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mercoledì 31 ottobre 2012

Fuga da Silvio. Scappano in 300, restano i fedelissimi e le amazzoni. A Benito, a Salò, andò meglio.



Era nell’aria. Come la diossina a Taranto. Il fatto è che i sondaggi, mai spietati come questa volta, danno Berluspony al 12 per cento di gradimento, nulla, meno di Michele Misseri. E allora i pidiellini, gente di mondo avvezza a percepire ogni cambiamento stagionale, con il fiuto di uno spinone italiano, emigrano, volano altrove alla ricerca di un tartufo migliore da annusare, di un altro padrone al quale consegnarsi, incapaci come sono di prendere la vita nelle loro mani. In 300, non più giovani, tanto meno forti, hanno deciso in queste ore di lasciare Silvio al suo destino. Glielo hanno dimostrato votando la fiducia al governo Monti sul decreto anticorruzione, più di così... e tutti sono pronti a scommettere che altrettanto faranno con la Legge di Stabilità che Nano Bifronte avrebbe voluto stravolgere ancora una volta pro domo sua, non per gli altri che non contano un cazzo. Quando Benito, per salvarsi il culo, e tentare un’ultima, impossibile, resistenza, decise di fuggire a Salò, lo seguirono più di 30 irriducibili fasci, con qualcuno che addirittura avrebbe continuato a immolarsi per lui. Sarebbe facile ironia dire che chi ha deciso di condividere il proprio destino con Silvio, nasconde la voglia perversa di impalarsi, ma proprio perché è facile, la lasciamo agli autori della barzelletta su Mohamed Esposito, noi preferiamo altro. Ora, in questi convulsi momenti post-elezioni siciliane, la fine del regno di Silvio è nell’aria, vicina come non è mai stata da quando si è dimesso, contrattando la sua uscita dalla vita politica a suon di privilegi e impunità. Mai come in queste ore, la pochezza di un ex-Dio, è venuta fuori in tutta la sua devastante insulsaggine di uomo e di politico avvezzo a vendere prosciutti, deodoranti e, purtroppo, sogni nei quali hanno creduto milioni di italiani inebetiti da Dallas e dalle sue tivvù. Mai come in queste ore, a meno di improbabili voltafaccia da gatto dalle nove vite e nessuna certezza, la sensazione che Silvio stia facendo capolino a occidente, si sta trasformando in visione. I suoi fedelissimi, con Danielona Santanché in testa, puntano su un manipolo di giovani imprenditori, di donne tenacemente legate alla patologia del farsi usare, di qualche nostalgico della prima Forza Italia, quella che rappresentò la Marcia su Roma del ventennale Duce di tutte le Italie e di un pezzo di Albania, per tentare di resistere, di riaffermare un berlusconismo praticato con ancora Berlusconi alla testa di un manipolo di disperati. Silvio, senza le sue armate, è un re ancora più nudo di quello di Andersen, più proiettato verso una Gestalt Therapy inevitabile, piuttosto che a un non più rinviabile interesse comune. È finito, stavolta lo speriamo sul serio, il regno di un uomo che la Storia ricorderà al pari delle 10 piaghe d’Egitto, quelle che cessarono quando gli ebrei poterono andarsene indisturbati. Se fosse un paese normale, in Italia potrebbe accadere lo stesso, via Silvio, finite le piaghe. Ma siccome non lo è, pensiamo a chi dovrebbe sostituirlo e ci viene da piangere: un sindaco che blatera pochezze, manipolato da un berlusconiano delle prima ora, e un comico genovese incazzato come una iena, manipolato da uno più abituato a trattare con i computer che con gli uomini (che un po’ gli stanno pure sul cazzo). Adda’ veni’ Baffone, concittadini, adda’ veni’... 

martedì 30 ottobre 2012

Bersani esulta, Grillo esulta, Alfano esulta. E ritorna Forza Italia.



Piergigi esulta. Ha vinto le elezioni siciliane dov’è andato a votare il 48 per cento degli aventi diritto. Ha vinto Rosario Crocetta, omosessuale dichiarato, con l’appoggio determinante (strano ma vero) dell’Udc che sarà anche il partito di Pierfy Casini, ma resta sempre il simbolo di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, detronizzati per mafia. Di cosa possa esultare Bersani non si sa. O, meglio, forse lo sappiamo, di un pezzo di potere riguadagnato dopo un secolo in una regione sull’orlo del default. Dicono che si sia astenuta la mafia. Forse una parte sicuramente, magari quella degli irriducibili corleonesi. Ma, considerando i voti presi dal Pdl e da Micciché non è stata poi una grande astensione. Ha ragione Grillo ad esultare. Il M5S è il primo partito dell’isola e con il suo 18 per cento diventa un interlocutore formidabile per chi non ha alcuna intenzione di far entrare né il Pdl Micciché nel governo della Sicilia. Crocetta lo ha detto chiaro e tondo, lui preferisce interloquire con i grillini. Occorrerà però capire cosa ne pensa Pierfy e, soprattutto, quel Bersani che, con la sua alleanza diabolica, ha causato l’estromissione di Sel, Idv e anche Futuro e Libertà dal parlamento trinacriense, un brutto colpo per le prossime, future alleanze nazionali. Ma anche Angelino ha vinto. Nella conferenza stampa di ieri a Via dell’Umiltà, il segretario del Pdl ha dichiarato che sommando i voti presi dal suo partito e dalla lista di Gianfranco Micciché, il centrodestra sarebbe arrivato al 40 per cento e avrebbe vinto le elezioni. Non è andata proprio così e Alfano, nella sua terra, si è dovuto accontentare di un misero 12,9 per cento, che è davvero poca cosa per chi è abituato a trionfare con percentuali bulgare. A fronte dello sfascio totale della compagine dei quacquaracquà Silvio, momentaneamente assorto in contemplazione a Malindi, ospite di Briatore, sta delineando la sua strategia in vista delle elezioni del 2013. Lasciata in Italia Danielona Santanché, che sembra essere diventata la sua unica guida, e un partito in liquidazione coatta, Silvio sta seriamente pensando a cosa fare per scompaginare di nuovo le carte di un gioco politico che ormai lo vede fuori e sulla soglia di San Vittore. Togliere la fiducia a Monti? Difficile, visto che lo seguirebbero in pochi. Tornare a candidarsi premier? Impossibile, i sondaggi lo danno vicino alla soglia del 10 per cento di share. Ecco allora la pensata geniale, quella che lo potrebbe rimettere in pista facendolo tornare alle vecchie glorie: rieditare Forza Italia, un simbolo, una garanzia, una idea che nel 1994 risultò vincente. Ma per farlo occorre ammodernare il look. Voilà il colpo di genio: inviare a tutti gli italiani l’album fotografico delle serate galanti di Arcore, con annesso santino di Forza Italia profumato con Chanel n.5. Avevano un successo della madonna i calendarietti profumati, con le donne nude, dei barbieri, perché non dovrebbe averlo il simbolo di Forza Italia olezzante il più famoso profumo di sempre? E poi, barbiere per barbiere, tosatore per tosatore, che differenza c’è fra capelli veri e una sana plastica pilifera?

lunedì 29 ottobre 2012

Grillo col botto a Palermo, e Berlusconi sfiducia Alfano. Fra un po’ torneranno i Savoia.



L’impressione è che la Sicilia, ultimo test elettorale in ordine di tempo, rappresenti per molti aspetti l’Italia di questi anni bui. Crollano tutti i partiti “parlamentari” mentre, dai flutti dello Stretto di Messina, emergono Beppe Grillo e il suo uomo a Palermo, Giancarlo Cancellieri, come fossero Venere al sole. Meno della metà dei siciliani è andato alle urne. Alle scorse regionali aveva votato il 66,68 per cento degli aventi diritto, questa volta ci si è fermati al 47,42, una disfatta di proporzioni colossali per i parolai spacciaballe della nostra politica. Quello squillato a Palermo e dintorni, non è solo un campanello d’allarme ma molto di più, una sorta di nuovi Vespri ai quali la politica nazionale dovrebbe prestare molta attenzione (invece di continuare a giocare con i bilancini delle percentuali da tempi di Formula Uno), in attesa che un’ondata di sdegno la cancelli definitivamente dalla storia di questa nazione.
I vari Micciché, Crocetta, Musumeci e Marano guardano con invidia il grillino in testa a Palermo e, dall’alto della loro insulsaggine, osano perfino domandarsi: “Ma perché?” E non si pensi che queste cose accadano a caso o che la mafia, improvvisamente, si sia decisa ad appoggiare il comico genovese strafottendosene dei mammasantissima locali, il fatto è che a essersi stancata è la gente normale, quella che sbarca con difficoltà il lunario, che non sa che cazzo di pesci pigliare, che tira a campare non potendosi permettere di vivere. E mentre in tutta Italia sale lo sdegno per una classe politica lontana anni luce dai bisogni veri della gente, assistiamo ancora una volta impotenti alle farneticazioni di un uomo che ormai non si sa più se ci è o ci fa. La storia è semplice, Silvio non si sente protetto da questo governo che non lo ha fatto assolvere nel processo Mediatrade e allora gioca allo sfascio totale. Ma in che diavolo di nazione viviamo se il giudizio di un tribunale può essere manipolato, alterato, sconvolto a fini politici? Che differenza ci sarebbe fra il tribunale di Milano e quello di Roma che condannava, all’epoca del fascio, gli intellettuali liberali, socialisti e comunisti per una pura ragion di regime? In che cazzo di nazione viviamo se una corte di giustizia (sic!) è costretta ad andare contro la stessa legge che dovrebbe far rispettare, per pagare un pesantissimo ticket d’impunità a un individuo come Silvio Berluspony? E allora, giustamente, la gente s’incazza, va alle urne e vota il Movimento5Stelle per sfregio, per dispetto, perché non ne può più non solo di D’Alema e di Veltroni, ma anche di Renzi, di Casini, di Vendola, di Di Pietro e di tutti coloro che di politica vivono e prosperano. “Ma andate a lavorare...” dicevano una volta le tute blu in piazza. Ma lor signori, di fare un lavoro modesto, qualsiasi, normale, non ci pensano proprio. Continuano a scazzarsi fra di loro come se in questa nazione ci fosse ancora qualcosa da spartirsi, come se la sfiducia di Silvio a quel povero cristo di Cocorito Alfano, fosse dettata da alti ideali e non dalla voglia di mandare tutto a scatafascio perché, cari connazionali, quello che Silvio vuole è che tutto vada a puttane, non solo lui. I mercati lo hanno capito e lo spread è salito di colpo. Povero re e poveri anche i sagristi.

domenica 28 ottobre 2012

Silvio, ticket scaduto: “Questo governo fa schifo. Via la fiducia”.



