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venerdì 30 novembre 2012

Qualcosa di personale, ma molto politico.

Per una volta, mischio un “momento” che riguarda me, con la politica di cui mi occupo solo sul blog, tenendola rigorosamente fuori dalla vita di tutti i giorni. E siccome qualcuno mi ha chiesto se sono andato a votare per le primarie del Pd, rispondo che no, non ci sono andato, contrariamente a quanto ho fatto per l’elezione del segretario del partito. Le ragioni sono due. La prima, è che non sottoscrivo nessun patto di fede né di appartenenza di area, che in fondo è lo stesso motivo per il quale non ho mai avuto una tessera di partito in tasca. La seconda, è che resto fermamente convinto che votare per chi fa meno schifo è un vezzo tutto italiano che non mi ha mai convinto né coinvolto. Datemi qualcuno da votare che incarni il mio modo di essere “soggetto politico”, e sarò il primo a mettermi in fila. Per il momento non voto più contro qualcuno. Per lo spazio di un post, permettetemi di parlare della presentazione di due piccoli libri editi da ArteOnPocket, la casa editrice di Marisa Marconi e Vittorio Amadio. Due “low cost”, Due passi (3 euro) e Il buio e oltre ancora (4 euro), che affrontano tematiche legate alle dipendenze, all’esistenza e al razzismo, che hanno riempito (e riempiono) il trascorrere delle giornate, dando un senso alla mia scrittura e al mio partecipare alla vita. Non parlerò, quindi, dei 98mila euro che la famiglia Riva (Ilva) ha dato a Bersani per la sua campagna elettorale, soldi registrati alla Camera, ma che lasciano comunque l’amaro in bocca. Non parlerò dei pesanti rilievi che la Corte dei Conti ha fatto a Matteo Renzi, sindaco di Firenze, talmente impegnato nella campagna elettorale per vincere le primarie, che si è “dimenticato” di rispettare gli impegni presi con la Corte, anche se per negligenze non sue. Non parlerò dei 577.296 euro di Irap che lo Stato non restituirà a Beppe Grillo perché è stato respinto il suo ricorso alla Commissione Tributaria. Il Fisco gli ha fatto presente che non lavora propriamente da solo, che siccome ha persone che collaborano con lui in maniera coordinata e continuativa, quell’imposta la deve pagare. Saputo dell’esito negativo del ricorso, sul suo blog il leader del M5S ha tuonato: “Aboliamo l’IRAP, l’Imposta RAPina che tassa imprese anche in perdita e penalizza chi ha più lavoratori”. E Beppe ha continuato scrivendo che nella prossima legislatura, i parlamentati “grillini” si batteranno per eliminarla. Mi piacerebbe sapere qual è la differenza fra lui e Silvio che invoca il quarto grado di giudizio per farsi restituire i soldi da De Benedetti. Ma forse sono troppo ingenuo per darmi una risposta. Mi piacerebbe parlare, invece, del voto dell’Assemblea Generale dell’Onu che finalmente fa sedere i palestinesi (anche se come “osservatori” e non ancora “membri”) nel consesso delle nazioni riconosciute. Del voto a favore dato dal governo italiano (una delle pochissime buone azioni di questo professorame un po’ demodé) e di come gli israeliani si siano incazzati minacciando guerre e sommovimenti. Ma non lo faccio, perché questa la ritengo una soddisfazione intima, da non condividere con nessuno. Parlerò invece della presentazione delle mie due pubblicazioni di oggi pomeriggio, alle ore 18, al Punto Einaudi di San Benedetto del Tronto, con Antonella Roncarolo e Enrica Loggi, una giornalista e una poetessa redattrici di UT, il bimestrale che dirigo. Come sempre sarà una cosa fra amici, da cantare e suonare in un coro a quattro voci dispari (con l’aggiunta degli altri due del trio, Francesco e Pier Giorgio) e un migliaio di libri che renderanno affascinante la scenografia. Anche questa è una scelta di campo che va contro le logiche “baronali” di chi conta. Pochi, ma con il sale in zucca. A me la folla, onestamente, fa anche un po’ paura.

giovedì 29 novembre 2012

Silvio dice “niet”. Niente primarie, fuori gli ex di An, dentro i giovani e... Forza Italia!

Ci aspettavamo per oggi la notizia della nascita del nuovo soggetto politico silviesco e, anche se non c’è stata, è come se ci fosse: bella fresca, come le uova appena sfornate dal culo della gallina. Dopo una giornata da tregenda, con le linee telefoniche in tilt tra Roma e Arcore, le tre o quattro sinapsi pidielline rimaste in vita che si agitavano furiosamente, la Meloni in preghiera al Divin Amore, Bondi in assorta riflessione alla Santa Casa di Loreto, Gianni Letta sul trespolo e Daniela Santanchè, video collegata fra un cambio di pannolone e l’altro, la decisione del Capataz è giunta. Alfano è sbottato a piangere, la Meloni, inferocita, ha cercato di temporeggiare, gli ex di An hanno preparato le valige, PaolinoPaBonaiuti ha preso carta e penna e scritto le volontà del Sire che suonano pressappoco così: “Niente primarie. I soldi sono miei, il campo è mio, è mio pure il pallone e l’arbitro l’ho comprato io. Il 16 dicembre ci sarà sì un’adunata, ma non per votare il candidato premier. Sarà una convention per presentare la riedizione riveduta e corretta di Forza Italia”. Le disposizioni regie continuano con: “Affanculo tutti quelli di Alleanza Nazionale: lo sguardo di Gasparri terrorizza i bambini e quando parla La Russa, le nonne sobbalzano sulle poltrone anche durante il pisolino pomeridiano. Affanculo tutti i vecchi tromboni del Partito delle Libertà: ci vogliono giovani, facce pulite, nessun professionista della politica, salvo qualche rara eccezione. E poi bisogna rinnovare il parco macchine dell’Olgettina. Ultimo diktat: la “Porcellum” non si tocca, devo essere io a scegliere chi gioca e chi no”. Mimmuzzo Scilipoti, appresa la notizia, è svenuto. Quando si è ripreso, ha sentito in lontananza la voce della mamma che ripeteva: “Testa di minchia”. Totonno Razzi ha guardato l’ultima volta l’aula di Montecitorio e, dopo un lungo sospiro, ha mormorato: “Caz, me toc d’ rfa’ lu muratore”. Roberto Formigoni, provando la giacca fucsia acquistata per la prossima campagna elettorale, ha mormorato: “A me che me ne frega? Benedetto prega per il mio futuro. Ci penserà la provvidenza”. Molti ex della Balena Bianca si stanno riposizionando, chi pensa che i vari La Loggia, Pisanu, Scajola e ammennicoli vari, rimangano senza posto di lavoro non ha capito una mazza. C’è il Pierfy pronto ad accoglierli, il nuovo movimento pro-Monti in fase di crescita e poi, male che vada, c’è sempre D’Alema disposto a dargli ospitalità fra le sue ampie braccia. Abortite le primarie del Pdl, data per certa ormai la ridiscesa in campo di Silvio, con l’inevitabile, sfibrante, campagna elettorale mediatica sulle reti Mediaset, l’Italia si appresta a rivivere l’incubo del 1994. È vero, molte condizioni sono cambiate, gli italiani credono meno ai sogni, alle prese come sono con una situazione drammaticamente seria, ma resta sempre la fascinazione che il Silvio “new-look” ancora esercita, e una potenza di fuoco da media invidiabile. L’impressione che abbiamo è quella che Silvio stia giocando le ultime carte di una partita che finirà solo con lui, con la sua persona, con l’assicurazione della totale impunità per lui e per la sua famiglia, nei secoli dei secoli. Amen lo metterà qualcun altro.

