Non
chiedetevi perché la Balena Bianca (che non è Moby Dick) ha
governato questo paese per quarantanni. Chiedetevi piuttosto perché
gli italiani hanno permesso alla DC di farsi governare per
quarantanni. La risposta l'ha data ieri, senza squilli di tromba,
alla Fanfani maniera, Enrico LettaLetta, l'incarnazione più
aggiornata del doroteismo doc, insomma, un DC 2.0. Se nel suo
discorso avesse fatto cenno alla riconquista dell'Albania, della
Libia, dell'Abissinia e dell'Eritrea, oggi grideremmo al miracolo e
non all'inciucio. Se avesse aggiunto sigarette elettroniche gratis
per tutti, smartphone a costo zero, wifi libero ovunque e la banda
larga, ci saremmo trovati di fronte all'evoluzione più aggiornata
dei discorsi di insediamento di tutti i presidenti del consiglio
democristiani: una declinazione, lunga 50 minuti, di sogni. C'è da
dire che il marchio di fabbrica più fanfaniano (omaggio alla
conterraneità) che degasperiano, si è avvertito chiaramente. Quando
il mitico Amintore prendeva saldamente in mano le redini del governo,
tirava fuori dal suo cilindro politichese tutti i desideri
inesauditi, e inespressi (la maggioranza silenziosa), degli italiani
e li materializzava con un fiume di parole che però, il giorno dopo,
diventavano quello che erano all'inizio del discorso: parole. Ieri
LettaLetta è andato oltre. Dopo essersi reincarnato in Davide, non
dicendo però chi interpretasse la parte di Golia (un classico DC),
ha raccontato di un paese dei Puffi in cui tutto marcia sapendo da che
parte andare, e poi, quando ha parlato degli Stati Uniti d'Europa, ha
toccato il vertice assoluto del “sciogno” alla Briatore imitato
da Crozza, trasformando il nostro Paese in una cosa che,
semplicemente, non esiste, un nuovo Billionaire, però di Stato. O' Schiattamuort lo ha detto subito:
“Questa è musica per le mie orecchie”. L'Imu bloccata a giugno
(“con prossima restituzione sennò stacchiamo la spina”, ha detto
Brunetta), l'Iva congelata, la presidenza della Convenzione a Silvio
Berlusconi, in effetti, per il Pdl morto di appena un anno fa, è
stato proprio un bel sentire, perché il discorso di LettaLetta è,
per loro, come il miracolo della resurrezione di Lazzaro di Gesù Cristo: “Silvio,
alzati e cammina”. Ma il democristiano puro, cristallino,
riconoscibile a pochi studiosi della nostra politica e della Balena
Bianca, Enrichetto lo è diventato (dimostrando di avere quintali di
pelo sullo stomaco), quando ha iniziato a fare l'occhiolino ai
5Stelle che, in alcuni passaggi, lo hanno infatti applaudito
(obiettivo raggiunto). Parliamo essenzialmente dell'unico stipendio
dei ministri, a fronte della somma delle indennità di parlamentare e
ministro che prima si assommavano, e della eliminazione del
finanziamento pubblico ai partiti, spacciato fino ad ora per rimborso
spese elettorale. LettaLetta ha pensato, come facevano i suoi
predecessori scudocrociato-griffati nei confronti delle opposizioni,
di lanciare qualche segnale di apertura, perché non si sa mai come
può andare a finire e quindi, chi di ribaltone vive, di un altro
ribaltone può continuare a prosperare. I democristiani veri, che poi
erano un partito-stato, devono a questa sorta di ambiguità di fondo,
buona parte del loro successo politico, una formula che gli
permetteva di essere contemporaneamente maggioranza e opposizione, bianco e nero, tutto e nulla, Michele Arcangelo e Belzebù.
Su tutte le promesse fatte ieri da LettaLetta, manteniamo un regale
distacco. In attesa di riscontri oggettivi (soprattutto sulla scuola,
la ricerca, la cultura della pizzica e la sfida dell'Expo),
contrariamente a quando facevano i vecchi DC non ci asteniamo, ma
riconfermiamo quanto scritto ieri: questo è il peggior governo che
poteva nascere, un coacervo di contraddizioni palesi e latenti che
porterà Silvio Berlusconi a presiedere la Convenzione per le Riforme
Istituzionali. Se c'è un aspetto che ci consola, è il ricordo della
fine fatta da Massimo D'Alema dopo aver presieduto la Bicamerale.
Chissà, magari è la volta buona che ci togliamo dalle palle Silvio
grazie al suo smisurato e colossale egocentrismo da imperatore delle
forme perfette.
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martedì 30 aprile 2013
lunedì 29 aprile 2013
È l'ora degli sciacalli. I moderati della politica italiana contro Grillo. E alle 15 parte la più grande truffa governativa della storia.
Luigi
Preiti, muratore calabrese in Piemonte, è il pretesto per una storia più grande di lui. Ancora senza un perché che abbia
senso, il muratore ridotto sul lastrico, e costretto a tornarsene in
Calabria ospite dei figli, che lui considera una sconfitta totale,
ieri mattina si presenta davanti a Montecitorio e spara ad altezza
d'uomo. Colpisce due carabinieri poi, resosi conto della cazzata che
ha fatto, chiede ai militi di sparargli. “Volevo ammazzare i
politici”, dice Preiti, ma i politici, di solito, non indossano
divise, men che meno quelle dell'Arma. Succede, come sempre, che
arrivano gli sciacalli, i moderati italiani, quelli che qualsiasi
cosa succede, è colpa dell'avversario politico di turno. Fatto il
grande inciucio, un magma purulento chiamato governo Letta Letta, (il
primo è il nipote, il secondo lo zio), l'unico nemico rimasto sulla
piazza è il Movimento 5 Stelle e allora, dagli all'untore. Parte
Gianni Alemanno, quello che odia la Protezione Civile più dei
comunisti, seguito a ruota dal campionario della mediocritas italica
che, dopo aver indossato il fez, e tenuto in mano il libro e il
moschetto, è diventata un manipolo di statisti a prova di vergogna.
Eccoli allora: Gasparri, Gnazio La Russa, Storace, Barani,
Prestigiacomo, Maroni, Sallusti e perfino il segretario del PD del
Lazio, Gasparra che, uniti in una sola voce, sintetizzano l'accaduto
con “chi semina vento raccoglie tempesta”. Eccoli, gli sciacalli
della prima e della seconda repubblica, perché questa non si sa che
numero di serie sia, tutti allineati e coperti nell'opera demolitoria
dell'unico nemico rimasto a Silvio sulla strada dell'Impero. Toni da
tragedia e da tregenda, toni da esagitati ispiratori di giustizia fai
da te, toni da votanti consapevoli del grado di consanguineità della
Ruby mubarakiana. Eccoli, gli sciacalli, quelli del più grande
minestrone sciapito della politica italiana, al quale hanno provato a
mettere un pizzico di sale con Josefa Idem e Cecile Kyenge ma,
soprattutto, con il dalemiano Massimo Bray, il più profondo
conoscitore della “pizzica” a livello interplanetario e, quindi, organizzatore di tarante nei consigli dei ministri. Pieno di
ciellini, ai quali hanno dovuto compensare in qualche modo la perdita
del “Celeste”, il governo Letta Letta è fumo negli occhi a
partire dall'età e dalla presenza di parecchie donne eleganti e
cazzute. Basta O' Schiattamuort vice e titolare degli Interni, e
basta Maurizio Lupi alle Infrastrutture, quello che se fosse per lui,
altro che Ponte sullo Stretto, lo farebbe direttamente per Marte, a
dare un'etichetta di scempiaggine e di “cazzi di Silvio” a un
governo nato con l'unico scopo di distruggere la sinistra e di
ridurre a fenomeno folkloristico i 5S. Il PD, purtroppo, è fuori da
ogni minima grazia diddio. Ma li avete sentiti i dirigenti del
partito mai nato, tuonare contro i possibili dissidenti? “Chi vota
no – hanno detto – andranno espulsi dal partito”. Ma quale
partito? E a proposito, i 101 zozzoni che hanno votato contro Prodi,
che fine dovrebbero fare? Ma ministro della cultura, porco boia.
