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venerdì 30 novembre 2012
Qualcosa di personale, ma molto politico.
Per
una volta, mischio un “momento” che riguarda me, con la politica di cui mi
occupo solo sul blog, tenendola rigorosamente fuori dalla vita di tutti i
giorni. E siccome qualcuno mi ha chiesto se sono andato a votare per le
primarie del Pd, rispondo che no, non ci sono andato, contrariamente a quanto
ho fatto per l’elezione del segretario del partito. Le ragioni sono due. La
prima, è che non sottoscrivo nessun patto di fede né di appartenenza di area,
che in fondo è lo stesso motivo per il quale non ho mai avuto una tessera di
partito in tasca. La seconda, è che resto fermamente convinto che votare per chi
fa meno schifo è un vezzo tutto italiano che non mi ha mai convinto né coinvolto. Datemi
qualcuno da votare che incarni il mio modo di essere “soggetto politico”, e
sarò il primo a mettermi in fila. Per il momento non voto più contro qualcuno. Per
lo spazio di un post, permettetemi di parlare della presentazione di due
piccoli libri editi da ArteOnPocket, la casa editrice di Marisa Marconi e
Vittorio Amadio. Due “low cost”, Due passi (3 euro) e Il buio e oltre ancora (4
euro), che affrontano tematiche legate alle dipendenze, all’esistenza e al
razzismo, che hanno riempito (e riempiono) il trascorrere delle giornate, dando
un senso alla mia scrittura e al mio partecipare alla vita. Non parlerò,
quindi, dei 98mila euro che la famiglia Riva (Ilva) ha dato a Bersani per la
sua campagna elettorale, soldi registrati alla Camera, ma che lasciano comunque
l’amaro in bocca. Non parlerò dei pesanti rilievi che la Corte dei Conti ha
fatto a Matteo Renzi, sindaco di Firenze, talmente impegnato nella campagna
elettorale per vincere le primarie, che si è “dimenticato” di rispettare gli
impegni presi con la Corte, anche se per negligenze non sue. Non parlerò dei
577.296 euro di Irap che lo Stato non restituirà a Beppe Grillo perché è stato
respinto il suo ricorso alla Commissione Tributaria. Il Fisco gli ha fatto
presente che non lavora propriamente da solo, che siccome ha persone che
collaborano con lui in maniera coordinata e continuativa, quell’imposta la deve
pagare. Saputo dell’esito negativo del ricorso, sul suo blog il leader del M5S
ha tuonato: “Aboliamo l’IRAP, l’Imposta RAPina che tassa imprese anche in
perdita e penalizza chi ha più lavoratori”. E Beppe ha continuato scrivendo che
nella prossima legislatura, i parlamentati “grillini” si batteranno per
eliminarla. Mi piacerebbe sapere qual è la differenza fra lui e Silvio che
invoca il quarto grado di giudizio per farsi restituire i soldi da De
Benedetti. Ma forse sono troppo ingenuo per darmi una risposta. Mi piacerebbe
parlare, invece, del voto dell’Assemblea Generale dell’Onu che finalmente fa
sedere i palestinesi (anche se come “osservatori” e non ancora “membri”) nel
consesso delle nazioni riconosciute. Del voto a favore dato dal governo
italiano (una delle pochissime buone azioni di questo professorame un po’
demodé) e di come gli israeliani si siano incazzati minacciando guerre e
sommovimenti. Ma non lo faccio, perché questa la ritengo una soddisfazione
intima, da non condividere con nessuno. Parlerò invece della presentazione
delle mie due pubblicazioni di oggi pomeriggio, alle ore 18, al Punto Einaudi
di San Benedetto del Tronto, con Antonella Roncarolo e Enrica Loggi, una
giornalista e una poetessa redattrici di UT, il bimestrale che dirigo.
Come sempre sarà una cosa fra amici, da cantare e suonare in un coro a quattro
voci dispari (con l’aggiunta degli altri due del trio, Francesco e Pier
Giorgio) e un migliaio di libri che renderanno affascinante la scenografia.
Anche questa è una scelta di campo che va contro le logiche “baronali” di chi
conta. Pochi, ma con il sale in zucca. A me la folla, onestamente, fa anche un
po’ paura.
giovedì 29 novembre 2012
Silvio dice “niet”. Niente primarie, fuori gli ex di An, dentro i giovani e... Forza Italia!
Ci
aspettavamo per oggi la notizia della nascita del nuovo soggetto politico
silviesco e, anche se non c’è stata, è come se ci fosse: bella fresca, come le
uova appena sfornate dal culo della gallina. Dopo una giornata da tregenda, con
le linee telefoniche in tilt tra Roma e Arcore, le tre o quattro sinapsi pidielline
rimaste in vita che si agitavano furiosamente, la Meloni in preghiera al Divin
Amore, Bondi in assorta riflessione alla Santa Casa di Loreto, Gianni Letta sul
trespolo e Daniela Santanchè, video collegata fra un cambio di pannolone e l’altro,
la decisione del Capataz è giunta. Alfano è sbottato a piangere, la Meloni,
inferocita, ha cercato di temporeggiare, gli ex di An hanno preparato le
valige, Paolino “Pa” Bonaiuti ha preso carta e penna e scritto le volontà del
Sire che suonano pressappoco così: “Niente primarie. I soldi sono miei, il campo
è mio, è mio pure il pallone e l’arbitro l’ho comprato io. Il 16 dicembre ci
sarà sì un’adunata, ma non per votare il candidato premier. Sarà una convention
per presentare la riedizione riveduta e corretta di Forza Italia”. Le
disposizioni regie continuano con: “Affanculo tutti quelli di Alleanza
Nazionale: lo sguardo di Gasparri terrorizza i bambini e quando parla La Russa,
le nonne sobbalzano sulle poltrone anche durante il pisolino pomeridiano. Affanculo
tutti i vecchi tromboni del Partito delle Libertà: ci vogliono giovani, facce
pulite, nessun professionista della politica, salvo qualche rara eccezione. E poi
bisogna rinnovare il parco macchine dell’Olgettina. Ultimo diktat: la “Porcellum”
non si tocca, devo essere io a scegliere chi gioca e chi no”. Mimmuzzo
Scilipoti, appresa la notizia, è svenuto. Quando si è ripreso, ha sentito in
lontananza la voce della mamma che ripeteva: “Testa di minchia”. Totonno Razzi
ha guardato l’ultima volta l’aula di Montecitorio e, dopo un lungo sospiro, ha
mormorato: “Caz, me toc d’ rfa’ lu muratore”. Roberto Formigoni, provando la
giacca fucsia acquistata per la prossima campagna elettorale, ha mormorato: “A
me che me ne frega? Benedetto prega per il mio futuro. Ci penserà la
provvidenza”. Molti ex della Balena Bianca si stanno riposizionando, chi pensa
che i vari La Loggia, Pisanu, Scajola e ammennicoli vari, rimangano senza posto
di lavoro non ha capito una mazza. C’è il Pierfy pronto ad accoglierli, il
nuovo movimento pro-Monti in fase di crescita e poi, male che vada, c’è sempre
D’Alema disposto a dargli ospitalità fra le sue ampie braccia. Abortite le
primarie del Pdl, data per certa ormai la ridiscesa in campo di Silvio, con l’inevitabile,
sfibrante, campagna elettorale mediatica sulle reti Mediaset, l’Italia si
appresta a rivivere l’incubo del 1994. È vero, molte condizioni sono cambiate,
gli italiani credono meno ai sogni, alle prese come sono con una situazione
drammaticamente seria, ma resta sempre la fascinazione che il Silvio “new-look”
ancora esercita, e una potenza di fuoco da media invidiabile. L’impressione che
abbiamo è quella che Silvio stia giocando le ultime carte di una partita che
finirà solo con lui, con la sua persona, con l’assicurazione della totale
impunità per lui e per la sua famiglia, nei secoli dei secoli. Amen lo metterà qualcun altro.