mercoledì 28 novembre 2012

Lo sconquasso del centrodestra: domani la nuova lista di Silvio. Sallusti, ai domiciliari, querela tutti.

La bella notizia è che i giornalisti non rischiano più la galera. Nonostante i forcaioli della Lega, e i salmoni affumicati dell’Api ci avessero provato, il Senato ha bocciato l’articolo 1 del decreto diffamazione e amen, via con le pene accessorie, ma niente cella. Lo avevamo scritto ieri, e tanto ci conferma oggi Alessandro Sallusti in prima persona. Piuttosto che stare nei 920 mq di Daniela Santanché e di nuotare nella piscina di madreperla leggendo Verlaine, il direttore del Giornale preferirebbe dimorare a San Vittore. D’altronde Sallusti ha ragione, non ha chiesto lui gli arresti domiciliari né, tanto meno, ha fatto richiesta per scontarli in casa della sua compagna “Hanno deciso tutto i magistrati – ha detto Draculino – perché si vergognano come ladri della sentenza”. Intanto al telefono di Mattino Cinque, il direttore del Giornale, novello Silvio Pellico o Adolf se preferite, se l’è presa con l’universo mondo attaccando nell’ordine: la magistratura, i giornalisti, la politica, la Croce Rossa, Amnesty International, il WWF, la Caritas e pure il segretario del suo partito, Angelino Alfano, al quale ha twittato: “Alfano non ha proferito parola su mio arresto. É questo il leader del futuro partito dei liberali italiani?”  A parte lo sbaglio clamoroso dell’accento sulla “è”, segnale inequivocabile che per fare il direttore del Giornale non occorre conoscere l’uso della lingua italiana, resta la sensazione che in questa partita, Sallusti si sia sentito solo, oltretutto svillaneggiato dai tre quarti dell’informazione, che ha ironizzato non poco su quanto gli sta accadendo. Così partono querele, la prima è quella di Daniela Santanché che ha denunciato, per violazione della privacy, La Stampa, Mario Calabresi e il collega che ha scritto l’articolo sulla sua abitazione descrivendola nei minimi particolari mentre, così si mormora, sono pronte quelle contro Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano e La Repubblica, tutti, notoriamente, organi d’informazione vicini al Pcus. C’è una ragione per la quale, però, Alfano non è intervenuto nell’affaire Sallusti: è impegnato a convincere Silvio di rinnovare con lui il Pdl. Lo ha detto con le lacrime agli occhi e la voce strozzata dal pianto: “Per favore, Sire, rinnova il Pdl con noi”. Ma Re Silvio non ha battuto ciglio. Lui continua per la sua strada, che poi è quella di tentare di riaccreditarsi come il nuovo che avanza. Lo ha declinato chiaro, Silvio, il suo pensiero: “Gli italiani non ne possono più di questa politica e di questi politici. Sempre le solite facce, le solite manfrine, la solita Costituzione che impedisce a un governo eletto democraticamente dal popolo, di governare facendo quel che cazzo gli pare”. E ha continuato dicendo: “Occorre gente giovane, bei ragazzi e belle ragazze vogliose... di politica. Via tutto il vecchio armamentario. Largo al nuovo”. Ovviamente nel nuovo è ricompreso lui, il premier costretto alle dimissioni da Pierferdinando Casini che prima gli ha fatto sapere che “fuori tu si può parlare di un’alleanza con il tuo partito”, e poi ha fatto comunella con i pidini ansiosi di una benedizione papale. Entro domani, Silvio farà conoscere la sua decisione. Chiuso ad Arcore, attaccato al palo della lap-dance, ha commissionato ai sondaggisti una ricerca di mercato basata su una sola domanda: “Volete voi un governo di comunisti mangiabambini e mangiapreti?” se la risposta dovesse essere “no”, Silvio è pronto a immolarsi ancora per la patria. 

martedì 27 novembre 2012

L’Italia sta affondando. Chiaro, o no?

A bocce ferme. Istantanea-clic di una situazione allo sfascio. Le tredicesime saranno tassate, giusto in tempo per pagare il saldo dell’Imu. Gli operai dell’Ilva (5mila), occupano gli stabilimenti di Taranto e a Genova bloccano l’autostrada. L’Ocse rivede le sue stime, e fa sapere, agli italiani impegnati a smanichettare l’Iphone5, che: “I consumi stanno facendo registrare il calo più alto dal Dopoguerra. La disoccupazione aumenterà anche nel 2013, arrivando a toccare il 12 per cento. Per tenere ancora la barra al centro, occorrerà una manovra aggiuntiva”. Le fa eco Bankitalia, la quale informa che: “Il 2012 sarà, per le famiglie italiane, peggio del 2009. I prestiti crollano. I redditi sono in caduta libera”. Mario Monti detto ‘o Salvatore, questa mattina dice che: “Potremmo non riuscire a garantire più il sistema sanitario nazionale se non riusciamo a trovare nuove forme di finanziamento”. E aggiunge, tanto per essere chiaro e cantare sempre la stessa canzone: “Il momento è difficile, la crisi ha colpito tutti e ha impartito lezioni a tutti. E il comparto medico non è stato esente né immune”. Ci verrebbe da chiedergli, perché questo Paese, per anni, invece di rafforzare il sistema sanitario nazionale, ha preferito delegare servizi e incanalare fiumi di denaro pubblico alle strutture private. Ma Monti ci risponderebbe che lui non c’era, ergo... Ci verrebbe da chiedergli, a che pro i miliardi alle scuole private, mentre quella pubblica affondava. Ma Monti ci risponderebbe che lui non c’era, ergo... Ci verrebbe da chiedergli perché non ha messo mano ai fondi destinati alle caste. Ma lui ci risponderebbe che c’era ma dormiva. Per il resto, è il solito delirio. Renzi si è offerto di pagare di tasca sua lo scanner per salvare in jpg i verbali delle primarie e pubblicarli on line. Bella battuta, sindaco, a quando la politica seria? La UE pubblicherà i bandi di concorso pubblici anche in italiano, oltreché in tedesco, inglese e francese. È la più grande vittoria diplomatica di Mario Monti in Europa da quando è Presidente del Consiglio: meglio che un calcio fra le palle... Attualmente sono aperti, presso i ministeri del Welfare e dello Sviluppo, 150 tavoli di trattative di aziende che stanno fallendo e, quindi, chiudendo. La bocciatura da parte del Senato, dell’articolo 1 del ddl sulla diffamazione, costringerà Alessandro Sallusti a trascorrere il Natale agli arresti domiciliari, a casa di Daniela Santanchè. “Ma forse – starà pensando il direttore del Giornale – era meglio San Vittore”. 
Gente che va, gente che viene ma l'Italia va, e basta. Perché ormai siamo andati sul serio. E ora, tutti in fila all’hard-discount, c’è il cenone di Natale da preparare: allertate le mense della Caritas, si rischia un’affluenza da esodo biblico, o da campo profughi, come preferite. 