Esemplare la magra di Donato Marra, potentissimo segretario generale
del Quirinale, ieri, al momento del giuramento di Cecile Kyenge. A
microfono aperto ha detto “Questa come si legge”? Come tua zia,
Donato, proprio come tua zia.
sabato 27 aprile 2013
Grande Dario Fo e la carica dei 101 zozzoni. Nessuno come lui riduce i piediellini in cenere.
L'antefatto.
Intervistato da La zanzara, Radio24, il Premio Nobel per la
letteratura, parlando di Brunetta, ha detto: “Brunetta che giura da
ministro? La prima cosa che faccio è cercare un seggiolino per
poterlo mettere a livello, all'altezza della situazione. Oppure
meglio una scaletta, così se la regola da sé... ma il cervello di
Brunetta, quello sì che è ancora più piccolo”. Si è scatenato
il putiferio. Rientrati alla grande sulla scena politica grazie ai
101 mafiosi del Pd, e al delirio di onnipotenza di Beppe Grillo, i pidiellini
hanno riscoperto il gusto per la pugna, fino a ieri scomparsa perché
cerebralmente defunti. Così, il Maestro Dario Fo, è stato subissato
di fischi e sberleffi e insulti da chi, a buon diritto, potrebbe solo
lustrargli le scarpe. Basta fare nomi e cognomi e riportare
dichiarazioni, il resto si commenta da sé. Ha iniziato il fuoco di
fila il massone piduista, tessera numero 2232, Fabrizio Cicchitto:
“Malgrado faccia finta di parlare sul serio, con quello che dice, è
inevitabile che una risata seppellirà Dario Fo e anche il suo
razzismo antropologico”. Ora, a parte il fatto che non siamo
convinti che 2232 conosca appieno il significato del termine “antropologico”,
ma voi ce lo vedete uno con il cappuccio in testa, il grembiulino, la
cazzuola e il compasso fare la ramanzina a un Premio Nobel? Mavalà,
direbbe Sir Biss. Mara Carfagna, ex valletta di quel mostro di
intelligenza che si chiama Giancarlo Magalli: “Le parole di Dario
Fo dedicate a Renato Brunetta non gli fanno onore. L'insulto non è
satira, è volgarità”. Mostrare tette e culo e fare calendari è
invece un sano indice di bon ton. O' Schiattamuort, che solo perché
lo definiscono “schiattamuort” dovrebbe toccarsi le palle ogni
volta che si guarda allo specchio: “Le dichiarazioni di Dario Fo,
dal contenuto spregevole, colpiscono per la gratuita volgarità di un
personaggio che, evidentemente, è ben lontano dal senso alto della
politica e offende impunemente, cercando di divertire come uno
spettacolo di cabaret di scadente livello”. Di livello altissimo,
invece, sono le barzellette piene di puttane del padrone e le
bestemmie in diretta contestualizzate dal Vatican Servente,
Fisichella. Danielona silicon-parlamentary: “Battute, quelle di
Dario Fo, degne di uomini ignoranti e beceri”. Per Danielona vale
il discorso fatto per O' Schiattamuort. Ovviamente si sono espressi
anche i vari Lupi, Bondi, Prestigiacomo, Casellati, Capezzone e un
certo Pagano che ha detto: “A Dario Fo andrebbe revocato il Nobel”
e a lui la cittadinanza italiana. Senza i 101 mafiosi e senza Beppe
Grillo, queste gentildonne e questi galantuomini si sarebbero fatti
gli affari propri, sfogandosi a vicenda nella grotta dei giuramenti
massoni, ospiti di 2232. Ma Dario Fo, al di là delle battute su
Brunetta, che i suoi invece di dileggiarlo, lo prendono direttamente
a schiaffi (vero, professor Tremonti?), ha detto anche un'altra
grande verità. Riferendosi alla votazione su Romano Prodi, Fo ha
detto: “Quelli che hanno affossato Prodi sono degli zozzoni, dei
vigliacchi, dei maledetti e dei bastardi per la situazione in cui ci
hanno messo. Sono abili distruttori della parola data. Hanno fatto
una cosa indegna perché dovevano dirlo prima: non si può applaudire
e poi sparare bordate sul partito. È stato un gioco al massacro. E
poi – ha ancora detto il Premio Nobel – il vero scopo del governo
Pd-Pdl, è quello di salvare il Pd, un fabulazzo osceno, dalla
sbandata in cui si ritrova e salvare dalla galera, o dall'esilio,
Berlusconi. L'unica cosa che importa è che Silvio sia salvo”. La
carica dei 101. Mafiosi o zozzoni fa poca differenza. All'inferno,
prima o poi, sprofonderanno.
venerdì 26 aprile 2013
Improvvisare, specie sul 25 aprile, non sempre è un'arte. I pasdaran del Pdl vogliono un posto nel governo Letta che frena: “Ci sono problemi”.
Un
nostro amico attore (un grande attore), ci ha sempre parlato
dell'improvvisazione scenica come di un'arte. Nel teatro antico
suppliva a buchi di memoria improvvisi: maledetti copioni
iperstrutturati. Nel teatro un po' meno antico, l'improvvisazione
veniva incontro a una malattia tipica dell'età: la sordità, che non
permetteva di sentire la voce del suggeritore nella buca. Poi, via
via, è diventata sempre di più una “licenza” che gli attori
istrioni si concedevano per dimostrare quanto fossero bravi. Ionesco,
ad esempio, si incazzava da matti quando un attore gli modificava il testo, e non era l'unico. Nell'avanspettacolo, l'arte
dell'improvvisazione era tutto perché le battute che provenivano
dalla platea, ironiche fino all'offensivo, quasi sempre brucianti,
mettevano a dura prova l'abilità del capocomico nel rispondere al
“Aho, facce ride'”. Totò, improvvisando, ha girato tutti i suoi
film, ma lui era Totò. L'improvvisazione, insomma, è un'arte, ma
anche una tecnica che un bravo attore impara per non creare buchi di
copione e arricchire la sua parte, a volte, con veri e propri colpi
di genio. Un attore, dopo un po' che pratica palcoscenici, tende a
improvvisare, è nella sua natura, l'indole del protagonista che,
quando non diventa una sindrome o una patologia, è estremamente
benefica. In politica le cose un po' cambiano. Se poi vai a toccare
corde sensibilissime, il risultato che si ottiene è quello di una
sollevazione popolare o di un mare di fischi che invadono tristemente
la platea. Per cui, se un bravissimo attore colto dalla sindrome
dello statista improvvisato afferma che “L'inciucio ha sepolto il
25 aprile”, il minimo che può aspettarsi è la sollevazione
popolare di cui sopra perché, oltre ad aver improvvisato male, da
anche la sensazione di non conoscere il copione. E se qualcuno lo
chiama “Becchino planetario” o, da Marzabotto, gli arriva una
frase stile “Il mezzo morto sei tu”, l'attore di cui sopra non
deve lamentarsi ma, umilmente, tornare a studiare la parte. Chi non
improvvisa, perché ne sono incapaci, sono i pidiellini. Cantano e
suonano ormai da vent'anni la stessa canzone: “Potere, potere,
potere”, che è come il refrain della canzone di Mina e Alberto
Lupo, solo che i due artisti veri cantavano “Parole”. Brunetta,
Alfano, la Gelmini, la Santanchè, la Carfagna, Sacconi, vogliono
tutti tornare ad occupare una poltrona. Per loro non è cambiato
nulla. Le manifestazioni di piazza sono tutte contro il PD. Non si
trova uno straccio di “sinistro” qualsiasi che vada sotto le
finestre di Palazzo Grazioli a gridare “Buffone” al Capataz, se
la pigliano con Dario Franceschini, reo di essersi fatto crescere la
barba per passare per uno di sinistra. Nella sua immensa bravura,
Silvio è riuscito ancora una volta a sviare l'attenzione dai suoi
problemi, e dobbiamo dargliene atto. Anche se si è ritrovato a
combattere contro Bersani, Marini, la Bindi e Fassina che non sono
proprio fulmini di guerra. Ma i problemi nel PD non sono finiti. In
queste ore aumenta a dismisura il numero dei parlamentari democratici
che dichiarano di non votare la fiducia a Letta-Letta. Ha iniziato Civati,
ha finito, ieri, Laura Puppato. Tanti gli scettici, fra cui la stessa
Bindi e Fassina mentre si aspetta una parola definitiva da parte dei
“giovani turchi”. L'impressione è che in questa legislatura, il
Gruppo Misto sarà popolatissimo, solo posti in piedi. L'impressione
è che chiedere a qualche deputato e senatore del PD di votare la
fiducia a Berlusconi, sia andare contro natura. L'impressione è che,
fatta la legge elettorale (perché se dovesse restare questa gli
italiani prenderebbero i forconi), si torni a votare. Fare la
mignotta è un mestiere di tutto rispetto, a meno che non si sia
schiave. E qui di schiavi ne girano tanti. Troppi.