mercoledì 28 novembre 2012
Lo sconquasso del centrodestra: domani la nuova lista di Silvio. Sallusti, ai domiciliari, querela tutti.
La
bella notizia è che i giornalisti non rischiano più la galera. Nonostante i
forcaioli della Lega, e i salmoni affumicati dell’Api ci avessero provato, il
Senato ha bocciato l’articolo 1 del decreto diffamazione e amen, via con le
pene accessorie, ma niente cella. Lo avevamo scritto ieri, e tanto ci conferma
oggi Alessandro Sallusti in prima persona. Piuttosto che stare nei 920 mq di
Daniela Santanché e di nuotare nella piscina di madreperla leggendo Verlaine,
il direttore del Giornale preferirebbe dimorare a San Vittore. D’altronde Sallusti
ha ragione, non ha chiesto lui gli arresti domiciliari né, tanto meno, ha fatto
richiesta per scontarli in casa della sua compagna “Hanno deciso tutto i
magistrati – ha detto Draculino – perché si vergognano come ladri della
sentenza”. Intanto al telefono di Mattino Cinque, il direttore del Giornale,
novello Silvio Pellico o Adolf se preferite, se l’è presa con l’universo mondo
attaccando nell’ordine: la magistratura, i giornalisti, la politica, la Croce
Rossa, Amnesty International, il WWF, la Caritas e pure il segretario del suo
partito, Angelino Alfano, al quale ha twittato: “Alfano non ha proferito parola
su mio arresto. É questo il leader del futuro partito dei liberali italiani?” A parte lo sbaglio clamoroso dell’accento
sulla “è”, segnale inequivocabile che per fare il direttore del Giornale non
occorre conoscere l’uso della lingua italiana, resta la sensazione che in
questa partita, Sallusti si sia sentito solo, oltretutto svillaneggiato dai tre
quarti dell’informazione, che ha ironizzato non poco su quanto gli sta
accadendo. Così partono querele, la prima è quella di Daniela Santanché che ha
denunciato, per violazione della privacy, La Stampa, Mario Calabresi e il
collega che ha scritto l’articolo sulla sua abitazione descrivendola nei minimi
particolari mentre, così si mormora, sono pronte quelle contro Il Corriere
della Sera, Il Fatto Quotidiano e La Repubblica, tutti, notoriamente, organi d’informazione
vicini al Pcus. C’è una ragione per la quale, però, Alfano non è intervenuto
nell’affaire Sallusti: è impegnato a convincere Silvio di rinnovare con lui il
Pdl. Lo ha detto con le lacrime agli occhi e la voce strozzata dal pianto: “Per
favore, Sire, rinnova il Pdl con noi”. Ma Re Silvio non ha battuto ciglio. Lui continua
per la sua strada, che poi è quella di tentare di riaccreditarsi come il nuovo
che avanza. Lo ha declinato chiaro, Silvio, il suo pensiero: “Gli italiani non
ne possono più di questa politica e di questi politici. Sempre le solite facce,
le solite manfrine, la solita Costituzione che impedisce a un governo eletto
democraticamente dal popolo, di governare facendo quel che cazzo gli pare”. E ha
continuato dicendo: “Occorre gente giovane, bei ragazzi e belle ragazze
vogliose... di politica. Via tutto il vecchio armamentario. Largo al nuovo”.
Ovviamente nel nuovo è ricompreso lui, il premier costretto alle dimissioni da Pierferdinando
Casini che prima gli ha fatto sapere che “fuori tu si può parlare di un’alleanza
con il tuo partito”, e poi ha fatto comunella con i pidini ansiosi di una
benedizione papale. Entro domani, Silvio farà conoscere la sua decisione.
Chiuso ad Arcore, attaccato al palo della lap-dance, ha commissionato ai sondaggisti
una ricerca di mercato basata su una sola domanda: “Volete voi un governo di
comunisti mangiabambini e mangiapreti?” se la risposta dovesse essere “no”,
Silvio è pronto a immolarsi ancora per la patria.
martedì 27 novembre 2012
L’Italia sta affondando. Chiaro, o no?
A
bocce ferme. Istantanea-clic di una situazione allo sfascio. Le tredicesime
saranno tassate, giusto in tempo per pagare il saldo dell’Imu. Gli operai dell’Ilva
(5mila), occupano gli stabilimenti di Taranto e a Genova bloccano l’autostrada.
L’Ocse rivede le sue stime, e fa sapere, agli italiani impegnati a smanichettare
l’Iphone5, che: “I consumi stanno facendo registrare il calo più alto dal
Dopoguerra. La disoccupazione aumenterà anche nel 2013, arrivando a toccare il
12 per cento. Per tenere ancora la barra al centro, occorrerà una manovra
aggiuntiva”. Le fa eco Bankitalia, la quale informa che: “Il 2012 sarà, per le
famiglie italiane, peggio del 2009. I prestiti crollano. I redditi sono in
caduta libera”. Mario Monti detto ‘o Salvatore, questa mattina dice che: “Potremmo
non riuscire a garantire più il sistema sanitario nazionale se non riusciamo a
trovare nuove forme di finanziamento”. E aggiunge, tanto per essere chiaro e
cantare sempre la stessa canzone: “Il momento è difficile, la crisi ha colpito
tutti e ha impartito lezioni a tutti. E il comparto medico non è stato esente
né immune”. Ci verrebbe da chiedergli, perché questo Paese, per anni, invece di
rafforzare il sistema sanitario nazionale, ha preferito delegare servizi e incanalare
fiumi di denaro pubblico alle strutture private. Ma Monti ci risponderebbe che
lui non c’era, ergo... Ci verrebbe da chiedergli, a che pro i miliardi alle scuole
private, mentre quella pubblica affondava. Ma Monti ci risponderebbe che lui
non c’era, ergo... Ci verrebbe da chiedergli perché non ha messo mano ai fondi
destinati alle caste. Ma lui ci risponderebbe che c’era ma dormiva. Per il
resto, è il solito delirio. Renzi si è offerto di pagare di tasca sua lo
scanner per salvare in jpg i verbali delle primarie e pubblicarli on line.
