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martedì 30 aprile 2013

Parte il governo LettaLetta: il trionfo della Democrazia Cristiana 2.0


Non chiedetevi perché la Balena Bianca (che non è Moby Dick) ha governato questo paese per quarantanni. Chiedetevi piuttosto perché gli italiani hanno permesso alla DC di farsi governare per quarantanni. La risposta l'ha data ieri, senza squilli di tromba, alla Fanfani maniera, Enrico LettaLetta, l'incarnazione più aggiornata del doroteismo doc, insomma, un DC 2.0. Se nel suo discorso avesse fatto cenno alla riconquista dell'Albania, della Libia, dell'Abissinia e dell'Eritrea, oggi grideremmo al miracolo e non all'inciucio. Se avesse aggiunto sigarette elettroniche gratis per tutti, smartphone a costo zero, wifi libero ovunque e la banda larga, ci saremmo trovati di fronte all'evoluzione più aggiornata dei discorsi di insediamento di tutti i presidenti del consiglio democristiani: una declinazione, lunga 50 minuti, di sogni. C'è da dire che il marchio di fabbrica più fanfaniano (omaggio alla conterraneità) che degasperiano, si è avvertito chiaramente. Quando il mitico Amintore prendeva saldamente in mano le redini del governo, tirava fuori dal suo cilindro politichese tutti i desideri inesauditi, e inespressi (la maggioranza silenziosa), degli italiani e li materializzava con un fiume di parole che però, il giorno dopo, diventavano quello che erano all'inizio del discorso: parole. Ieri LettaLetta è andato oltre. Dopo essersi reincarnato in Davide, non dicendo però chi interpretasse la parte di Golia (un classico DC), ha raccontato di un paese dei Puffi in cui tutto marcia sapendo da che parte andare, e poi, quando ha parlato degli Stati Uniti d'Europa, ha toccato il vertice assoluto del “sciogno” alla Briatore imitato da Crozza, trasformando il nostro Paese in una cosa che, semplicemente, non esiste, un nuovo Billionaire, però di Stato. O' Schiattamuort lo ha detto subito: “Questa è musica per le mie orecchie”. L'Imu bloccata a giugno (“con prossima restituzione sennò stacchiamo la spina”, ha detto Brunetta), l'Iva congelata, la presidenza della Convenzione a Silvio Berlusconi, in effetti, per il Pdl morto di appena un anno fa, è stato proprio un bel sentire, perché il discorso di LettaLetta è, per loro, come il miracolo della resurrezione di Lazzaro di Gesù Cristo: “Silvio, alzati e cammina”. Ma il democristiano puro, cristallino, riconoscibile a pochi studiosi della nostra politica e della Balena Bianca, Enrichetto lo è diventato (dimostrando di avere quintali di pelo sullo stomaco), quando ha iniziato a fare l'occhiolino ai 5Stelle che, in alcuni passaggi, lo hanno infatti applaudito (obiettivo raggiunto). Parliamo essenzialmente dell'unico stipendio dei ministri, a fronte della somma delle indennità di parlamentare e ministro che prima si assommavano, e della eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti, spacciato fino ad ora per rimborso spese elettorale. LettaLetta ha pensato, come facevano i suoi predecessori scudocrociato-griffati nei confronti delle opposizioni, di lanciare qualche segnale di apertura, perché non si sa mai come può andare a finire e quindi, chi di ribaltone vive, di un altro ribaltone può continuare a prosperare. I democristiani veri, che poi erano un partito-stato, devono a questa sorta di ambiguità di fondo, buona parte del loro successo politico, una formula che gli permetteva di essere contemporaneamente maggioranza e opposizione, bianco e nero, tutto e nulla, Michele Arcangelo e Belzebù. Su tutte le promesse fatte ieri da LettaLetta, manteniamo un regale distacco. In attesa di riscontri oggettivi (soprattutto sulla scuola, la ricerca, la cultura della pizzica e la sfida dell'Expo), contrariamente a quando facevano i vecchi DC non ci asteniamo, ma riconfermiamo quanto scritto ieri: questo è il peggior governo che poteva nascere, un coacervo di contraddizioni palesi e latenti che porterà Silvio Berlusconi a presiedere la Convenzione per le Riforme Istituzionali. Se c'è un aspetto che ci consola, è il ricordo della fine fatta da Massimo D'Alema dopo aver presieduto la Bicamerale. Chissà, magari è la volta buona che ci togliamo dalle palle Silvio grazie al suo smisurato e colossale egocentrismo da imperatore delle forme perfette.

lunedì 29 aprile 2013

È l'ora degli sciacalli. I moderati della politica italiana contro Grillo. E alle 15 parte la più grande truffa governativa della storia.


Luigi Preiti, muratore calabrese in Piemonte, è il pretesto per una storia più grande di lui. Ancora senza un perché che abbia senso, il muratore ridotto sul lastrico, e costretto a tornarsene in Calabria ospite dei figli, che lui considera una sconfitta totale, ieri mattina si presenta davanti a Montecitorio e spara ad altezza d'uomo. Colpisce due carabinieri poi, resosi conto della cazzata che ha fatto, chiede ai militi di sparargli. “Volevo ammazzare i politici”, dice Preiti, ma i politici, di solito, non indossano divise, men che meno quelle dell'Arma. Succede, come sempre, che arrivano gli sciacalli, i moderati italiani, quelli che qualsiasi cosa succede, è colpa dell'avversario politico di turno. Fatto il grande inciucio, un magma purulento chiamato governo Letta Letta, (il primo è il nipote, il secondo lo zio), l'unico nemico rimasto sulla piazza è il Movimento 5 Stelle e allora, dagli all'untore. Parte Gianni Alemanno, quello che odia la Protezione Civile più dei comunisti, seguito a ruota dal campionario della mediocritas italica che, dopo aver indossato il fez, e tenuto in mano il libro e il moschetto, è diventata un manipolo di statisti a prova di vergogna. Eccoli allora: Gasparri, Gnazio La Russa, Storace, Barani, Prestigiacomo, Maroni, Sallusti e perfino il segretario del PD del Lazio, Gasparra che, uniti in una sola voce, sintetizzano l'accaduto con “chi semina vento raccoglie tempesta”. Eccoli, gli sciacalli della prima e della seconda repubblica, perché questa non si sa che numero di serie sia, tutti allineati e coperti nell'opera demolitoria dell'unico nemico rimasto a Silvio sulla strada dell'Impero. Toni da tragedia e da tregenda, toni da esagitati ispiratori di giustizia fai da te, toni da votanti consapevoli del grado di consanguineità della Ruby mubarakiana. Eccoli, gli sciacalli, quelli del più grande minestrone sciapito della politica italiana, al quale hanno provato a mettere un pizzico di sale con Josefa Idem e Cecile Kyenge ma, soprattutto, con il dalemiano Massimo Bray, il più profondo conoscitore della “pizzica” a livello interplanetario e, quindi, organizzatore di tarante nei consigli dei ministri. Pieno di ciellini, ai quali hanno dovuto compensare in qualche modo la perdita del “Celeste”, il governo Letta Letta è fumo negli occhi a partire dall'età e dalla presenza di parecchie donne eleganti e cazzute. Basta O' Schiattamuort vice e titolare degli Interni, e basta Maurizio Lupi alle Infrastrutture, quello che se fosse per lui, altro che Ponte sullo Stretto, lo farebbe direttamente per Marte, a dare un'etichetta di scempiaggine e di “cazzi di Silvio” a un governo nato con l'unico scopo di distruggere la sinistra e di ridurre a fenomeno folkloristico i 5S. Il PD, purtroppo, è fuori da ogni minima grazia diddio. Ma li avete sentiti i dirigenti del partito mai nato, tuonare contro i possibili dissidenti? “Chi vota no – hanno detto – andranno espulsi dal partito”. Ma quale partito? E a proposito, i 101 zozzoni che hanno votato contro Prodi, che fine dovrebbero fare? Ma ministro della cultura, porco boia. Esemplare la magra di Donato Marra, potentissimo segretario generale del Quirinale, ieri, al momento del giuramento di Cecile Kyenge. A microfono aperto ha detto “Questa come si legge”? Come tua zia, Donato, proprio come tua zia.

sabato 27 aprile 2013

Grande Dario Fo e la carica dei 101 zozzoni. Nessuno come lui riduce i piediellini in cenere.


L'antefatto. Intervistato da La zanzara, Radio24, il Premio Nobel per la letteratura, parlando di Brunetta, ha detto: “Brunetta che giura da ministro? La prima cosa che faccio è cercare un seggiolino per poterlo mettere a livello, all'altezza della situazione. Oppure meglio una scaletta, così se la regola da sé... ma il cervello di Brunetta, quello sì che è ancora più piccolo”. Si è scatenato il putiferio. Rientrati alla grande sulla scena politica grazie ai 101 mafiosi del Pd, e al delirio di onnipotenza di Beppe Grillo, i pidiellini hanno riscoperto il gusto per la pugna, fino a ieri scomparsa perché cerebralmente defunti. Così, il Maestro Dario Fo, è stato subissato di fischi e sberleffi e insulti da chi, a buon diritto, potrebbe solo lustrargli le scarpe. Basta fare nomi e cognomi e riportare dichiarazioni, il resto si commenta da sé. Ha iniziato il fuoco di fila il massone piduista, tessera numero 2232, Fabrizio Cicchitto: “Malgrado faccia finta di parlare sul serio, con quello che dice, è inevitabile che una risata seppellirà Dario Fo e anche il suo razzismo antropologico”. Ora, a parte il fatto che non siamo convinti che 2232 conosca appieno il significato del termine “antropologico”, ma voi ce lo vedete uno con il cappuccio in testa, il grembiulino, la cazzuola e il compasso fare la ramanzina a un Premio Nobel? Mavalà, direbbe Sir Biss. Mara Carfagna, ex valletta di quel mostro di intelligenza che si chiama Giancarlo Magalli: “Le parole di Dario Fo dedicate a Renato Brunetta non gli fanno onore. L'insulto non è satira, è volgarità”. Mostrare tette e culo e fare calendari è invece un sano indice di bon ton. O' Schiattamuort, che solo perché lo definiscono “schiattamuort” dovrebbe toccarsi le palle ogni volta che si guarda allo specchio: “Le dichiarazioni di Dario Fo, dal contenuto spregevole, colpiscono per la gratuita volgarità di un personaggio che, evidentemente, è ben lontano dal senso alto della politica e offende impunemente, cercando di divertire come uno spettacolo di cabaret di scadente livello”. Di livello altissimo, invece, sono le barzellette piene di puttane del padrone e le bestemmie in diretta contestualizzate dal Vatican Servente, Fisichella. Danielona silicon-parlamentary: “Battute, quelle di Dario Fo, degne di uomini ignoranti e beceri”. Per Danielona vale il discorso fatto per O' Schiattamuort. Ovviamente si sono espressi anche i vari Lupi, Bondi, Prestigiacomo, Casellati, Capezzone e un certo Pagano che ha detto: “A Dario Fo andrebbe revocato il Nobel” e a lui la cittadinanza italiana. Senza i 101 mafiosi e senza Beppe Grillo, queste gentildonne e questi galantuomini si sarebbero fatti gli affari propri, sfogandosi a vicenda nella grotta dei giuramenti massoni, ospiti di 2232. Ma Dario Fo, al di là delle battute su Brunetta, che i suoi invece di dileggiarlo, lo prendono direttamente a schiaffi (vero, professor Tremonti?), ha detto anche un'altra grande verità. Riferendosi alla votazione su Romano Prodi, Fo ha detto: “Quelli che hanno affossato Prodi sono degli zozzoni, dei vigliacchi, dei maledetti e dei bastardi per la situazione in cui ci hanno messo. Sono abili distruttori della parola data. Hanno fatto una cosa indegna perché dovevano dirlo prima: non si può applaudire e poi sparare bordate sul partito. È stato un gioco al massacro. E poi – ha ancora detto il Premio Nobel – il vero scopo del governo Pd-Pdl, è quello di salvare il Pd, un fabulazzo osceno, dalla sbandata in cui si ritrova e salvare dalla galera, o dall'esilio, Berlusconi. L'unica cosa che importa è che Silvio sia salvo”. La carica dei 101. Mafiosi o zozzoni fa poca differenza. All'inferno, prima o poi, sprofonderanno. 