PS. Se
fossimo nei panni di Vito Crimi ci dimetteremmo all'istante. Aveva
appena dichiarato che il M5S avrebbe preso in considerazione
provvedimento per provvedimento, che è arrivata la pronta smentita
di Grillo: “Con questi non ci mescoleremo mai”. Un po' di crisi
d'identità no, vero?
giovedì 25 aprile 2013
La Storia è una ed è antifascista. Il resto è delinquenza politica.
Silvio
ci ha provato da subito a cambiare le carte della Storia. Ha iniziato
cercando di mettere il silenziatore a uno dei capisaldi della
costituzione italiana, la Resistenza, provando a trasformare i
partigiani in delinquenti. Lo sconquasso etico e morale del
berlusconismo è iniziato proprio da lì: dal negare che la Storia
del nostro paese sia andata in un certo modo e che i partigiani non
abbiano liberato alcunché, perché ci pensarono gli alleati. Silvio
ha negato l'antifascismo e l'esistenza dei confinati, fatti passare
per turisti spesati da Benito Mussolini. Ha negato le leggi razziali,
varate per rispetto dell'alleato nazista. Ha definito il Duce uno
statista e i fascisti gente con un forte senso dello Stato, tale e
quale a Roberta Lombardi. Ha definito la dittatura di Mussolini, “una
pseudo tirannia all'acqua di rose”, e i criminali di Salò, i
famigerati repubblichini, giovani idealisti travolti dalla passione
politica. Uno schifoso negazionismo, ha attraversato l'Italia da
quando Silvio è salito al potere, e tutto per rifare una verginità
chirurgica ai suoi alleati di governo, fascisti dentro e fuori e
figli degli stessi delinquenti che bagnarono di sangue l'Italia.
Vergognose sono state le pagine revisioniste scritte da Silvio,
concluse (per il momento) il 27 gennaio, al binario 27 della stazione
centrale di Milano, con affermazioni sul “fascismo buono” che
stupirono e indignarono il mondo. Qualche tempo fa, presentando il
libro di Harry Schindler “Roma ricorda i suoi liberatori”, ci
rendemmo conto di quanto la storia ufficiale usasse toni edulcorati
nel descrivere l'apporto dei partigiani alla lotta di liberazione.
Schindler, invece, che visse in prima persona lo sbarco di Anzio, nel
libro afferma a chiare lettere che senza le Resistenza e senza
l'opera dei partigiani, l'Italia forse sarebbe stata liberata, ma
avrebbe pagato un costo in termini di vite umane e di distruzioni,
pari, se non superiore, a quello della stessa Germania. Anzi,
Schindler attacca il temporeggiamento del generale
Anthony Lucas che, invece di liberare Roma, ormai senza più alcuna
difesa nazista, preferì attendere l'arrivo dei rinforzi. Se gli
Alleati si fossero diretti immediatamente verso la Capitale, le Fosse
Ardeatine non sarebbero mai esistite. Intanto al nord, a Salò,
continuava la farsa violenta della Repubblica Sociale e quella guerra
civile sempre negata, per decenni, dagli esponenti della Democrazia
Cristiana che non pronunciarono mai quelle due parole. Forse è per
questa ragione che, quando ascoltammo l'allora capogruppo del Pds
Luciano Violante rendere omaggio alla memoria dei “ragazzi di
Salò”, ci venne un coccolone e pensammo che l'Italia non sarebbe
stata più la stessa. Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione
dal Nazi-fascismo. Ci fa piacere (eufemismo) apprendere che i
grillini non parteciperanno a manifestazioni celebrative ufficiali,
preferendo non “mettere il cappello e la firma a manifestazioni
politiche”, e mischiandosi fra la gente come comuni cittadini. Ma è
il 25 aprile, porco boia, mica ferragosto, ed è inutile difendere
ancora la vostra portavoce alla Camera. La signorina Lombardi ha
detto una cazzata. Costa tanto ammetterlo?
mercoledì 24 aprile 2013
Letta-Letta a Palazzo Chigi, Tuttifrutti vice, Brooklyn Peppermint alla Cultura, Vigorsol Gola agli interni. Il governo delle delicatessen dolciarie.
Niente
Amato, odiato dalla Lega ma apprezzato dal PD che avrebbe voluto un
governo di basso profilo politico. In scena, protagonista assoluto,
Enrico Letta-Letta, degno nipote di tanto zio democristiano. Letta
(nipote) è un DC dentro, della peggior specie, quella dorotea, ma
tant'è. Giorgio Napolitano ne ha decantato le lodi in modo
ammirevole. Pure quelle internazionali, date dalla partecipazione con
il ruolo di uditore a “Fori” economici, politici e sociali.
Questo aspetto “mondiale” di Enrico Letta ci ha ricordato Oscar
Giannino, ma tant'è, pure questa. Governo forte, quindi.
Politicamente fortissimo. PD, PdL e Scelta Civica. Ancora, sempre
loro, quelli dei suicidi e delle 3000 imprese chiuse giornalmente,
dei lavoratori desaparecidos che hanno chiamato esodati, della
disoccupazione giovanile mai tanto alta da 37 anni, degli zaini pieni
di euro trasportati dagli spalloni in Svizzera. Silvio gongola, che
botta di culo! E Alfano detta la linea al PD: “Non fate come con
Marini, altrimenti tutti a casa”. Silvio è riuscito finalmente nel suo
intento: essere leader anche dei democratici, in attesa di lasciare
la guida del carrozzone e la patente a Matteuccio vostro che è nei
cieli. Circolano già i primi nomi di possibili (probabili) ministri.
Mario Monti agli esteri, la Cancellerieri agli Interni, la Severino
alla Giustizia, Padoan all'economia, mentre vice dovrebbe essere 'O
Schiattamuort e si riaffaccia Vuolter, avete capito, Vuolter Veltroni
che, evidentemente, ha rivinto la sua ennesima battaglia campale con
D'Alema. I grillini vogliono due presidenze pesanti, il Copasir e la
Commissione di Vigilanza Rai. Sapere i cazzi di tutti e vendicarsi
dell'azienda che lo aveva quasi messo sul lastrico, sono chiaramente
gli intendimenti di uno statista chiamato Beppe Grillo. Auguri,
Beppe.