2 in 1. "Due passi" e "Il buio e oltre ancora" al Punto Einaudi...


lunedì 26 novembre 2012

Primarie del Pd. E ora, per favore, non sporcate tutto.

La nota positiva c'è. Poco più di tre milioni di elettori, dopo la crisi di partecipazione degli ultimi tempi, non sono un patrimonio da disperdere per scazzi. Né interni né esterni. Ammirevole l'aplomb di Bruno Tabacci: “Ho dato il mio contributo di sangue”, ha detto subito dopo i risultati l'assessore al bilancio di Pisapia. “Ho fatto queste primarie con un burka mediatico addosso”, ha chiosato il suo risultato la signora Puppato. Vendola il poeta, ha declamato un'altra delle sue poesie, facendo intendere che si schiererà a favore di uno dei due galletti rimasti, dopo averne tastato, di persona personalmente, gli umori. Restano loro, i previsti e prevedibili finalisti: il segretario Pierluigi Bersani e il contendente rottamatore, Matteo Renzi, l'uomo di sinistra più a destra che c'è in Italia. Intorno gli scherani, gli ultras, i partigiani, gli incazzati, gli astiosi, categoria che comprende, sorprendentemente, anche Rosy Bindi. Che la signora presidente del Pd fosse diventata addirittura stalinista, non ce lo saremmo mai aspettato. Ieri sera, incalzata da Paolo Mieli, ha detto chiaramente che la percentuale raccolta da Matteo Renzi nelle primarie, non inciderà per niente sul programma-progetto del Partito Democratico. Che ci sarà un congresso nel quale si vedrà il peso reale del sindaco di Firenze. Che la democrazia impone a chi perde di accettare le regole di chi vince. Insomma, per Rosy conta ancora il Komintern, come se lei lo avesse sempre frequentato e ne sentisse, invadente, la nostalgia. Il patrimonio da non disperdere, è quello costituito dall'elettorato di sinistra che, ancora una volta, ha dimostrato una pazienza tale, nei confronti dei suoi dirigenti, che meriterebbe di essere aviotrasportato in gita premio alle Maldive, magari con un cestino da viaggio offerto dalla Coop, a marchio Coop. Si sono visti tantissimi giovani, vecchi pensionati, casalinghe e pure qualche impiegato. Non abbiamo visto troppe cravatte e questa, in fin dei conti, è una nota di merito. Certo, a favore di Bersani c'è l'apparato del partito, una vera e propria macchina da sommovimento terra, che quando si sposta riesce a mobilitare anche i combattenti e reduci della prima guerra mondiale e i grand'invalidi del lavoro. A favore di Renzi c'è Berlusconi. Il che non è poco. L'ultima di Silvio è di questa mattina: “Con Renzi potrebbe nascere una grande forza socialdemocratica”. Da nazifascista a socialdemocratico, Silvio ha insegnato agli italiani il significato del termine “camaleontismo”. Nessuno come lui, pur di salvarsi il culo, sarebbe disposto a prendere in mano una bandiera rossa e dare l'assalto al Palazzo d'Inverno. Nessuno.

domenica 25 novembre 2012

Primarie a chi?

In tutta Italia si fibrilla. Per un esito scontato. Comunque vada non sarà un successo, perché i quattro milioni di elettori di Prodi non ci sono più, perché (forse) nessuno vincerà al primo turno, perché (forse) ci sarà il ballottaggio domenica prossima, perché (forse) non è detto che vinca Bersani. La speranza è che non vinca il reperto berlusconiano del Pd, per il resto, di grandi differenze non se ne vedono, tanto meno fra Bersani e Vendola. L'unica apertura di un certo peso, è quella che il segretario ha fatto in queste ore a quel che resta dell'Idv. La sola possibile per racimolare qualche migliaio di voti in più, visto che né RenziVendola amano particolarmente la compagnia di Pierferdinando Casini. C'è poi da prendere in considerazione la nuova legge elettorale a “scalare”, come i punti della Coop, più acquisti fai e più sconti hai; il supermercato entra così ufficialmente a far parte della Costituzione italiana per la felicità dei bocconiani marketingettari. Stasera sapremo come andrà a finire ma, soprattutto, di quale morte morirà il Pd. Come morirà il Pdl, invece, lo sappiamo. Silvio lo ha detto ieri a Milanello, fra una carezza a Pato e un buffetto a El Shaarawi, manco fosse il Papa Giovanni del “discorso della luna”. “Siccome mi sono allontanato per il bene dell'Italia – ha detto Berlusconi – e il partito se n'è andato a puttane, ora devo vedere se tornare a guidarlo in prima persona oppure no”. Aggiungendo: “Voglio una intesa forte con la Lega. Maroni candidato unico a Governatore Longobardo mi sta benissimo”. Pronta la risposta di Formigoni, Alfano, Meloni, Alemanno, Bondi, Bonaiuti, Santanchè: Gasparri non pervenuto, La Russa assente ingiustificato. Formigoni ha detto: “Maroni? Candidato di chi?”. Alemanno: “Uscita improvvida”. Meloni: “Le primarie si devono fare, oggi più che mai”. Bondi: “Bentornato Dio”. Bonaiuti: “Lo ha detto lui, non io”. Alfano: “A questo punto me ne vado”. La Santanché: “Allegri vecchietti, torna il Viagra gratis”. Il Pdl è morto. Alfano è morto. E Silvio non è che stia tanto bene. Come l'Italia, come l'Europa anglo-germanica. Come le donne uccise dal primo gennaio a oggi. Addio, mondo crudele...

sabato 24 novembre 2012

Silvio e il dinosauro. “Lo estrarrò dal cilindro”. Mamma li prestigiatori!