venerdì 26 aprile 2013

Improvvisare, specie sul 25 aprile, non sempre è un'arte. I pasdaran del Pdl vogliono un posto nel governo Letta che frena: “Ci sono problemi”.


Un nostro amico attore (un grande attore), ci ha sempre parlato dell'improvvisazione scenica come di un'arte. Nel teatro antico suppliva a buchi di memoria improvvisi: maledetti copioni iperstrutturati. Nel teatro un po' meno antico, l'improvvisazione veniva incontro a una malattia tipica dell'età: la sordità, che non permetteva di sentire la voce del suggeritore nella buca. Poi, via via, è diventata sempre di più una “licenza” che gli attori istrioni si concedevano per dimostrare quanto fossero bravi. Ionesco, ad esempio, si incazzava da matti quando un attore gli modificava il testo, e non era l'unico. Nell'avanspettacolo, l'arte dell'improvvisazione era tutto perché le battute che provenivano dalla platea, ironiche fino all'offensivo, quasi sempre brucianti, mettevano a dura prova l'abilità del capocomico nel rispondere al “Aho, facce ride'”. Totò, improvvisando, ha girato tutti i suoi film, ma lui era Totò. L'improvvisazione, insomma, è un'arte, ma anche una tecnica che un bravo attore impara per non creare buchi di copione e arricchire la sua parte, a volte, con veri e propri colpi di genio. Un attore, dopo un po' che pratica palcoscenici, tende a improvvisare, è nella sua natura, l'indole del protagonista che, quando non diventa una sindrome o una patologia, è estremamente benefica. In politica le cose un po' cambiano. Se poi vai a toccare corde sensibilissime, il risultato che si ottiene è quello di una sollevazione popolare o di un mare di fischi che invadono tristemente la platea. Per cui, se un bravissimo attore colto dalla sindrome dello statista improvvisato afferma che “L'inciucio ha sepolto il 25 aprile”, il minimo che può aspettarsi è la sollevazione popolare di cui sopra perché, oltre ad aver improvvisato male, da anche la sensazione di non conoscere il copione. E se qualcuno lo chiama “Becchino planetario” o, da Marzabotto, gli arriva una frase stile “Il mezzo morto sei tu”, l'attore di cui sopra non deve lamentarsi ma, umilmente, tornare a studiare la parte. Chi non improvvisa, perché ne sono incapaci, sono i pidiellini. Cantano e suonano ormai da vent'anni la stessa canzone: “Potere, potere, potere”, che è come il refrain della canzone di Mina e Alberto Lupo, solo che i due artisti veri cantavano “Parole”. Brunetta, Alfano, la Gelmini, la Santanchè, la Carfagna, Sacconi, vogliono tutti tornare ad occupare una poltrona. Per loro non è cambiato nulla. Le manifestazioni di piazza sono tutte contro il PD. Non si trova uno straccio di “sinistro” qualsiasi che vada sotto le finestre di Palazzo Grazioli a gridare “Buffone” al Capataz, se la pigliano con Dario Franceschini, reo di essersi fatto crescere la barba per passare per uno di sinistra. Nella sua immensa bravura, Silvio è riuscito ancora una volta a sviare l'attenzione dai suoi problemi, e dobbiamo dargliene atto. Anche se si è ritrovato a combattere contro Bersani, Marini, la Bindi e Fassina che non sono proprio fulmini di guerra. Ma i problemi nel PD non sono finiti. In queste ore aumenta a dismisura il numero dei parlamentari democratici che dichiarano di non votare la fiducia a Letta-Letta. Ha iniziato Civati, ha finito, ieri, Laura Puppato. Tanti gli scettici, fra cui la stessa Bindi e Fassina mentre si aspetta una parola definitiva da parte dei “giovani turchi”. L'impressione è che in questa legislatura, il Gruppo Misto sarà popolatissimo, solo posti in piedi. L'impressione è che chiedere a qualche deputato e senatore del PD di votare la fiducia a Berlusconi, sia andare contro natura. L'impressione è che, fatta la legge elettorale (perché se dovesse restare questa gli italiani prenderebbero i forconi), si torni a votare. Fare la mignotta è un mestiere di tutto rispetto, a meno che non si sia schiave. E qui di schiavi ne girano tanti. Troppi.

PS. Se fossimo nei panni di Vito Crimi ci dimetteremmo all'istante. Aveva appena dichiarato che il M5S avrebbe preso in considerazione provvedimento per provvedimento, che è arrivata la pronta smentita di Grillo: “Con questi non ci mescoleremo mai”. Un po' di crisi d'identità no, vero?

giovedì 25 aprile 2013

La Storia è una ed è antifascista. Il resto è delinquenza politica.


Silvio ci ha provato da subito a cambiare le carte della Storia. Ha iniziato cercando di mettere il silenziatore a uno dei capisaldi della costituzione italiana, la Resistenza, provando a trasformare i partigiani in delinquenti. Lo sconquasso etico e morale del berlusconismo è iniziato proprio da lì: dal negare che la Storia del nostro paese sia andata in un certo modo e che i partigiani non abbiano liberato alcunché, perché ci pensarono gli alleati. Silvio ha negato l'antifascismo e l'esistenza dei confinati, fatti passare per turisti spesati da Benito Mussolini. Ha negato le leggi razziali, varate per rispetto dell'alleato nazista. Ha definito il Duce uno statista e i fascisti gente con un forte senso dello Stato, tale e quale a Roberta Lombardi. Ha definito la dittatura di Mussolini, “una pseudo tirannia all'acqua di rose”, e i criminali di Salò, i famigerati repubblichini, giovani idealisti travolti dalla passione politica. Uno schifoso negazionismo, ha attraversato l'Italia da quando Silvio è salito al potere, e tutto per rifare una verginità chirurgica ai suoi alleati di governo, fascisti dentro e fuori e figli degli stessi delinquenti che bagnarono di sangue l'Italia. Vergognose sono state le pagine revisioniste scritte da Silvio, concluse (per il momento) il 27 gennaio, al binario 27 della stazione centrale di Milano, con affermazioni sul “fascismo buono” che stupirono e indignarono il mondo. Qualche tempo fa, presentando il libro di Harry SchindlerRoma ricorda i suoi liberatori”, ci rendemmo conto di quanto la storia ufficiale usasse toni edulcorati nel descrivere l'apporto dei partigiani alla lotta di liberazione. Schindler, invece, che visse in prima persona lo sbarco di Anzio, nel libro afferma a chiare lettere che senza le Resistenza e senza l'opera dei partigiani, l'Italia forse sarebbe stata liberata, ma avrebbe pagato un costo in termini di vite umane e di distruzioni, pari, se non superiore, a quello della stessa Germania. Anzi, Schindler attacca il temporeggiamento del generale Anthony Lucas che, invece di liberare Roma, ormai senza più alcuna difesa nazista, preferì attendere l'arrivo dei rinforzi. Se gli Alleati si fossero diretti immediatamente verso la Capitale, le Fosse Ardeatine non sarebbero mai esistite. Intanto al nord, a Salò, continuava la farsa violenta della Repubblica Sociale e quella guerra civile sempre negata, per decenni, dagli esponenti della Democrazia Cristiana che non pronunciarono mai quelle due parole. Forse è per questa ragione che, quando ascoltammo l'allora capogruppo del Pds Luciano Violante rendere omaggio alla memoria dei “ragazzi di Salò”, ci venne un coccolone e pensammo che l'Italia non sarebbe stata più la stessa. Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione dal Nazi-fascismo. Ci fa piacere (eufemismo) apprendere che i grillini non parteciperanno a manifestazioni celebrative ufficiali, preferendo non “mettere il cappello e la firma a manifestazioni politiche”, e mischiandosi fra la gente come comuni cittadini. Ma è il 25 aprile, porco boia, mica ferragosto, ed è inutile difendere ancora la vostra portavoce alla Camera. La signorina Lombardi ha detto una cazzata. Costa tanto ammetterlo?

mercoledì 24 aprile 2013

Letta-Letta a Palazzo Chigi, Tuttifrutti vice, Brooklyn Peppermint alla Cultura, Vigorsol Gola agli interni. Il governo delle delicatessen dolciarie.