I bonus ottenuti dal duo Monti-Napolitano per togliersi dalle palle, sono esauriti. Non si sa perché, Silvio ha continuato a credere che fossero eterni, che fino a quando il suo esangue partito avesse continuato a sostenere i Professori, lui avrebbe potuto godere di una sorta di impunità ad personam che non ha riscontri nel resto del mondo. Accortosi, dalla sentenza del tribunale di Milano, che le cose non stanno come lui pensava, ha iniziato a ridare di testa. Prima ha dichiarato, con il fiato grosso e le parole impastate dalla rabbia, che non avrebbe mollato; poi, dopo una notte di profonda, anzi profondissima riflessione ad Arcore, ha lasciato intendere che non si ripresenterà candidato premier ma continuerà a sedere in Parlamento. Così, se nel 1994 scese in campo per tenere in vita le sue fallimentari imprese, nel 2013 si ripresenterà per tenersi stretta la franchigia da deputato buona per non finire dritto in gattabuia, il posto che, secondo Tonino Di Pietro, dovrebbe essere la sua residenza fissa. La rabbia per una sentenza che, di fatto, se confermata, lo escluderebbe dai pubblici uffici per i prossimi cinque anni, è tanta e tale che il suo delirio giustizialista non ha risparmiato nessuno, neppure mister Allegri ché se il Milan va male, i giudici rossoneri (calcisticamente parlando), lo tartassano a piene mani. Nel mirino della sua foga oratoria sono finiti tutti, latino compreso. Dalla culona inchiavabile al Professore, dalla magistratocrazia alla sinistra leninista, dalle intercettazioni telefoniche all’Imu, nel calderone dell’incazzatissimo Berluspony è precipitato l’universo mondo conosciuto, e pure qualche rione di Marte intento a preparare il prossimo Palio di Halloween. Silvio non gioca più, si è accorto che è arrivata l’ora di saldare qualche debituccio con la giustizia e, ovviamente, non ci sta; a cosa sarebbero serviti allora i 400 milioni di euro di parcelle agli avvocati? E i vitalizi a Razzi e Scilipoti? E le case acquistate da pianisti e chitarristi? E tutti i dané dati a Santa Madre Chiesa? E tutti i quacquaracquà morti di fame e nullafacenti che ha stipendiato per anni? E tutte le Mini acquistate per le concubine? E tutti i soldi dati ai magistrati per comprarsi le sentenze? E il laser anti-depilatorio (sic!) regalato a Ruby? E le cure pagate a Bossi? E il lifting alla Santanché? E i contratti milionari a Feltri e Sallusti? Fiumi di denaro che rischiano di disperdersi in mille rivoli e di lasciarlo senza un soldo in tasca, considerato il crollo sul mercato delle azioni Mediaset. Il destino di Alfano è legato alle elezioni siciliane. Casini è furibondo, perché le dichiarazioni del Cavaliere e la minaccia di ritiro della fiducia al governo Monti rischiano di mettere in crisi la sua Lista per l’Italia. Napolitano è molto preoccupato, perché sa perfettamente che Silvio incazzato è un pericolo serio, molto serio. Le colombe del Pdl cercano di metterci una pezza mentre le “amazzoni” lo stanno spingendo su posizioni più barricadere e radicali. Per quanto riguarda noi, beh, siamo sconcertati. Dopo venti anni di delirio e di sconquasso, questo paese dipende ancora dagli umori di Berluspony. Meditate su ciò, vi prego, se potete.

sabato 27 ottobre 2012

Silvio: “Italia paese incivile, barbaro e anti-democratico”. Cicchitto: “È un omicidio politico”.



Chissà cosa penserebbe Giacomo Matteotti della dichiarazione di Fabrizio Cicchitto sull’”omicidio politico” di Berluspony... Probabilmente che questo è un paese di boutadisti o, più semplicemente, che dell’effettiva portata di un omicidio, 2232 non se ne rende assolutamente conto. Ma tant’è. Il clamore suscitato dalla sentenza del tribunale di Milano contro Silvio è tanto e tale che, all’interno delle dichiarazioni postume, ci sta effettivamente di tutto.  Quella che però ci ha colpito di più, nel mare di parole senza senso con il quale è stata accolta, è sicuramente la sparata anti-italiana di Silvio che, in un colpo solo, si è reso conto del paese che è riuscito a costruire in vent’anni di potere pressoché assoluto. Perché, e gli diamo totalmente ragione, l’Italia è effettivamente un paese incivile, barbaro e anti-democratico. Ma non per le ragioni che accampa lui, i motivi veri sono legati al rapporto fra i cittadini e la politica, gli indifesi, le regole di convivenza civile e le tutele dei più deboli, l'abisso esistente fra i potenti e le categorie sociali svantaggiate. E poi, la persistente opera di demolizione di un tessuto politico e sociale nazionale che mai, come in questo momento, è privo di unità e di mutualità, di comprensione e di tolleranza. Qualche giorno fa abbiamo scritto su questo blog che l’Italia è un paese marcio dalle fondamenta. Noi italiani, non siamo mai stati un popolo che ha brillato per coerenza e compostezza, linearità di giudizio e consapevolezza di essere parte di un contesto più largo del nostro ambito familiare. Ma i danni che Silvio ha causato alla nostra intelligenza, alla capacità critica di approcciare i fatti della vita e della politica, la sperequazione devastante fra chi ha e chi non ha, l’ostentazione della ricchezza e il disgusto verso i cittadini onesti e pensanti che hanno contraddistinto i peggiori venti anni della storia della repubblica, sono talmente profondi che non si cancellano con una sentenza del tribunale di Milano, perché se così fosse ci sentiremmo un po’ più tranquilli. Subito dopo la sentenza, Silvio ha lanciato bordate come la Potemkin verso Odessa, solo che mentre la corazzata russa sapeva esattamente chi colpire, Silvio ha sparato all’impazzata, come Breivik a Utoya. Le ha tirate fuori proprio tutte, Silvio vostro, tutti i processi in fila, tutte le indagini alle quali è stato sottoposto, tutti i verdetti di assoluzione, tutti i soldi spesi per gli avvocati e perfino quel mezzo miliardo di euro che ha dovuto pagare a titolo di risarcimento a Carlo De Benedetti. Fatti e fattacci di venti anni di interregno, sono riemersi come un incubo infinito, come l’ululato di uno sciacallo che gioisce del terremoto, come Ruby che dice che alla cene eleganti si trombava e basta. E Silvio afferma che vuole espatriare, “prego, maestà”, gli diremmo, se fossimo in confidenza ma, siccome non lo siamo, potremmo sempre promuovere una sottoscrizione per pagargli un biglietto aereo di sola andata. Perché a chi, come ha scritto il tribunale di Milano, “è propenso a delinquere”, l’unica soluzione possibile per mantenere un po’ pulita questa nazione, è pagargli un biglietto aereo che gli permetta di andare a far danni da qualche altra parte. “Propensione a delinquere”, ma vi sembra davvero una fesseria?

venerdì 26 ottobre 2012

Quattro anni a Silvio con interdizione dai pubblici uffici: evasione (fiscale).


E' il primo grado, lo sappiamo. Ma un passo avanti lo è di certo. Finora, fra prescrizioni brevi, lunghe, leggi e leggine ad personam, giudici compiacenti e cancellieri impertinenti, Silvio se l'era sempre cavata. Per la truffa dei diritti televisivi però no, beccato. Ghedini è allibito e non dice più "mavalà". Longo sta partendo per un pellegrinaggio a Medjugorje. Confalonieri non sa se ridere per la sua assoluzione o piangere per la condanna del suo capo. Il medico di famiglia, che gli aveva consigliato di darci un taglio con le serate eleganti di Arcore, ora è preoccupatissimo per le reali coronarie. E' il primo grado, lo sappiamo. Però la sentenza del tribunale di Milano dice che Silvio non è un intoccabile, che è un truffatore e un evasore fiscale e che, per almeno tre anni, se ne dovrebbe stare lontano dagli incarichi pubblici. Non sappiamo se la decisione di mollare sia stata il frutto di un venticello spirato dalle parti della cancelleria del tribunale, quello che è certo è che Silvio potrà finalmente dedicarsi ai giovani, "meglio se minorenni", come ha argutamente osservato Vauro nella sua ultima vignetta. Silvio è incazzatissimo. Sarà meglio non abbassare la guardia. Ha perso la sua verginità giudiziale. E' un uomo disperato. Stasera neppure Nicole, finalmente libera dai suoi impegni politici, potrà consolarlo. Che vuol farci, Cavaliere, la grande legge dei numeri esiste anche per lei. Dopo tante assoluzioni, prima o poi una condanna doveva arrivare.

Torna Santoro e si rivede l’Italia che puzza. Siamo tutti cinesi. Sallusti no, cinesi si!