Che partito, il Pdl! Tutti pronti per le primarie. Tutti sui blocchi di partenza. Conosciuti o sconosciuti, ma praticamente ricchi, si contendono le spoglie di una formazione politica che grande fu, salvo soccombere di fronte alla sua stessa nullità. Si presenta Gianpiero Samorì, e si scopre che raccoglie le firme per la sua candidatura fra i pensionati romani, ospiti degli ospizi della Capitale, ai quali offre un viaggio gratis a Chianciano con tanto di cestino di cibarie. Si presenta Alessandro Proto, finanziere d'assalto, presunto bello come un Adone, e nel giro di 24 ore lo indagano per aggiotaggio e truffa. Lui dice: “Cazzo me ne frega a me! Io mi presento lo stesso”. Allora Angelino Alfano pronuncia la frase storica: “Non voglio indagati alle primarie, altrimenti me ne vado”. A solidalizzare con lui, solo Giorgia Meloni (e tutti gli ex falsi giustizialisti di An), mentre Vittorio Sgarbi, disgustato, si ritira e quel maestro di retorica che si chiama Sandro Bondi, da del”demagogo” al segretario uscente. Silvio sa perfettamente che la sua creatura, quella nata sul predellino di una Mercedes a Piazza San Babila, si sta liquefacendo. Travolto dal suo nulla, il Partito delle Libertà (di Silvio) è un'onda anomala che si è schiantata sulla risacca e lì si è fermata, incapace di tornare indietro. Lo ha capito quando ha visto i voltafaccia di coloro che, fino al giorno prima delle dimissioni, si prostravano senza pudore di fronte a un simulacro un po' maiale ma, comunque, ancora saldamente al comando. Lo ha capito quando i processi sono andati in un certo modo. Lo ha capito quando il suo appeal non ha trovato più sponde e perfino le Olgettine hanno iniziato a tradirlo. Da genio del marketing qual è, Silvio sa anche di godere di uno zoccolo (sic!) duro di aficionados che, se si ripresentasse, lo voterebbero comunque. E allora via all'immaginazione più sfrenata ed ecco il colpo di scena che potrebbe andare (letteralmente) in onda, prima del 16 dicembre. Dal suo cilindro di mago del prosciutto cotto e dell'intimo unisex, Silvio sta per tirar fuori non un coniglio ma, addirittura un dinosauro. Quando all'uscita da Palazzo Grazioli, i cronisti gli hanno chiesto chi diavolo fosse il dinosauro del miracolo, Silvio si è messo di profilo, il suo nuovo profilo nato dalle mani sapienti di un mago della chirurgia estetica, che spiccava nel cielo plumbeo del tramonto romano. Sarà ancora lui, il protagonista del centro-destra. Nonostante quei fascisti di An, nonostante quelli che lo vorrebbero seppellire nel Mausoleo di Cascella, nonostante quelli che lo vorrebbero chiuso in una cella a San Vittore, Silvio è pronto a tornare sulla scena della politica con un soggetto nuovo di zecca e un pacco di milioni di euro che gli assicurino almeno un quarto grado di giudizio. Silvio sa che nel centro-sinistra le cose vanno come vanno. Che Renzi e Bersani litigano per le presenze in tivvù, per il regolamento delle primarie, per l'assetto del partito, per il futuro dell'Italia. Litigano su tutto e per tutto mentre Beppe (Grillo) gongola. Di questo passo il premio di maggioranza se lo beccherà lui, anche se il mondo finirà nel 2035.

venerdì 23 novembre 2012

Mobilità in scadenza per 160mila impiegati della PA, 70mila della scuola e il governo regala 223 milioni di euro alle scuole private. Quando finirà questa follia?

Susanna Camusso lo ha detto chiaro e tondo a Monti: “Disinneschi questa bomba sociale”, aggiungendo: “Stiamo correndo il rischio di assistere a veri e propri licenziamenti di massa”. Il pericolo c’è, è reale. Lo sa il ministro Patroni Griffi che sta cercando in tutti i modi di metterci una pezza con il sottosegretario dell’Economia, Grilli, il quale fa spallucce, glissa, tergiversa, gigioneggia. Sono 230mila i dipendenti dello stato che, terminato il periodo di mobilità, corrono il rischio di ritrovarsi a casa andando a ingrossare le fila dei cassintegrati, dei licenziati tout-court, degli inoccupati, degli esodati, dei pensionati al minimo, degli studenti incazzati, degli operai della Fiat ai quali vengono fatti firmare documenti tarocchi dai capi bastone dell’azienda e di quei milioni di cittadini italiani, ormai senza più una cittadinanza, alle prese con ticket improbabili, cure mediche insostenibili, uno stato sociale ridotto a gruviera. Questa è la politica del rigore merkeliano e cameroniano, dell’asse Londra-Berlino, che in questi giorni sta cercando di imporre all’Europa un regime dietetico a base di lacrime e sangue ma senza il sudore, perché il lavoro non c’è più. Monti e Hollande si oppongono, minacciano di porre il veto al bilancio, ma anche questa ci sembra una corsa disperata verso il baratro. Tornare sulle ragioni della crisi, di questa crisi, è ormai diventato un esercizio retorico. L’ex (meno male) ministro Brunetta, ieri sera da Santoro ha assolto in toto il suo governo “La colpa è tutta dei tedeschi e della Merkel – ha detto il Nobel dell’Economia in pectore – se non avessero venduto 9 miliardi di fondi italiani a quest’ora la canzone sarebbe diversa”. Ovviamente ha taciuto sulle colpe di Silvio ma si sa, con questi quacquaracquà non si cava un ragno dal buco. L’Italia è una polveriera. Altro che primarie del Pd e del Pdl, altro che Legge di de-Stabilità boicottata in continuazione dagli scherani di Silvio, altro che Decreto Sviluppo, qui si rischia una rivolta senza precedenti perché non sarebbe solo il proletariato a scatenarla, ma anche altri ceti sociali che fino a ieri sembrava potessero dormire sonni tranquilli. E tutto sommato non sarebbe un male, visto che questa classe politica screditata che ci governa, ha tentato un ennesimo blitz salva-Berlusconi, cercando di introdurre, fra le pieghe del Decreto Sviluppo, un quarto grado di giudizio per tentare, affidandosi alla sorte, di far riprendere a Nano Bifronte i soldi che ha dovuto dare all’ingegner De Benedetti. Ma vi rendete conto? Nel momento in cui 230mila dipendenti (più le famiglie interessate, ovviamente) dello Stato stanno per essere mandati a casa, i pidiellini cercano ancora una volta di salvare il culo a Silvio, altrimenti chi cazzo gliele paga le primarie? E mica finisce qui. Abbiamo appreso che fuori dalla Legge di Stabilità, e quindi dal normale iter parlamentare, il governo del Professore si appresta a dare alle scuole private 223 milioni di euro, con la scusante che erano cifre non elargite dal governo precedente. Ora, a fronte di una scuola pubblica alla deriva, con sedi fuori norma e personale in rivolta, ancora una volta si è deciso di privilegiare, in qualche modo, l’istruzione privata che, fatti quattro conti, è costituita essenzialmente da enti e congreghe cattoliche. Ciliegina sulla torta. Alla polveriera di cui sopra, si stanno per aggiungere le famiglie dei quattromila militari italiani malati di cancro. Sembra, ma non c’è prova certa vista l’omertà che regna nelle alte sfere dell’esercito, che i vaccini dati ai soldati impegnati nelle missioni “umanitarie”, fossero sbagliati o troppo potenti e somministrati in dosi ravvicinate. Le famiglie dei militari malati sono state costrette al silenzio, qualcuna perfino minacciata. Sapete che c’è? La voglia di chiedere asilo politico a Ahmadinejad sta diventando potente. Meglio l’Iran.