Bella battuta, sindaco, a quando la politica seria? La UE pubblicherà i bandi di concorso pubblici anche in italiano, oltreché in tedesco, inglese e francese. È la più
grande vittoria diplomatica di Mario Monti in Europa da quando è Presidente del Consiglio: meglio che un calcio fra le palle... Attualmente sono aperti, presso
i ministeri del Welfare e dello Sviluppo, 150 tavoli di trattative di aziende
che stanno fallendo e, quindi, chiudendo. La bocciatura da parte del Senato, dell’articolo
1 del ddl sulla diffamazione, costringerà Alessandro Sallusti a trascorrere il
Natale agli arresti domiciliari, a casa di Daniela Santanchè. “Ma forse – starà
pensando il direttore del Giornale – era meglio San Vittore”.
Gente che va,
gente che viene ma l'Italia va, e basta. Perché ormai siamo andati sul serio. E
ora, tutti in fila all’hard-discount, c’è il cenone di Natale da preparare: allertate
le mense della Caritas, si rischia un’affluenza da esodo biblico, o da campo
profughi, come preferite.
lunedì 26 novembre 2012
Primarie del Pd. E ora, per favore, non sporcate tutto.
La
nota positiva c'è. Poco più di tre milioni di elettori, dopo la
crisi di partecipazione degli ultimi tempi, non sono un patrimonio da
disperdere per scazzi. Né interni né esterni. Ammirevole l'aplomb
di Bruno Tabacci: “Ho dato il mio contributo di sangue”, ha detto
subito dopo i risultati l'assessore al bilancio di Pisapia. “Ho
fatto queste primarie con un burka mediatico addosso”, ha chiosato
il suo risultato la signora Puppato. Vendola il poeta, ha declamato
un'altra delle sue poesie, facendo intendere che si schiererà a
favore di uno dei due galletti rimasti, dopo averne tastato, di
persona personalmente, gli umori. Restano loro, i previsti e
prevedibili finalisti: il segretario Pierluigi Bersani e il
contendente rottamatore, Matteo Renzi, l'uomo di sinistra più a
destra che c'è in Italia. Intorno gli scherani, gli ultras, i
partigiani, gli incazzati, gli astiosi, categoria che comprende,
sorprendentemente, anche Rosy Bindi. Che la signora presidente del Pd
fosse diventata addirittura stalinista, non ce lo saremmo mai
aspettato. Ieri sera, incalzata da Paolo Mieli, ha detto chiaramente
che la percentuale raccolta da Matteo Renzi nelle primarie, non
inciderà per niente sul programma-progetto del Partito Democratico.
Che ci sarà un congresso nel quale si vedrà il peso reale del
sindaco di Firenze. Che la democrazia impone a chi perde di accettare
le regole di chi vince. Insomma, per Rosy conta ancora il Komintern,
come se lei lo avesse sempre frequentato e ne sentisse, invadente, la
nostalgia. Il patrimonio da non disperdere, è quello costituito
dall'elettorato di sinistra che, ancora una volta, ha dimostrato una
pazienza tale, nei confronti dei suoi dirigenti, che meriterebbe di
essere aviotrasportato in gita premio alle Maldive, magari con un
cestino da viaggio offerto dalla Coop, a marchio Coop. Si sono visti
tantissimi giovani, vecchi pensionati, casalinghe e pure qualche
impiegato. Non abbiamo visto troppe cravatte e questa, in fin dei
conti, è una nota di merito. Certo, a favore di Bersani c'è
l'apparato del partito, una vera e propria macchina da sommovimento
terra, che quando si sposta riesce a mobilitare anche i combattenti e
reduci della prima guerra mondiale e i grand'invalidi del lavoro. A
favore di Renzi c'è Berlusconi. Il che non è poco. L'ultima di
Silvio è di questa mattina: “Con Renzi potrebbe nascere una grande
forza socialdemocratica”. Da nazifascista a socialdemocratico,
Silvio ha insegnato agli italiani il significato del termine
“camaleontismo”. Nessuno come lui, pur di salvarsi il culo,
sarebbe disposto a prendere in mano una bandiera rossa e dare
l'assalto al Palazzo d'Inverno. Nessuno.
domenica 25 novembre 2012
Primarie a chi?
In
tutta Italia si fibrilla. Per un esito scontato. Comunque vada non
sarà un successo, perché i quattro milioni di elettori di Prodi non
ci sono più, perché (forse) nessuno vincerà al primo turno, perché
(forse) ci sarà il ballottaggio domenica prossima, perché (forse)
non è detto che vinca Bersani. La speranza è che non vinca il
reperto berlusconiano del Pd, per il resto, di grandi differenze non
se ne vedono, tanto meno fra Bersani e Vendola. L'unica apertura di
un certo peso, è quella che il segretario ha fatto in queste ore a
quel che resta dell'Idv. La sola possibile per racimolare qualche
migliaio di voti in più, visto che né Renzi né Vendola amano particolarmente la
compagnia di Pierferdinando Casini. C'è poi da prendere in
considerazione la nuova legge elettorale a “scalare”, come i
punti della Coop, più acquisti fai e più sconti hai; il
supermercato entra così ufficialmente a far parte della Costituzione
italiana per la felicità dei bocconiani marketingettari. Stasera
sapremo come andrà a finire ma, soprattutto, di quale morte morirà
il Pd. Come morirà il Pdl, invece, lo sappiamo. Silvio lo ha detto
ieri a Milanello, fra una carezza a Pato e un buffetto a El Shaarawi,
manco fosse il Papa Giovanni del “discorso della luna”. “Siccome
mi sono allontanato per il bene dell'Italia – ha detto Berlusconi –
e il partito se n'è andato a puttane, ora devo vedere se tornare a
guidarlo in prima persona oppure no”. Aggiungendo: “Voglio una
intesa forte con la Lega. Maroni candidato unico a Governatore
Longobardo mi sta benissimo”. Pronta la risposta di Formigoni,
Alfano, Meloni, Alemanno, Bondi, Bonaiuti, Santanchè: Gasparri non
pervenuto, La Russa assente ingiustificato. Formigoni ha detto:
“Maroni? Candidato di chi?”. Alemanno: “Uscita improvvida”.
Meloni: “Le primarie si devono fare, oggi più che mai”. Bondi:
“Bentornato Dio”. Bonaiuti: “Lo ha detto lui, non io”.
Alfano: “A questo punto me ne vado”. La Santanché: “Allegri
vecchietti, torna il Viagra gratis”. Il Pdl è morto. Alfano è
morto. E Silvio non è che stia tanto bene. Come l'Italia, come
l'Europa anglo-germanica. Come le donne uccise dal primo gennaio a
oggi. Addio, mondo crudele...
sabato 24 novembre 2012
Silvio e il dinosauro. “Lo estrarrò dal cilindro”. Mamma li prestigiatori!