Il ritorno di Michele Santoro in video, in chiaro, su La7, ha riacceso quello spazio televisivo di cui sentivamo la mancanza. Siamo convinti, infatti, che solo da Santoro, Matteo Renzi si mostri per quello che è, un malato di protagonismo e basta; Fini un arrogante della madonna che cerca di ridarsi un minimo di rispettabilità dopo quasi ventanni di connivenza con Nano Bifronte e la “Diaz” sulla coscienza; Diego Della Valle uno degli ultimi imprenditori che vende prodotti e non illusioni, e che se serve non le manda certo a dire né a Marchionne né agli Agnelli (“in fondo sono ancora ragazzi”, ha detto con una punta di velenoso sarcasmo, Mr. Toads). Il tema della puntata di ieri sera era “Ladri di Stato”, e il risultato finale è stato quello che di ladri ne sono venuti fuori un po’ dappertutto, lo specchio di un Paese marcio nelle fondamenta che né Renzi MontezemoloBersani Alfano riusciranno mai a sanare. Figuriamoci gli illusionisti dell’ultima ora. Se dalla trasmissione di Santoro ci aspettavamo una dritta su chi votare nel prossimo futuro, lo diciamo subito, non è arrivata, mentre sono arrivate altre suggestioni che ci spingono invece a disertarle una volta per tutte, le stramaledette elezioni che, stante l’attuale legge elettorale non servono assolutamente a una mazza. Perché cari amici e confratelli nel pentimento nazionalistico, diteci voi per chi votare stante la situazione che andiamo brevemente a descrivere. Dunque. Escluso il Pdl in toto, e quindi anche gli ex aennini, ché se ci mettessimo a fare l’elenco dei reati per i quali sono accusati ne usciremmo tra dieci anni, restano gli altri. Diamo come punto di partenza imprescindibile l’onestà o, almeno, il non essersi messi in tasca un cent di denaro pubblico e di non aver mai goduto dei privilegi della casta. La Lega è fuori gioco dal "cerchio magico". Nel Pd la situazione “rettitudine” è in costante aggiornamento: Tedesco, Penati, la segretaria di Bersani, il marito della Finocchiaro, sindaci, assessori e presidenti delle partecipate vengono raggiunti ogni giorno da avvisi di garanzia. Nell’Idv, per ammissione dello stesso Di Pietro “qualcuno ha imparato a rubare”. Vendola rischia una condanna a venti mesi di reclusione per il malaffare “sanità pugliese”. Resta la sinistra border-line, ma solo perché è proprio “fuori” da tutto, in senso letterale e non metaforico, altrimenti ci sarebbe da ridere anche da quelle parti. Piuttosto che votare per Pierfy Casini preferiremmo convertirci al berlusconesimo sul letto di morte e farci seppellire nel Mausoleo di Arcore, almeno lì si tromba. Rutelli ci fa pena e i nuovi Verdi ci sembrano più figli dei fiori che gente adusa a combattere con le unghie e con i denti pur di salvare quel poco di ambiente che Silvio ha lasciato decentemente incontaminato (la vetta del Cervino, forse). Le nuotate non ci piacciono da quando il presidente Mao Tse Tung decise di farsi quattro bracciate nello Yangtze, ma era il 1966 e le cronache raccontarono di una traversata di 14 chilometri fatta in un’ora, che noi manco a piedi, figuriamoci a nuoto. Le prove di forza e di resistenza fisica non ci sono mai piaciute, oggi men che meno. Chi resta? Direte voi... Nessuno, proprio nessuno, forse Obama che, se perdesse le elezioni in America contro quel "contaballe di Romney, potrebbe sempre prendere la cittadinanza italiana e provare a raddrizzare una nazione che, già dalla carta geografica, sembra più un arto atrofizzato che uno stivale. Ieri sera è andata in onda l’ultima versione di Ruby. “Ad Arcore si trombava. Chi voleva poteva farlo. Io no. Anche se sono rimasta a dormire nella villa, a Silvio non l’ho data. Mia figlia? In quel postaccio non la manderei mai”. Ma non erano serate eleganti?

giovedì 25 ottobre 2012

L’addio di Silvio: “D’ora in avanti mi occuperò solo dei giovani”. E ti pareva!



Che il Pdl fosse a pezzi, lo diciamo e scriviamo da un pezzo. Che il partito dei quacquaracquà prezzolati della politica italiana, sia un relitto in mezzo al mare, tossico e pericoloso quasi quanto una petroliera spaccata in due, è sotto gli occhi di tutti. Che le inchieste nella quali è coinvolto Berluspony, detto “’o Faro”, stiano arrivando al pettine, come il famoso nodo, si sa: a dicembre Ruby, poi le frequenze televisive e, buon ultima, lo scandalo Finmeccanica con dentro il “sereno è”, Drupi-Scajola. Nonostante tutto, fino a domenica sera, Silvio era convinto di restare, di sparigliare ancora una volta le carte di un gioco al massacro che si chiama Italia, fottendosene dei destini di una nazione che gli ha dato tutto, indipendentemente dai meriti e dalle qualità personali. Poi, però,il colpo di scena. Silvio legge i cari, amati, insostituibili sondaggi e si rende conto di essere arrivato alla frutta: Alfano al 14 per cento, lui, “’o Faro”, all’11. E non parliamo del partito, il Pdl, dato per fracassato, al 15 per cento. E non parliamo della probabilissima sconfitta di Musumeci in Sicilia, segnale inequivocabile di un totale abbandono anche da parte dei fedelissimi della “Mamma Santissima Jazz Band”. Riunione, quindi, d’urgenza con gli amici di sempre, Fedele Confalonieri e Ennio Doris, con l’apparizione sullo sfondo di Giuliano Ferrara pronto a scrivere le volontà dell’ex Imperatore. Così, come nel 1994 lo costrinsero a scendere in campo per salvare le aziende, ora, nell’annus horribilis 2012, gli amici lo hanno convinto a mollare, ancora una vota per tentare di tenere in vita gli affari di sempre. E Silvio si è convinto. Al chiuso delle sue stanze, coccolato dalle fide amazzoni-baiadere, con Giulianone Ferrara pronto a raccogliere gli ultimi pensieri e trasformarli in lancio d’agenzia, Berluspony ha detto “stop”. Finisce qui la sua personale lotta contro il comunismo, lo stato illiberale e centralista, la vecchia politica delle mazzette e dei privilegi, il nepotismo, la giustizia ingiusta, le toghe rosse, la stampa di sinistra, gli intellettuali anarchici, la scuola pubblica, le università statali, i beni artistici, storici e ambientali che non si possono toccare per costruirci tanti bei centri commerciali. Finisce qui la sua lotta contro lo stato inquisitore e fautore di tasse ingiuste, le donne intelligenti, gli uomini che non hanno accettato le sue offerte di lavoro, i responsabili della Protezione Civile accondiscendente, i componenti stupidi delle commissioni anti-rischi, i terremotati, gli alluvioni, i franati, gli oppositori dei derivati tossici, i chitarristi infedeli, i pianisti proprietari di case pronti a rivendergliele per guadagnarci un po’. Finisce con un comunicato stampa, proprio come con una conferenza stampa era iniziato, un regno e, forse, stavolta, brinderemo sul serio con quel chinotto che in tanti hanno provato a farci pagare come fosse champagne. Ma l’addio di Silvio ha scatenato appetiti che ci aspettavamo. Saranno una decina gli ex galoppini a correre per appropriarsi delle macerie del reame delle favole e dei sogni per pochi, un pugno di fedelissimi, ed ex, pronti a sbranarsi per un posto al sole, un ombrellone, un lettino, un tavolinetto da spiaggia. Il regno vero se ne va con Silvio che, però, ha deciso di non andarsene in pensione. Resterà nel partito. A occuparsi dei giovani e delle giovani di belle speranze e di ineguagliabile prestanza fisica. Inguaribile, Silvio, il più grande comico italiano dopo il Big Bang.

martedì 23 ottobre 2012

Cara Sora Elsa, “choosy” sarà lei!



Ha ragione Nichi Vendola, “siamo alla farsa”. Il fatto è che da quando è diventata ministra, Sora Elsa Fornero non ne ha azzeccata una, per la serie: “manco la seconda che hai detto!” Eppure, il suo primo impatto con l’opinione pubblica non era stato tanto male; lacrime a gogò e l’impossibilità di pronunciare la parola “tagli”, ce l’avevano fatta sembrare quasi umana. Invece Sora Elsa di umano non ha nulla, né la coscienza né l’atteggiamento, troppo professorale per essere una di noi. Poi ha un know-how che sfocia spesso nella schizofrenia, in quell'atteggiamento che non le consente di distinguere fra la dimensione reale e quella fantastica. Insomma: giovani non siate schizzinosi, non siate pretenziosi, toglietevi quella cazzo di puzza sotto il naso, volate basso e, soprattutto, con i piedi per terra. Se vi capita un lavoretto di merda, stile il pusher di quartiere o l’addetto alla manutenzione dei cessi delle stazioni ferroviarie italiane, non pensateci su, prendete quel cazzo di lavoro e non rompete le palle, almeno vi togliete dall’elenco dei disoccupati e alzate la percentuale degli occupati, ché sennò l'Istat s'incazza. Dimentica spesso, Sora Elsa, che tutti i giovani dovrebbero essere disponibili a mettersi in gioco, non solo i Neet, non solo i Néné, non solo i poveracci morti di fame figli di operai, cassintegrati, esodati, disoccupati cronici, cinquantenni svillaneggiati pure dai magazzinieri delle Coop. Anche la gentile figlia dovrebbe far parte della categoria, e invece apprendiamo che la sua infanta presiede una fondazione finanziata dalla Banca Sanpaolo della quale, non a caso, Sora Elsa era vicepresidente e che, sempre la infanta, insegna nella stessa università della potente mamma. Ora, cara Sora Elsa, le sembra il caso di continuare con figli e figliastri, giovani di serie A e serie Z, oppure vogliamo darci un taglio e permettere a tutti di correre la corsa della vita dalla stessa linea di partenza? Che occorre essere comunisti per capire che discriminare i giovani significa sedersi bellamente su una polveriera? Alla ministra hanno risposto tutti, da Bersani a Vendola, da Di Pietro alla Camusso, e le loro risposte sono state pressoché uguali: “Ma perché non pensa mai a ciò che dice?” Poi ci si è messo pure il presidente della Coldiretti che ha fatto notare come la scorsa estate, duecentomila giovani sono stati impegnati nelle attività agricole di questo paese, dimostrando di non avere nessuna paura di sporcarsi le mani di terra. Mentre da un’inchiesta è emerso che i nuovi contadini sono per la maggior parte diplomati, laureati e ragazzi ad alta scolarità. Esemplare la risposta di Famiglia Cristiana (maledetti preti rossi!), che in una nota sul suo sito web, ha scritto: “(La Fornero)... lo ha fatto un’altra volta. Ha scambiato il governo per il senato accademico e il ministero con un’aula universitaria. Il resto lo ha fatto la franchezza, il suo modo di esternare un po’ troppo diretto”. Sora Ela è sconcertante. Possibile mai che una scorta obnubili a tal punto?