giovedì 22 novembre 2012

E Ken Loach rifiuta il premio del Festival di Torino. “Sto con i licenziati del Museo del Cinema”.

Da lui te lo aspetti. Az... se te lo aspetti! Premiato dal Torino Film Festival, Ken Loach ha scritto agli organizzatori dicendo: “No, grazie, non fa per me”. E ha invitato i responsabili del Museo del Cinema a riassumere i lavoratori licenziati dopo aver esternalizzato i servizi e, quindi, pagando i dipendenti con salari bassissimi. Ken Loach (insieme a Mike Leigh) è stato il fustigatore della politica di macelleria sociale della Signora Tatcher alla quale, in più di una occasione, si rifiutò di stringere la mano. In quei tempi, mettersi contro la Lady di Ferro, ispiratrice del modello berlusconiano, significava mettersi contro il potere assoluto con il quale era governata l’Inghilterra. Ken Loach lo fece lo stesso e anzi, girò una serie di film, soprattutto Bread and Roses e Paul, Mick e gli altri che sputtanarono agli occhi del mondo la follia economica del Primo Ministro inglese, dimostrando, quasi scientificamente, il genocidio culturale di tre generazioni di giovani britannici. Su Ken Loach abbiamo scritto saggi, in uno lo abbiamo addirittura preso a modello di “immagini etiche”, e inserito i suoi film in molte delle rassegne e dei festival cinematografici che abbiamo ideato e realizzato. Land and Freedom e Carla’s Song, restano a tutt’oggi due capolavori, così come tutta la sua produzione non può essere certo accusata di “cinepanettonismo”. Per cui non ci sorprende affatto la decisione con la quale ha deciso di non accettare il premio che il TFF gli ha assegnato per questa edizione. E lo ha fatto a modo suo, con una lunga lettera indirizzata agli organizzatori, nella quale ha spiegato le ragioni del suo rifiuto. Emblematica la parte finale del messaggio: “Come potrei – scrive Ken Loach – non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico, sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio”. È un po’ quello che avviene in Italia, dove un regista, pur di inserire un premiuccio qualsiasi nel suo palmares, venderebbe mamma, babbo e pure un paio di nipoti. I figli no, quelli so’ piezz’ e’ core.

mercoledì 21 novembre 2012

Tabù informazione per il Medio Oriente. Chi disturba il manovratore viene censurato.

Se c’è un argomento che va trattato con guanti di pile è il Medio Oriente. Per quanto ci riguarda, avendo visto molto da vicino, qualche tempo fa, qual è la realtà vera e non quella raccontata pro domo di qualcuno dai giornali e dalle televisioni, il rischio che potremmo correre è lo stesso di Piergiorgio Odifreddi, che si è visto censurare, non da Maurizio Belpietro, ma da Ezio Mauro, il post che aveva scritto sulla situazione attuale di quella travagliata parte del mondo. Il che, se ci permettete, la dice lunga su quanto la lobby ebraica italiana conti anche dentro laRepubblica di Carlo De Benedetti. La nostra posizione è nota. L’abbiamo scritta in decine di post e riaffermata in interminabili discussioni con amici, parenti e semplici conoscenti. Lontani anni luce da qualsiasi pratica anti-ebraica, abbiamo sempre dichiarato senza peli sulla lingua né calli sulle dita, il nostro anti-sionismo. A chi non capisce la differenza, e sono in molti, rimandiamo l’approfondimento dell’argomento ai libri di storia o, più semplicemente, a Wikipedia: non sia mai che il contatto con la carta causi qualche fastidiosa allergia. Incomprensibile l’atteggiamento di Ezio Mauro e, soprattutto, schizofrenico e fastidioso il ragionare con due pesi e due misure quando si parla di Iran e quando di parla di Israele. Se è vero che nel caso di Ahmadinejad i giornalisti di Repubblica (e dell’Espresso) hanno potuto fare tranquillamente ricorso alla reductio ad Hitlerum, senza che nessuno si scandalizzasse più di tanto, lo stesso non si può dire per il rapporto matematico di Piergiorgio Odifreddi fra i soldati israeliani uccisi e i palestinesi bombardati, ben più alto dell’ormai famigerato 1 a 10 di nazistica memoria. Guai paragonare la politica di Netanyahu a quella del Terzo Reich, perché il rischio di essere lapidati è altissimo. Che poi Odifreddi ribadisca che quella sionista è una specie di vendetta per la shoa, messa in pratica contro il popolo palestinese è una vera e propria bestemmia da punire con la censura. Resta, incontrovertibile, il fatto che a Gaza si muore. Che sotto i bombardamenti periscono donne e bambini, vecchi e paraplegici. Che gli stermini, da Sabra e Chatila in avanti, sono diventati anche strumenti di propaganda elettorale, visto che i responsabili sono stati addirittura promossi primi ministri. Pensavamo, noi poveri illusi, che il giornalismo fosse ancora un lavoro che permettesse di informare. Lo è, basta non calpestare interessi di parte o ideali altri, basta non dire la verità né disturbare il manovratore, soprattutto se ha i nervi scoperti.

martedì 20 novembre 2012

Gli operai dell’Alcoa contestano Bersani, i dipendenti comunali, Renzi. La scuola scende in piazza. Ma questo Pd, con chi sta?

