio
Berlusconi, quando affermano di amare un uomo che, apparentemente, con Nano
Bifronte non c’entra una mazza, c’è puzza di bruciato. Non sappiamo di che tipo
di prestazioni Matteo Renzi sia portatore, la cosa certa però è che, così
facendo, non ruberà voti alla destra (non lascerebbero mai Silvio in cattive
acque), ma farà scappare parecchi elettori di sinistra terrorizzati di ritrovarsi
la fotocopia di Over the Topa a capo della loro coalizione. Renzi questo non lo
ha capito e, pieno di sé com’è, insiste nel dire che l’unico in gradi di elidere
l’elettorato di centrodestra è proprio lui e solo lui, dimostrando quanto sia
impellente e urgente la revisione di cui sopra.
Dopo
Michelle e Bill, anche Robert (Redford) ieri ha detto la sua su Barack Obama e
lo ha fatto dalla Mostra del Cinema di Venezia, contribuendo in questo mondo a
far parlare della kermesse anche il New York Times. Ha detto Redford: “Obama è
l’unico in grado di proporre un cambiamento serio per l’America. La ragione per
cui lo osteggiano è questa, gli americani hanno paura di cambiare, di aprirsi,
di ragionare con la loro testa. Tutto ciò è davvero molto triste”. I sondaggi
danno Obama e Romney al 46 per cento, praticamente appaiati. Se dovesse vincere
il mormone (non ce ne vogliano i mormoni che amiamo e rispettiamo), il rischio
che gli Stati Uniti tornino ad esportare, a titolo gratuito, democrazia nel
mondo è davvero molto alto. E tutto ciò sarebbe davvero molto triste.
giovedì 6 settembre 2012
I pm di Palermo a Silvio: “Perché 40 milioni di euro a Dell’Utri?”. Silvio: “Libri, dischi, SuperMario Bros., i Diari di Mussolini, l’Opera Omnia di Otello Profazio”...
Dopo
10 anni, i giudici di Palermo sono riusciti finalmente a sentire Silvio
Berlusconi sul fiume di denaro che l’ex premier diede al suo amico Marcello
Dell’Utri. “Fu estorsione?”, gli hanno chiesto i pm Francesco Messineo e
Antonio Ingroia. “No”, ha risposto Silvio, “solo una donazione”. Per rispondere
“no”, ci ha messo 10 anni. Nel 2002, quando l’indagine su Dell’Utri
prese corpo, e Berlusconi venne citato per concorso esterno in associazione mafiosa,
Silvio ne aveva combinata una delle sue. Da presidente del Consiglio, chiese ed
ottenne di essere sentito a Palazzo Chigi ma, quando i giudici si presentarono,
si avvalse della facoltà di non rispondere. Pensate che a dieci anni di
distanza, pur di ascoltare la sua voce, i giudici di Palermo hanno convocato Nano
Bifronte come teste e non più come indagato e, nonostante tutto, tanto per far
capire che la legge non è uguale per tutti, i legali di Over the Topa hanno
messo una serie di paletti-rospi che Messineo ed Ingroia hanno dovuto ingoiare.