Niente Amato, odiato dalla Lega ma apprezzato dal PD che avrebbe voluto un governo di basso profilo politico. In scena, protagonista assoluto, Enrico Letta-Letta, degno nipote di tanto zio democristiano. Letta (nipote) è un DC dentro, della peggior specie, quella dorotea, ma tant'è. Giorgio Napolitano ne ha decantato le lodi in modo ammirevole. Pure quelle internazionali, date dalla partecipazione con il ruolo di uditore a “Fori” economici, politici e sociali. Questo aspetto “mondiale” di Enrico Letta ci ha ricordato Oscar Giannino, ma tant'è, pure questa. Governo forte, quindi. Politicamente fortissimo. PD, PdL e Scelta Civica. Ancora, sempre loro, quelli dei suicidi e delle 3000 imprese chiuse giornalmente, dei lavoratori desaparecidos che hanno chiamato esodati, della disoccupazione giovanile mai tanto alta da 37 anni, degli zaini pieni di euro trasportati dagli spalloni in Svizzera. Silvio gongola, che botta di culo! E Alfano detta la linea al PD: “Non fate come con Marini, altrimenti tutti a casa”. Silvio è riuscito finalmente nel suo intento: essere leader anche dei democratici, in attesa di lasciare la guida del carrozzone e la patente a Matteuccio vostro che è nei cieli. Circolano già i primi nomi di possibili (probabili) ministri. Mario Monti agli esteri, la Cancellerieri agli Interni, la Severino alla Giustizia, Padoan all'economia, mentre vice dovrebbe essere 'O Schiattamuort e si riaffaccia Vuolter, avete capito, Vuolter Veltroni che, evidentemente, ha rivinto la sua ennesima battaglia campale con D'Alema. I grillini vogliono due presidenze pesanti, il Copasir e la Commissione di Vigilanza Rai. Sapere i cazzi di tutti e vendicarsi dell'azienda che lo aveva quasi messo sul lastrico, sono chiaramente gli intendimenti di uno statista chiamato Beppe Grillo. Auguri, Beppe

Fine settimana con gruviera: arriva Amato-Mickey Mouse


Ormai è deciso. Presidente del Consiglio Giuliano Amato, alias Topolino, alias il Dottor Sottile; ministro degli Esteri, Mario Monti (lo aspettano febbrilmente in India), ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, alias The Voice, Pier Carlo Padoan (direttamente dall’Ocse), ministro dell’Economia: un dream team di 300 anni però portati bene. Matteuccio , inveceha sperato fino all’ultimo. Aver trombato prima Franco Marini, poi Romano Prodi, e costretto alle dimissioni Piergigi Bersani e tutta la presidenza del PD, con Rosy Bindi in testa, non è bastato per avere il via libera da Silvio. Il Capataz gli si è infatti messo di traverso. Berlusconi teme Renzi, questo si sa, teme soprattutto che gli possa fregare la leadership nel Pdl, perché qualcuno dovrà spiegarci una volta per tutte, cosa diavolo ha Renzi di sinistra nella sua politica, se non l’aspetto... ma quello è declinato al maschile: sinistro. Così, dalla svolta rivoluzionaria siamo passati, in un mezzo giro di valzer, alla Restaurazione totale. Aggravante non da poco: una classe politica che il Financial Times ha definito (bontà sua) “gnomi” ma che, alla luce dei fatti, risulta essere composta da individui loschi, squallidi, tristi e pure un po’ coglioni. Sentirsi sbeffeggiati dallo scranno più alto di Montecitorio, dal Primo Italiano, in un clima da primo giorno di scuola con tanto di maestro incazzato perché gli hanno respinto la domanda di pensionamento, loro lo hanno preso per un “monito alto espresso con viva e vibrante soddisfazione”. Insomma, più venivano bastonati e più i nostri politici applaudivano: coglioni come sono non si sono resi conto che Napolitano li stava trattando da deficienti. Incredibile, l’uscita di Vito Crimi e di Roberta Lombardi: “Il Presidente della Repubblica ha riconosciuto che non siamo un’emergenza”. E vivaddio, ma chi vi credete di essere, Frida Kahlo e Diego Rivera o, meglio, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida? Nel frattempo, Beppe Grillo ha detto chiaro e tondo che il M5S voterà “no” al governo dell’inciucio, ma c’era qualcuno che pensava il contrario? Dopo la batosta in Friuli (Beppe era convinto che sarebbe stata la prima regione governata dai 5S), è arrivato anche lo stop alla collaborazione sicula con Crocetta. “Sentiamo aria di inciucio anche a Palermo”, hanno detto i grillini della Trinacria, non è che, invece, il Movimento ha già perso la sua spinta propulsiva avviandosi a diventare, come la Lega, un prefisso telefonico? Da oggi inizia il ponte del 25 aprile, la nostra Festa della Liberazione. A un certo punto abbiamo pensato di festeggiarla davvero, la Liberazione, da quell’incubo ventennale di nome Silvio. E invece, ricorderemo la Resistenza con il craxiano Amato. Tutto cambia, nulla cambia perché quando, ieri, una giornalista ha ricordato al Dottor Sottile il prelievo forzoso sui conti correnti, sapete cosa le ha risposto Topolino: “Scusi, lei in banca quanto ha?”

martedì 23 aprile 2013

Elezioni in Friuli: il M5S dimezzato. E parte il più grande minestrone sciapito della storia italiana. Il Financial Times: “Politici italiani gnomi”.


Ci sta salendo una rabbia dentro come raramente ci era accaduto in questi anni parlando di politica. Rabbia per una banda di suonatori di pifferi stonati che, spacciandosi per politici di razza, stanno affossando un paese che è pur sempre uno degli otto al mondo e il terzo in Europa. Rabbia per mummie che siedono sugli scranni dove si decidono le sorti dell'Italia, ma loro giocano a Risiko. Rabbia per l'incapacità di uscire da schemi vecchi come il cucco, quando l'Italia avrebbe bisogno di uno scatto di fantasia e di vitalità come mai era accaduto in precedenza. Rabbia, infine, e anche delusione, per quello che poteva essere e non è stato per scempiaggine e puro calcolo, per dispetto e ignoranza, per ripicche e per quel senso di sentirsi onnipotenti pur essendo solo degli inguardabili quacquaracquà. Tutti insieme allegramente sulla nave che prenderà il largo per essere affondata alla prima mareggiata. Tutti lì, a babordo, gli ornitorinchi della repubblica, le mezze seghe, le mignotte, i servi, i ragionieri, i geometri, gli evasori fiscali, i portatori di conflitti di interessi enormi, gli ineleggibili, gli indagati, gli avvocati, i medici specialisti e generici, le visagiste, le igieniste, le suore, i frati, i preti, i massoni, i banchieri e santiddio, manco un cassintegrato qualsiasi o un iscritto alla Fiom. È l'ora della discesa in campo degli sciacalli, degli avvoltoi, delle iene, dei paguri bernardi, delle blatte e delle zecche, dei pidocchi e delle piattole, un esercito di sanguisughe e di mangiapane a tradimento pronto a saltare addosso al nemico (interno) di turno e farsi largo a colpi di punture e morsi. È l'ora dei Renzi e dei Letta, degli Amato e dei D'Alema. Dentro ci sono tutte le età, ma anche un tasso di machiavellismo insospettabile, soprattutto in chi si dichiara (e anagraficamente lo è), giovane. Il PD è una zattera in alto mare, una carretta nel Canale di Otranto, un boat-people sul Pacifico che dal Vietnam va verso l'Australia. Sembra più la nave dei disperati che un partito, perché sulla nave dei disperati ci si da una mano, nel PD ci si scorna. Con chi Renzi governerà questo paese non si sa, forse con un po' di deputati del Pdl prestati per l'occasione. Ma la rabbia maggiore è nei confronti del Movimento 5 Stelle. Quando tutti dicevano che con il muro contro muro Grillo avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta alle prossime elezioni, noi ci siamo limitati a dire che non sarebbe stato così, che gli italiani volevano e vogliono soluzioni, non prospettive future. La fame è oggi, si campa alla giornata, domani chissà. Grillo non lo ha capito. Travolto dalla valanga dei consensi che ha preso, e che lo hanno portato a essere il primo partito per voti espressi in Italia, si è fatto prendere dal delirio di onnipotenza, quando avrebbe dovuto sedersi e riflettere, tanto, profondamente, intimamente, magari con il papà di Gaia che avrebbe potuto smettere per un quarto d'ora di smanichettare l'ultimo videogame 3D. La riprova? Le elezioni in Friuli. Ieri. Nonostante il massiccio intervento di Grillo, che ha parlato perfino alle montagne, il M5S ha subito un tracollo perdendo quasi la metà dei voti presi alle politiche. Ha rivinto il partito dell'astensionismo (più 20 per cento) che qualcosa dovrà pur dire. Ma ha (anche) vinto la Serracchiani, giovane e limpida pidina, che ha battuto il candidato del Pdl pure se per un pelo. Anche questo qualcosa dovrà pur dire. Grillo ha avuto la possibilità di cambiare l'Italia, non lo ha fatto, ne pagherà le conseguenze, perché questi quattro barboni della politica che ci governeranno, lasceranno decantare il suo Movimento, lo relegheranno in un angolo e non serviranno a nulla le chiamate di piazza: la gente vorrà tornare a mangiare ieri e non dopodomani. Peccato, la più grande occasione persa negli ultimi 150 anni, di mandare a casa Berlusconi, di ridurre definitivamente allo stato di pensionato D'Alema, di non considerare un giurista Violante, di far rientrare Brunetta al circo e Cicchitto in cantina a travasare il vino con il cappuccio bianco in testa. Peccato perché nella trappola mediatica e nella rabbia attoriale di Grillo ci siamo caduti anche noi. A questo punto, la voglia di imitare Muzio Scevola che ci era venuta dopo aver votato Di Pietro, con Grillo sta diventando un gesto da nemesi. E meno male che Nichi tiene duro. Almeno lui. 

lunedì 22 aprile 2013

I dietrofront di Grillo, l'acne juvenilis di Renzi. Ma non basta. Per Alfano, Silvio è uno statista. Bene!