La domanda sorge spontanea: il Pd di Bersani e di Renzi difende gli interessi di quale classe sociale? Non ci si risponda “tutte” perché questo era bravissima a farlo la Democrazia Cristiana. Le brutte copie non ci interessano. La “sinistra”, per propria costituzione ideale, dovrebbe stare dalla parte dei “deboli”, e quando diciamo “deboli” non ci riferiamo a nessuna visione romantica della politica. Se da una parte c’è il capitale e, quindi, la ricchezza, dall’altra ci sono le classi più svantaggiate, quelle con meno potere contrattuale economico e sociale, quelle che hanno bisogno del welfare per tirare a campare, ma, soprattutto, per dimostrare che in un paese civile, tutti i cittadini hanno uguali diritti e doveri di fronte a un’entità sempre più astratta che si definisce “Stato”. Si chiama democrazia e non ha bisogno di alcun aggettivo, basta la parola. Ecco allora che la contestazione degli operai dell’Alcoa a Bersani, appena sbarcato in Sardegna per le primarie del Pd, e quel termine terribile che gli hanno urlato, “traditore”, assume un significato simbolico altissimo perché si può riferire solamente al tradimento pidino della sua componente storica più importante: la classe operaia. Per più di venti anni, la dirigenza politica di questo paese ha considerato gli operai come i latifondisti degli Stati Uniti del Sud i neri che raccoglievano cotone: schiavi. La definizione “tuta blu”, era quasi un insulto, a fronte delle ricchezze che maturavano grazie all’evasione fiscale e ai derivati tossici di una finanza spietata. Le “tute blu” non potevano permettersi due Iphone, versione bianca e nera, perché dovevano tirare a campare in una nazione che svuotava il welfare e andava ad arricchire le cricche, i maggiordomi e le mignotte con tanto di autorizzazione al mercimonio di mamma e papà. E, tanto perché ci si trovava (sempre la classe dirigente di questo Paese), ha considerato gli stessi insegnanti della scuola pubblica al pari delle tute blu, un orpello ideologico sinistrorso e, quindi, da combattere, meglio, da abbattere. In piena crisi globale, ci si è resi conto che la finanza aveva fallito, che il prestigio delle scuole e delle università private era più che altro un lusso e non un’esigenza di crescita reale delle giovani generazioni, e che il sogno di arricchimenti facili era naufragato in una sala Bingo. Via via sono scemati, uno dopo l’altro, i concetti di lavoro inteso come “valore” e di istruzione intesa come “crescita”, individuale e collettiva. Da distruggere restava solo la cultura che, da sola, poteva in qualche modo sopperire alla mancanza di sensibilità sociale e alla crescita irrefrenabile di un modello di sviluppo economico aberrante, basato sulla sopraffazione. Detto, fatto. Con la scusa della crisi, la cultura l’hanno gettata nel cestino dei rifiuti, proprio come si fa in un paese dittatoriale qualsiasi, per paura che il popolo riprenda a pensare e, quindi, a ribellarsi. Il risultato di questa sistematica opera di demolizione di più mondi, è sotto gli occhi di tutti, si chiama povertà e non vergogniamoci di dirlo. Non risulti strano, infine, che gli operai dell’Alcoa diano del “traditore” a Bersani né che gli impiegati del Comune di Firenze, contestino Matteo Renzi in pieno consiglio comunale. I pidini, per anni hanno chiuso gli occhi, per anni hanno condiviso un andazzo politico che ha difeso solo i privilegi della casta, puntando dritta al centro moderato una barra politica senza senso e senza più timoniere. Chi semina vento raccoglie una tempesta di insulti, che è sempre troppo poco rispetto ai guasti che ha causato.

lunedì 19 novembre 2012

Pensionati alla convention di Samorì a loro insaputa: “Ma dov’è la onlus che dovevamo visitare?”

Il vezzo permane. Immoto. Memori delle “vacche di Fanfani”, e dei contadini della Coldiretti autotrasportati di peso ai comizi della Balena Bianca, quelli del Pdl hanno pensato di rinverdirne i fasti e allora, via a centinaia di pensionati, prelevati a loro insaputa dalle case di riposo, trasportati praticamente di peso a far numero nei comizi dei destrorsi. A Milano impera la Santanché. La sua Villa Serena è sempre presente quando si tratta di inneggiare a Silvio. Ricordate i quattro vecchietti un po’ rinco che stazionavano davanti al tribunale di Milano ogni (rara) volta che Silvio si degnava di andare a un dibattimento? Ebbene, erano le truppe cammellate di Danielona. Lei andava in ospizio, gli faceva un po’ di moine promettendogli chissà quali gioie terrene e i vecchietti, ringalluzziti e parecchio allupati, la seguivano in capo al mondo. La stessa cosa deve essere successa alla convention di Chianciano di Gianpiero Samorì, berlusconiano doc e fondatore del Mir (Moderati Italiani in Rivoluzione). Ad un certo punto, gli organizzatori si sono visti arrivare tre pullman pieni di vecchietti che, scesi, si guardavano intorno felici di essere stati portati a una festa. Viaggio gratis, cestino da viaggio gratis e in più tanta bella gnocca, gli anziani delle tre case di riposo di Roma si sono guardati e si sono detti: “Vuoi vedere che oggi si tromba?” E mentre i vecchietti andavano alla ricerca dell’ultima occasione sexy della loro esistenza, le coetanee, rosario in mano, snocciolavano tutti i sacri misteri chiedendosi ripetutamente: “Ma noi che ci facciamo qui?” Lo scopo era chiaro, riempire di gente l’obiettivo delle telecamere e far firmare, a loro insaputa, ai pensionati, il modulo per la presentazione di Samorì alle primarie del Pdl. Chi è avvezzo alle usanze della politica sa che spesso più della metà della gente presente ai comizi non sa cosa diavolo ci fa li, in quel momento, magari in compagnia di Gnazio La Russa. Ve le ricordate le manifestazioni pro-Silvio a Roma? Quelli che venivano intervistati, guardavano con lo sguardo perso il giornalista di turno, non sapendo spiegare né come né perché si trovassero in quel momento a Piazza del Popolo. Mitico Scilipoti quando abbandonò l’Idv, per dare una mano a Silvio a fracassare definitivamente l’Italia: assoldò una squadra di nullafacenti extracomunitari per farli stazionare nelle vie laterali di Montecitorio, con in mano uno striscione imbarazzante sul quale era scritto: “Scilipoti Libertà”. Alla domanda: “Ma lo sapete chi è Scilipoti?” I ragazzotti risposero: “No, ci hanno dato 50 euro per stare qui con questo striscione e noi ci stiamo, la cena almeno è assicurata”. La politica di questi anni è fatta essenzialmente di comparse. Consapevoli o incoscienti, uomini e donne continuano a prestarsi a giochi apparentemente innocui, per un tozzo di pane e una gita fuori porta. La fregatura inizia quando le comparse siedono anche in Parlamento, perché in quel posto non si accontentano del “gettone di presenza”, ma vogliono molto di più. Almeno 100mila euro per giocare ai videopoker. 

domenica 18 novembre 2012

L’Italia contesta i “montiani”: tira un’ariaccia!!!