lunedì 22 ottobre 2012

Ancora una legge bavaglio. Ancora un tentativo di intimidire la stampa, meno che Sallusti e gli amici degli amici. Ancora fasci vs freelance



Ci riprovano sempre, a ogni pié sospinto. E dall’altra parte, dalla parte dei censori, c’è sempre un fascista, quel fascista: Maurizio Caspar Gasparri. La storia. Gasparri del Pdl e Vannino Chiti del Pd presentano una proposta di legge bipartisan per salvare Alessandro Sallusti dalle patrie galere. Il carcere per “diffamazione” a mezzo stampa è troppo, una cosa che sa di regime, una delle ragioni per le quali l’Italia, in quanto a libertà di stampa, viene subito dopo la Guinea Bissau. E tanto perché la storia si ripete all’infinito, a Gasparri salta lo schiribizzo di “integrare” il testo iniziale con provvedimenti da Ministero della Censura. Il testo originale della legge prevedeva che la smentita occupasse lo stesso spazio della notizia diffamatoria (per evitare la sanzione restrittiva) e che la pena pecuniaria non superasse i 50mila euro. Strada facendo, come canta quel pifferaio che si chiama Claudio Baglioni, la legge è cambiata ed è diventata solo sanzionatoria, tornando a includere nelle pene previste anche i singoli blog e non, come in prima stesura, solo i giornali on-line. Per il giornalista recidivo, invece, Gasparri ha pensato a una interdizione a vita dalla professione, costringendo l’ex magistrato Felice Casson a introdurre un emendamento che fermasse l’esclusione a tre anni. La sanzione pecuniaria, secondo i pidiellini, dovrebbe essere di 100mila euro, una cifra enorme che metterebbe in crisi qualsiasi redazione, anche quelle dei giornali più grandi; i piccoli chiuderebbero e basta. Rispetto poi all’emendamento anti-Gabanelli, il senatore Berselli, relatore del Pdl, ha detto che il suo collega Caliendo non aveva nessuna intenzione di discriminare la giornalista della Rai togliendole ogni “ombrello” legale e che lo stesso Caliendo è disposto a ritirarlo. Mentre sul resto gli chauffeur di Berluspony non intendono mediare. Ma sapete qual è il rischio? Che continuando di questo passo la legge resterà immutata e aprirà, di fatto, le porte di San Vittore a Sallusti. E noi lo confermiamo: “Siamo tutti Sallusti un paio di... “.

domenica 21 ottobre 2012

Politici che delirano. Politici che si rincorrono. Politici...



Lo sapevate che l’Italia è il paese dei titoli e dei titolati? In America sono tutti “mister”, cioè “signor”. Da noi tutti dott., prof., ing., cav., comm., gran figl d putt (come direbbe Fantozzi). Un nostro amico diceva: “Un titolo non lo si nega a nessuno”. E sono tutti felici i 2 milioni di presidenti (dalle bocciofile alla Fiat) che popolano un paese in cui conta il biglietto da visita, ovviamente con “titolo accademico” stampigliato. C’è anche chi fa precedere il proprio nome da un PI che qualcuno ci ha spiegato significa “Perito Industriale”, ma siamo in pieno delirio. Così, il prefetto di Napoli, S.E. Dott. Andrea De Martino, persona stimabilissima, ma evidentemente più attaccato ai titoli che alla sostanza, non ha trovato di meglio che redarguire pesantemente don Maurizio Patriciello, noto prete anti-clan, perché aveva chiamato la prefetta di Caserta S.E. Dott.ssa Carmela Pagano, solo “signora” e non “signora prefetta”. La stessa cosa accadeva ai tempi dei podestà, un titolo che doveva essere preceduto da “Sua Eccellenza”, altrimenti erano litrate di olio di ricino. Ma va bene così, no? Attento, don Maurizio, che tu ti batta contro i clan e le discariche abusive di amianto, nella prefettura di Napoli non conta una mazza.
Bellissima la diatriba fra Renzi e Bersani sulla finanza corretta e pulita, e ancora più bello il twitt di Nichi Vendola. Dunque. Matteo Renzi invita a cena il mondo della finanza, compreso quello che ha sede alle Cayman. Piergigi non ci sta e dice che così non si può, che questo è un paese in cui chi lavora paga le tasse, che non occorre andare nei paradisi fiscali per svolgere onestamente la propria attività. Renzi risponde che con la finanza si parla sempre, come se fosse un’entità astratta e non la conseguenza più dannosa della globalizzazione via web. Uno dei sostenitori di Renzi, Davide Serra, un imprenditore che ha il suo regno proprio alle Cayman, si indispettisce e annuncia querela nei confronti d Piergigi che ha detto: “Io con quelli delle Cayman non parlo”. Per tutti ha risposto il Poeta, che su Twitter ha scritto: “Inviterò a cena banchieri e alta finanza. Dirò che voglio tassare loro per diminuire tasse a imprese e lavoratori. Temo che cenerò da solo”.
Sul versante della lotta alla corruzione, c’è da segnalare la meritoria opera della ministra Severino che, siccome ci ha preso gusto, ora intende colpire anche il voto di scambio e la prescrizione breve. Continui così, ministra, vedrà che Silvio la inviterà a cena facendole trovare una divisa da infermiera su misura. 

venerdì 19 ottobre 2012

...e questa sera, grande teatro. "Il buio e oltre ancora", con Vincenzo Di Bonaventura.

Teatro Aikot27 
Il mio testo per voce sola e 5 personaggi

Blitz nel decreto salva-Sallusti. Via l’ineleggibilità per i presidenti delle province e dentro una norma anti-Gabanelli. Libertà di stampa solo per il direttore del Giornale



Il vezzo dei pidiellini di infilare in ogni decreto provvedimenti pro domo propria, resiste imperterrito nel tempo, nello spazio e in ogni dove, un po’ come la provvidenza. Come tutti sanno, in questi giorni è in discussione il decreto cosiddetto “salva-Sallusti”, quello che dovrebbe impedire al direttore del Giornale di finire dritto in galera. A questo proposito due piccoli incisi. Il primo: “siamo tutti Sallusti”, un paio di palle. Il secondo, visto il ritardo con cui procede l’approvazione del decreto, Draculino ha detto: “Politici cialtroni e codardi”, facendo intendere che a finire dietro le sbarre, lui non ci tiene affatto e insulta beatamente chi dovrebbe evitarglielo. Comunque, andiamo avanti. Nello stesso decreto, il senatore Gennaro Coronella, eletto a Casal di Principe, ha tentato di inserire un emendamento tendente ad annullare l’incompatibilità fra la carica di presidente della giunta provinciale e il Parlamento. Un blitz bloccato da Pd, Idv e Api che porterà l’emendamento all’approvazione delle Camere, altrimenti sarebbe stato inserito bellamente nel decreto e amen. Il provvedimento riguarda, guarda caso, tutti esponenti del Pdl che, in vista delle prossime elezioni, essendo già presidenti di provincia, vorrebbero candidarsi anche alle politiche. La legge attuale non lo consentirebbe, con la modifica Coronella invece la cosa sarebbe di fatto possibile. Il nostro Parlamento a volte sembra un vero e proprio mercato delle vacche, uno si alza la mattina, ha un bisogno impellente, va al Senato, presenta la sua proposta e defeca ovunque, anche negli spazi solitamente destinati ad altro. Resta il puzzo, ma quello è un optional. E sempre nello stesso decreto, stavolta apparentemente più coerente con il testo, un altro pidiellino, il senatore Giacomo Caliendo, ex sottosegretario alla Giustizia, coinvolto come (speriamo) tutti ricordano nell’affaire P3, ha cercato di inserire un emendamento anti-Gabanelli e quindi, anti-Report. Così, mentre da una parte si vanno trovando tutte le tutele possibili per Sallusti, dall’altra si cerca di limitare pesantemente il lavoro di una giornalista togliendole ogni “ombrello” economico all’attività di inchiesta. Se passasse l’emendamento Caliendo, infatti, in caso di querela Milena Gabanelli si ritroverebbe a pagare di tasca sua l’eventuale sentenza avversa, e la pena pecuniaria sarebbe insostenibile perché il senatore Caliendo ha previsto anche che maggiore è la diffusione del mezzo di informazione usato per diffamare, maggiore dovrebbe essere l’esborso. Siamo alle solite. La libertà di stampa è sacrosanta solo se ad avvalersene sono gli amici, altrimenti il rapporto è lo stesso degli italiani con le donne: tutte mignotte tranne la mamma e la moglie.

giovedì 18 ottobre 2012

Anche D’Alema si tira fuori. Ma non spetta a Renzi dargli l’onore delle armi.