Fine settimana con gruviera: arriva Amato-Mickey Mouse
Ormai
è deciso. Presidente del Consiglio Giuliano Amato, alias Topolino, alias il
Dottor Sottile; ministro degli Esteri, Mario Monti (lo aspettano febbrilmente
in India), ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, alias The Voice,
Pier Carlo Padoan (direttamente dall’Ocse), ministro dell’Economia: un dream
team di 300 anni però portati bene. Matteuccio , invece, ha sperato fino all’ultimo. Aver
trombato prima Franco Marini, poi Romano Prodi, e costretto alle dimissioni
Piergigi Bersani e tutta la presidenza del PD, con Rosy Bindi in testa, non è
bastato per avere il via libera da Silvio. Il Capataz gli si è infatti messo di
traverso. Berlusconi teme Renzi, questo si sa, teme soprattutto che gli possa
fregare la leadership nel Pdl, perché qualcuno dovrà spiegarci una volta per
tutte, cosa diavolo ha Renzi di sinistra nella sua politica, se non l’aspetto...
ma quello è declinato al maschile: sinistro. Così, dalla svolta rivoluzionaria
siamo passati, in un mezzo giro di valzer, alla Restaurazione totale.
Aggravante non da poco: una classe politica che il Financial Times ha definito
(bontà sua) “gnomi” ma che, alla luce dei fatti, risulta essere composta da
individui loschi, squallidi, tristi e pure un po’ coglioni. Sentirsi
sbeffeggiati dallo scranno più alto di Montecitorio, dal Primo Italiano, in un
clima da primo giorno di scuola con tanto di maestro incazzato perché gli hanno
respinto la domanda di pensionamento, loro lo hanno preso per un “monito alto
espresso con viva e vibrante soddisfazione”. Insomma, più venivano bastonati e
più i nostri politici applaudivano: coglioni come sono non si sono resi conto
che Napolitano li stava trattando da deficienti. Incredibile, l’uscita di Vito
Crimi e di Roberta Lombardi: “Il Presidente della Repubblica ha riconosciuto
che non siamo un’emergenza”. E vivaddio, ma chi vi credete di essere, Frida Kahlo
e Diego Rivera o, meglio, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida? Nel frattempo, Beppe
Grillo ha detto chiaro e tondo che il M5S voterà “no” al governo dell’inciucio,
ma c’era qualcuno che pensava il contrario? Dopo la batosta in Friuli (Beppe
era convinto che sarebbe stata la prima regione governata dai 5S), è arrivato
anche lo stop alla collaborazione sicula con Crocetta. “Sentiamo aria di
inciucio anche a Palermo”, hanno detto i grillini della Trinacria, non è che,
invece, il Movimento ha già perso la sua spinta propulsiva avviandosi a diventare,
come la Lega, un prefisso telefonico? Da oggi inizia il ponte del 25 aprile, la
nostra Festa della Liberazione. A un certo punto abbiamo pensato di
festeggiarla davvero, la Liberazione, da quell’incubo ventennale di nome
Silvio. E invece, ricorderemo la Resistenza con il craxiano Amato. Tutto
cambia, nulla cambia perché quando, ieri, una giornalista ha ricordato al
Dottor Sottile il prelievo forzoso sui conti correnti, sapete cosa le ha
risposto Topolino: “Scusi, lei in banca quanto ha?”
martedì 23 aprile 2013
Elezioni in Friuli: il M5S dimezzato. E parte il più grande minestrone sciapito della storia italiana. Il Financial Times: “Politici italiani gnomi”.
Ci sta
salendo una rabbia dentro come raramente ci era accaduto in questi
anni parlando di politica. Rabbia per una banda di suonatori di
pifferi stonati che, spacciandosi per politici di razza, stanno
affossando un paese che è pur sempre uno degli otto al mondo e il
terzo in Europa. Rabbia per mummie che siedono sugli scranni dove si
decidono le sorti dell'Italia, ma loro giocano a Risiko. Rabbia per
l'incapacità di uscire da schemi vecchi come il cucco, quando
l'Italia avrebbe bisogno di uno scatto di fantasia e di vitalità
come mai era accaduto in precedenza. Rabbia, infine, e anche
delusione, per quello che poteva essere e non è stato per
scempiaggine e puro calcolo, per dispetto e ignoranza, per ripicche e
per quel senso di sentirsi onnipotenti pur essendo solo degli
inguardabili quacquaracquà. Tutti insieme allegramente sulla nave
che prenderà il largo per essere affondata alla prima mareggiata.
Tutti lì, a babordo, gli ornitorinchi della repubblica, le mezze seghe, le mignotte, i servi, i ragionieri, i geometri, gli evasori
fiscali, i portatori di conflitti di interessi enormi, gli
ineleggibili, gli indagati, gli avvocati, i medici specialisti e
generici, le visagiste, le igieniste, le suore, i frati, i preti, i
massoni, i banchieri e santiddio, manco un cassintegrato qualsiasi o
un iscritto alla Fiom. È l'ora della discesa in campo degli
sciacalli, degli avvoltoi, delle iene, dei paguri bernardi, delle
blatte e delle zecche, dei pidocchi e delle piattole, un esercito di
sanguisughe e di mangiapane a tradimento pronto a saltare addosso al
nemico (interno) di turno e farsi largo a colpi di punture e morsi. È
l'ora dei Renzi e dei Letta, degli Amato e dei D'Alema. Dentro ci
sono tutte le età, ma anche un tasso di machiavellismo
insospettabile, soprattutto in chi si dichiara (e anagraficamente lo
è), giovane. Il PD è una zattera in alto mare, una carretta nel
Canale di Otranto, un boat-people sul Pacifico che dal Vietnam va
verso l'Australia. Sembra più la nave dei disperati che un partito,
perché sulla nave dei disperati ci si da una mano, nel PD ci si
scorna. Con chi Renzi governerà questo paese non si sa, forse con un
po' di deputati del Pdl prestati per l'occasione. Ma la rabbia
maggiore è nei confronti del Movimento 5 Stelle. Quando tutti
dicevano che con il muro contro muro Grillo avrebbe raggiunto la maggioranza
assoluta alle prossime elezioni, noi ci siamo limitati a dire che non
sarebbe stato così, che gli italiani volevano e vogliono soluzioni, non prospettive future. La fame è oggi, si campa alla giornata,
domani chissà. Grillo non lo ha capito. Travolto dalla valanga dei
consensi che ha preso, e che lo hanno portato a essere il primo
partito per voti espressi in Italia, si è fatto prendere dal delirio
di onnipotenza, quando avrebbe dovuto sedersi e riflettere, tanto,
profondamente, intimamente, magari con il papà di Gaia che avrebbe potuto smettere per un quarto d'ora di smanichettare l'ultimo
videogame 3D. La riprova? Le elezioni in Friuli. Ieri. Nonostante il
massiccio intervento di Grillo, che ha parlato perfino alle montagne,
il M5S ha subito un tracollo perdendo quasi la metà dei voti presi
alle politiche. Ha rivinto il partito dell'astensionismo (più 20 per
cento) che qualcosa dovrà pur dire. Ma ha (anche) vinto la
Serracchiani, giovane e limpida pidina, che ha battuto il candidato
del Pdl pure se per un pelo. Anche questo qualcosa dovrà pur dire.
Grillo ha avuto la possibilità di cambiare l'Italia, non lo ha
fatto, ne pagherà le conseguenze, perché questi quattro barboni
della politica che ci governeranno, lasceranno decantare il suo
Movimento, lo relegheranno in un angolo e non serviranno a nulla le
chiamate di piazza: la gente vorrà tornare a mangiare ieri e
non dopodomani. Peccato, la più grande occasione persa negli ultimi
150 anni, di mandare a casa Berlusconi, di ridurre definitivamente
allo stato di pensionato D'Alema, di non considerare un giurista
Violante, di far rientrare Brunetta al circo e Cicchitto in cantina a
travasare il vino con il cappuccio bianco in testa. Peccato perché
nella trappola mediatica e nella rabbia attoriale di Grillo ci siamo
caduti anche noi. A questo punto, la voglia di imitare Muzio Scevola che ci era venuta
dopo aver votato Di Pietro, con Grillo sta diventando un gesto da nemesi. E meno male che Nichi tiene duro. Almeno lui.
lunedì 22 aprile 2013
I dietrofront di Grillo, l'acne juvenilis di Renzi. Ma non basta. Per Alfano, Silvio è uno statista. Bene!