Piroetta di 360 gradi e addio Marcia su Roma. Niente comizi, niente adunate di piazza, niente toni da rivolta popolare. Beppe Grillo torna a fare il comico e perde l'occasione per dare un forte incremento alla sua base elettorale. “Nessun golpe, per carità – esordisce davanti ai giornalisti che in questo momento gli servono come il pane e quindi li liscia un po' – tutt'al più un 'golpettino', utile a salvare il Caimano e la Banca del PD”. Tutto vero, meno quel termine che, subito dopo le elezioni, Beppe ha adoperato con una virulenza che per qualche ora, ci ha fatto preoccupare seriamente. Mica perché riteniamo i 5S ragazzi in grado di prendere con la forza il Palazzo d'Inverno, ma perché in alcuni momenti ci tornano in mente le parole di Kossiga sulla tecnica della strategia della tensione: “Che ci vuole – disse il capo di Gladio – basta mettere nei cortei una decina di infiltrati e il morto è fatto”. Siccome siamo convinti che il cinismo kossighiano non se ne sia andato con il legittimo proprietario, e non giaccia in una tomba, il pericolo che qualche emulo possa spuntar fuori è del tutto ricorrente. Bene ha fatto dunque, Beppe Grillo, a organizzare una gita fuori porta chiamando i giornalisti per spiegare meglio le sue parole, un dietrofront clamoroso che ha spiazzato tutti, ma che ha fatto capire alla gente che nel momento in cui ci si mette a giocare, occorre rispettarne anche le regole. Il fatto che Grillo non sia un anarchico vero (un po' ci dispiace), sta tutto qui. Un anarchico tende per costituzione fisica e mentale, a sovvertire ordini sociali, qualunque essi siano. In attesa di farlo, però, ne segue le regole fino a quando non si trova nelle condizioni di cambiarle. A Grillo rimproveriamo proprio questo: di non aver tenuto una metaforica pistola puntata contro il governo Bersani, di non aver prodotto la legge sulla ineleggibilità, di non aver introdotto un serio conflitto di interessi, di non essersi messo nelle condizioni di salvare il nostro patrimonio culturale, sociale, ambientale ed economico, di non aver salvato l'acqua e l'aria pubblica, di non aver impedito la riproduzione per osmosi di una classe politica becera e logora. Avrebbe potuto farlo senza nessuna fatica e non lo ha fatto, permettendo alla vecchia politica di tutelarsi come e meglio non avrebbe potuto. Sono ancora tutti lì con lo stesso direttore d'orchestra: Amato e Letta, Casini e Monti, Berlusconi e D'Alema, perché se qualcuno pensa che Baffetto abbia appeso il timone al chiodo non ha capito davvero una mazza. Beppe non ha solo permesso il salvataggio del Caimano, ma lo ha fatto assurgere, come spiega quel gran pezzo di Corvo Rockfeller di Angelino Alfano, a ruolo di statista. Che da questo putiferio Silvio ne uscisse fuori da statista, è un 'merito' indelebile che Grillo si porterà nella tomba. L'unica nota positiva di questa faccenda, è che il cittadino Crimi e la cittadina Lombardi, perderanno molta della loro spocchia, non conteranno più un cazzo, e torneranno a fare quello che facevano prima di entrare in Parlamento: niente. L'altro corvo (stiamo riesumando alla grande Allan Poe), è Matteo Renzi del quale, oggi, Repubblica riporta in prima pagina il decalogo (e chi sei Mosè?): “Ecco come rifonderò il PD”. Vorremmo chiedere sommessamente all'irruento, e molto ambizioso, sindaco di Firenze che si è legato al dito la mancata nomina a “grande elettore” e lo ripete in loop: ma quelli del PD lo sanno che li vuoi rifondare? Perché se noi fossimo iscritti al PD e a rifondarci dovessi essere tu, preferiremmo cambiare aria. Ieri, Franco Marini a Lucia Annunziata, ha detto senza peli sulla lingua quello che pensa di Matteuccio viaggiatore, con famiglia al seguito, ad Arcore con annessa visita guidata e gratuita al Mausoleo: “Renzi dovrebbe frenare la sua giovanile esuberanza, essere meno arrogante, contenere la sua sfrenata ambizione, limitare la sua spensieratezza scapigliata, rendendosi conto che la politica non si gioca con il joystick perché non è la Playstation”. Pensate un po', lo ha capito perfino Grillo che la politica non è la Playstation, Matteo dovrebbe impiegare meno tempo e sforzi meno sovrumani. Intanto da mercoledì, Re Giorgio inizierà le consultazioni. A fine settimana dovremmo avere il governo, altrimenti a cosa sarebbe servita la sua rielezione? E, oltre ai nomi che abbiamo fatto ieri per il ruolo di Presidente del Consiglio (Amato e Letta), nella notte ne sono spuntati altri due, Piero Grasso e Anna Maria Cancellieri che andrebbero già meglio. Ma l'idea (“ideona” la chiama ilFatto) più incredibile sapete qual è? Luciano Violante alla Giustizia. Capito come si chiude il cerchio?

domenica 21 aprile 2013

Arriva Amato, il dottor Sottile. Italiani, occhio ai conti correnti: Cipro a Giuliano fa un baffo.


Se avessimo un conto corrente corposo, meglio, un conto corrente e basta, penseremmo seriamente a svuotarlo e a rimettere in funzione la vecchia mattonella di nostra nonna. Il fatto è che chi ha l'abitudine storicamente certificata, di mettere le mani nelle tasche degli altri, difficilmente la perde, anzi è portato a reiterarla proprio come i killer seriali. E le condizioni economiche del nostro Paese, che spinsero nel 1992 il dottor Sottile a fregarsi il 6 per mille dei nostri soldi depositati in banca, se possibile, sono peggiorate. Non volendo parlare della rielezione di Giorgio Napolitano, alias “il firmator cortese”, dobbiamo prendere atto che in Italia chi parla di rinnovamento anche anagrafico della classe politico-dirigenziale, va a cozzare contro un muro di gomma colossale, una sorta di cinta muraria impenetrabile che rende Roma una fortezza inespugnabile. Se Napolitano dovesse portare a termine il suo secondo mandato, avrebbe 95 anni. Amato presidente del consiglio, 80. La media di età dei politici che contano, dei vip insomma, è di 63 anni. Stefano Rodotà, candidato fino all'ultimo dei 5S e di Sel, 80 anni. Franco Marini, 80 anni. Romano Prodi è un giovane virgulto, 74 anni. Silvio Berlusconi, 76 anni. E questo è un indubbio messaggio di speranza rivolto alle nuove generazioni: ragazzi non disperate, la media di età si è alzata a dismisura. È vero che non farete un cazzo fino a 60 anni, però poi potreste anche concorrere alla presidenza della repubblica. Su tutta questa sporca faccenda, si potrebbe scrivere un istant-book. Ne escono fuori tutti con le ossa rotta. Dal M5S al PD (addirittura nebulizzato), da Scelta Civica praticamente ridotta a comparsa di fila, alla Lega, Arlecchino servitore di due padroni. L'unico vincitore vero, certificato, santificato è sempre lui: Silvio Berlusconi, re di Arcore, imperatore di Cologno Monzese. Infatti. Il concetto di “popolo” (o “maggioranza silenziosa” di fantozziana memoria), del M5S è quantomeno bizzarro. Proprio questa mattina, un grillino intervistato da RaiNews24, ha detto che alle Quirinarie hanno preso parte 50mila grandi elettori. Considerato che Stefano Rodotà è arrivato terzo, dietro due calibri dell'appeal di Milena Gabanelli e Gino Strada, i voti che il giurista ha realmente preso si possono calcolare sulla base dei 5mila, forse qualcuno in meno. Parlare di popolo ci sembra, come dire, esagerato e sapete cosa ha detto il grillino di cui sopra? “Comunque i 50mila votanti del M5S sono sempre di più dei mille intervistati per i sondaggi”. Insomma, il popolo della Rete non ha votato, ha fatto un sondaggio. Dopo il dietrofront di Beppe Grillo sulla Marcia su Roma dei milioni di 5S (Rodotà, da quel grandissimo giurista che è, gli ha fatto sapere che a lui stanno sulle palle tutte le marce su Roma), stamattina griderà al golpe ma sarà tutta una scena. Il suo obiettivo lo ha raggiunto: spaccare il PD. Complimenti Beppe, finalmente qualcuno è riuscito a smascherare un partito che non è mai esistito. La fregatura è che facendo in questo modo, l'unico ruolo che i giovani del Movimento avranno in Parlamento, sarà quello degli scassapalle e non di più. E pensare che un grillino umbro, giunto appositamentea Roma da Norcia, ha chiesto a gran voce ai suoi amici cittadini parlamentari, la legge sulla ineleggibilità di Silvio: beata ingenuità! Del PD abbiamo detto, scritto, sparlato, ma sempre con una vena di malinconia, pensando a quello che poteva essere e non è stato. Porteremo un fiore sulla sua tomba. Mario Monti, da genio dell'economia, è diventato la spalla intelligente dei Fratelli De Rege: “Vieni avanti, cretino” e lui va. La Lega Nord, poverina, è la succursale ibrida e frigida del Pdl, non muove un passo che Silvio non voglia, e se ci prova, Maroni si piglia un cazziatone che metà basta. Rimane lui, sempre lui, incontrovertibilmente lui: Silvio. Le strette di mano, le pacche sulle spalle, gli abbracci che lo hanno travolto dopo l'elezione di Giorgio Napolitano, la dicono lunga sul senso di questa elezione. Basterebbero le immagini per commentare quello che ha significato per Silvio questa fase politica, una vera e propria rinascita, una overdose di Viagra. Ora si aprono davvero orizzonti inaspettati, e pensiamo con amarezza che se solo qualcuno avesse deciso di cambiare le cose sul serio, e non di fare semplicemente finta, oggi commenteremmo un'altra vicenda. Invece siamo qui a raccontare la disfatta storica della sinistra che non c'è, l'ennesimo sogno svanito all'alba, l'arrivo alla presidenza del consiglio del dottor Sottile (geniale la definizione data di Amato da Eugenio Scalfari) o, in subordine, del nipote di Gianni Letta, quell'Enrico tramatore pretigno che ha le sue belle responsabilità ma uno zio che conta parecchio. Italiani, occhio al conto corrente. Se ne avete uno, svuotatelo. Ci sono sempre le mattonelle del bagno perché il materasso di crine non esiste più.

sabato 20 aprile 2013

PD addio. Si squaglia il partito mai esistito. È arrivato il momento di scegliere da che parte stare.