La madre di tutte le contestazioni resta sempre quella a Sora Elsa. La professoressa, povera donna, non ne azzecca una. Quello che lei definisce come semplice, anglosassone, humour, altro non è che un modo di difendersi dal mare di idiozie che proferisce praticamente a ogni piè sospinto. L’ultima perla è stata quella con i malati di Sla ma prima, Sora Elsa nostra, non si era fatta mancare nulla. Ormai le sue battute, o quelle che lei reputa tali, stanno facendo il giro del mondo in poche ore e senza traduzione, visto che per sembrare più à la page, le fa direttamente in inglese. Poi è arrivata la Severino. Anche lei, povera donna, si è talmente calata nel ruolo di Ministro dell’Interno che, pur di difendere e giustificare l’operato dei suoi subalterni, inventa le storie più fantasiose, ricordandoci che viviamo in Italia, il paese il cui un missile è stato fatto passare, per anni, per un cedimento strutturale. Contestata a Roma, contestata a Rimini, la Severino si sta rendendo conto di cosa significhi occupare un ruolo delicato dentro una compagine che sta segnando il passo proprio in termini di diritti democratici. Sembra quasi che dopo l’interregno di Scajola al Viminale (e i fatti di Genova, della Val Susa, del Dal Molin di Vicenza, dei terremotati aquilani randellati a Roma), l’ordine pubblico si possa mantenere solo a manganellate, proprio come in Grecia, in Spagna e in Francia. Ieri, poi, è toccato a Mario Monti. A casa sua. Alla Bocconi, il marketingificio italiano. Il Professore era andato a presentare il suo ultimo libro dall’emblematico titolo: “La democrazia in Europa”, scritto con Silvye Goulard. Un centinaio (riportano le fonti di informazione) di giovani manifestanti, si sono fatti trovare davanti alla sede dell’università, dove hanno esposto cartelli con la scritta: “Un anno di Monti, austerity, precarietà e manganellate. Auguri”. I poliziotti non l’hanno presa bene. Hanno negato la possibilità ai ragazzi di raggiungere il luogo della conferenza e reagito, ancora una volta, con le botte e i lacrimogeni. Ormai basta che dici: “Non sono d’accordo” e il minimo che ti possa capitare è quello di prenderti tre punti in testa (lo standard per una buona randellata andata a segno), una decina di calci caduto a terra, e devi pregare iddio che il poliziotto nervoso non sia nei paraggi, perché sennò ti prendi pure una sfollagentata in faccia, e addio alle protesi! A un certo punto, Monti è sgattaiolato da un’uscita di servizio per perdersi nel traffico di una Milano che si sono bevuti tutti, indistintamente, per anni. Appresa la notizia, è arrivato immediatamente il messaggio di solidarietà di Luca Cordero di Montezemolo (a Roma per la convention di “Italia Futura”), il quale ha finalmente chiarito le sue intenzioni: costituire la base elettorale per la riconferma di Mario Monti premier. Con lui, e non potrebbe essere altrimenti, Fini e Casini. Per cotanto trio le porte di un roseo avvenire si apriranno sicuramente, magari partendo da una copertina su Vanity Fair.   

sabato 17 novembre 2012

Crolla la fiducia nel Governo Monti. E dal Ministero della Giustizia piovono lacrimogeni.

La situazione è questa. In un anno di governo commissariale del Paese, la compagine guidata da Mario Monti è scesa, nel gradimento popolare, del 35 per cento. Peggio di tutti, Sora Elsa che solo il 28 per cento degli italiani gradisce. Mario Monti ha terminato, proprio come il Pdl, il suo viaggio terreno. Lo aspettano Manitù e i verdi pascoli del cielo dove, non sarà un caso, sono già pronti gli esodati, i suicidati, i cassintegrati, i giovani disperati, i pensionati vessati e i perseguitati da Equitalia con in mano un sanpietrino di benvenuto. L'unico che regge è solo il premier in persona personalmente perché, nonostante tutto, un minimo di credibilità internazionale, ce l’ha ridata. Ma è troppo poco, quasi nulla, di fronte a una nazione ridotta allo stremo nella quale un capogruppo qualsiasi, di un qualsiasi partito, in un qualsiasi consiglio regionale, si fotte 700mila euro di denaro pubblico e ne spende 100mila per giocare ai videopoker. Siamo tutti un po’, parecchio, stanchi di trascorrere le giornate cercando di sbarcare un lunario che, ci venisse il padreterno, non ha nessuna intenzione di farsi sbarcare. Allora meglio sbracare e votare, per chi... non si sa, ma almeno gli eletti non potranno nascondersi dietro il termine “tecnico”. E poi, diciamola tutta, di personaggi che permettono ai tutori delle forze dell’ordine di gettare sui manifestanti, dall’alto del Ministero di Giustizia, lacrimogeni a strappo, non sappiamo che farcene, anzi, meglio liberarsene subito. Questo è il Paese nel quale di un DC9 dell’Ati, buttato giù da un razzo francese, si è detto che era precipitato per un guasto interno. Ci sono voluti più di vent'anni per ristabilire la verità. Non vorremmo che ne occorressero altri 20 per smentire la fantasiosa ipotesi che i lacrimogeni lanciati dal Ministero, non sono stati lanciati dalla sede dello stesso ministero, ma erano spezzoni di quelli utilizzati a terra dalla polizia. Che poi nel cortile interno sia stata ritrovata la linguetta dello strappo fa nulla, la prima ipotesi è quella che conta, come la risposta ai telequiz. Due cose, comunque, sono certe: si voterà prima e ci sarà l’election-day. Il Pdl è contento, Grillo e il Pd meno. Casini è “quasi” contento (ti pareva!) e Zingaretti urla allo scempio. Comunque vada, sarà una tragedia. Buona domenica, italiani. 

venerdì 16 novembre 2012

Alfano: “Niente regionali a febbraio”. I pidiellini temono la catastrofe e le donne del M5S il burqa.