Che
partito, il Pdl! Tutti pronti per le primarie. Tutti sui blocchi di
partenza. Conosciuti o sconosciuti, ma praticamente ricchi, si
contendono le spoglie di una formazione politica che grande fu, salvo
soccombere di fronte alla sua stessa nullità. Si presenta Gianpiero
Samorì, e si scopre che raccoglie le firme per la sua candidatura fra
i pensionati romani, ospiti degli ospizi della Capitale, ai quali
offre un viaggio gratis a Chianciano con tanto di cestino di cibarie.
Si presenta Alessandro Proto, finanziere d'assalto, presunto bello
come un Adone, e nel giro di 24 ore lo indagano per aggiotaggio e
truffa. Lui dice: “Cazzo me ne frega a me! Io mi presento lo
stesso”. Allora Angelino Alfano pronuncia la frase storica: “Non
voglio indagati alle primarie, altrimenti me ne vado”. A
solidalizzare con lui, solo Giorgia Meloni (e tutti gli ex falsi
giustizialisti di An), mentre Vittorio Sgarbi, disgustato, si ritira
e quel maestro di retorica che si chiama Sandro Bondi, da
del”demagogo” al segretario uscente. Silvio sa perfettamente che
la sua creatura, quella nata sul predellino di una Mercedes a Piazza
San Babila, si sta liquefacendo. Travolto dal suo nulla, il Partito
delle Libertà (di Silvio) è un'onda anomala che si è schiantata
sulla risacca e lì si è fermata, incapace di tornare indietro. Lo
ha capito quando ha visto i voltafaccia di coloro che, fino al giorno
prima delle dimissioni, si prostravano senza pudore di fronte a un
simulacro un po' maiale ma, comunque, ancora saldamente al comando.
Lo ha capito quando i processi sono andati in un certo modo. Lo ha
capito quando il suo appeal non ha trovato più sponde e perfino le
Olgettine hanno iniziato a tradirlo. Da genio del marketing qual è,
Silvio sa anche di godere di uno zoccolo (sic!) duro di aficionados
che, se si ripresentasse, lo voterebbero comunque. E allora via
all'immaginazione più sfrenata ed ecco il colpo di scena che
potrebbe andare (letteralmente) in onda, prima del 16 dicembre. Dal
suo cilindro di mago del prosciutto cotto e dell'intimo unisex,
Silvio sta per tirar fuori non un coniglio ma, addirittura un
dinosauro. Quando all'uscita da Palazzo Grazioli, i cronisti gli
hanno chiesto chi diavolo fosse il dinosauro del miracolo, Silvio si
è messo di profilo, il suo nuovo profilo nato dalle mani sapienti di
un mago della chirurgia estetica, che spiccava nel cielo plumbeo del tramonto romano. Sarà ancora lui, il protagonista del
centro-destra. Nonostante quei fascisti di An, nonostante quelli che
lo vorrebbero seppellire nel Mausoleo di Cascella, nonostante quelli
che lo vorrebbero chiuso in una cella a San Vittore, Silvio è
pronto a tornare sulla scena della politica con un soggetto nuovo di
zecca e un pacco di milioni di euro che gli assicurino almeno un
quarto grado di giudizio. Silvio sa che nel centro-sinistra le cose
vanno come vanno. Che Renzi e Bersani litigano per le presenze in
tivvù, per il regolamento delle primarie, per l'assetto del partito,
per il futuro dell'Italia. Litigano su tutto e per tutto mentre Beppe
(Grillo) gongola. Di questo passo il premio di maggioranza se lo
beccherà lui, anche se il mondo finirà nel 2035.
venerdì 23 novembre 2012
Mobilità in scadenza per 160mila impiegati della PA, 70mila della scuola e il governo regala 223 milioni di euro alle scuole private. Quando finirà questa follia?
Susanna
Camusso lo ha detto chiaro e tondo a Monti: “Disinneschi questa bomba sociale”,
aggiungendo: “Stiamo correndo il rischio di assistere a veri e propri
licenziamenti di massa”. Il pericolo c’è, è reale. Lo sa il ministro Patroni
Griffi che sta cercando in tutti i modi di metterci una pezza con il
sottosegretario dell’Economia, Grilli, il quale fa spallucce, glissa,
tergiversa, gigioneggia. Sono 230mila i dipendenti dello stato che, terminato
il periodo di mobilità, corrono il rischio di ritrovarsi a casa andando a
ingrossare le fila dei cassintegrati, dei licenziati tout-court, degli
inoccupati, degli esodati, dei pensionati al minimo, degli studenti incazzati,
degli operai della Fiat ai quali vengono fatti firmare documenti tarocchi dai
capi bastone dell’azienda e di quei milioni di cittadini italiani, ormai senza
più una cittadinanza, alle prese con ticket improbabili, cure mediche
insostenibili, uno stato sociale ridotto a gruviera. Questa è la politica del
rigore merkeliano e cameroniano, dell’asse Londra-Berlino, che in questi giorni
sta cercando di imporre all’Europa un regime dietetico a base di lacrime e
sangue ma senza il sudore, perché il lavoro non c’è più. Monti e Hollande si
oppongono, minacciano di porre il veto al bilancio, ma anche questa ci sembra
una corsa disperata verso il baratro. Tornare sulle ragioni della crisi, di
questa crisi, è ormai diventato un esercizio retorico. L’ex (meno male)
ministro Brunetta, ieri sera da Santoro ha assolto in toto il suo governo “La
colpa è tutta dei tedeschi e della Merkel – ha detto il Nobel dell’Economia in
pectore – se non avessero venduto 9 miliardi di fondi italiani a quest’ora la
canzone sarebbe diversa”. Ovviamente ha taciuto sulle colpe di Silvio ma si sa,
con questi quacquaracquà non si cava un ragno dal buco. L’Italia è una
polveriera. Altro che primarie del Pd e del Pdl, altro che Legge di
de-Stabilità boicottata in continuazione dagli scherani di Silvio, altro che
Decreto Sviluppo, qui si rischia una rivolta senza precedenti perché non sarebbe
solo il proletariato a scatenarla, ma anche altri ceti sociali che fino a ieri
sembrava potessero dormire sonni tranquilli. E tutto sommato non sarebbe un
male, visto che questa classe politica screditata che ci governa, ha tentato un
ennesimo blitz salva-Berlusconi, cercando di introdurre, fra le pieghe del
Decreto Sviluppo, un quarto grado di giudizio per tentare, affidandosi alla
sorte, di far riprendere a Nano Bifronte i soldi che ha dovuto dare all’ingegner
De Benedetti. Ma vi rendete conto? Nel momento in cui 230mila dipendenti (più
le famiglie interessate, ovviamente) dello Stato stanno per essere mandati a
casa, i pidiellini cercano ancora una volta di salvare il culo a
Silvio, altrimenti chi cazzo gliele paga le primarie? E mica finisce qui. Abbiamo
appreso che fuori dalla Legge di Stabilità, e quindi dal normale iter
parlamentare, il governo del Professore si appresta a dare alle scuole private
223 milioni di euro, con la scusante che erano cifre non elargite dal governo
precedente. Ora, a fronte di una scuola pubblica alla deriva, con sedi fuori
norma e personale in rivolta, ancora una volta si è deciso di privilegiare, in
qualche modo, l’istruzione privata che, fatti quattro conti, è costituita
essenzialmente da enti e congreghe cattoliche. Ciliegina sulla torta. Alla
polveriera di cui sopra, si stanno per aggiungere le famiglie dei quattromila
militari italiani malati di cancro. Sembra, ma non c’è prova certa vista l’omertà
che regna nelle alte sfere dell’esercito, che i vaccini dati ai soldati
impegnati nelle missioni “umanitarie”, fossero sbagliati o troppo potenti e somministrati
in dosi ravvicinate. Le famiglie dei militari malati sono state costrette al
silenzio, qualcuna perfino minacciata. Sapete che c’è? La voglia di chiedere
asilo politico a Ahmadinejad sta diventando potente. Meglio l’Iran.