C'è riuscito un comico a spazzar via il partito che non c'è. Si era capito subito. Dai “no” a Bersani, che non erano “no” al PD ma proprio a Bersani, all'inserimento di Rodotà e Prodi nell'elenco dei “quirinabili”, Grillo ha fatto la sua parte denotando tutt'altro che sprovvedutezza. Il ragionamento è stato semplice: far esplodere le contraddizioni nel PD, significa farlo scindere. Le due anime, più una terza dal vago sapore diabolico, avrebbero preso a quel punto, strade diverse e in campo sarebbero rimasti in due, lui e Berlusconi, ma con una buona parte dell'elettorato del PD che avrebbe scelto lui, il comico portavoce del fantastico e un po' funereo mondo di Gaia. Il PD, travolto dai suoi stessi, arcaici, protagonismi interni, è imploso vittima di una strategia che, qualsiasi risultato avesse avuto, lo avrebbe portato allo sfascio. Errore madornale, la scelta di Marini. E a Bersani, i “diabolici” di cui sopra, gliel'hanno lasciata fare senza colpo ferire: Marini sarebbe affogato da solo. Fatto fuori il candidato “condiviso”, anche per una non troppo inaspettata rivolta di piazza, l'unica proposta apparentemente riunificante, era quella di Romano Prodi, il personaggio “guardabile” rimasto della vecchia guardia. Il Professore però, che conosce le strategie dei “diabolici”, se n'è rimasto in Mali. Lui, che tirava un'aria sulfurea da Faust, l'aveva sentita a naso, nella sua camera d'albergo. E Prodi ha fatto la fine che, sempre i “diabolici”, avevano pianificato a tavolino: impallinato ad altezza d'uomo o, se preferite, come disegnano oggi quelle personcine educate e mai volgari di Libero, con il culo a 90 gradi. Piergigi, vittima di quelli che lo avevano portato per mano alla segreteria del partito, ha mollato, e ha mollato anche Rosy Bindi, per la serie la coerenza non è sempre una gran puttana. Ricompaiono, uscendo dalle zone buie nelle quali si erano andati a infilare, indovinate chi? Amato e D'Alema. Uno, il dottor Sottile, pensionato a 31mila euro al mese, stratega di livello che manco West Point, aveva continuato a fare il topo, ma mai in trappola. L'altro, il Baffetto con il cervello circonciso, alunno della scuola superiore delle Frattocchie, inculatore recidivo del Professore bolognese ma, a sua volta, vittima sacrificale delle inculate di Silvio (un protagonista passivo del Bunga Bunga), è uscito un po' più allo scoperto, manovrando con accortezza i voti dei suoi. Dove i due galantuomini volessero andare a parare, si è capito ieri. Entrambi potrebbero essere eletti spacciandosi per candidati “condivisi” (ma più dal Pdl che dal PD), entrambi sono nelle condizioni, una volta eletti, di nominare Silvio senatore a vita e toglierlo, definitivamente, dalla scena politica con in mano il passaporto dell'impunità perenne. Altro che presidenza della repubblica (sette anni), altro che presidenza del Senato (cinque anni), Silvio punta a restare fuori di galera. E Baffetto ci sta, e Amato pure. Loro, di pelo sullo stomaco, ne hanno a quintali. A Massimo D'Alema c'è da dare atto di aver capito prima degli altri, che la fondazione del PD era una stupidaggine. Da sempre contrario, lo skipper Baffetto ha fatto di tutto perché l'idea stessa di un partito democratico, venisse relegata nell'ambito delle utopie. Si è messo di traverso perché, ritenendosi patologicamente il migliore manco fosse Togliatti, non sopportava che qualcuno lo relegasse in un angolo. Solo che, sempre lo skipper di cui sopra, non godeva, né gode, di nessun prestigio personale in Italia e in Europa. D'altronde, come può averne un politico di sinistra che silura un governo di centrosinistra, quello di Prodi, alleandosi con Kossiga e Mastella? Così, giornalisticamente parlando, prendiamo atto che il PD non esiste più. Che i vecchi funzionari del PCI, rimasti saldamente in sella per anni, lo hanno ucciso freddamente, con un cinismo incomprensibile se non letto attraverso la logica del mantenimento dello status quo e dei tanti privilegi ancora rimasti. Dai sindaci di paese a quelli di città, dai presidenti delle province a quelli delle regioni, i vecchi dell'apparato di Botteghe Oscure, hanno combinato sconquassi tali che non potevano che fare la fine degli esseri in via di estinzione; avvertenza per l'uso, non chiediamo, per favore, a quelli del WWF di tenerli in vita. Il leader di tale compagine è Massimo D'Alema che sta cercando, con le unghie e con i denti e con l'amicizia sempiterna di Silvio, di resistere ancore sette anni pagato profumatamente non più dal partito ma dagli italiani e poi via, senatore a vita e gite in barca con Berlusconi e qualche mignotta. Perché vedete, per Baffetto, il Quirinale sarebbe una sorta di rivincita finale. Nei confronti di Veltroni che ha sempre odiato, di Prodi che ha sempre detestato, e di tutti quelli che, dentro il partito, lo vedevano più attaccato al timone di Ikarus che su una poltrona qualsiasi a comandare. Alla fine sarà D'Alema, a meno che non intervenga la Deutsche Bank, allora Mickey Mouse potrebbe farcela ancora.

venerdì 19 aprile 2013

La fine triste dell'”uomo delle metafore”. Ciao Piergigi.


L'immagine di apertura non è solo un fortunato clic fotografico, ma l'icona di una disfatta. Subito dopo le fumate nere “mariniane”, Bersani, con un bicchiere di birra in mano e il toscano nell'altra, ha detto: “Ragassi, mi sfilo dalla corsa per Palazzo Chigi”. Piergigi è un uomo distrutto dalle sue stesse, clamorose fesserie, dall'incapacità di guidare un partito in cui D'Alema e Veltroni, Letta e Fioroni, la Bindi e Franceschini, Parisi e la Finocchiaro, hanno sempre spadroneggiato tenendolo per le palle. Il PD è un partito che non esiste, semplicemente perché non ha mai incarnato lo spirito di nessuno. Apparentemente post-ideologico, non è mai riuscito a far convivere le anime della Margherita e quella dei PCI-PDS-DS e ammennicoli vari. Minato dalle sue stesse invidie interne, e da culti di personalità senza valore, il PD non ha mai rappresentato quell'idea di sinistra europea, definiamola socialdemocratica, che era alla base della elaborazione prodiana. Negli anni del berlusconismo poi, il PD si è fermato, non è stato più quel laboratorio di idee e di proposte che ne aveva contrassegnato la nascita. È diventato succube e vittima del “Re delle televendite”, che era un Re nudissimo e nessuno se n'è accorto, vestendolo illusoriamente d'oro e di broccati. E quel Re è sopravvissuto alle sue stesse nefandezze, anche per merito di un partito che aveva bisogno, per sopravvivere, di un nemico da combattere con il quale, però, pranzare e cenare. La Bicamerale, il riconoscimento della Mediaset del prosciutto cotto Rovagnati e di Bilba di Cadey come grande patrimonio culturale nazionale, le leggi presentate e affossate sul conflitto di interessi, un verbale (uno) della commissione delle verifiche elettorali sull'ineleggibilità di Berlusconi, chiara come il sole. E poi gli autogol clamorosi, la smania di protagonismo, la cieca presupponenza di essere i migliori, l'arroganza dei poteri forti, le banche, le barche, la rincorsa alla politica spettacolo sapendo di aver perso in partenza, i tradimenti sottili e quelli da accoltellamento alle spalle, due governi fatti fuori, il revisionismo storico di Violante e, alla fine, le due fellonie più schifose: il voltafaccia al movimento operaio e alla Resistenza, con il via libera ai berluscones di farne scempio. E non solo. A livello locale, il PD è stato peggio, se possibile, della vecchia Democrazia Cristiana. Negli anni si è costruito una rete di potere e sottopotere da voltastomaco, lasciando fuori tutti quelli che avevano idee e proposte nuove e mantenendo l'apparatnik che fu del PCI, ma che del PCI non aveva niente, manco più la bandiera, tanto meno l'Internazionale che a noi, che comunisti non siamo mai stati, emoziona ancora. L'immagine di Bersani abbracciato ad Alfano è la parabola di un partito che, finita questa buriana delle presidenziali, farà bene a scindersi, a polverizzarsi, perché solo dal kaos può rinascere qualcosa che somigli a un partito della gente. Non è la Rete  (minimal) di Grillo, la risposta. Né le televisioni e i giornali di Berlusconi. È un discorso di cuore e di anima, talmente difficile da comprendere che, a questo punto, chiunque venga eletto oggi pomeriggio, alla quarta chiama o alla quarantesima, a noi non ce ne fregherebbe comunque un cazzo. Rispunta il nome di Prodi, quello spernacchiato da Silvio a Bari. Ora diteci che differenza fa fra Prodi e Rodotà, se non la spocchia di dettare le regole del gioco. All'Italia non servono croupier, ma Piergigi non se n'è manco accorto: sta cercando in tutti i modi di servire la mano vincente a D'Alema

giovedì 18 aprile 2013

Roma ore 10. In diretta tv il suicidio del PD. Da maggioranza relativa a soggetto psichiatrico.


Era ora. Non ne potevamo più. Di questo PD l'Italia non sa che farsene. Pensateci, dopo che Vendola ha detto “no” a Marini e “sì” a Rodotà, il PD è rimasto solo Centro. La Sinistra è scomparsa definitivamente ed è rinata la Balena Bianca, l'assurdo è che Achab ha le sembianze di Pierluigi Bersani. Berlusconi sceglie il presidente della Repubblica e il segretario del PD dice “sì” dopo quasi 50 giorni di limbo. Tradisce il suo elettorato, “Mai un'alleanza con Silvio”, e si getta a corpo morto nelle braccia del peggior nemico della democrazia che questo paese abbia mai avuto: l'ex repubblichino Giorgio Almirante, in un ipotetico confronto con Silvio, sarebbe un moderato di stampo anglosassone con tanto di parrucca bianca e riccioli. Franco Marini, ottantanne, ex segretario della CISL, democristiano di ferro, ha nel suo recente passato, una cocente bocciatura in Abruzzo, la sua regione, che non lo ha rieletto al Senato dopo una lunga e silenziosa carriera. In Abruzzo, una terra che non capiamo più, è stato rieletto perfino Totonno Razzi, il che significa che la destra si riconosce nello statista dei cazzi suoi e che la sinistra ha bocciato Marini fino a considerarlo un corpo (morto) estraneo. Insomma, non lo hanno voluto neppure i suoi concittadini di San Pio delle Camere, perché lo dovrebbero sopportare, per sette anni, 60 milioni di italiani? Ovviamente il popolo della sinistra è incazzato nero. Torneremo ai “girotondi” di quando lo stesso popolo diceva a D'Alema “dì qualcosa di sinistra, ti prego”. Torneremo a rivivere l'ennesima spaccatura di una sinistra che non trova pace, e nessuno che riesca a farne convivere le mille anime perse fra la nostalgia, l'incapacità di guardare oltre e l'abbraccio mortale con il capitalismo (gli agi, le comodità, le estetiste e i parrucchieri piacciono a tutti, popolo di sinistra compreso), e infatti, un borghese di sinistra è un assurdo in termini, peggio dei cattocomunisti. Dall'altra parte, a contendere il Colle al democristiano di ferro, c'è Stefano Rodotà, il primo presidente del “rinnovato” partito comunista. Ottant'anni anche lui, giurista integerrimo, costituzionalista poco avvezzo ai compromessi, è risultato terzo alla Quirinarie ma primo dei papabili “seri”. Lo voteranno i grillini, quelli di Sel, i pidini dissenzienti compresi i renziani. Da questa ennesima pagliacciata all'italiana, molto difficilmente Franco Marini dovrebbe essere eletto presidente al primo scrutinio. 672 voti sono una tombola e considerati i presupposti, non crediamo che Marini li abbia. E se non dovesse essere eletto al primo turno, c'è la possibilità che non lo sia neppure al secondo e al terzo. Cosa potrebbe accadere allora? Un ripensamento dei pidini ortodossi e un pronunciamento a favore di Rodotà? Impensabile. Eccolo che, come in un incubo, tornerebbe in pista lui, quello dell'1 per cento dell'imponibile a Mediaset, quello della Bicamerale, quello che con Silvio si può, quello delle leggi mancate sull'ineleggibilità e sul conflitto d'interessi. Signore e signori: Massimo D'Alema. Baffetto è pronto. In queste settimane ha lavorato alacremente e, per farlo meglio, non si è ripresentato alle ultime elezioni facendo intendere di aver compiuto la “solenne rinuncia”. È andato perfino a Firenze a parlare con Renzi il quale, troppo giovane e troppo ambizioso com'è, ha gradito. Anzi, volete che ve la diciamo tutta? Secondo noi c'è un progetto preciso dietro tutto ciò. Franco Marini, un po' rinco com'è, è l'agnello sacrificale. Bersani e suoi compari di merenda, sanno perfettamente che una parte del Pd non lo avrebbe mai votato, e allora lo bruciano. Fanno finta di provare a fare una cosa unificante e, al quarto turno, sempre con Silvio ma con un PD ricompattato, passa il salvatore della patria: Massimo D'Alema. Se dovesse accadere questo, la sapete una cosa? Speriamo che Marini passi al primo turno.

mercoledì 17 aprile 2013

Amato for President. Ma che siamo su "Scherzi a parte"?