Se il gesto di Veltroni e di D’Alema di non ricandidarsi sia nobile o no, non crediamo spetti a Matteuccio De’ Renzi giudicarlo. Quello che è andato (con la famiglia al seguito) a pranzo da Silvio Berluspony: “da sindaco di Firenze”, dice lui come se non fosse anche un dirigente del Pd; quello che “l’articolo 18 è superato”; quello che “Marchionne è uno dei pochi che ha compreso la globalizzazione”; quello che “io sono giovane gli altri sono tutte teste di cazzo”, non ci è mai piaciuto né ci piacerà mai. Il fatto è che se un diciannovenne partecipa alla “Ruota delle fortuna”, ci chiediamo cosa diavolo c’abbia in testa e se quella testa, con il passare del tempo, resta a Mike Buongiorno, continuiamo a chiederci cosa possa fare per un paese travolto e sconquassato da 25 anni di politica berlusponyana se anche lui ne è stato figlio. L’uomo della sinistra più amato dalla destra puzza di stantio, di democristiano vecchia maniera, di quello che pretende di essere simpatico pur essendo un antipatico della madonna. Cerca di essere spiritoso ma non ci riesce mica! Prova a fare l’intellettuale, ma l’unico testo che sembra aver letto (anche se con grande attenzione) è Il Principe del suo corregionale Machiavelli, avesse letto anche La Mandragola oggi, forse, scriveremmo su di lui cose diverse. Matteo Renzi si porta appresso il peccato originale dei vecchi comunisti (ma fosse un cattocomunista ante litteram?) che, pur di beccare qualche voto dai cattolici, si facevano vedere in chiesa con la famiglia e il nipotino in braccio per dimostrare di non esserselo mangiato. Se questo è il nuovo, ci chiediamo cosa possa essere il vecchio perché parliamoci chiaro, al nuovo Renzi continuiamo a preferire la “vecchia”, onesta Rosy Bindi, quella che non ha mai riconosciuto a Marchionne di essere un grande manager né a Berluspony un unto del signore. Matteo Renzi, e a denti stretti dobbiamo dar ragione al Maximo, non è un “uomo che unisce” anzi, è tanta e tale la sua voglia di sé che, purtroppo per la sinistra, sarà l’ennesimo motivo di divisione, come se la sinistra ne avesse un bisogno tanto paranoico quanto inconfessabile. E se volessimo riassumere tutto quello che abbiamo scritto oggi in un solo concetto, ci verrebbe quasi da chiederci se il Renzi non sia stato “costruito” apposta, per dividere cioè quel poco di unito che ancora resta in questa sinistra figlia dei suoi vizi peggiori. Ci piacerebbe sbagliare, ci piacerebbe aver preso lucciole per lanterne ma l’aria che tira non è delle più eccitanti perché la vittoria di Renzi alle primarie non sarebbe un fatto indolore. Nel tempo, Berluspony ci ha dimostrato che in democrazia contano solo i numeri, che chi ha un voto in più governa, che le maggioranze possono fare quello che vogliono e che nessun rispetto è dovuto alle opposizioni. Renzi ci sembra più Romney che Obama, a lui del 47 per cento degli altri non frega assolutamente una mazza.

mercoledì 17 ottobre 2012

Tanto tuonò che... CL

Rossano Breno

Finora erano state solo calunnie. Lo ripeteva con aria minacciosa Maurizio Lupi a ogni puntata di Annozero e Ballarò, lo confermava, con quel falsissimo sorriso da vergine infante, Roberto Formigoni ogni qualvolta qualche giornalista indiscreto provava a chiedergli cosa fosse e cosa facesse realmente la Compagnia delle Opere (loro): “Chi tocca CL muore!”
Poi arrivano le Fiamme Gialle e scoprono che di Opere, CL ne promuoveva veramente tante, compresa una scuola nel bergamasco da sistemare con i fondi derivati dal permesso per una discarica di amianto nel cremonese. La storia è questa. Qualcuno ricorderà l’affaire legato a Franco Nicoli Cristiani, il vicepresidente del Consiglio Regionale Lombardo arrestato per una tangente di 100mila euro presa (o pretesa) dall’imprenditore della monnezza tossica, Pierluca Locatelli, ansioso di ottenere dalla Giunta del Pirellone i permessi necessari per aprire una discarica di amianto. Orbene, seguendo quell’inchiesta, i magistrati milanesi si sono imbattuti in Rossano Breno e Luigi Brambilla, rispettivamente presidente e vice presidente della Compagnia delle Opere di Bergamo finiti, dopo una perquisizione nelle loro abitazioni, nel registro degli indagati. L’accusa: corruzione. La mazzetta sarebbe servita per aprire una scuola di stretta osservanza ciellina in quel di Bergamo, e l’inevitabile rinvio a giudizio è motivato da: “Emerge un diretto coinvolgimento di Rossano Breno e Luigi Brambilla, affinché amministratori della Regione Lombardia con cui erano in contatto, favorissero, con atti contrari ai doveri d’ufficio, gli interessi imprenditoriali di Pierluca Locatelli e l’ottenimento dell’autorizzazione regionale”. La chiacchieratissima Compagnia delle Opere, come si era sempre sospettato, mentre ora iniziano a starci prove concrete, non è composta propriamente da stinchi di santi (battutaccia ma quando ci vuole... ). Che dietro l’aspetto perbene di una specie di consorteria cattolica pronta a elargire opere di bene ci fosse un sistema oliato di sottopotere economico, era sotto gli occhi di chi quegli occhi non voleva chiuderli. C’è da notare, ci scommettiamo ciò che abbiamo di più caro (la dignità) che se si continuasse a scavare, specie nell’ambito della sanità, ne vedremmo delle belle. Ma non tocca a noi, tocca ai giudici, magari a quelli che non hanno paura di beccarsi una maledizione o, peggio, una scomunica.

martedì 16 ottobre 2012

D’Alema rimette la sua candidatura al partito (sic!) e il “libro bianco” sulla corruzione ci dice cosa saremmo senza. Un altro mondo, in tutti i sensi.



Certo che la decisione di Vuolter Veltroni di non ricandidarsi ha spiazzato un po’ tutti. Maximo D’Alema in primis, che ora si trova nella scomoda posizione di dover risolvere il dilemma se continuare (e a chiederglielo dovrà essere il partito) o se decidere di iniziare a fare i conti con la misera pensione di ex-parlamentare, ex-ministro, ex-presidente del consiglio e presidente del Copasir. Il fatto è che non vediamo all’orizzonte nessuno che, all’interno del Pd, possa chiedergli di farsi da parte. Maximo è un personaggio talmente ingombrante che forse è meglio tenerselo buono piuttosto che iniziare un duello del quale non si conosce l'esito finale. La fregatura, per chi vorrebbe metterlo su una barca senza bussola e poche provviste, è che sembra non si ricandidi neppure il suo amico del cuore, quel Silvio Berluspony che nei momenti più bui, memore degli antichi favori, lo ha sempre aiutato a sbarcare il lunario. E a proposito di tromboni, trombette e ammennicoli vari. Il governo ha pubblicato il “libro bianco” sulla corruzione, un’inchiesta-statistica che rende non più rinviabile quel provvedimento legislativo che il Pdl sta cercando di bloccare in ogni modo. La cifra complessiva della corruzione in Italia è pari a 60 miliardi di euro. E questo lo sapevamo, quello che colpisce, però, è il fatto che gli appalti costano allo Stato un buon 40 per cento in più. Questo significa anche che le grandi imprese perdono il 25 per cento del loro tasso di crescita e quelle più piccole arrivano, appunto, al 40. Il libro bianco, che sarà presentato ufficialmente il 22 ottobre, va oltre la semplice indagine statistica e prova a disegnare come sarebbe l’Italia senza la corruzione, con 60 miliardi in più nelle casse e imprese in crescita come profitti, investimenti e quindi occupazione. Il fatto che si potrebbero avere servizi migliori, una sanità migliore, infrastrutture consone, docenti non costretti a sopportare il peso di 300 studenti e 24 classi, beni culturali tutelati e quelli ambientali non devastati, dovrebbe convincere i parlamentari ad approvare di corsa il ddl Severino, e invece no. Ci chiediamo spesso cosa abbiano significato questi 25 anni di follia collettiva nei quali il berlusponysmo ha imperato, prima come modello di vita e di sviluppo e poi come modello politico, e non esitiamo a dire che, senza tutto questo, ogni cosa sarebbe stata diversa. Anche la dignità.

lunedì 15 ottobre 2012

Se ne andranno in due: Formigoni e Veltroni. E non è un fatto di rima.



Fra un po’ gli lanceranno le monetine, come a Craxi. Il ciellino-pidiellino più famoso della Longobardia è alla frutta. Scaricato da tutti, preso per i fondelli anche da chi avrebbe dovuto difenderlo a spada tratta, sbeffeggiato da decine di milanesi incazzati che stanno organizzando una manifestazione sotto il Pirellone, il Celeste Shocking ha deciso di mollare. Le ha provate tutte. Ha minacciato querele e denunce, pugni e schiaffi, perfino di immolarsi dall’alto delle guglie del Duomo di Milano come Mishima, ma a nulla è servito. “Cambio la legge elettorale longobarda – ha detto Roberto – cancello il listino e poi si vota”. “Ad aprile”, hanno tuonato i leghisti. E tanto sarà. La disperazione di Formigoni sta raggiungendo il parossismo, ce l’ha con il mondo intero, con la spazzatura di Repubblica, con le inchieste e le indagini (a suo dire) tarocche, ce l’ha con i passanti e i clochard, le rifatte e i vagabondi, Daccò e quel maledetto yacht dove ha trascorso le vacanze più belle della sua vita. Ce l’ha con gli ex aennini e con i nuovi pidiellini, con i poveri di spirito e con gli ineleganti, ce l’ha con tutti, insomma, meno che con se stesso. D'altronde dalla sua ha lo spirito santo, scusate se è poco!
Un altro pezzo della politica italiana ha annunciato da Fabio Fazio che lascerà il Parlamento. Ormai la trasmissione di Fazio è diventata il palcoscenico dove si fa la storia e si vendono libri, dove se non ci sei o non ci vai non conti un cazzo. Ma tant’è... Insomma Vuolter Veltroni lascia lo scranno di deputato e non per andare a fare il senatore, ma per onorare la promessa fatta nel 1996 quando, eletto per la seconda volta sindaco di Roma, annunciò che dopo la fine di quella esperienza se ne sarebbe andato in Africa. A parte che gli africani lo stanno ancora aspettando, ma Vuolter ha detto ieri sera che la ragione per la quale non se andò fu perché lo chiamarono a immolarsi contro Berluspony. E lo fece, si immolò e perse tanto a poco. Però, nel frattempo, ottenne due grandissimi risultati: contribuì a far cadere il secondo governo Prodi e distrusse la sinistra. Encomiabile, Vuolter, un capolavoro!

domenica 14 ottobre 2012

La Lega cambia in corsa: “Lombardia, si vota ad aprile”. Ma che bella questa sinistra senza la sinistra!