Piroetta
di 360 gradi e addio Marcia su Roma. Niente comizi, niente adunate di
piazza, niente toni da rivolta popolare. Beppe Grillo torna a fare il
comico e perde l'occasione per dare un forte incremento alla sua base
elettorale. “Nessun golpe, per carità – esordisce davanti ai
giornalisti che in questo momento gli servono come il pane e quindi
li liscia un po' – tutt'al più un 'golpettino', utile a salvare il
Caimano e la Banca del PD”. Tutto vero, meno quel termine che,
subito dopo le elezioni, Beppe ha adoperato con una virulenza che per qualche ora, ci ha fatto preoccupare seriamente. Mica perché
riteniamo i 5S ragazzi in grado di prendere con la forza il Palazzo
d'Inverno, ma perché in alcuni momenti ci tornano in mente le parole
di Kossiga sulla tecnica della strategia della tensione: “Che ci
vuole – disse il capo di Gladio – basta mettere nei cortei una
decina di infiltrati e il morto è fatto”. Siccome siamo convinti
che il cinismo kossighiano non se ne sia andato con il legittimo
proprietario, e non giaccia in una tomba, il pericolo che qualche
emulo possa spuntar fuori è del tutto ricorrente. Bene ha fatto
dunque, Beppe Grillo, a organizzare una gita fuori porta chiamando i
giornalisti per spiegare meglio le sue parole, un dietrofront
clamoroso che ha spiazzato tutti, ma che ha fatto capire alla gente
che nel momento in cui ci si mette a giocare, occorre rispettarne
anche le regole. Il fatto che Grillo non sia un anarchico vero (un
po' ci dispiace), sta tutto qui. Un anarchico tende per costituzione
fisica e mentale, a sovvertire ordini sociali, qualunque essi siano.
In attesa di farlo, però, ne segue le regole fino a quando non si
trova nelle condizioni di cambiarle. A Grillo rimproveriamo proprio
questo: di non aver tenuto una metaforica pistola puntata contro il
governo Bersani, di non aver prodotto la legge sulla ineleggibilità,
di non aver introdotto un serio conflitto di interessi, di non
essersi messo nelle condizioni di salvare il nostro patrimonio
culturale, sociale, ambientale ed economico, di non aver salvato
l'acqua e l'aria pubblica, di non aver impedito la riproduzione per
osmosi di una classe politica becera e logora. Avrebbe potuto farlo
senza nessuna fatica e non lo ha fatto, permettendo alla vecchia
politica di tutelarsi come e meglio non avrebbe potuto. Sono ancora
tutti lì con lo stesso direttore d'orchestra: Amato e Letta, Casini
e Monti, Berlusconi e D'Alema, perché se qualcuno pensa che Baffetto
abbia appeso il timone al chiodo non ha capito davvero una mazza.
Beppe non ha solo permesso il salvataggio del Caimano, ma lo ha fatto
assurgere, come spiega quel gran pezzo di Corvo Rockfeller di
Angelino Alfano, a ruolo di statista. Che da questo putiferio Silvio
ne uscisse fuori da statista, è un 'merito' indelebile che Grillo si
porterà nella tomba. L'unica nota positiva di questa faccenda, è
che il cittadino Crimi e la cittadina Lombardi, perderanno molta
della loro spocchia, non conteranno più un cazzo, e torneranno a
fare quello che facevano prima di entrare in Parlamento: niente.
L'altro corvo (stiamo riesumando alla grande Allan Poe), è Matteo
Renzi del quale, oggi, Repubblica riporta in prima pagina il decalogo
(e chi sei Mosè?): “Ecco come rifonderò il PD”. Vorremmo chiedere sommessamente all'irruento, e molto ambizioso, sindaco di Firenze che
si è legato al dito la mancata nomina a “grande elettore” e lo
ripete in loop: ma quelli del PD lo sanno che li vuoi rifondare?
Perché se noi fossimo iscritti al PD e a rifondarci dovessi essere
tu, preferiremmo cambiare aria. Ieri, Franco Marini a Lucia
Annunziata, ha detto senza peli sulla lingua quello che pensa di
Matteuccio viaggiatore, con famiglia al seguito, ad Arcore con
annessa visita guidata e gratuita al Mausoleo: “Renzi dovrebbe frenare la sua
giovanile esuberanza, essere meno arrogante, contenere la sua
sfrenata ambizione, limitare la sua spensieratezza scapigliata,
rendendosi conto che la politica non si gioca con il joystick perché
non è la Playstation”. Pensate un po', lo ha capito perfino Grillo
che la politica non è la Playstation, Matteo dovrebbe impiegare meno
tempo e sforzi meno sovrumani. Intanto da mercoledì, Re Giorgio
inizierà le consultazioni. A fine settimana dovremmo avere il
governo, altrimenti a cosa sarebbe servita la sua rielezione? E,
oltre ai nomi che abbiamo fatto ieri per il ruolo di Presidente del
Consiglio (Amato e Letta), nella notte ne sono spuntati altri due,
Piero Grasso e Anna Maria Cancellieri che andrebbero già meglio. Ma
l'idea (“ideona” la chiama ilFatto) più incredibile sapete qual
è? Luciano Violante alla Giustizia. Capito come si chiude il
cerchio?
domenica 21 aprile 2013
Arriva Amato, il dottor Sottile. Italiani, occhio ai conti correnti: Cipro a Giuliano fa un baffo.
Se
avessimo un conto corrente corposo, meglio, un conto corrente e
basta, penseremmo seriamente a svuotarlo e a rimettere in funzione la
vecchia mattonella di nostra nonna. Il fatto è che chi ha
l'abitudine storicamente certificata, di mettere le mani nelle tasche
degli altri, difficilmente la perde, anzi è portato a reiterarla proprio come i killer seriali. E
le condizioni economiche del nostro Paese, che spinsero nel 1992 il dottor Sottile a fregarsi il 6 per mille dei nostri soldi depositati
in banca, se possibile, sono peggiorate. Non volendo parlare della
rielezione di Giorgio Napolitano, alias “il firmator cortese”,
dobbiamo prendere atto che in Italia chi parla di rinnovamento anche
anagrafico della classe politico-dirigenziale, va a cozzare contro un
muro di gomma colossale, una sorta di cinta muraria impenetrabile che
rende Roma una fortezza inespugnabile. Se Napolitano dovesse portare
a termine il suo secondo mandato, avrebbe 95 anni. Amato presidente
del consiglio, 80. La media di età dei politici che contano, dei vip
insomma, è di 63 anni. Stefano Rodotà, candidato fino all'ultimo
dei 5S e di Sel, 80 anni. Franco Marini, 80 anni. Romano Prodi è un
giovane virgulto, 74 anni. Silvio Berlusconi, 76 anni. E questo è un
indubbio messaggio di speranza rivolto alle nuove generazioni:
ragazzi non disperate, la media di età si è alzata a dismisura. È
vero che non farete un cazzo fino a 60 anni, però poi potreste anche
concorrere alla presidenza della repubblica. Su tutta questa
sporca faccenda, si potrebbe scrivere un istant-book. Ne escono fuori
tutti con le ossa rotta. Dal M5S al PD (addirittura nebulizzato), da
Scelta Civica praticamente ridotta a comparsa di fila, alla Lega,
Arlecchino servitore di due padroni. L'unico vincitore vero,
certificato, santificato è sempre lui: Silvio Berlusconi, re di
Arcore, imperatore di Cologno Monzese. Infatti. Il concetto di “popolo” (o
“maggioranza silenziosa” di fantozziana memoria), del M5S è
quantomeno bizzarro. Proprio questa mattina, un grillino intervistato
da RaiNews24, ha detto che alle Quirinarie hanno preso parte 50mila
grandi elettori. Considerato che Stefano Rodotà è arrivato terzo,
dietro due calibri dell'appeal di Milena Gabanelli e Gino Strada, i
voti che il giurista ha realmente preso si possono calcolare sulla base dei
5mila, forse qualcuno in meno. Parlare di popolo ci sembra, come
dire, esagerato e sapete cosa ha detto il grillino di cui sopra?