giovedì 22 novembre 2012
E Ken Loach rifiuta il premio del Festival di Torino. “Sto con i licenziati del Museo del Cinema”.
Da
lui te lo aspetti. Az... se te lo aspetti! Premiato dal Torino Film Festival,
Ken Loach ha scritto agli organizzatori dicendo: “No, grazie, non fa per me”. E
ha invitato i responsabili del Museo del Cinema a riassumere i lavoratori
licenziati dopo aver esternalizzato i servizi e, quindi, pagando i dipendenti
con salari bassissimi. Ken Loach (insieme a Mike Leigh) è stato il fustigatore
della politica di macelleria sociale della Signora Tatcher alla quale, in più
di una occasione, si rifiutò di stringere la mano. In quei tempi, mettersi
contro la Lady di Ferro, ispiratrice del modello berlusconiano, significava
mettersi contro il potere assoluto con il quale era governata l’Inghilterra. Ken
Loach lo fece lo stesso e anzi, girò una serie di film, soprattutto Bread and
Roses e Paul, Mick e gli altri che sputtanarono agli occhi del mondo la follia
economica del Primo Ministro inglese, dimostrando, quasi scientificamente, il
genocidio culturale di tre generazioni di giovani britannici. Su Ken Loach
abbiamo scritto saggi, in uno lo abbiamo addirittura preso a modello di “immagini
etiche”, e inserito i suoi film in molte delle rassegne e dei festival
cinematografici che abbiamo ideato e realizzato. Land and Freedom e Carla’s
Song, restano a tutt’oggi due capolavori, così come tutta la sua produzione non
può essere certo accusata di “cinepanettonismo”. Per cui non ci sorprende affatto la
decisione con la quale ha deciso di non accettare il premio che il TFF gli ha
assegnato per questa edizione. E lo ha fatto a modo suo, con una lunga lettera
indirizzata agli organizzatori, nella quale ha spiegato le ragioni del suo
rifiuto. Emblematica la parte finale del messaggio: “Come potrei – scrive Ken
Loach – non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori
che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare
il premio e limitarmi a qualche commento critico, sarebbe un comportamento debole
e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le
nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo
costretto a rifiutare il premio”. È un po’ quello che avviene in Italia, dove
un regista, pur di inserire un premiuccio qualsiasi nel suo palmares,
venderebbe mamma, babbo e pure un paio di nipoti. I figli no, quelli so’ piezz’
e’ core.
mercoledì 21 novembre 2012
Tabù informazione per il Medio Oriente. Chi disturba il manovratore viene censurato.
Se
c’è un argomento che va trattato con guanti di pile è il Medio Oriente. Per quanto
ci riguarda, avendo visto molto da vicino, qualche tempo fa, qual è la realtà
vera e non quella raccontata pro domo di qualcuno dai giornali e dalle
televisioni, il rischio che potremmo correre è lo stesso di Piergiorgio
Odifreddi, che si è visto censurare, non da Maurizio Belpietro, ma da Ezio
Mauro, il post che aveva scritto sulla situazione attuale di quella travagliata
parte del mondo. Il che, se ci permettete, la dice lunga su quanto la lobby
ebraica italiana conti anche dentro laRepubblica di Carlo De Benedetti. La
nostra posizione è nota. L’abbiamo scritta in decine di post e riaffermata in
interminabili discussioni con amici, parenti e semplici conoscenti. Lontani
anni luce da qualsiasi pratica anti-ebraica, abbiamo sempre dichiarato senza
peli sulla lingua né calli sulle dita, il nostro anti-sionismo. A chi non
capisce la differenza, e sono in molti, rimandiamo l’approfondimento dell’argomento
ai libri di storia o, più semplicemente, a Wikipedia: non sia mai che il
contatto con la carta causi qualche fastidiosa allergia. Incomprensibile l’atteggiamento
di Ezio Mauro e, soprattutto, schizofrenico e fastidioso il ragionare con due
pesi e due misure quando si parla di Iran e quando di parla di Israele. Se è
vero che nel caso di Ahmadinejad i giornalisti di Repubblica (e dell’Espresso)
hanno potuto fare tranquillamente ricorso alla reductio ad Hitlerum, senza che
nessuno si scandalizzasse più di tanto, lo stesso non si può dire per il rapporto
matematico di Piergiorgio Odifreddi fra i soldati israeliani uccisi e i
palestinesi bombardati, ben più alto dell’ormai famigerato 1 a 10 di nazistica
memoria. Guai paragonare la politica di Netanyahu a quella del Terzo Reich, perché
il rischio di essere lapidati è altissimo. Che poi Odifreddi ribadisca che
quella sionista è una specie di vendetta per la shoa, messa in pratica contro il
popolo palestinese è una vera e propria bestemmia da punire con la censura.
Resta, incontrovertibile, il fatto che a Gaza si muore. Che sotto i
bombardamenti periscono donne e bambini, vecchi e paraplegici. Che gli stermini,
da Sabra e Chatila in avanti, sono diventati anche strumenti di propaganda elettorale,
visto che i responsabili sono stati addirittura promossi primi ministri. Pensavamo,
noi poveri illusi, che il giornalismo fosse ancora un lavoro che permettesse di
informare. Lo è, basta non calpestare interessi di parte o ideali altri, basta
non dire la verità né disturbare il manovratore, soprattutto se ha i nervi
scoperti.
martedì 20 novembre 2012
Gli operai dell’Alcoa contestano Bersani, i dipendenti comunali, Renzi. La scuola scende in piazza. Ma questo Pd, con chi sta?