Giuliano Amato è un politico che non brilla certo per coraggio. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dell'Era Craxi (il Gianni Letta di Berlusconi), dal 1983 al 1986, il Dottor Sottile (o Mazarino) come lo chiamavano quelli dell'Estrema, di Craxi e del craxismo fu uno dei teorici più accreditati. Non appena sentì nell'aria aleggiare il disfacimento del suo mentore, si fece da parte in punta di piedi, aspettando che il cadavere (politico) di Bettino navigasse esanime sul fiume. Giuliano Amato è tristemente famoso  perché, l'11 luglio del 1992, prelevò forzosamente dai conti correnti bancari, il 6 per mille dei depositi, e la cosa che fece incazzare ancora di più gli italiani, fu che il decreto ebbe effetto retroattivo: l'11 luglio era lunedì, il decreto venne fatto decorrere dal 9 (sabato) a banche chiuse: sottigliezze mefistofeliche da Dottor Sottile. Amato percepisce una pensione di 31mila euro netti al mese, una cosa vergognosa. Il 2 giugno 2008, annunciò solennemente il suo distacco definitivo dalla politica attiva italiana tanto che, l'anno dopo, diventò presidente dell'Enciclopedia Treccani ma anche, udite udite, consulente in Italia della Deutsche Bank. Può un uomo così incarnare il cambiamento? Per una parte del Pd e tutto il Pdl, sembra proprio di sì. Uomo buono per ogni stagione, Giuliano Amato è dotato di un particolare acume, una dote che gli ha permesso di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto, e di fuggire a gambe levate (ma in punta di piedi) quando il barometro segnava burrasca e il meteo venti forti. The Economist lo chiamò scherzosamente Mickey Mouse (proprio Topolino) perché è “piccolo, intelligente, calmo e baldanzoso”. Ora, sapete tutti le qualità che occorrono per essere un buon presidente della repubblica. Domanda. A parte che i grillini voteranno il loro candidato fino alla fine, resta da chiedere al Pd: come farete a sostenere Giuliano Amato a fronte di una controproposta Stefano Rodotà? Con che coraggio Bersani potrebbe ancora invocare il cambiamento, sostenendo per il Quirinale il consulente della Deutsche Bank in Italia? Quisquilie, pinzillacchere, frattaglie... La vittoria della Gabanelli alle Quirinarie è l'atto più coerente fatto dal M5S dopo le elezioni. Ecco, Milena, laddove possibile, incarna quello che dovrebbe essere il grillismo: andare avanti, non schierarsi ma capire, denunciare. Dato per assodato che la Gabanelli non farà mai il presidente della repubblica, restano un paio di considerazioni da fare. La prima è che non vorremmo che dopo questa faccenda, Milena diventasse, come tanti, una giornalista inquadrabile in uno schieramento e, quindi, meno credibile. La seconda riguarda l'abilità e la professionalità del gruppo di “Report” nello svolgere inchieste che non guardano in faccia a nessuno. Ma che per caso ne avevano in mente una sugli industriali della Marca? Sperando che non sia così, cioè una captatio preventiva a favore di alleati politici scomodi, resta il fatto che le Quirinarie hanno dato un altro scossone alla politica italiana. Peccato, come sempre, che non si conoscano le cifre della consultazione on line. In poche parole: quanti grandi elettori hanno votato? Quanti voti ha preso la Gabanelli e quanti Gino Strada e Stefano Rodotà? Ma nel M5S non c'è mica Alfano, che pretende la riconta dei voti quando perde e va tutto bene Madama Dorè, quando vince! Nel M5S sono tutti allineati e coperti, soldatini di piombo fatti in serie, manco a mano. E noi con i soldatini ci giocavamo a 5 anni (poi siamo passati alle bambole).

martedì 16 aprile 2013

I dietrofront di Casaleggio. Gli scontrini della Lombardi ignara della Costituzione. La tripanosomiasi di Crimi. Les Misérables del Pd. Renzi e Silvio a Parma. Le bombe di Boston. C'è un po' di casino in giro.


Fermi tutti. Bocce ferme. Cos'è la democrazia per Casaleggio, un venticello sottile che fa venire i brividi alla schiena? Un orpello idiomatico? Una s-regola sintattica? Un concetto sulfureo? “Il candidato alla presidenza della repubblica lo sceglie la Rete”. E su questo siamo tutti d'accordo, anche se, da facenti parte della Rete, ci sentiamo esclusi. La rete sceglie ma, secondo Casaleggio, sceglie male. Allora, a urne virtuali ancora aperte, contravvenendo a qualsiasi regola di un gioco non suo, dà apertamente consigli per gli acquisti: “Niente Prodi, niente Bonino”. E succede giustamente un casino, perché non si è mai visto al mondo qualcuno contraddire se stesso a stretto giro di clic. La democrazia è rischiosa, non sempre vede rispettati i propri pensieri. Il gioco della maggioranza, del + 1 che fa vincere, non è solo un gioco ma una regola. E le regole del gioco, anche se ti chiami Casaleggio, e tratti con gli industriali teorici della “dipartita serena” delle aziende in crisi, le devi rispettare. Dietrofront, quindi, clamoroso e una figura di merda colossale. La stessa di Roberta Lombardi che, in  conferenza stampa, afferma sbigottendo tutti, “dove sta scritto che il presidente della repubblica debba avere più di cinquant'anni?” Sulla Costituzione, Roberta, su quel libretto che avete detto di aver studiato durante le ore dell'occupazione della Camera e del Senato. Dove? Articolo 84, poffarbacco. Ma alla Lombardi in questo momento perdoniamo tutto. La perdita del suo amato portafoglio, con dentro scontrini per 254 euro rimborsabili, le ha fatto sbroccare il ciriveddro. Colta dalla disperazione, ha chiesto un referendum in Rete per sapere come fare, in assenza di pezze giustificative, a farsi rimborsare. Ma con lo stipendio che prendi, ti attacchi pure a 254 euro? Perché non decidi di devolverli al fondo Cig, coperto fino a giugno e poi rivoluzione? L'hanno presa per il culo tutti. Prima i fasci statisti, poi Ballarò, poi la disconoscenza della Costituzione, poi il portafoglio, Roberta, c'è un limite a tutto. Tale e quale, la Lombardi, al suo collega senatoriale Crimi. Il buon Vito, ieri sera in forma smagliante da Vespa, uno dei salotti televisivi criminalizzati (hihi!) dal suo capo, deve avere una qualche forma strana di malattia del sonno. Piglia e s'accuccia dappertutto. Sugli scranni del Senato o su una poltrona del Freccia Rossa per lui è lo stesso. Il lavoro lo sta massacrando e la sua autonomia è limitata e poi, Vito, il Freccia Rossa, cazzo. Ma non siete voi quelli che odiano i privilegi? Ma non siete voi quelli che hanno detto, un po' di tempo fa, che avrebbero viaggiato con la gente, in mezzo alla gente, facendo intendere che avreste preso solo regionali (anche se veloci)? Ma il Freccia Rossa non costa più dell'aereo?
Ragassi, nel Pd volano stracci. Matteo dà dei vecchi rincoglioniti e parassiti alla Finocchiaro (“carrello umano della scorta per la spesa all'Ikea”) e a Marini (“trombato al senato dai suoi stessi elettori”). E pensa che, siccome sono rincoglioniti, non gli risponderanno. Invece lo hanno fatto e si è beccato del “miserabile”. Ignaro, caduto improvvisamente dal pero, Matteo si è indignato della replica alle sue offese, e dichiarandosi “rammaricato”, se n'è andato a Parma a festeggiare i cento anni di Pietro Barilla. E sapete chi ha incontrato? Silvio, con il quale ha fatto quattro chiacchiere piangendogli sulla spalla. È stato allora che Silvio gli ha accarezzato il capo, gli ha dato la sua eterna benedizione e gli ha detto sommessamente: "Non te la prendere, il Pd sta sulle palle anche a me". 
Amiamo Boston, la città più europea d'America, la capitale della cultura, parliamo di cultura e non di sperimentazione o innovazione, dati caratteristici di New York. L'abbiamo girata a piedi, conosciamo quei luoghi. Ne abbiamo ammirato la tolleranza e invidiato alcune strutture (MFA e ICA) su tutte. Centro mondiale della ricerca (MIT) e delle Università (Harvard, Cambridge e Boston), capitale mondiale dei trapianti e dell'innovazione medica (MGH), Boston è stata attaccata al cuore ieri, durante una manifestazione, la maratona, che è la seconda al mondo per “anzianità”, dopo quella di Atene. Le bombe, piazzate sulla linea del traguardo, non hanno ancora una matrice, solo, per il momento, tre morti e decine di feriti gravi. Sul sito di Al Qaeda, non ce n'è traccia. Nessuna rivendicazione, e tutti sanno quanto i terroristi del fu Bin Laden, siano precisi nelle loro manifestazioni di simpatia. Girano voci. Si parla insistentemente di frange razziste bianche, contrarie alla presidenza Obama e al lavoro che il presidente Usa sta facendo per limitare l'uso delle armi d'assalto. Si parla, si vocifera, di interessi prettamente americani, non sarebbe la prima volta che gli americani attaccano se stessi e poi danno la responsabilità dell'accaduto al mondo intero. Resta la vigliaccheria di un atto di terrorismo che, come sempre, porta la morte fra chi non c'entra un cazzo. Sarà un caso, ma la maratona di quest'anno era dedicata alle piccole vittime di Newton, Connecticut...

lunedì 15 aprile 2013

Obiettivo: Quirinale. Inizia la settimana di passione. Gli anatemi di Silvio il bugiardo.