“Comunque i 50mila votanti del M5S sono sempre di più dei mille
intervistati per i sondaggi”. Insomma, il popolo della Rete non ha
votato, ha fatto un sondaggio. Dopo il dietrofront di Beppe Grillo
sulla Marcia su Roma dei milioni di 5S (Rodotà, da quel grandissimo
giurista che è, gli ha fatto sapere che a lui stanno sulle palle
tutte le marce su Roma), stamattina griderà al golpe ma sarà tutta
una scena. Il suo obiettivo lo ha raggiunto: spaccare il PD.
Complimenti Beppe, finalmente qualcuno è riuscito a smascherare un
partito che non è mai esistito. La fregatura è che facendo in
questo modo, l'unico ruolo che i giovani del Movimento avranno in
Parlamento, sarà quello degli scassapalle e non di più. E pensare
che un grillino umbro, giunto appositamentea Roma da Norcia, ha chiesto a
gran voce ai suoi amici cittadini parlamentari, la legge sulla
ineleggibilità di Silvio: beata ingenuità! Del PD abbiamo detto,
scritto, sparlato, ma sempre con una vena di malinconia, pensando a
quello che poteva essere e non è stato. Porteremo un fiore sulla sua
tomba. Mario Monti, da genio dell'economia, è diventato la spalla
intelligente dei Fratelli De Rege: “Vieni avanti, cretino” e lui
va. La Lega Nord, poverina, è la succursale ibrida e frigida del
Pdl, non muove un passo che Silvio non voglia, e se ci prova, Maroni
si piglia un cazziatone che metà basta. Rimane lui, sempre lui,
incontrovertibilmente lui: Silvio. Le strette di mano, le pacche
sulle spalle, gli abbracci che lo hanno travolto dopo l'elezione di
Giorgio Napolitano, la dicono lunga sul senso di questa elezione.
Basterebbero le immagini per commentare quello che ha significato per
Silvio questa fase politica, una vera e propria rinascita, una overdose di Viagra. Ora si
aprono davvero orizzonti inaspettati, e pensiamo con amarezza che se
solo qualcuno avesse deciso di cambiare le cose sul serio, e non di
fare semplicemente finta, oggi commenteremmo un'altra vicenda. Invece
siamo qui a raccontare la disfatta storica della sinistra che non
c'è, l'ennesimo sogno svanito all'alba, l'arrivo alla presidenza del
consiglio del dottor Sottile (geniale la definizione data di Amato da Eugenio
Scalfari) o, in subordine, del nipote di Gianni Letta, quell'Enrico tramatore pretigno che ha le sue belle responsabilità ma uno zio che
conta parecchio. Italiani, occhio al conto corrente. Se ne avete uno,
svuotatelo. Ci sono sempre le mattonelle del bagno perché il
materasso di crine non esiste più.
sabato 20 aprile 2013
PD addio. Si squaglia il partito mai esistito. È arrivato il momento di scegliere da che parte stare.
C'è
riuscito un comico a spazzar via il partito che non c'è. Si era
capito subito. Dai “no” a Bersani, che non erano “no” al PD
ma proprio a Bersani, all'inserimento di Rodotà e Prodi nell'elenco
dei “quirinabili”, Grillo ha fatto la sua parte denotando
tutt'altro che sprovvedutezza. Il ragionamento è stato semplice: far
esplodere le contraddizioni nel PD, significa farlo scindere. Le due
anime, più una terza dal vago sapore diabolico, avrebbero preso a
quel punto, strade diverse e in campo sarebbero rimasti in due, lui e
Berlusconi, ma con una buona parte dell'elettorato del PD che avrebbe
scelto lui, il comico portavoce del fantastico e un po' funereo mondo
di Gaia. Il PD, travolto dai suoi stessi, arcaici, protagonismi
interni, è imploso vittima di una strategia che, qualsiasi risultato
avesse avuto, lo avrebbe portato allo sfascio. Errore madornale, la
scelta di Marini. E a Bersani, i “diabolici” di cui sopra,
gliel'hanno lasciata fare senza colpo ferire: Marini sarebbe affogato
da solo. Fatto fuori il candidato “condiviso”, anche per una non
troppo inaspettata rivolta di piazza, l'unica proposta apparentemente
riunificante, era quella di Romano Prodi, il personaggio
“guardabile” rimasto della vecchia guardia. Il Professore però, che
conosce le strategie dei “diabolici”, se n'è rimasto in Mali.
Lui, che tirava un'aria sulfurea da Faust, l'aveva sentita a naso,
nella sua camera d'albergo. E Prodi ha fatto la fine che, sempre i
“diabolici”, avevano pianificato a tavolino: impallinato ad
altezza d'uomo o, se preferite, come disegnano oggi quelle personcine
educate e mai volgari di Libero, con il culo a 90 gradi. Piergigi,
vittima di quelli che lo avevano portato per mano alla segreteria del
partito, ha mollato, e ha mollato anche Rosy Bindi, per la serie la
coerenza non è sempre una gran puttana. Ricompaiono, uscendo dalle
zone buie nelle quali si erano andati a infilare, indovinate chi?
Amato e D'Alema. Uno, il dottor Sottile, pensionato a 31mila euro al
mese, stratega di livello che manco West Point, aveva continuato a
fare il topo, ma mai in trappola. L'altro, il Baffetto con il
cervello circonciso, alunno della scuola superiore delle Frattocchie,
inculatore recidivo del Professore bolognese ma, a sua volta, vittima
sacrificale delle inculate di Silvio (un protagonista passivo del
Bunga Bunga), è uscito un po' più allo scoperto, manovrando con
accortezza i voti dei suoi. Dove i due galantuomini volessero andare
a parare, si è capito ieri. Entrambi potrebbero essere eletti
spacciandosi per candidati “condivisi” (ma più dal Pdl che dal
PD), entrambi sono nelle condizioni, una volta eletti, di nominare
Silvio senatore a vita e toglierlo, definitivamente, dalla scena
politica con in mano il passaporto dell'impunità perenne. Altro che
presidenza della repubblica (sette anni), altro che presidenza del
Senato (cinque anni), Silvio punta a restare fuori di galera. E
Baffetto ci sta, e Amato pure. Loro, di pelo sullo stomaco, ne hanno
a quintali. A Massimo D'Alema c'è da dare atto di aver capito prima
degli altri, che la fondazione del PD era una stupidaggine. Da sempre
contrario, lo skipper Baffetto ha fatto di tutto perché l'idea
stessa di un partito democratico, venisse relegata nell'ambito delle
utopie. Si è messo di traverso perché, ritenendosi patologicamente
il migliore manco fosse Togliatti, non sopportava che qualcuno lo relegasse in un angolo. Solo che, sempre lo skipper di cui sopra, non
godeva, né gode, di nessun prestigio personale in Italia e in Europa.
D'altronde, come può averne un politico di sinistra che silura un
governo di centrosinistra, quello di Prodi, alleandosi con Kossiga e
Mastella? Così, giornalisticamente parlando, prendiamo atto che il
PD non esiste più. Che i vecchi funzionari del PCI, rimasti
saldamente in sella per anni, lo hanno ucciso freddamente, con un
cinismo incomprensibile se non letto attraverso la logica del
mantenimento dello status quo e dei tanti privilegi ancora rimasti.