La
domanda sorge spontanea: il Pd di Bersani e di Renzi difende gli interessi di
quale classe sociale? Non ci si risponda “tutte” perché questo era bravissima a
farlo la Democrazia Cristiana. Le brutte copie non ci interessano. La “sinistra”,
per propria costituzione ideale, dovrebbe stare dalla parte dei “deboli”, e
quando diciamo “deboli” non ci riferiamo a nessuna visione romantica della
politica. Se da una parte c’è il capitale e, quindi, la ricchezza, dall’altra
ci sono le classi più svantaggiate, quelle con meno potere contrattuale
economico e sociale, quelle che hanno bisogno del welfare per tirare a campare,
ma, soprattutto, per dimostrare che in un paese civile, tutti i cittadini hanno
uguali diritti e doveri di fronte a un’entità sempre più astratta che si definisce
“Stato”. Si chiama democrazia e non ha bisogno di alcun aggettivo, basta la
parola. Ecco allora che la contestazione degli operai dell’Alcoa a Bersani,
appena sbarcato in Sardegna per le primarie del Pd, e quel termine terribile
che gli hanno urlato, “traditore”, assume un significato simbolico altissimo
perché si può riferire solamente al tradimento pidino della sua componente
storica più importante: la classe operaia. Per più di venti anni, la dirigenza
politica di questo paese ha considerato gli operai come i latifondisti degli
Stati Uniti del Sud i neri che raccoglievano cotone: schiavi. La definizione “tuta
blu”, era quasi un insulto, a fronte delle ricchezze che maturavano grazie all’evasione
fiscale e ai derivati tossici di una finanza spietata. Le “tute blu” non potevano
permettersi due Iphone, versione bianca e nera, perché dovevano tirare a
campare in una nazione che svuotava il welfare e andava ad arricchire le
cricche, i maggiordomi e le mignotte con tanto di autorizzazione al mercimonio
di mamma e papà. E, tanto perché ci si trovava (sempre la classe dirigente di
questo Paese), ha considerato gli stessi insegnanti della scuola pubblica al
pari delle tute blu, un orpello ideologico sinistrorso e, quindi, da combattere,
meglio, da abbattere. In piena crisi globale, ci si è resi conto che la finanza
aveva fallito, che il prestigio delle scuole e delle università private era più
che altro un lusso e non un’esigenza di crescita reale delle giovani
generazioni, e che il sogno di arricchimenti facili era naufragato in una sala
Bingo. Via via sono scemati, uno dopo l’altro, i concetti di lavoro inteso come
“valore” e di istruzione intesa come “crescita”, individuale e collettiva. Da distruggere
restava solo la cultura che, da sola, poteva in qualche modo sopperire alla
mancanza di sensibilità sociale e alla crescita irrefrenabile di un modello di
sviluppo economico aberrante, basato sulla sopraffazione. Detto, fatto. Con la
scusa della crisi, la cultura l’hanno gettata nel cestino dei rifiuti, proprio come
si fa in un paese dittatoriale qualsiasi, per paura che il popolo riprenda a
pensare e, quindi, a ribellarsi. Il risultato di questa sistematica opera di
demolizione di più mondi, è sotto gli occhi di tutti, si chiama povertà e non
vergogniamoci di dirlo. Non risulti strano, infine, che gli operai dell’Alcoa
diano del “traditore” a Bersani né che gli impiegati del Comune di Firenze,
contestino Matteo Renzi in pieno consiglio comunale. I pidini, per anni hanno
chiuso gli occhi, per anni hanno condiviso un andazzo politico che ha difeso
solo i privilegi della casta, puntando dritta al centro moderato una barra
politica senza senso e senza più timoniere. Chi semina vento raccoglie una
tempesta di insulti, che è sempre troppo poco rispetto ai guasti che ha causato.
lunedì 19 novembre 2012
Pensionati alla convention di Samorì a loro insaputa: “Ma dov’è la onlus che dovevamo visitare?”
Il
vezzo permane. Immoto. Memori delle “vacche di Fanfani”, e dei contadini della
Coldiretti autotrasportati di peso ai comizi della Balena Bianca, quelli del
Pdl hanno pensato di rinverdirne i fasti e allora, via a centinaia di
pensionati, prelevati a loro insaputa dalle case di riposo, trasportati
praticamente di peso a far numero nei comizi dei destrorsi. A Milano impera la
Santanché. La sua Villa Serena è sempre presente quando si tratta di inneggiare
a Silvio. Ricordate i quattro vecchietti un po’ rinco che stazionavano davanti
al tribunale di Milano ogni (rara) volta che Silvio si degnava di andare a un
dibattimento? Ebbene, erano le truppe cammellate di Danielona. Lei andava in
ospizio, gli faceva un po’ di moine promettendogli chissà quali gioie terrene e
i vecchietti, ringalluzziti e parecchio allupati, la seguivano in capo al
mondo. La stessa cosa deve essere successa alla convention di Chianciano di
Gianpiero Samorì, berlusconiano doc e fondatore del Mir (Moderati Italiani in
Rivoluzione). Ad un certo punto, gli organizzatori si sono visti arrivare tre
pullman pieni di vecchietti che, scesi, si guardavano intorno felici di essere
stati portati a una festa. Viaggio gratis, cestino da viaggio gratis e in più
tanta bella gnocca, gli anziani delle tre case di riposo di Roma si sono
guardati e si sono detti: “Vuoi vedere che oggi si tromba?” E mentre i
vecchietti andavano alla ricerca dell’ultima occasione sexy della loro
esistenza, le coetanee, rosario in mano, snocciolavano tutti i sacri misteri
chiedendosi ripetutamente: “Ma noi che ci facciamo qui?” Lo scopo era chiaro, riempire
di gente l’obiettivo delle telecamere e far firmare, a loro insaputa, ai
pensionati, il modulo per la presentazione di Samorì alle primarie del Pdl. Chi
è avvezzo alle usanze della politica sa che spesso più della metà della gente
presente ai comizi non sa cosa diavolo ci fa li, in quel momento, magari in
compagnia di Gnazio La Russa. Ve le ricordate le manifestazioni pro-Silvio a
Roma? Quelli che venivano intervistati, guardavano con lo sguardo perso il
giornalista di turno, non sapendo spiegare né come né perché si trovassero in
quel momento a Piazza del Popolo. Mitico Scilipoti quando abbandonò l’Idv, per
dare una mano a Silvio a fracassare definitivamente l’Italia: assoldò una
squadra di nullafacenti extracomunitari per farli stazionare nelle vie laterali di
Montecitorio, con in mano uno striscione imbarazzante sul quale era scritto: “Scilipoti
Libertà”. Alla domanda: “Ma lo sapete chi è Scilipoti?” I ragazzotti risposero:
“No, ci hanno dato 50 euro per stare qui con questo striscione e noi ci stiamo,
la cena almeno è assicurata”. La politica di questi anni è fatta essenzialmente
di comparse. Consapevoli o incoscienti, uomini e donne continuano a prestarsi a
giochi apparentemente innocui, per un tozzo di pane e una gita fuori porta. La
fregatura inizia quando le comparse siedono anche in Parlamento, perché in quel
posto non si accontentano del “gettone di presenza”, ma vogliono molto di più.