"Nuova Sinistra" con gnocca

Ultime ore di resistenza ad oltranza per il governatorato a vita di Roberto Formigoni. Alla fine del consiglio federale della Lega il verdetto è stato questo: “Dopo 15 anni Formigoni può anche lasciare. Election day ad aprile: politiche e regionali”. Il Pdl non l’ha presa bene e, nonostante lo stesso Berluspony lo avesse di fatto scaricato, Formigoni ha detto: “Non si fa così, però! Prima mi dicono di resistere fino al termine del mandato e poi si ritirano lasciandomi solo. Qualcosa deve essere successo”. Ancora più caustico Gnazio La Russa: “Bei tempi quelli della Lega affidabile che votava tutte le leggi per Silvio e dichiarava solennemente che Ruby era la nipote di Mubarak. Questa di Maroni non si capisce che cazzo vuole”. Si capisce invece, e bene. La base è in rivolta, i simpatizzanti scalpitano, i militanti hanno una gran voglia di emigrare altrove. La Lega “contro” vuole tornare a esserlo e gli scandali, gli arresti, le indagini sui malaffari dei giussanini sono ormai talmente tanti che o Maroni decide di cambiare rotta (e vita) o la Lega farà splash. Pontida è uno sbiadito ricordo e le bistecche d’orso non tirano più, almeno sugli ex fedelissimi di un Carroccio che gira la Bassa con le ruote sgonfie.
Dall’altra parte, Pd, Sel e il Psi di Nencini firmano il patto di alleanza per le prossime elezioni. Fioroni si scatena e tuona: “Ci vogliono i moderati”, dove per “moderati” lui intende solo ed esclusivamente Pierfy Casini. Così, fra burocrati dell’ex centralismo democratico, dirigenti dell’apparatnik, allievi delle scuole alla politica moscovite, poeti esistenzialisti e figli di un garofano che non esiste più, se non nelle serre dei floricoltori hippy, il Pd ha deciso che la sua idea di sinistra è buona solo se manca la sinistra, altrimenti che gusto c’è? Nessun accordo con i comunisti italiani, con i rifondaioli, con gli ambientalisti, con i protettori degli estremisti della Fiom, con i rappresentati degli operai cassintegrati, vessati, svillaneggiati, vilipesi dai governi-banchieri. Nessun accordo con quelli che “l’articolo 18 non si tocca”, con quelli che “vogliamo solo la scuola pubblica”, con quelli che “ma per che cazzo di motivo la Chiesa non paga l’Imu”, con quelli che “il diritto allo studio è unico e universale, per tutti”. Il Pd vira decisamente verso il centro e Nichi Vendola lo segue mentre Nencini li stava aspettando tutti da quelle parti dove una volta si aggiravano Nenni e Pertini, Lombardi e Turati e fino a ieri albergava, padrone indisturbato, un certo Valter Lavitola. L’idea di sinistra di Piergigi, di Maximo e di Vuolter è quella di una sinistra senza sinistra perché altrimenti, che sinistra italiana sarebbe? Noi non lo diciamo per chi voteremo alle prossime elezioni ma, a scanso di equivoci, volendo andare per esclusione, fuori il Pdl, fuori Fini, Casini, Montezemolo, Passera, Monti, il Pd dei rottamatori, i poeti persi nell’istanza del “mi voglio sposare”, resta poco anzi, pochissimo. Praticamente nulla.

venerdì 12 ottobre 2012

Berluspony molla Formigoni. Ciao, ciao Celeste...



Mettiamoci nei panni di Silvio, povero Cristo! A distanza di un paio di settimane si è ritrovato con la giunta pidiellina regionale del Lazio falcidiata dai maiali grugnenti, lo scioglimento del comune di Reggio Calabria per mafia, l’arresto di Zambettino, l’assessore alla Casa lombardo del Pdl per i voti pagati alla ‘ndrangheta e lo smemorato amico e sodale Formigoni che ancora non ha ritrovato né l’agenda né le pezze d’appoggio delle sue spese pazze. Nel frattempo, la Guardia di Finanza ha iniziato a mettere becco in tutte le altre regioni governate dal Pdl (anche da altri in verità) e il rischio che scoppino ancora scandali è molto elevato (in Abruzzo non si contano le inchieste sulla giunta attuale, quella del pidiellino Gianni Chiodi, e vedremo come andrà a finire). Iniziare una lunga campagna elettorale, come quella che si prospetta fino alla primavera del 2013, con sulle spalle accuse di corruzione, concussione, peculato, contiguità mafiosa, papponaggio, clientelismo capillare, fatti ordinari di cazzi propri è dura, anzi durissima. Così, purtroppo per lui, Silvio ha dovuto prendere atto che il suo partito, quella mirabile accozzaglia di quacquaracquà che risponde al nome di Pdl non esiste più, che il sogno durato vent'anni è in fase di esaurimento e che il risveglio rischia di essere la continuazione di un incubo vissuto sulle note di Mariano Apicella. Da tutte queste considerazioni, che Silvio ha fatto nel silenzio della sua alcova impegnato in un astairiano tip-tap non sappiamo con chi, è emersa la convinzione che Roberto ha esaurito la spinta propulsiva di Governatore Longobardo a vita. “Caro Celeste – gli ha detto Silvio – io continuerò a pregare per te esattamente come il Papa, però ora togliti dalle palle”. La spocchia di Formigoni è scomparsa all’improvviso. L’aria di sfida con la quale ha affrontato quei comunisti della madonna di Repubblica, ha lasciato il posto a un sereno convincimento che la sua esperienza si è esaurita. E a nulla sono valse le minacce contro Zaia e Cota di un passo indietro dei pidiellini nelle giunte del Piemonte e del Veneto, per tutti ha risposto Matteo Salvini che chiaro e tondo gli ha detto: “Alla Lega ci pensiamo noi, tu vattene che di danni ne hai fatti anche troppi”. L’idea è quella di mettere prima in sicurezza alcuni aspetti dai risvolti economici importanti e poi di porre fine all’esperienza di Formigoni, magari offrendogli un seggio senatoriale per il “dopo”. La considerazione fatta da Alfano e Maroni è la seguente: “Gestione degli affari correnti per qualche mese, messa a punto dei contratti miliardari di Expo 2015, scudo sull’impero della sanità pubblica e convenzionata e poi bye bye”. Come si può notare il lupo perde il pelo ma non gli affari. Storia vecchia come il cucco anzi, storia che si ripete da quando Berluspony ha devastato questo povero Paese con la sua presenza.

giovedì 11 ottobre 2012

Marchionne insulta Firenze. Di Pietro i militanti del suo partito.



Marchionne è fuori di testa. Dopo che gli hanno scoperto il giochetto dei miliardi da investire in Italia (che non investirà mai), Sergio si è sentito come il bambino con le dita sporche di marmellata che insiste pervicacemente a negarne il furto. Trattandosi però del futuro di operai, impiegati e quindi di famiglie che corrono il rischio di finire sul lastrico, non ci viene mica tanto da ridere. E così, fuori di testa per fuori di testa, il Marchionne “dio dell’economia” secondo il duo Chiamparino-Fassino, non ha trovato di meglio, pur di difendersi, che attaccare Firenze definendola “una città piccola e povera”. Non conosciamo Detroit, ma non ci sembra che fra le sue bellezze ci siano Palazzo Pitti né i Giardini di Boboli né che tenga in bella vista, davanti al municipio, il David di Donatello. Se Detroit avesse bellezze simili, avrebbe dato un calcio nel culo a Marchionne invitandolo a restarsene in Italia, dopo aver investito tutto nel turismo e non nell’industria automobilistica. Comunque, l’americanismo esasperato di Sergio sta raggiungendo livelli di patologia pura, tanto che continuiamo a chiederci perché cazzo di motivo continui a lavorare in Italia, risiedere in Svizzera e prosperare in America. Ma lui le tasse dove le paga?
Lo sapevamo che il caso di Vincenzo Salvatore Maruccio, capogruppo dell’Idv in Regione Lazio, reo di aver sottratto 780mila euro dai fondi del gruppo consiliare, avrebbe scatenato un putiferio. Sapevamo che la base dell’Idv non ne può più delle scelte cervellotiche di Tonino in tema di candidati. Sapevamo che Razzi e Scilipoti avrebbero lasciato il segno e sapevamo che se ci fosse stato ancora un caso di malapolitica, i dipietristi si sarebbero incazzati. Sapevamo tutto perché abbiamo frequentato l’Idv per un po’, smettendo di frequentarla quando ci siamo resi conto che Tonino era molto più attento ai padroni delle tessere e dei voti che non al suo elettorato militante sì ma senza un soldo. Lo abbiamo sentito noi con le nostre orecchie dire che l’Idv non sarebbe mai stato il partito delle tessere né dei padroni delle tessere. Lo abbiamo sentito noi, con le nostre orecchie, affermare che la pulizia della classe dirigente stava diventando un fatto non rinviabile. Sono passati anni ma nulla si è mosso anzi, i dirigenti che Di Pietro avrebbe dovuto far fuori sono ancora tutti lì, ex pidini, ex margheritini, ex mastelliani, ex e basta, tutti a far da cornice alla fame di voti che solitamente placa la sete di potere. Tonino ha dato tre ore di tempo a Maruccio per dimettersi e lui lo ha fatto. Ora dice che vuole ricorrere alla rete per presentare i candidati e farli giudicare dalla base. Parole...parole...parole e un sano trattore da mettere in moto. Detto per inciso, nominato fresco fresco commissario dell’Idv del Lazio un ex della Margherita. Comunque sempre meglio che un ex Udeur.

mercoledì 10 ottobre 2012

Ancora un arresto al Pirellone. Zambetti comprava i voti dalla ’ndrangheta. E alla Regione Lazio scoppia il caso Idv.