Dai sindaci di paese a quelli di città, dai presidenti delle
province a quelli delle regioni, i vecchi dell'apparato di Botteghe
Oscure, hanno combinato sconquassi tali che non potevano che fare la
fine degli esseri in via di estinzione; avvertenza per l'uso, non
chiediamo, per favore, a quelli del WWF di tenerli in vita. Il leader
di tale compagine è Massimo D'Alema che sta cercando, con le unghie
e con i denti e con l'amicizia sempiterna di Silvio, di resistere
ancore sette anni pagato profumatamente non più dal partito ma dagli
italiani e poi via, senatore a vita e gite in barca con Berlusconi e
qualche mignotta. Perché vedete, per Baffetto, il Quirinale sarebbe
una sorta di rivincita finale. Nei confronti di Veltroni che ha
sempre odiato, di Prodi che ha sempre detestato, e di tutti quelli
che, dentro il partito, lo vedevano più attaccato al timone di
Ikarus che su una poltrona qualsiasi a comandare. Alla fine sarà
D'Alema, a meno che non intervenga la Deutsche Bank, allora Mickey
Mouse potrebbe farcela ancora.
venerdì 19 aprile 2013
La fine triste dell'”uomo delle metafore”. Ciao Piergigi.
L'immagine
di apertura non è solo un fortunato clic fotografico, ma l'icona di
una disfatta. Subito dopo le fumate nere “mariniane”, Bersani, con
un bicchiere di birra in mano e il toscano nell'altra, ha detto:
“Ragassi, mi sfilo dalla corsa per Palazzo Chigi”. Piergigi è un
uomo distrutto dalle sue stesse, clamorose fesserie, dall'incapacità
di guidare un partito in cui D'Alema e Veltroni, Letta e Fioroni, la
Bindi e Franceschini, Parisi e la Finocchiaro, hanno sempre
spadroneggiato tenendolo per le palle. Il PD è un partito che non
esiste, semplicemente perché non ha mai incarnato lo spirito di
nessuno. Apparentemente post-ideologico, non è mai riuscito a far
convivere le anime della Margherita e quella dei PCI-PDS-DS e
ammennicoli vari. Minato dalle sue stesse invidie interne, e da culti
di personalità senza valore, il PD non ha mai rappresentato quell'idea di sinistra europea, definiamola socialdemocratica, che
era alla base della elaborazione prodiana. Negli anni del
berlusconismo poi, il PD si è fermato, non è stato più quel
laboratorio di idee e di proposte che ne aveva contrassegnato la
nascita. È diventato succube e vittima del “Re delle televendite”,
che era un Re nudissimo e nessuno se n'è accorto, vestendolo
illusoriamente d'oro e di broccati. E quel Re è sopravvissuto alle
sue stesse nefandezze, anche per merito di un partito che aveva
bisogno, per sopravvivere, di un nemico da combattere con il quale,
però, pranzare e cenare. La Bicamerale, il riconoscimento della
Mediaset del prosciutto cotto Rovagnati e di Bilba di Cadey come
grande patrimonio culturale nazionale, le leggi presentate e
affossate sul conflitto di interessi, un verbale (uno) della
commissione delle verifiche elettorali sull'ineleggibilità di
Berlusconi, chiara come il sole. E poi gli autogol clamorosi, la
smania di protagonismo, la cieca presupponenza di essere i migliori,
l'arroganza dei poteri forti, le banche, le barche, la rincorsa alla
politica spettacolo sapendo di aver perso in partenza, i tradimenti
sottili e quelli da accoltellamento alle spalle, due governi fatti
fuori, il revisionismo storico di Violante e, alla fine, le due
fellonie più schifose: il voltafaccia al movimento operaio e alla
Resistenza, con il via libera ai berluscones di farne scempio. E non
solo. A livello locale, il PD è stato peggio, se possibile, della
vecchia Democrazia Cristiana. Negli anni si è costruito una rete di
potere e sottopotere da voltastomaco, lasciando fuori tutti quelli
che avevano idee e proposte nuove e mantenendo l'apparatnik che fu
del PCI, ma che del PCI non aveva niente, manco più la bandiera,
tanto meno l'Internazionale che a noi, che comunisti non siamo mai
stati, emoziona ancora. L'immagine di Bersani abbracciato ad Alfano è
la parabola di un partito che, finita questa buriana delle
presidenziali, farà bene a scindersi, a polverizzarsi, perché solo
dal kaos può rinascere qualcosa che somigli a un partito della
gente. Non è la Rete (minimal) di Grillo, la risposta. Né le televisioni e i giornali di
Berlusconi. È un discorso di cuore e di anima, talmente difficile da
comprendere che, a questo punto, chiunque venga eletto oggi
pomeriggio, alla quarta chiama o alla quarantesima, a noi non ce ne
fregherebbe comunque un cazzo. Rispunta il nome di Prodi, quello
spernacchiato da Silvio a Bari. Ora diteci che differenza fa fra
Prodi e Rodotà, se non la spocchia di dettare le regole del gioco.
All'Italia non servono croupier, ma Piergigi non se n'è manco
accorto: sta cercando in tutti i modi di servire la mano vincente a
D'Alema.
giovedì 18 aprile 2013
Roma ore 10. In diretta tv il suicidio del PD. Da maggioranza relativa a soggetto psichiatrico.
Era
ora. Non ne potevamo più. Di questo PD l'Italia non sa che farsene.
Pensateci, dopo che Vendola ha detto “no” a Marini e “sì” a
Rodotà, il PD è rimasto solo Centro. La Sinistra è scomparsa
definitivamente ed è rinata la Balena Bianca, l'assurdo è che
Achab ha le sembianze di Pierluigi Bersani. Berlusconi sceglie il
presidente della Repubblica e il segretario del PD dice “sì”
dopo quasi 50 giorni di limbo. Tradisce il suo elettorato, “Mai
un'alleanza con Silvio”, e si getta a corpo morto nelle braccia del
peggior nemico della democrazia che questo paese abbia mai avuto:
l'ex repubblichino Giorgio Almirante, in un ipotetico confronto con
Silvio, sarebbe un moderato di stampo anglosassone con tanto di
parrucca bianca e riccioli. Franco Marini, ottantanne, ex segretario
della CISL, democristiano di ferro, ha nel suo recente passato, una cocente
bocciatura in Abruzzo, la sua regione, che non lo ha rieletto al
Senato dopo una lunga e silenziosa carriera. In Abruzzo, una terra
che non capiamo più, è stato rieletto perfino Totonno Razzi, il che
significa che la destra si riconosce nello statista dei cazzi suoi e
che la sinistra ha bocciato Marini fino a considerarlo un corpo
(morto) estraneo. Insomma, non lo hanno voluto neppure i suoi
concittadini di San Pio delle Camere, perché lo dovrebbero
sopportare, per sette anni, 60 milioni di italiani? Ovviamente il
popolo della sinistra è incazzato nero. Torneremo ai “girotondi”
di quando lo stesso popolo diceva a D'Alema “dì qualcosa di
sinistra, ti prego”. Torneremo a rivivere l'ennesima spaccatura di
una sinistra che non trova pace, e nessuno che riesca a farne
convivere le mille anime perse fra la nostalgia, l'incapacità di
guardare oltre e l'abbraccio mortale con il capitalismo (gli agi, le
comodità, le estetiste e i parrucchieri piacciono a tutti, popolo di
sinistra compreso), e infatti, un borghese di sinistra è un assurdo
in termini, peggio dei cattocomunisti. Dall'altra parte, a contendere
il Colle al democristiano di ferro, c'è Stefano Rodotà, il primo
presidente del “rinnovato” partito comunista. Ottant'anni anche
lui, giurista integerrimo, costituzionalista poco avvezzo ai
compromessi, è risultato terzo alla Quirinarie ma primo dei papabili
“seri”. Lo voteranno i grillini, quelli di Sel, i pidini
dissenzienti compresi i renziani. Da questa ennesima pagliacciata all'italiana, molto
difficilmente Franco Marini dovrebbe essere eletto presidente al
primo scrutinio. 672 voti sono una tombola e considerati i
presupposti, non crediamo che Marini li abbia. E se non dovesse
essere eletto al primo turno, c'è la possibilità che non lo sia
neppure al secondo e al terzo. Cosa potrebbe accadere allora? Un
ripensamento dei pidini ortodossi e un pronunciamento a favore di
Rodotà? Impensabile. Eccolo che, come in un incubo, tornerebbe in pista
lui, quello dell'1 per cento dell'imponibile a Mediaset, quello della
Bicamerale, quello che con Silvio si può, quello delle leggi mancate
sull'ineleggibilità e sul conflitto d'interessi. Signore e signori:
Massimo D'Alema. Baffetto è pronto. In queste settimane ha lavorato
alacremente e, per farlo meglio, non si è ripresentato alle ultime
elezioni facendo intendere di aver compiuto la “solenne rinuncia”.