Almeno 100mila euro per giocare ai videopoker.
domenica 18 novembre 2012
L’Italia contesta i “montiani”: tira un’ariaccia!!!
La
madre di tutte le contestazioni resta sempre quella a Sora Elsa. La professoressa,
povera donna, non ne azzecca una. Quello che lei definisce come semplice,
anglosassone, humour, altro non è che un modo di difendersi dal mare di idiozie
che proferisce praticamente a ogni piè sospinto. L’ultima perla è stata quella
con i malati di Sla ma prima, Sora Elsa nostra, non si era fatta mancare nulla.
Ormai le sue battute, o quelle che lei reputa tali, stanno facendo il giro del
mondo in poche ore e senza traduzione, visto che per sembrare più à la page, le
fa direttamente in inglese. Poi è arrivata la Severino. Anche lei, povera
donna, si è talmente calata nel ruolo di Ministro dell’Interno che, pur di
difendere e giustificare l’operato dei suoi subalterni, inventa le storie più
fantasiose, ricordandoci che viviamo in Italia, il paese il cui un missile è
stato fatto passare, per anni, per un cedimento strutturale. Contestata a Roma,
contestata a Rimini, la Severino si sta rendendo conto di cosa significhi
occupare un ruolo delicato dentro una compagine che sta segnando il
passo proprio in termini di diritti democratici. Sembra quasi che dopo l’interregno
di Scajola al Viminale (e i fatti di Genova, della Val Susa, del Dal Molin di
Vicenza, dei terremotati aquilani randellati a Roma), l’ordine pubblico si
possa mantenere solo a manganellate, proprio come in Grecia, in Spagna e in
Francia. Ieri, poi, è toccato a Mario Monti. A casa sua. Alla Bocconi, il
marketingificio italiano. Il Professore era andato a presentare il suo ultimo libro
dall’emblematico titolo: “La democrazia in Europa”, scritto con Silvye Goulard.
Un centinaio (riportano le fonti di informazione) di giovani manifestanti, si
sono fatti trovare davanti alla sede dell’università, dove hanno esposto cartelli
con la scritta: “Un anno di Monti, austerity, precarietà e manganellate. Auguri”.
I poliziotti non l’hanno presa bene. Hanno negato la possibilità ai ragazzi di
raggiungere il luogo della conferenza e reagito, ancora una volta, con le botte
e i lacrimogeni. Ormai basta che dici: “Non sono d’accordo” e il minimo che ti
possa capitare è quello di prenderti tre punti in testa (lo standard per una
buona randellata andata a segno), una decina di calci caduto a terra, e devi
pregare iddio che il poliziotto nervoso non sia nei paraggi, perché sennò ti
prendi pure una sfollagentata in faccia, e addio alle protesi! A un certo punto, Monti
è sgattaiolato da un’uscita di servizio per perdersi nel traffico di una Milano
che si sono bevuti tutti, indistintamente, per anni. Appresa la notizia, è
arrivato immediatamente il messaggio di solidarietà di Luca Cordero di
Montezemolo (a Roma per la convention di “Italia Futura”), il quale ha
finalmente chiarito le sue intenzioni: costituire la base elettorale per la
riconferma di Mario Monti premier. Con lui, e non potrebbe essere altrimenti,
Fini e Casini. Per cotanto trio le porte di un roseo avvenire si apriranno
sicuramente, magari partendo da una copertina su Vanity Fair.
sabato 17 novembre 2012
Crolla la fiducia nel Governo Monti. E dal Ministero della Giustizia piovono lacrimogeni.
La
situazione è questa. In un anno di governo commissariale del Paese, la
compagine guidata da Mario Monti è scesa, nel gradimento popolare, del 35 per
cento. Peggio di tutti, Sora Elsa che solo il 28 per cento degli italiani gradisce.
Mario Monti ha terminato, proprio come il Pdl, il suo viaggio terreno. Lo
aspettano Manitù e i verdi pascoli del cielo dove, non sarà un caso, sono già pronti
gli esodati, i suicidati, i cassintegrati, i giovani disperati, i pensionati
vessati e i perseguitati da Equitalia con in mano un sanpietrino di
benvenuto. L'unico che regge è solo il premier in persona personalmente perché,
nonostante tutto, un minimo di credibilità internazionale, ce l’ha ridata. Ma è
troppo poco, quasi nulla, di fronte a una nazione ridotta allo stremo nella
quale un capogruppo qualsiasi, di un qualsiasi partito, in un qualsiasi consiglio regionale, si fotte
700mila euro di denaro pubblico e ne spende 100mila per giocare ai videopoker.
Siamo tutti un po’, parecchio, stanchi di trascorrere le giornate cercando di
sbarcare un lunario che, ci venisse il padreterno, non ha nessuna intenzione di
farsi sbarcare. Allora meglio sbracare e votare, per chi... non si sa, ma almeno
gli eletti non potranno nascondersi dietro il termine “tecnico”. E poi,
diciamola tutta, di personaggi che permettono ai tutori delle forze dell’ordine
di gettare sui manifestanti, dall’alto del Ministero di Giustizia, lacrimogeni
a strappo, non sappiamo che farcene, anzi, meglio liberarsene subito. Questo è
il Paese nel quale di un DC9 dell’Ati, buttato giù da un razzo francese, si è
detto che era precipitato per un guasto interno. Ci sono voluti più di vent'anni
per ristabilire la verità. Non vorremmo che ne occorressero altri 20 per
smentire la fantasiosa ipotesi che i lacrimogeni lanciati dal Ministero, non
sono stati lanciati dalla sede dello stesso ministero, ma erano spezzoni di
quelli utilizzati a terra dalla polizia. Che poi nel cortile interno sia stata
ritrovata la linguetta dello strappo fa nulla, la prima ipotesi è quella che
conta, come la risposta ai telequiz. Due cose, comunque, sono certe: si voterà
prima e ci sarà l’election-day. Il Pdl è contento, Grillo e il Pd meno. Casini
è “quasi” contento (ti pareva!) e Zingaretti urla allo scempio. Comunque vada,
sarà una tragedia. Buona domenica, italiani.
venerdì 16 novembre 2012
Alfano: “Niente regionali a febbraio”. I pidiellini temono la catastrofe e le donne del M5S il burqa.