I carabinieri l'hanno definita “una operazione senza precedenti”. E, anche se ormai di quello che succede al Pirellone nulla può più sconvolgere, apprendere che Domenico Zambetti (ovviamente del Pdl), ha pagato 50 euro cash ogni voto che la 'ndrangheta gli ha procurato, lascia una sensazione di stordimento difficile da somatizzare. Questo sessantenne galantuomo da 11.217 voti, pur di essere eletto e di diventare assessore alla Casa della Regione Lombardia, non ha esitato a ricorrere ai voti della criminalità organizzata arrivando a investire la bella cifra di 200mila euro che equivalgono comunque a una partita media di coca tagliata male. Essendo un po' morto di fame, l'assessore Zambetti ha pagato la somma a rate e i carabinieri, ai quali quando vogliono non sfugge nulla, hanno rintracciato perfino i movimenti di denaro che sono stati i seguenti: prima rata di 80mila euro versata il 31 gennaio 2011; ultima rata, di 30mila euro, il 15 marzo sempre del 2011. Le "donazioni" sono state fatte all'associazione culturale “Centro e libertà” e chi le ha materialmente incassate è un tal Giuseppe D’Agostino, noto titolare di locali notturni ma anche noto trafficante di droga e affiliato alla cosca calabrese Morabito-Bruzzaniti. Domenico Zambetti è il quinto assessore della giunta Formigoni a essere arrestato. Ilda Boccassini ha detto: “La democrazia è stata violata”. Roberto Formigoni ha detto: “E io che cazzo c’entro? Non mi dimetto”.
Nei casini (per una volta lasciamo stare Pierfy) è finito anche il signor Vincenzo Salvatore Maruccio, capogruppo dell’Idv in consiglio regionale del Lazio e segretario, sempre regionale, del partito. Il signor Maruccio ha tenuto per sé 700mila euro dei fondi destinati al gruppo e, dopo un ultimatum di Di Pietro in persona personalmente, ha rassegnato le dimissioni (ma i consiglieri dell’Idv non si erano già dimessi? Boh!). Brutto colpo per l’Idv e per Tonino Di Pietro al quale vorremmo sommessamente consigliare di tenersi stretti i militanti seri e appassionati e di mandare affanculo i vecchi rottami mastelliani di cui il suo partito (affamato di tessere e di voti) è strapieno. E tanto per finire in gloria, la Guardia di Finanza ha effettuato un blitz anche nei gruppi consiliari della Regione Marche (la cosa ci riguarda da vicino). L’intenzione è quella di controllare le spese dei gruppi e dei singoli componenti dal 2008 al 2012. Finora non sono emersi riscontri a carico ma, a meno che il procuratore della repubblica di Ancona, Elisabetta Melotti, non sia impazzito, ci aspettiamo risultati a breve. E poi qualcuno si lamenta che Monti vuole mettere mano al titolo V della Costituzione. 


martedì 9 ottobre 2012

Mannaia sulle regioni. Il federalismo non ha funzionato, si torna al “centralismo democratico”.



Onestamente questa “palla” del federalismo made in Lega, ci ha sempre fatto, come dire, sorridere (eufemismo). Dato il presupposto iniziale, una sorta di autodeterminazione di popoli, situazioni e territori (giusto nel principio, sbagliatissimo nella sostanza e nell’attuazione), quello che è venuto fuori dal federalismo pecoreccio di una nazione che ha bisogno evidentemente di capi-bastone per funzionare, è solo il moltiplicarsi all’infinito di ruoli e privilegi, incarichi e clientele, arricchimenti turbinosi e corruzioni capillari. Le regioni hanno duplicato uffici, funzioni e stipendi che per definizione, e per anni, sono stati dello stato centralista. E insieme ai ruoli e alle funzioni hanno ovviamente raddoppiato incarichi e sottoincarichi, appalti e gare d’asta, enti sub e norm, cda e gestione di condomini e bocciofile, associazioni profit e non profit, circoli ricreativi e circoli e basta. Ci sono interi settori, dipartimenti e assessorati che sprecano milioni di euro come fossero semi di zucca tostati e che non programmano un amato cazzo se non sontuosi viaggi all’estero di politici e funzionari con famiglie e amanti al seguito. Non stupisce, quindi, che alcuni organismi governativi, come la Corte dei Conti, dopo gli ultimi accadimenti abbiano deciso di vederci chiaro su delibere e concessioni, spese e rimborsi spese, acquisti e regalie, rappresentanze e pié di lista, matrimoni e funerali, battesimi, cresime e prime comunioni. Ma per mettere mano organicamente a un assetto delle regioni più consono all’aria che tira (austerity e risparmi paperoneschi), il governo deve riaggiustare il tiro della Carta Costituzionale e, più precisamente, quello che riguarda il Titolo Quinto. Si tratta, in poche parole, di un ritorno al centralismo statalista che ha rappresentato il potere vero della Democrazia Cristiana e della Prima Repubblica più in generale, quello stesso centralismo che, ad esempio, Berluspony aveva sbandierato di voler cancellare in campagna elettorale, salvo riconfermarlo in toto una volta preso saldamente in mano il potere; non c’è infatti un partito più centralista e statalista del Pdl, tanto liberista per definizione e per convenienza, quanto centralista per esigenze private e cazzi propri (di uno solo, in verità). Così, per non avere più rotture di cabasisi degli enti locali sui tagli e sui balzelli da riscuotere, il governo Monti ha deciso di tornare all’antico: ridurre l’autonomia delle regioni, diminuirne il potere legislativo, accentrare le riscossioni, reintrodurre i dazi e i dazieri onore e vanto del Regno Pontificio. Diciamola tutta, è dura per uno Stato delegare, se poi lo stesso Stato è retto da un banchiere l’argomento si fa tabù. Fra un po’, amici e nemici, simpatizzanti e semplici conoscenti, verranno reintrodotte le divise (almeno il sabato per le esercitazioni ginniche), l’alzabandiera nelle scuole e negli uffici e Fratelli d’Italia prima della scopatina del sabato sera (ma solo per chi ha una moglie o un’amante disponibile e senza mal di testa).

lunedì 8 ottobre 2012

Fatti e strafatti. Napolitano dice che la new town dell’Aquila è una sciocchezza e Tarantini racconta “il mondo di Silvio”. Non ne usciamo affatto bene...



Ne sono accaduti di fatti, ieri. Il presidente Napolitano va all’Aquila per inaugurare l’auditorium nuovo di zecca di Renzo Piano, e dice: “Dimentichiamo i progetti di città satellite fuori dal centro. Costruire dentro è la strada giusta”. Le pigli un bene, Presidente. Quando Silvio mostrava i plastici della new town e la definiva il “futuro”, lei dov’era? Quando le uniche case abitabili di una città distrutta erano quelle consegnate dalla provincia di Trento e dalla Croce Rossa, e dallo Stato niente, lei dov’era? Quando invece di tentare di ricostruirla, L’Aquila veniva invasa dai ponteggi milionari in un vorticoso giro di milioni di euro, lei dov’era? Quando gli aquilani venivano “deportati” in crociera o negli alberghi della costa abruzzese, il Quirinale che faceva, dormiva? Ma tant’è. In questo paese meglio tardi che mai, anche se siamo convinti che spesso è meglio mai che tardi.
Nichi Vendola ha qualcosa da dire a Matteuccio Renzi e non parla mica a nuora perché suocera intenda... lui glielo dice e basta. “Caro Matteo, qui l’unica cosa da rottamare sono le tue idee”. Al che lo spin doctor del sindaco di Firenze, Giorgio Gori, è dovuto correre ai ripari cercando di dimostrare che non sono le idee di Renzi da rottamare (in fondo sono le sue) ma Matteuccio in persona personalmente. E così, mentre Hugo Chavez si prepara ad affrontare il quarto mandato presidenziale della sua vita, dai verbali degli interrogatori di Gianpi Tarantini, emerge in tutto il suo splendore la figura di un personaggio che di mandati ne avrebbe voluti avere per tutti i secoli dei secoli, e con un “amen” solennemente pronunciato da monsignor Fisichella detto "il Contestualizzatore". 
Secondo il pappone barese, ex re Mida della sanità del Tavoliere, Silvio Berlusconi è: “Malato di sesso...sfatto...distrutto”. E descrive un mondo, quello che ruota attorno al Cavaliere, al cui confronto le maialate di Fiorito sembrano serate benefiche dei Lions. Il mondo di Silvio è il mondo delle puttane a domicilio, delle camminate per Villa Certosa con tanto di sosta davanti al finto vulcano che erutta, delle donnine a disposizione 24hours, le canzoni di Mariano Apicella e di Simon Le Bon. È il mondo delle raccomandazioni e degli affari milionari, degli appalti vs topa, della volgarità di un contesto nel quale la donna è merce e i soldi la carta d’identità. Pesantissimi, i verbali di Gianpi, ed epigono di quella che resta l’icona della caduta dell’impero romano, quando il vino, il sesso e ogni tipo di sfrenatezza rappresentavano l’agonia di uno splendore che fu. Leggendoli c’è da vergognarsi di essere italiani e se non fosse un sentimento che ormai proviamo da tempo, ci sarebbe perfino da sorprendersi. Ma se a tre anni dal terremoto dell’Aquila, il Presidente della Repubblica ci viene a dire che il piano di ricostruzione previsto per la città fa cagare, uno che dovrebbe fare, sventolare il tricolore e cantare l’inno nazionale?

domenica 7 ottobre 2012

Renzi si può candidare. Dall’Assemblea del Pd il via libera al sindaco di Firenze. Legge anticorruzione, pronto il blitz del Pdl.