Da Berlusconi non compreremmo mai un'auto usata, dopo il primo chilometro fonderebbe le bronzine. Né un cellulare, nella confezione si troverebbe solo segatura. Tanto meno ci verrebbe in mente di votare un suo candidato a una qualsiasi carica, compresa quella di stalliere supplente ad Arcore. Non sappiamo per quale ragione ma, a memoria, Silvio è l'unica persona al mondo che se dice una cosa, ci viene la tentazione di fare il contrario. È più forte di noi, una sorta di antipatia a pelle unita a una idiosincrasia totale per tutto ciò che sa di plastica, di tarocco, di falso. Certo che, da quando c'è lui, questo Paese è diventato il regno incontrastato degli ignoranti e dei profittatori, dei nani e delle ballerine, delle giovin donzelle travolte da un quarto d'ora di fama immeritata e un futuro marchiato a fuoco, come Milady De Winter di Dumas. Per cui, se Silvio dice di non volere Romano Prodi al Quirinale, pena un espatrio forzoso alle Cayman (conosce un ristorantino niente male), noi iniziamo a fare un tifo sfegatato per il Professore al Colle. Dei due negletti nominati da Silvio a Bari, Gino Strada e Romano Prodi, propendiamo decisamente per il secondo, vedendo nel fondatore di Emergency un ministro della Salute con le palle, che torni a far valere i diritti del malato sanciti dalla Costituzione, insomma, l'uomo giusto al posto giusto, cosa che in Italia è sempre stato un optional. Gli anatemi di Silvio, ovviamente, sono di natura preventiva. È vero, ci sono personaggi che teme più della peste, perché sa che lo conoscono benissimo e, a proposito di auto usate, neppure loro ne comprerebbero una nell'autosalone di Cologno Monzese. Poi arriva il dissanguatore finale degli italiani, il famigerato Monti the Pyton, che da Fabio Fazio dice che occorre una larghissima maggioranza per eleggere il presidente; che raggiungere l'intesa Pd/Pdl, con Lista Civica a reggere il moccolo, è l'unica soluzione possibile per il Paese; che un presidente eletto al primo turno, frutto di un inciucione, sarebbe la soluzione migliore per questi cazzo di mercati che ormai non se ne può più. Monti è un altro che ci indispettisce da sempre. Lo guardiamo in faccia e ci viene la voglia di prendere una vanga. Il Professore2 (l'1, diritto di anzianità, è Prodi) è talmente tronfio, pieno di sé e dei suoi miracolistici interventi, che è riuscito a far aumentare tutto: disoccupazione, debito pubblico, fabbisogno dello stato, consumi, beni primari, sfiducia, pessimismo, qualunquismo, espatri e qualità della vita. Oggi ci sono ancora i boat people che arrivano a Lampedusa, ma mica per restare in Italia, per andarsene velocemente in Germania. Nell'immaginario collettivo degli abitanti del bacino del Mediterraneo non siamo più un sogno, siamo diventati l'incubo peggiore, la terra di mezzo fra la fame e la prosperità. C'è da dire anche che oggi il papà di Gaia, incontra gli industriali di Confapri, l'associazione presieduta da Arturo Artom che, come dice l'Huffington Post, è l'ufficiale di collegamento fra il M5S e le imprese. Casaleggio andrà ad illustrare i contenuti della Grillonomics mentre gli industriali, tutti ex berluschini, proporranno la loro ricetta per diminuire il debito pubblico. Artom, uno di quelli che ci ha causato una serie infinita di incubi notturni dopo il collegamento con Piazza Pulita, è il fautore dell'eutanasia delle imprese in difficoltà. In poche parole dice: “Ci sono imprese che non ce la fanno? Lasciamole spegnere serenamente e investiamo i soldi della Cig nel reddito di cittadinanza”. Un altro dei pallini di Artom è il dimezzamento del pubblico impiego, una via di mezzo fra i “mangiapane a tradimento” di Brunetta e “con la cultura non si mangia” di Tremonti, da mandare a casa senza passare dal via. Ancora un pallino sono i cento miliardi di debito della PA nei confronti delle imprese, poi l'abolizione dell'Irap, poi i ritocchi dell'IVA. E, tanto per predisporre al meglio l'animo degli industriali trevigiani e lombardi, ieri Grillo, a stretto giro di post, ha fatto sue le preoccupazioni di Sergio Squinzi che, dal palco di Torino, ha lanciato l'ultimatum di Confindustria alla politica. Domanda: ma i grillini conoscono le proposte economiche del loro Movimento? E ancora: sanno che tipo di rapporti ci sono fra Artom e Casaleggio? Perché, degli incontri che hanno tenuto prima delle elezioni, non c'è stata una diretta streaming?

domenica 14 aprile 2013

Silvio e l'Italia col barboncino in braccio. Dudù prossimo ministro della Cultura.


Questa è l'immagine esatta e perfetta del regno democratico di Silvio I. L'Italia miliardaria con il barboncino bianco e il look ipergriffato. È l'Italia degli evasori fiscali e delle Damine di San Vincenzo. Del lusso esibito e del pressappochismo manicheo dei cummenda. È l'Italia che se ne sbatte le palle dei disoccupati e degli esodati, dei 165 nuovi poveri al giorno e delle pensioni pignorate in banca da Equitalia. È l'Italia delle ipocrisie e dei piccoli/grandi privilegi diffusi, delle file saltate, dei ruoli non rispettati, delle mazzette per le licenze e delle assunzioni di responsabilità mai. È l'Italia dei conti correnti offshore e di quegli evasori fiscali (quasi) totali che prima votavano Silvio oggi Grillo perché, per chi non lo sapesse, il maggior numero dei titolari di conti correnti all'estero sono lombardi e veneti. Ah... marchettari trevigiani! Bari, comizio del Popolo delle Libertà (loro). Palco pieno di “vips” e la parola “Silvio”, stampata dappertutto. “Volete voi Gino Strada presidente della repubblica?”, chiede Berlusconi a gran voce al suo popolo di siliconati che affolla Piazza (anche lei) della Libertà. “Nooooo” è la risposta secca dei cervelli all'ammasso. E questo basta per qualificare la gente che vota per Silvio. E che continuerà a votarlo, visto che i sondaggi lo danno ancora una volta in testa nelle prossime, eventuali elezioni. Questo è un paese perduto, senza nessuna prospettiva, un futuro nebuloso, giovani sfiduciati, una classe politica marcia nonostante gli innesti innovatori. Pensavamo che il M5S fosse diverso, fosse un movimento vero, invece è un partito come gli altri, con le sue strategie, le sue mosse, i suoi veti, i suoi interessi. E Silvio impera, e continuerà a farlo fino all'ultimo respiro e si propone ancora come candidato premier, mentre le sentenze tardano ad arrivare e spira un'aria di navigazione a vista che, onestamente, ci spaventa. E poi c'è il nemico pubblico numero uno: Romano Prodi, quello che ha sconfitto Silvio due volte su due e Berlusconi, che odia perdere, se l'è legata al dito. “Se Prodi diventa presidente della repubblica, meglio andare all'estero”. Se, invece, lo dovesse diventare lui, mano ai forconi, perché stavolta basta. L'immagine di oggi è l'immagine esatta di quello che è diventata l'Italia: una demodè signora in tiro con cane di razza in braccio. A quella foto manca solo la futura suocera di Silvio, quella gentile signora che, a sua detta, lo tiene prigioniero in casa. Conoscendo il pollo...

PS. Se Silvio dovesse diventare presidente del consiglio, ha già pronto il nuovo ministro della cultura. Si chiama Dudù ed è il barboncino di Francesca Pascale. Dopo tanti cani, un cane vero.

sabato 13 aprile 2013

Lo strano “affaire” delle Quirinarie: nessun attacco hacker. Il dualismo Prodi-D'Alema, quando l'odio obnubila e travolge.