Il primo è che Silvio è stato interrogato a Roma e non a Palermo, il secondo che
tutte le domande sono state preventivamente concordate. Ce n’era un terzo,
la richiesta che Silvio fosse considerato “teste assistito” e, quindi, in grado
di avvalersi ancora della facoltà di non rispondere, ma la Corte ha
respinto la richiesta. Via dunque alla domande delle cento pistole: “Caro ex
Premier, perché ha dato 40 milioni di euro a Marcellino?”. E poi: “Che tipo di
rapporto (e chi ne era stato il fautore) lei ha avuto con il pacifista mafioso
Vittorio Mangano e l’englishman Tanino Cinà?”. Sui rapporti con i sicari della
mafia, Silvio è stato chiaro: “Erano due persone dall’aria perbene, nulla
poteva farmi sospettare che fossero due mafiosi e comunque, chi fossero
realmente, l’ho saputo solo dopo l’assunzione. A presentarmeli fu il senatore
Marcello Dell’Utri”. E i quaranta milioni di euro? E qui è iniziato lo show di
Silvio che, dopo aver decantato le doti di umanista, bibliofilo, uomo di
cultura, esteta, urbanista, storico, architetto, critico letterario, editore
del suo amico fraterno, ha detto: “Cari pm, quei soldi sono stati regali che ho
fatto personalmente di persona a Marcellino mio. I suoi hobby erano molto
costosi, ristrutturava immobili che poi affittava gratis ai senzatetto e ai
terremotati del Belice, acquistava libri preziosi e poi aveva una famiglia che spendeva
molto, aveva un alto tenore di vita. Mica potevo far mancare la Porsche ai
pargoli della famiglia Dell’Utri, o no?”, ha detto Silvio guardando negli
occhi quel gran pezzo di proletario barbuto di Ingroia. Insomma, per Silvio non
ci fu nessuna estorsione ma solo una serie di elargizioni fatte al suo “amico e
collaboratore più prezioso”. Silvio Cuore t’oro ha colpito ancora. Dopo la
dentiera pret-à-porter alla vecchietta terremotata dell’Aquila, dopo il
depilatore di Ruby, dopo le bollette dell’acqua, della luce, del gas e del
telefono alle ospiti dell’Olgettina, dopo i soldi cash alle ospiti delle sue
notti brave, dopo le donazioni al San Raffaele, dopo l’ospitalità a titolo
gratuito di Topolanek, dopo i 20mila euro mensili a Emilio Fede, dopo gli aiuti
milionari a Lele Mora, Silvio si è ancora una volta dimostrato quel gran pezzo
di benefattore che la Storia ormai riconosce ufficialmente, il continuatore della
politica della carità di Madre Teresa di Calcutta. Sull’acquisto della famosa
villa sul lago di Como, pagata molto più del suo valore, Silvio è stato
evasivo: “C’era una perizia seria, onesta, niente affatto gonfiata”. A
gonfiarsi, quando c’è di mezzo Silvio, non sono propriamente i preventivi.
mercoledì 5 settembre 2012
Nicole: “Non lascio la politica, ammiro troppo gli ideali di Berlusconi”. Forza Gnocca in dirittura d’arrivo.
Detta
così sembra che Silvio rappresenti la giusta sintesi fra Gobetti e il Che, una
sorta di liberal-rivoluzionario che ha tentato, riuscendoci parzialmente, di
cambiare l’Italia in peggio. Detta così sembra che Nano Bifronte sia stato sul serio uno
statista e non un commerciante sceso in campo per salvare il suo negozio e i
pochi risparmi accumulati in anni di scontrini fiscali elusi. Detta così ci
viene da pensare cosa diavolo Silvio potesse raccontare alle ragazze dell’Olgettina
per farsela dare, anche se a pagamento, a ogni cinguettio di passero (per quest’ultima
frase è lecito doppiosentire). Detta così, sembra che noi italiani, di quel gran
pezzo di statista che ha furoreggiato fra una barzelletta sconcia e un
bestemmione contestualizzato, non abbiamo capito una mazza. Perché vabbé che l’amore
fa sembrare bella anche la Bestia, ma insomma a tutto c’è un limite. Per Nicole
(Minetti) però, Silvio sta davvero una spanna sopra Gesù, giusto un gradino
appena sotto a Dio che è vero che non esiste però, non si sa mai. Spintonata da
tutte le parti per lasciare il posto di consigliera regionale del Pdl in
Lombardia, la Nicole rilascia un’intervista a Diva&Donna nella quale
afferma a chiare lettere che lei non se ne va. Mica per una questione di
puntiglio o perché si ritiene la vittima sacrificale di una nefasta stagione
politica, semplicemente perché ammira a tal punto gli ideali di Silvio che se
ne sente quasi la vestale. Non solo, le piace da matti Roberto Formigoni,
specie quando indossa le camicie a fiori che le hanno ispirato quella
fantastica giacca gialla con la quale ogni tanto Nicole si presenta in
consiglio regionale dove la scambiano per Titti, la fregatura è che tutti si
sentono gatto Silvestro e, quindi, pronti a zomparle addosso. Sugli ideali di Silvio
potremmo scrivere per 35 post di fila ma non servirebbe, visto che il peggior
presidente del Consiglio della storia del mondo intero e di mezzo Marte, di
ideali ne ha avuto uno solo: il suo personale, insostituibile, intoccabile
arricchimento. Punto. Discutere oltre sarebbe un’offesa alla nostra e alla vostra
intelligenza. Ma sapete, cari amici e simpatizzanti, questa storia della
Minetti non ci sconvolge, non ci fa irritare né sobbalzare, ci intristisce
profondamente, fino a farci avvertire quasi un sentimento di umana pietà nei
confronti di una ragazza traviata dalla vita al punto che per fare qualche soldo ha
dovuto indossare tutti i travestimenti possibili, da infermiera a suora, da
giudice a poliziotta. Quello che invece ci fa terribilmente incazzare è l’ennesima
dichiarazione del Professore che continua a cadere dal pero senza però farsi
manco un graffio. Ha detto MM (Mario Monti) al termine del vertice bilaterale
con il presidente francese Hollande: “È tempo di creare occupazione”. Non abbiamo
commenti da fare, a volte le parole si bastano da sole.