Si torna alla prescrizione breve anzi, brevissima. Praticamente un lampo. Berluspony e Penati sotto inchiesta? Prima ancora che scatti il rinvio a giudizio, zac: prescrizione. Più veloce della luce, di Spiderman e di Superman messi insieme, l’impunibilità dei corrotti e dei corruttori, dei peculanti e dei peculati, dei concussi e dei concessori avviene prima ancora che la legge possa essere applicata e i colpevoli financo indagati. In Italia, si sa, soprattutto dal punto di vista giudiziario è meglio prevenire piuttosto che combattere e Silvio, in tutti questi anni, ci ha insegnato che le regole del gioco si possono cambiare in corso d’opera. Ora. Resta la domanda che ci facciamo sempre più spesso e alla quale nessuno è riuscito ancora a dare una risposta: chi non vuole che i corrotti e i corruttori vengano puniti cos’è? Un garantista matricolato e immarcescibile o un corruttore o un corrotto? Questo è il quesito che ci poniamo quando qualcuno si oppone alla legge contro l’omofobia, la pedofilia, la tortura. Per comparazione diteci voi chi sono e come possono definirsi. 
Finalmente nel Pd si comincia a ragionare. L’assemblea dell’Ergife, quella che secondo i renziani avrebbe dovuto rappresentare la diga contro il dilagare prepotente dell’uomo di sinistra più amato dalla destra, si è risolta secondo la democristiana regola del buonsenso. Sospensione dell’articolo 18 dello statuto del partito, quello che sancisce che il segretario è l’unico candidato premier dei democrat, e via libera alla candidatura di Matteuccio il quale, in barba anche alla buona educazione, invece di andare all’Ergife a difendere la sua posizione, se n’è rimasto in Puglia in camper, a raccogliere le olive di Bitonto. E dire che in parecchi hanno provato a inserire nel regolamento delle primarie ostacoli di vario genere e natura ma, alla fine, è prevalso l’acume politico di Piergigi Bersani che sa perfettamente che le falangi del vecchio Pci saranno come sempre determinanti. Come una doccia scozzese, è piovuta invece sull’Ergife l’ennesima dichiarazione del Pierfy Casini furioso: “Nessuna alleanza è possibile con chi in Regione Lazio sta stringendo patti con Sel e l’Idv”. Si reitera il refrain di un personaggio solitamente avvezzo ad alzare il prezzo della sua prestazione d’opera politica, un co.co.co. che, assolutamente fuori dalla storia e dai contesti sociali ed economici, continua a fare il democristiano doroteo come se nulla fosse successo e la Balena Bianca esistesse ancora. Altro che Terza Repubblica appena accennata dal Professore, qui siamo ancora ai giuramenti nelle sagrestie delle chiese romane agli inizi degli Anni ’60.

sabato 6 ottobre 2012

La voglia matta di Silvio: “Lascio la politica ma voglio precise garanzie”. Gli studenti in piazza e son botte da orbi.



Si sono svegliati gli studenti italiani. Certo, è dura tornare a ragionare dopo un’estate a mojito e rhum e pera, però sembra che la partita sia ricominciata, stavolta con regole d’ingaggio diverse. Le immagini degli scontri fra gli studenti e le forze dell’ordine ci rimandano a quelle che girano sul web da giorni, da Atene e Madrid. C’è poca tolleranza e una gran voglia di menare le mani, da parte di tutti. Quello che ci appare tuttavia intollerabile, è vedere ancora l’uso spregiudicato del manganello e degli scudi da parte dei reparti di poliziotti e carabinieri ai quali la sentenza “Diaz” evidentemente non ha insegnato una solenne mazza. Povero lo Stato che per controbattere alle sacrosante ragioni degli studenti, scesi in piazza per dire “no” alla riforma Profumo, adopera lacrimogeni e manganelli, pugni e calci e, se potesse, perfino i morsi.
Notizie dal fronte Berluspony. Non passa giorno che Silvio non se ne inventi una nuova. L’ultima è un beau geste: lascia la politica per favorire la riunione dei moderati, come se lui lo fosse mai stato, un moderato. L’idea è quella di rifondare il fronte che parte da Fini e termina con Casini, l’ampia area di ex missini, ex democristiani, ex socialisti craxiani, ex socialdemocratici, ex liberali, ex repubblicani di Giorgio La Malfa che, portatrice del nuovo che avanza potrebbe raccogliere, secondo Silvio, la stragrande maggioranza degli italiani. Però, perché un però c’è, Silvio vuole garanzie precise, poi potrebbe lasciare la guida del centrodestra a Montezemolo o, addirittura, alla Passera solitaria. Possiamo immaginare quali siano le garanzie che Nano Bifronte chiede: impunità totale, niente processo Ruby, niente legge anticorruzione, Mediaset regina del mercato pubblicitario, evasione fiscale totale, riapertura dei bordelli di lusso, frittata di cipolle, Peroni da 75cc. ghiacciata e rutto libero... il tutto per “far piacere a dio e non per piacer mio”.

venerdì 5 ottobre 2012

Io e mio padre. La storia infinita di chi non può.


Mio padre si faceva le sigarette da solo. I filtri erano roba da ricchi, il Trinciato Forte no. Le sigarette quindi non potevano avere il filtro e mio padre le fumava fino alla fine, infilzandole con un ago rubato alla zia sarta per non bruciacchiarsi le dita. Io mi faccio le sigarette da solo, con il filtro che costa 1 centesimo e mi fa risparmiare 3 centesimi di tabacco. Fumo Blues Verde che è peggio del Trinciato Forte, imbratta le dita di catrame e fa venire una tosse della madonna.
Mio padre si era comprato una Vespa 125 con le cambiali. Io mi comprai la Renault con un finanziamento a tasso zero che alla fine m’è costato più degli interessi sulle cambiali di mio padre. Quando stava per finire la benzina, mio padre scendeva dalla Vespa e la smuoveva un paio di volte a destra e a sinistra per far scendere le ultime gocce nel carburatore. Io, quando incontravo una discesa, andavo a folle e fanculo se i freni non frenavano. Mio padre non andava mai dal barbiere, i capelli glieli tagliava mia madre. Io non vado mai dal barbiere, i capelli me li taglio da solo. Quando mio padre pagava le tasse e i contributi, bestemmiava come un turco del Bosforo. Quando dovevo pagare l’Iva, ero incazzato nero. Quando andava all’ospedale o dal dottore, mio padre non pagava nulla, né la visita né le medicine né i ricoveri. Se io vado dal dottore poi il farmacista mi fa pagare il ticket, al pronto soccorso pago il ticket, le analisi me le danno solo se pago il ticket e ogni volta mi auguro di non morire perché la cremazione costa un fottio. Quando mio padre andava al cinema, con 500 lire, oltre al biglietto, gli ci venivano anche le sigarette, i lupini, un Peroncino, e gli svedesi. Se io vado al cinema pago il biglietto... punto. Mio padre comprava il Messaggero, Topolino, qualche volta L’Espresso. Io i giornali li leggo sul web, non posso permettermeli. Per lavorare mio padre si iscrisse alla Democrazia Cristiana. Io col cazzo che mi iscriverò al Pdl, al Pd, all’Idv, all’Udc, a Sel, a... e infatti sono disoccupato.


giovedì 4 ottobre 2012

Pdl addio? Dirigenti da manicomio criminale, simpatizzanti da carcere duro, festaioli da patibolo. Quello che resta del Partito delle Libertà (loro).

Antonio Piazza

L’ultima in ordine di tempo è di oggi, anche se il fatto in questione è accaduto parecchi giorni fa. Dunque. Antonio Piazza, pidiellino di spicco e presidente dell’Aler di Lecco, una mattina si reca al lavoro a bordo della sua Jaguar. Davanti all’ufficio l’unico posto libero per parcheggiare è quello riservato ai portatori di handicap. Sapete quei posti auto che perfino un cieco vedrebbe così tinti di giallo e pieni di indicazioni orizzontali, verticali, a strapiombo, luminescenti, a volte perfino sonore? Proprio uno di quelli. Il nostro Piazza però ha fretta, deve andare al lavoro, e cercare un posto anche solo qualche metro più in là, non si confà al suo rango. Allora guida la Jaguar fino a fermarsi nel parcheggio riservato. Sfiga vuole che il solo autorizzato a parcheggiare in quel posto, l’automobilista disabile, vede la scena e s’incazza come una iena marocchina in calore. Chiama i vigili urbani che non possono fare altro che spiccare contravvenzione. Apriti cielo. Piazza da fuori di testa. Prima inveisce pesantemente contro i tutori della viabilità cittadina poi, appena i vigili si allontanano, prende un coltello e taglia le gomme dell’auto del disabile. Sfiga delle sfighe, a riprendere la scena del Piazza furioso c’è una videocamera di sorveglianza e non solo, ci sono anche alcuni impiegati dell’Aler che confermano quanto accaduto sotto i loro occhi. Nessuno dice nulla. Tutto tace fino a quando la storia non viene fuori. Antonio O' Spaccatutto si dimette e il Pdl, in un rigurgito di giustizialismo, lo espelle dal partito temendo insurrezioni di piazza, questa volta della piazza vera. Ma voi ce lo vedete Bersani tagliare le gomme a un’auto? Forse una piadina in due da dividere con D’Alema ma pneumatici di un’automobile proprio no. Il nostro amico Frank ci ha detto, sorpreso e schifato, di aver visto al Tg3 le scene delle festicciole suine di Fiorito, quelle con i water in evidenza, defecatio e dissanguamenti (speriamo finti) a gogò. Daccò è stato condannato a dieci anni di galera. Il consiglio regionale della Lombardia ormai è composto da una masnada di inquisiti, quello del Lazio se n’è andato a casa e fra un po’ se ne andrà anche il sindaco Gianni Fascio Alemanno, quello famoso per il remake di “Nevicava a Roma” ma, nonostante tutto, il decreto anticorruzione non passa, la nuova legge elettorale neppure e mezzo governo Monti è tenuto ancora per le palle da noti esponenti dell’ex Popolo delle Libertà (loro). Non vorremmo essere costretti a privarci del nostro dono più caro, ma volete scommettere anche voi i cabasisi che questi truffaldini alle prossime elezioni prenderanno ancora qualche milione di voti? In questo Paese tutto è possibile, magari con l’aiuto della Provvidenza che, a quanto sembra, mantiene ancora una mano sulla testa del Celeste che di dimettersi non ci pensa proprio: prima la pensione.