La democrazia in Rete è un rischio. Non è una novità. Non scopriamo l'acqua calda. Lasciamo stare le inveterate e le prediche, i discorsoni e le battute da bar, parliamo di cose più serie: i conti correnti nelle banche, i segreti inconfessabili di stato, gli archivi della Cia e del Mossad, le pianificazioni terroristiche di Al Qaeda, le oscillazioni dei titoli di borsa, la variazione del prezzo del succo d'arancia, le votazioni per scegliere candidati e capi. Ieri è successo un fatto spiacevole. Il M5S ha dovuto annullare le “Quirinarie” per un difetto tecnico: un presunto attacco hacker, ha prontamente scritto Beppe Grillo sul suo blog. Ovviamente l'altra Rete, quella che non ha avuto accesso alle consultazioni on line, si è divertita a sbeffeggiare i grillini, riempiendoli di battutacce e di spernacchiamenti che sono andati dal “Compratevi un antivirus” al “C'è sempre un nerd più nerd di voi” per finire con “Ma che vi ha attaccato la Corea del Nord?” Ora, se non fossimo stati fra gli artefici del successo del M5S alle ultime elezioni, ci saremmo anche noi divertiti a prendere in giro la poderosa macchina informatica della Casaleggio Associati. Però, siccome ci sentiamo responsabili di un mezzo disastro, ci permettiamo una paio di considerazioni che non vogliono essere un atto di accusa nei confronti di nessuno. La prima è che non è vera la storia dell'attacco hacker e, soprattutto, non è vero quanto affermato da Beppe Grillo sul suo portale, e cioè che la società di certificazione olandese chiamata a verificare l'esito del voto virtuale, abbia avallato l'ipotesi dell'attacco. La società olandese, nel suo rapporto, ha parlato infatti di “discrepanze” fra i voti giunti e i votanti, che è cosa ben diversa dal massiccio intervento di rompicoglioni seduti davanti alla tastiera di Hal. Responsabile di tutto l'apparato elettorale è, come abbiamo scritto, la Casaleggio Associati, fatto che un po' ci stupisce, un po' ci rammarica e un po' atterrisce perché, quanto meno, è possibile accusarla di pressappochismo e di impreparazione. L'altra considerazione, invece, ha una chiave di lettura più politica: qualcuno ventila l'ipotesi che i voti arrivati non fossero in linea con i desiderata dello stesso Casaleggio e che, il teorico di Gaia, si sia inventato di sana pianta un attacco in realtà mai avvenuto. Se fosse valida questa seconda ipotesi, le domande che verrebbero fuori sarebbero davvero tante, mentre non nascondiamo che potremmo anche essere colti dalla sindrome di Muzio Scevola. Che senso avrebbe, militare in un partito che trucca i voti dei suoi iscritti e, soprattutto, in un partito che fa della trasparenza (degli altri) il suo massimo credo? Speriamo, insomma, che qualcosa si sia tecnicamente inceppato, perché se così non fosse, ci chiederemmo il motivo dell'esistenza in vita di Vito Crimi e di Roberta Lombardi. E passiamo finalmente a Stanlio&Ollio. Certo che Prodi e D'Alema si odiano in modo inverecondo. La storiella del gatto e del topo o quella del cane e gatto, a loro fa una pippa. Romano e Baffetto si odiano da sempre, questione di incompatibilità di carattere. Il fatto è che Prodi, nel bene e nel male, come ha detto Marco Travaglio riferendosi al primo governo del Professore, ha rappresentato l'unico politico decente degli ultimi venti anni. Ha vinto le elezioni perché ha preso più voti, ha fatto il presidente del consiglio perché è risultato il più votato dalla gente, ha battuto, secco, Berlusconi due volte su due: un record. Quando ha finito il suo percorso di presidente del consiglio (tradito dai suoi), Prodi ha ricevuto offerte di lavoro da tutto il mondo e da parte dei più prestigiosi consessi mondiali (Onu compresa). Alla fine, ha deciso per un impegno diretto per l'Africa sotto le insegne delle Nazioni Unite, insomma, Prodi in Africa c'è andato davvero nonostante non lo avesse dichiarato. D'Alema, poverino, terminato il governo di altissimo profilo con Kossiga e Mastella, le ha tentate tutte credendo di essere diventato uno statista. Gliene fosse andata bene una... Così, da ministro degli esteri europeo in pectore, ha finito per sedersi sulla poltrona di presidente del Copasir, prendendo il posto di un altro grande statista: Francesco Rutelli. Ancora una volta, la storia patria li ha messi uno di fronte all'altro, uno contro l'altro, D'Alema e Prodi. Obiettivo: il Quirinale. Non ci riuscirà nessuno dei due, ma almeno Baffetto non dovrà stringere la mano a un presidente della repubblica che non ha mai amato, anzi... Purtroppo i due non possono essere paragonati neppure a Totò e Peppino ma, al massimo, a Gastone e Paperino. Ovviamente, per l'assegnazione dei ruoli, ci si potrebbe rivolgere alla Casaleggio Associati.

venerdì 12 aprile 2013

In Italia, 6 milioni di inattivi e la situazione peggiorerà. Silvio non cerca benefit: “I miei processi li risolverò in Cassazione”.


Il Fondo Monetario Internazionale ci dice che ci sono 200 milioni di disoccupati (“cifra intollerabile”, dice il FMI) di cui 3 in Italia. Il fatto è che da noi la cifra raddoppia, perché la sfiducia è diventata una sindrome nazionale e 3 milioni di cittadini ancora produttivi, hanno smesso di cercare lavoro. La contrazione della spesa, quella che mette materialmente i beni di consumo nel carrello, registra in Europa un decremento dello 0,4 per cento di media, mentre in Italia è molto più alta e arriva a toccare il 4 per cento (senza lo zero davanti). In poche parole la gente spende meno, con tutto quello che comporta per la fluidità del mercato, i bilanci delle aziende e via dicendo. Si chiama recessione e ha padri e madri, nomi e cognomi, codici fiscali e indirizzi. Ma sembra che nessuno ci faccia caso. Pur mettendo al centro della loro attività politica il tema del lavoro, i partiti sembrano interessati a tutt'altre faccende. Il Pd è alle prese con l'affaire Renzi al quale Massimo D'Alema, in piena corsa solitaria per il Quirinale, è andato a dare la sua personale solidarietà. Nel Pdl l'affaire sono da sempre les affaires di Berlusconi. Silvio, in una lunga intervista a Repubblica, ha detto che il problema della elezione di un capo dello stato di sinistra lui non se lo pone. Basta che subito dopo prenda vita un governo di larghe intese e che i ministri vengano fuori da rose di nomi condivise. Il problema del Cavaliere è che, ultime le dichiarazioni dell'agente di Noemi Letizia, ha talmente tanti casini che sarà più impegnato a mettere assieme memorie difensive, piuttosto che a pensare di governare. Non deve essere piacevole sentirsi dare del “pedofilo” pubblicamente, perché se una volta, andare con una minorenne procace e disinibita, può essere una svista, due iniziano a rappresentare una tendenza o, meglio, una prova, come direbbe il nostro amico Poirot: maledetto vezzo di non chiedere mai la carta d'identità e di fidarsi solo della taglia dei reggiseni. Comunque, Silvio sembra rassegnato (ma chi lo conosce sa che sta tramando sicuramente qualcosa), al punto che per la prima volta in vita sua, ha deciso di affidarsi alla giustizia: “I miei processi li risolverò in Cassazione”, ha detto Silvio con l'aria da ultima spiaggia. Certo è che Ghedini deve essersi stancato di scrivere sceneggiature per i film del Capo, specie se a interpretare i ruoli che lui traccia con grande abilità, è una guitta sulle scale del Tribunale di Milano: “Almeno datemi Margherita Buy”, sembra abbia detto Niccolò dopo l'ultima interpretazione di Ruby. Ormai ci siamo. Oggi dovremmo sapere “il chi è” il candidato presidente della repubblica dei grillini. Abbiamo provato a votare pure noi ma non ci siamo riusciti. Tabù. La Rete non è poi così democratica, o forse non sapevamo che fosse composta da “eletti” pure lei. I nomi che girano sono sempre gli stessi, ad esclusione di Romano Prodi e di Emma Bonino, i 5S puntato suppergiù su personaggi dalla indubbia fama e dalla trasparenza cristallina, un identikit nel quale ci ritroviamo ovviamente anche noi. Il problema, come Concita De Gregorio scrive ormai da qualche giorno su Repubblica, è vedere cosa ne pensano i grandi manovratori. Chissà perché nel nostro paese oltre ai grandi elettori, ci debbano essere per forza anche i grandi manovratori. E i treni deragliano.

giovedì 11 aprile 2013

Silvio: “Bersani al Quirinale, larghe intese e voto a luglio”. E Grillo li attacca: “Inciuciano silenziosamente. Niente streaming, niente stampa e frequentano luoghi segreti. Vergogna!”


Se Beppe Grillo non fosse un comico, abilitato per mestiere a fare battute, l'uscita di ieri avrebbe dovuto sollevare l'ilarità di tutto il mondo civile e anche, un po', di quello incivile. Ha accusato B&B, che non è il bed&breakfast “D'Alema”, via dell'Inciucio 69, Roma ma semplicemente l'acronimo Berlusconi-Bersani, di tramare nel buio, di mestare nel torbido, di agire in silenzio come due massoni in sonno. Li ha accusati di aver tenuto l'incontro in un luogo segreto, senza giornalisti, senza diretta streaming e, soprattutto, senza la possibilità di piazzare la cimice a forma di tetta inventata da Casaleggio, che gli avrebbe permesso di seguire la conversazione senza essere visto. È stupefacente (letteralmente) il doppiopesismo grillesco e soprattutto meraviglia la sua voglia (legittima) di sapere, applicando il metodo della trasparenza solo agli altri. C'è qualcosa di patologico, in tutto ciò, qualcosa di animalesco e primordiale, qualcosa che suona come il clone di Casaleggio che sta spopolando in questi giorni sul web e che twitta frasi demenziali come: “Fuori la Germania dall'euro, lentamente e con le mani bene in vista” oppure “Riorganizzare Pubblica Amministrazione: orologio atomico per sincronizzare pause caffè”. C'è qualcosa di farsesco in tutto ciò, come lo spirito adolescenziale di rompere i coglioni a ogni costo, pur non avendone più l'età. Oddio, i brufoli ci sono, gli zainetti pure e se ci fossero anche le polluzioni notturne staremmo veramente a posto. Ma passiamo a cose più serie. Silvio ha tirato fuori dal cilindro il suo bianconiglio. “Piergigi – ha detto a quattr'occhi a Bersani – fallo tu il presidente della repubblica. Ti togli dall'imbarazzo di governare con me. Adottiamo un paio di provvedimenti che mi possono essere utili per il futuro e a luglio, con il solleone che spacca il culo ai passeri, torniamo a votare”. La disperazione di Silvio è allo Zenit. Non sa più a che santo votarsi per cercare di non albergare qualche anno a San Vittore. L'unica possibilità è far fuori Bersani proponendogli il Colle, promoveatur ut amoveatur, e via libera al più grande inciucio dopo il week end. Certo, la proposta è allettante anche perché, se non scende a patti con Bersani, il presidente della repubblica agnostico se lo scorda. Silvio è consapevole che intorno a lui tira un'aria brutta e pesante e infatti, al termine della riunione segreta con Piergigi, ha dato ordine ai suoi di rilanciare la proposta di Bersani al Quirinale, dando fiato a tutte le trombe possibili e perfino alle lingue di Menelik che, come tutti sanno, sono molte di più delle trombe ufficiali. In tutto questo casino istituzionale e non, che è poi l'habitat naturale di Silvio, c'è da registrare l'incazzatura, non mascherata anzi ostentata, di Fonzie che non ha digerito l'esclusione dal gruppo dei grandi elettori del prossimo presidente della repubblica. Matteo è fuori dalla grazia diddio. Ha accusato apertamente Piergigi di averlo boicottato, di volerlo isolare, di persecuzione razziale nei confronti dei dislessici, e di violenza cieca contro le minoranze linguistiche. Si è davvero incazzato, Matteo, tanto che gli osservatori politici illuminati danno per certa la scissione del Pd. Una cosa è sicura, se il Partito Democratico avesse fin dalla nascita, accentuato la vocazione di sinistra, Renzi non ne avrebbe mai fatto parte. Se il Pd fosse un partito di sinistra, a personaggi come Renzi non avrebbe dato neppure la tessera, forse quella del Club di Topolino. Se il Pd fosse stato un partito di sinistra, il M5S non avrebbe avuto motivo di nascere, Ingroia non sarebbe stato costretto a trasferirsi in Val D'Aosta, la ferraglia arrugginita vetero-comunista avrebbe continuato a lottare sì per le 35 ore, ma alla fine, sarebbe addivenuta a più miti consigli. Pensate, per un momento, cosa sarebbe l'Italia se il Pd fosse stato un partito di sinistra...