martedì 4 settembre 2012
Don D’Alema e i preti democristiani degli Anni ’60. Che si deve fare per governare con Casini.
Spesso
la domenica a pranzo mio padre tornava dalla messa imbufalito. Prima di
trasferirsi armi e bagagli sotto la pinna protettiva della Balena Bianca,
diciamo che il mio genitore era alquanto critico nei confronti delle prediche
che sentiva in chiesa, soprattutto nell’immediata vigilia delle elezioni
politiche. “Ma lo sai che ha detto oggi il parroco durante la predica?”, diceva
a mia madre alla quale poteva fregare di meno, visto che lei votava sulla croce
da anni e per nulla al mondo avrebbe votato una falce e un martello. “Cari
parrocchiani, le elezioni si avvicinano e come sempre la chiesa vi guarda, e se
vi guarda la chiesa vi osserva attentamente anche Iddio. Voi lo sapete, c’è
bisogno che in Italia continui a governare una forza politica democratica,
perché dopo la dittatura non c’è cosa più bella della libertà. E poi, oltre che
democratica, questa forza politica deve essere cattolica o meglio, cristiana
perché il mondo non ne vuole sapere degli atei, dei senza Dio e degli anarchici
che tirano le bombe. Il mondo vuole la pace e vuole un partito democratico e
cristiano che lo governi. Il simbolo è il nostro, la croce, e sulla croce
dovete fare un segno e pregare che tutto vada bene, per voi e per i vostri figli innocenti”. Mio padre non si raccapezzava
eppure funzionava così. Il parroco non faceva nomi né cognomi né esplicitamente
citava partiti, buttava là un panegirico mix di politica e di fede e i
parrocchiani, al momento del voto, dimostravano di aver compreso la lezione. Leggiamo
ora quello che ha detto D’Alema dopo il discorso di Renzi De’ Medici alla festa
del Pd: “Bersani è più adatto ad unire il nostro partito, a costruire una
coalizione e a governare l’Italia... Bersani – ha proseguito Maximo l’Hispanico –
è l’unico in grado di creare un governo che si fondi nell’unità dei progressisti e nella collaborazione con una forza
moderata che in questi anni ha lavorato con noi all’opposizione del governo
Berlusconi. Quella è la nostra prospettiva e sono convinto sia realistica
al di là delle battute di propaganda”. Dopo aver dichiarato urbi et orbi quale
sarà la linea del Pd del futuro (ve lo immaginate il futuro con Pierfy? sì? contenti
voi!), Maximo ha ovviamente demolito Grillo e Di Pietro. Del primo ha detto: “Non
c’è nessuno scontro diretto tra Grillo e il Pd, lui ci ha insultato e minacciato di farci la bua e, a un certo
punto, Bersani ha reagito”. Su Di Pietro, invece, il giudizio è lapidario: “È
Di Pietro che negli ultimi mesi ha condotto una polemica crescente contro di
noi e contro il Capo dello Stato quindi, a bordo del suo trattore, tornasse a
fare il cafone, perché quelli dotati della nostra classe e del nostro
stile non possono confondersi con un poveraccio di Montenero di Bisaccia”.