Altra
perla silviesca: “Marina è come me nel 1994”. Per chi ancora non lo avesse
capito a succedere al padre sarà la figlia: altro che Alfano, la Santanchè,
Bondi, Paolino Pa Bonaiuti o, men che meno, qualche ex aennino. Silvio ha
deciso, lui paga, lui sceglie il campo, l’arbitro e porta pure il pallone e una
confezione famiglia di Ace, così nessuno potrà dire che il Capo è avaro. Nuvole
nere, anzi, bionde, sul Pdl. Marina sta arrivando portandosi appresso una dote
economica niente male, quasi quanto quella dello sputtanamento derivante dal
cognome che porta. Ma questa è una sottigliezza. E allora, anche per prepararle
il terreno mediatico-organizzativo, il Pdl non si può permettere un’altra
débacle stile Sicilia. A loro occorre tempo per rimettere in piedi una macchina
elettorale che si possa definire tale e le regionali, date ormai per febbraio,
rappresentano un possibile shock da evitare come la peste bubbonica. Allora,
contrariamente a quanto hanno fatto (in combutta con i loro confratelli
quacquaracquà della Lega) negli ultimi venti anni, oggi invocano l’election-day
per motivi di risparmio. Ma che vi venga un bene! Avete sperperato milioni di
fondi pubblici per tenere le elezioni una rigorosamente separata dall’altra e
ora, per paura di raggiungere una percentuale da prefisso telefonico, fate i
moralizzatori? Ma quelli del Pdl, a breve tutelati dal WWF, sono fatti così, si
sentono come i dinosauri e stanno cercando di salvare quello che resta di un regno
animale (con tutto il rispetto per tutti gli animali del mondo), in avanzato stato di estinzione. Paura per paura, ci pensate cosa accadrebbe se si
decidesse di anticipare anche le elezioni politiche? Povere astanterie degli
ospedali, sarebbero esaurite fino all’inverosimile, un sold-out da concerto di
Eric. I pidiellini, pur di non votare ora, sono disposti perfino a causare una
crisi di governo o, almeno, la minacciano, incapaci come sono di prendere atto
che il loro percorso terreno è finito e che l’aldilà non gli riserverà
sicuramente una calda accoglienza. In tutto questo casino, che Matteo Renzi
analizzerà con il suo acume da statista nella tre giorni della “Leopolda”, c’è
da dire che il movimento di Grillo brilla sempre più per democrazia,
tolleranza, disponibilità, accoglienza, mutualità e fratellanza. Sapete come i
grillini doc hanno chiamato Federica Salsi, rea di una presenza a Ballarò?
“Puttana”. E sapete cosa ha sentenziato Beppe sul suo blog circa le manifestazioni
di affetto che Federica ha ricevuto a Bologna? “Il M5S non si cura
dell’applausometro”. Ora. Vabbé che i partiti sono tutti incasinati e che un
po’ di ordine e disciplina non guasta, ma non ti sembra eccessivo, caro Beppe,
ricorrere alla istigazione mediatica
alla fustigazione e inveire contro quei dirigenti che hanno contribuito a
rendere grande il tuo movimento? Un po’ di dialogo no, vero? Ma tanto a che
serve, secondo il tuo guru, il mondo finirà nel 2035, poi, chi se ne frega!
giovedì 15 novembre 2012
Il paese dei manganelli. E non è un’operetta.
Si
picchia. Tu dici: “Io protesto”. Il solerte pol-carabiniere risponde: “Sti cazzi! E io ti
meno”. Prima Scelba (che però faceva sparare ad altezza d’uomo), poi Genova, l’Italia
sembra essere diventato un paese in cui se protesti, se scendi in piazza a
reclamare i tuoi diritti, se porti in mano un cartello in cui dai dell’ “affamatore”
a chi ti governa, passi immediatamente per un pericoloso bolscevico
intenzionato a dare l’assalto al Palazzo d’Inverno. E così come a Genova i
tutori dell’ordine pubblico arrivarono a picchiare una suora, ieri a Roma, a
Bologna, a Torino, a Napoli e in altre decine di città italiane, si sono
divertiti a menare ragazzini imperbi, contestatori un po’ fuori di testa,
semplici passanti che non c’entravano un cazzo con quanto stava accadendo. Il
fatto è che ai “pericolosi veri” non si avvicinano mai, lo sanno i Black-Block,
lo sanno gli anarchici insurrezionalisti con il casco in testa, lo sanno i
camorristi e anche i mafiosi (ma loro non sfilano... di solito). Ma che paese è
quello che permette ai tutori dell’ordine pubblico di menare a chiunque gli
capiti a tiro di randello? Vabbé che il capo della polizia si chiama
Manganelli (per la serie, “un nome, una storia”), ma è proprio indispensabile
festeggiarlo ogni giorno, come se fosse il suo compleanno, agitandolo in aria e
facendolo poggiare su teste e corpi inermi? È da un po’ che i reparti speciali
di carabinieri e poliziotti menano. Lo disse Berlusconi, no? “Da oggi
tolleranza zero con ogni tipo di corteo. I manifestanti sono volgari, puzzano,
imbrattano, fuorviano, disinformano, vandaleggiano. Per cui, botte e acqua
fresca”. Sarà forse questa la ragione per la quale in Parlamento non si riesce
ancora a varare una norma contro la tortura? Sarà forse questa la ragione per
cui l’Italia rientra da anni nell’albo d’oro di Amnesty International dei paesi
nei quali la si pratica? Ci è capitato di prendere parte a manifestazioni “nervose”.
Ai nostri tempi c’erano gli Autonomi. Con loro non si scherzava mica! L’impressione
è che avessero studiato i manuali di guerriglia, e che la teoria appresa
durante lunghe notti trascorse sui libri, la applicassero paro paro nei cortei
e nelle manifestazioni di piazza. I telegiornali di ieri hanno riferito di
gruppi di giovani in assetto da guerriglia urbana, e la cosa non ci ha turbato più
di tanto anche se, a distanza di tempo, ormai le forze dell’ordine dovrebbero
aver imparato a isolarli. Invece niente. Ai ragazzi con i caschi, i randelli e
gli scudi non viene torto un capello, a quelli che la mamma gli ha stirato i
jeans la mattina, gli viene spaccata tranquillamente la testa: punirne uno per
educarne cento. E così, la macchina della disinformazione si mette in moto. Non
si parla dei problemi per cui gli studenti e gli operai (finalmente insieme),
hanno deciso di scendere in piazza, si glissa sulle ragioni vere dello
sciopero, si da dei contestatori un’immagine che, spesso, non corrisponde al
vero. Ma questo non doveva essere un governo tecnico composto da professoroni
democratici? Ce li immaginiamo, cotanti professori, in aula, con gli studenti.
Se uno si distrae che fanno, lo mandano dal preside? O lo fanno inginocchiare
con i ceci secchi sotto le ginocchia?
Piccola
nota per i distratti. Noi lo abbiamo scritto nei giorni scorsi che Silvio sta
per incoronare Marina. Apprendiamo dai giornali che nel Pdl sono terrorizzati e
il titolo che spicca questa mattina è: “La
paura dei colonnelli del Pdl. Silvio vuole lanciare la figlia Marina”. Ma va!
Ma va la?
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