Altra perla silviesca: “Marina è come me nel 1994”. Per chi ancora non lo avesse capito a succedere al padre sarà la figlia: altro che Alfano, la Santanchè, Bondi, Paolino Pa Bonaiuti o, men che meno, qualche ex aennino. Silvio ha deciso, lui paga, lui sceglie il campo, l’arbitro e porta pure il pallone e una confezione famiglia di Ace, così nessuno potrà dire che il Capo è avaro. Nuvole nere, anzi, bionde, sul Pdl. Marina sta arrivando portandosi appresso una dote economica niente male, quasi quanto quella dello sputtanamento derivante dal cognome che porta. Ma questa è una sottigliezza. E allora, anche per prepararle il terreno mediatico-organizzativo, il Pdl non si può permettere un’altra débacle stile Sicilia. A loro occorre tempo per rimettere in piedi una macchina elettorale che si possa definire tale e le regionali, date ormai per febbraio, rappresentano un possibile shock da evitare come la peste bubbonica. Allora, contrariamente a quanto hanno fatto (in combutta con i loro confratelli quacquaracquà della Lega) negli ultimi venti anni, oggi invocano l’election-day per motivi di risparmio. Ma che vi venga un bene! Avete sperperato milioni di fondi pubblici per tenere le elezioni una rigorosamente separata dall’altra e ora, per paura di raggiungere una percentuale da prefisso telefonico, fate i moralizzatori? Ma quelli del Pdl, a breve tutelati dal WWF, sono fatti così, si sentono come i dinosauri e stanno cercando di salvare quello che resta di un regno animale (con tutto il rispetto per tutti gli animali del mondo), in avanzato stato di estinzione. Paura per paura, ci pensate cosa accadrebbe se si decidesse di anticipare anche le elezioni politiche? Povere astanterie degli ospedali, sarebbero esaurite fino all’inverosimile, un sold-out da concerto di Eric. I pidiellini, pur di non votare ora, sono disposti perfino a causare una crisi di governo o, almeno, la minacciano, incapaci come sono di prendere atto che il loro percorso terreno è finito e che l’aldilà non gli riserverà sicuramente una calda accoglienza. In tutto questo casino, che Matteo Renzi analizzerà con il suo acume da statista nella tre giorni della “Leopolda”, c’è da dire che il movimento di Grillo brilla sempre più per democrazia, tolleranza, disponibilità, accoglienza, mutualità e fratellanza. Sapete come i grillini doc hanno chiamato Federica Salsi, rea di una presenza a Ballarò? “Puttana”. E sapete cosa ha sentenziato Beppe sul suo blog circa le manifestazioni di affetto che Federica ha ricevuto a Bologna? “Il M5S non si cura dell’applausometro”. Ora. Vabbé che i partiti sono tutti incasinati e che un po’ di ordine e disciplina non guasta, ma non ti sembra eccessivo, caro Beppe, ricorrere alla istigazione  mediatica alla fustigazione e inveire contro quei dirigenti che hanno contribuito a rendere grande il tuo movimento? Un po’ di dialogo no, vero? Ma tanto a che serve, secondo il tuo guru, il mondo finirà nel 2035, poi, chi se ne frega!

giovedì 15 novembre 2012

Il paese dei manganelli. E non è un’operetta.

Si picchia. Tu dici: “Io protesto”. Il solerte pol-carabiniere risponde: “Sti cazzi! E io ti meno”. Prima Scelba (che però faceva sparare ad altezza d’uomo), poi Genova, l’Italia sembra essere diventato un paese in cui se protesti, se scendi in piazza a reclamare i tuoi diritti, se porti in mano un cartello in cui dai dell’ “affamatore” a chi ti governa, passi immediatamente per un pericoloso bolscevico intenzionato a dare l’assalto al Palazzo d’Inverno. E così come a Genova i tutori dell’ordine pubblico arrivarono a picchiare una suora, ieri a Roma, a Bologna, a Torino, a Napoli e in altre decine di città italiane, si sono divertiti a menare ragazzini imperbi, contestatori un po’ fuori di testa, semplici passanti che non c’entravano un cazzo con quanto stava accadendo. Il fatto è che ai “pericolosi veri” non si avvicinano mai, lo sanno i Black-Block, lo sanno gli anarchici insurrezionalisti con il casco in testa, lo sanno i camorristi e anche i mafiosi (ma loro non sfilano... di solito). Ma che paese è quello che permette ai tutori dell’ordine pubblico di menare a chiunque gli capiti a tiro di randello? Vabbé che il capo della polizia si chiama Manganelli (per la serie, “un nome, una storia”), ma è proprio indispensabile festeggiarlo ogni giorno, come se fosse il suo compleanno, agitandolo in aria e facendolo poggiare su teste e corpi inermi? È da un po’ che i reparti speciali di carabinieri e poliziotti menano. Lo disse Berlusconi, no? “Da oggi tolleranza zero con ogni tipo di corteo. I manifestanti sono volgari, puzzano, imbrattano, fuorviano, disinformano, vandaleggiano. Per cui, botte e acqua fresca”. Sarà forse questa la ragione per la quale in Parlamento non si riesce ancora a varare una norma contro la tortura? Sarà forse questa la ragione per cui l’Italia rientra da anni nell’albo d’oro di Amnesty International dei paesi nei quali la si pratica? Ci è capitato di prendere parte a manifestazioni “nervose”. Ai nostri tempi c’erano gli Autonomi. Con loro non si scherzava mica! L’impressione è che avessero studiato i manuali di guerriglia, e che la teoria appresa durante lunghe notti trascorse sui libri, la applicassero paro paro nei cortei e nelle manifestazioni di piazza. I telegiornali di ieri hanno riferito di gruppi di giovani in assetto da guerriglia urbana, e la cosa non ci ha turbato più di tanto anche se, a distanza di tempo, ormai le forze dell’ordine dovrebbero aver imparato a isolarli. Invece niente. Ai ragazzi con i caschi, i randelli e gli scudi non viene torto un capello, a quelli che la mamma gli ha stirato i jeans la mattina, gli viene spaccata tranquillamente la testa: punirne uno per educarne cento. E così, la macchina della disinformazione si mette in moto. Non si parla dei problemi per cui gli studenti e gli operai (finalmente insieme), hanno deciso di scendere in piazza, si glissa sulle ragioni vere dello sciopero, si da dei contestatori un’immagine che, spesso, non corrisponde al vero. Ma questo non doveva essere un governo tecnico composto da professoroni democratici? Ce li immaginiamo, cotanti professori, in aula, con gli studenti. Se uno si distrae che fanno, lo mandano dal preside? O lo fanno inginocchiare con i ceci secchi sotto le ginocchia?
Piccola nota per i distratti. Noi lo abbiamo scritto nei giorni scorsi che Silvio sta per incoronare Marina. Apprendiamo dai giornali che nel Pdl sono terrorizzati e il titolo che spicca  questa mattina è: “La paura dei colonnelli del Pdl. Silvio vuole lanciare la figlia Marina”. Ma va! Ma va la?