Capito perché ci piace da matti chiamarlo “Don” e perché, pervicacemente, con
questa sinistra noi non vogliamo avere niente a che fare? Caro Maximo, se vai
con Casini questa volta il naso non ce lo turiamo.
lunedì 3 settembre 2012
Ci vorrebbe un Barack, abbiamo solo un Matteo.
Pensate
se da noi potrebbe mai verificarsi un fatto del genere: “Clint Eastwood? Sono
un suo grande fan. È un grande attore e un regista ancora più bravo”. Così
Barack Obama ha commentato con un giornalista di USA Today il soliloquio dell’”attore
con due pose, una con il cappello una senza” (come lo definiva Sergio Leone) contro
di lui alla convention Repubblicana. Obama ha poi aggiunto: “Se sei presidente
o sei in corsa per la presidenza e ti offendi facilmente, beh allora è meglio
che cambi mestiere”. Ora, pensate se da noi che so, Roberto Benigni, si fosse
provato a dire di Silvio le stesse cose che Eastwood ha detto di Obama, minimo
Sallusti avrebbe ritrovato fra i suoi dossier tarocchi, un falso certificato di
ricovero coatto del premio Oscar, mentre Belpietro si sarebbe inventato un
Benigni armato di pistola (destinata a fare cilecca) che attentava alla sua
vita nell’androne dell’abitazione. Ma lo stesso Silvio avrebbe risposto all’intemerata
del comico toscano con una serie di contumelie e di bestemmioni in perfetto
stile maremmano, con maiali e maiale connesse, con insulti a padre, madre,
sorelle e fratelli fino alla terza linea diretta di ascendenza. Obama no. Lui
ha risposto con un fair play invidiabile, se si esclude quel passaggio in cui
dice di preferire il Clint regista al Clint attore, sottilmente ironico e
memore della definizione del Leone italiano che lo aveva scelto come
protagonista di “Per un pugno di dollari”. Da noi, invece, le offese piovono
come nulla fosse, memori solo dei camalli genovesi, dei butteri maremmani e dei
pescivendoli della Vucciria che i santi del calendario li conoscono tutti e
forse qualcuno in più. Ora ci si è messo anche Beppe Grillo che, rievocando Orwell
e gli ‘anni di piombo’, ha detto chiaro e tondo che qualcuno vuole eliminarlo
dopo averlo messo al centro del “rito dell’odio”. E dire che Beppe è uno uso a fare
apprezzamenti senza peli sulla lingua, oltre che essere un profondo intenditore di
insulti camuffati da battute.
Ma
la più bella notizia di ieri è la presenza di Matteo Renzi De’ Medici alla
Sagra del Pd. Un intervento a tutto campo, quello del Signore di Firenze, che
ha lasciato a bocca aperta i presenti alla kermesse che già si vedevano a
tavola pronti a gustare gli gnocchi fritti. Ha detto Matteo (ci possiamo permettere
di chiamarlo solo per nome, lui è giovane, molto giovane, troppo giovane): “Sono
per le primarie, lo sanno tutti. Però voglio primarie serie, vere, nelle quali
decida la gente. E se le dovessi perdere non andrei alla ricerca di
sistemazioni come Rosy Bindi e Dario Franceschini, io me ne starei a casa”.
Sulle versioni che negli anni hanno contraddistinto i democrat, Matteo ha
detto: “In trent’anni il centrosinistra ha cambiato nomi e simboli, ma le
persone che stanno ai piani alti non cambiano: tra ulivo e quercia abbiamo
fatto una deforestazione ma i personaggi sono sempre gli stessi”. Questo è l’unico
punto della proposta complessiva del “rottamatore” che condividiamo appieno,
quello che ci sembra più arduo è vedere lui prendere il posto del vecchi,
occorrerebbe fidarsi sulla parola ma noi, ormai vecchi osservatori rotti a
tutte le fanfanate, non ci fidiamo più della parola di nessuno. In attesa di
sapere come risponderà il “duo di Pisa”, D’Alema/Veltroni, al sindaco di
Firenze ha ribattuto Giorgio Merlo: “Il sindaco di Firenze attraverso le future
primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra, vuole semplicemente
far saltare il partito democratico. Come da copione, sempre in nome del
cambiamento e dell’innovazione della politica”. L’è düra, oh se l’è düra.
Iscriviti a:
Post (Atom)