È andato perfino a Firenze a parlare con Renzi il quale, troppo
giovane e troppo ambizioso com'è, ha gradito. Anzi, volete che ve la
diciamo tutta? Secondo noi c'è un progetto preciso dietro tutto ciò.
Franco Marini, un po' rinco com'è, è l'agnello sacrificale. Bersani
e suoi compari di merenda, sanno perfettamente che una parte del Pd
non lo avrebbe mai votato, e allora lo bruciano. Fanno finta di provare a
fare una cosa unificante e, al quarto turno, sempre con Silvio ma con
un PD ricompattato, passa il salvatore della patria: Massimo D'Alema.
Se dovesse accadere questo, la sapete una cosa? Speriamo che Marini
passi al primo turno.
mercoledì 17 aprile 2013
Amato for President. Ma che siamo su "Scherzi a parte"?
Giuliano
Amato è un politico che non brilla certo per coraggio.
Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dell'Era Craxi (il Gianni Letta di
Berlusconi), dal 1983 al 1986, il Dottor Sottile (o Mazarino) come lo
chiamavano quelli dell'Estrema, di Craxi e del craxismo fu uno
dei teorici più accreditati. Non appena sentì nell'aria aleggiare
il disfacimento del suo mentore, si fece da parte in punta di piedi,
aspettando che il cadavere (politico) di Bettino navigasse esanime
sul fiume. Giuliano Amato è tristemente famoso perché, l'11 luglio del 1992, prelevò forzosamente dai conti
correnti bancari, il 6 per mille dei depositi, e la cosa che fece
incazzare ancora di più gli italiani, fu che il decreto ebbe
effetto retroattivo: l'11 luglio era lunedì, il decreto venne fatto
decorrere dal 9 (sabato) a banche chiuse: sottigliezze mefistofeliche da Dottor
Sottile. Amato percepisce una pensione di 31mila euro netti al mese, una cosa
vergognosa. Il 2 giugno 2008, annunciò solennemente il suo distacco
definitivo dalla politica attiva italiana tanto che, l'anno dopo,
diventò presidente dell'Enciclopedia Treccani ma anche, udite udite,
consulente in Italia della Deutsche Bank. Può un uomo così
incarnare il cambiamento? Per una parte del Pd e tutto il Pdl, sembra
proprio di sì. Uomo buono per ogni stagione, Giuliano Amato è
dotato di un particolare acume, una dote che gli ha permesso di
trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto, e di fuggire a
gambe levate (ma in punta di piedi) quando il barometro segnava burrasca e il meteo venti forti. The Economist lo chiamò scherzosamente Mickey Mouse
(proprio Topolino) perché è “piccolo, intelligente, calmo e
baldanzoso”. Ora, sapete tutti le qualità che occorrono per essere
un buon presidente della repubblica. Domanda. A parte che i grillini
voteranno il loro candidato fino alla fine, resta da chiedere al Pd:
come farete a sostenere Giuliano Amato a fronte di una controproposta
Stefano Rodotà? Con che coraggio Bersani potrebbe ancora invocare il
cambiamento, sostenendo per il Quirinale il consulente della Deutsche
Bank in Italia? Quisquilie, pinzillacchere, frattaglie... La vittoria
della Gabanelli alle Quirinarie è l'atto più coerente fatto dal M5S
dopo le elezioni. Ecco, Milena, laddove possibile, incarna quello che
dovrebbe essere il grillismo: andare avanti, non schierarsi ma
capire, denunciare. Dato per assodato che la Gabanelli non farà mai
il presidente della repubblica, restano un paio di considerazioni da
fare. La prima è che non vorremmo che dopo questa faccenda, Milena
diventasse, come tanti, una giornalista inquadrabile in uno
schieramento e, quindi, meno credibile. La seconda riguarda l'abilità
e la professionalità del gruppo di “Report” nello svolgere
inchieste che non guardano in faccia a nessuno. Ma che per caso ne
avevano in mente una sugli industriali della Marca? Sperando che non
sia così, cioè una captatio preventiva a favore di alleati politici
scomodi, resta il fatto che le Quirinarie hanno dato un altro
scossone alla politica italiana. Peccato, come sempre, che non si
conoscano le cifre della consultazione on line. In poche parole:
quanti grandi elettori hanno votato? Quanti voti ha preso la
Gabanelli e quanti Gino Strada e Stefano Rodotà? Ma nel M5S non c'è
mica Alfano, che pretende la riconta dei voti quando perde e va tutto
bene Madama Dorè, quando vince! Nel M5S sono tutti allineati e
coperti, soldatini di piombo fatti in serie, manco a mano. E noi con
i soldatini ci giocavamo a 5 anni (poi siamo passati alle bambole).
martedì 16 aprile 2013
I dietrofront di Casaleggio. Gli scontrini della Lombardi ignara della Costituzione. La tripanosomiasi di Crimi. Les Misérables del Pd. Renzi e Silvio a Parma. Le bombe di Boston. C'è un po' di casino in giro.
Fermi
tutti. Bocce ferme. Cos'è la democrazia per Casaleggio, un
venticello sottile che fa venire i brividi alla schiena? Un orpello
idiomatico? Una s-regola sintattica? Un concetto sulfureo? “Il
candidato alla presidenza della repubblica lo sceglie la Rete”. E
su questo siamo tutti d'accordo, anche se, da facenti parte della
Rete, ci sentiamo esclusi. La rete sceglie ma, secondo Casaleggio,
sceglie male. Allora, a urne virtuali ancora aperte, contravvenendo a
qualsiasi regola di un gioco non suo, dà apertamente consigli per
gli acquisti: “Niente Prodi, niente Bonino”. E succede
giustamente un casino, perché non si è mai visto al mondo qualcuno
contraddire se stesso a stretto giro di clic. La democrazia è
rischiosa, non sempre vede rispettati i propri pensieri. Il gioco
della maggioranza, del + 1 che fa vincere, non è solo un gioco ma
una regola. E le regole del gioco, anche se ti chiami Casaleggio, e
tratti con gli industriali teorici della “dipartita serena” delle aziende in
crisi, le devi rispettare. Dietrofront, quindi, clamoroso e una
figura di merda colossale. La stessa di Roberta Lombardi che, in conferenza stampa, afferma sbigottendo tutti, “dove sta
scritto che il presidente della repubblica debba avere più di
cinquant'anni?” Sulla Costituzione, Roberta, su quel libretto che
avete detto di aver studiato durante le ore dell'occupazione della
Camera e del Senato. Dove? Articolo 84, poffarbacco. Ma alla Lombardi
in questo momento perdoniamo tutto. La perdita del suo amato
portafoglio, con dentro scontrini per 254 euro rimborsabili, le ha
fatto sbroccare il ciriveddro. Colta dalla disperazione, ha chiesto
un referendum in Rete per sapere come fare, in assenza di pezze
giustificative, a farsi rimborsare. Ma con lo stipendio che prendi,
ti attacchi pure a 254 euro? Perché non decidi di devolverli al
fondo Cig, coperto fino a giugno e poi rivoluzione? L'hanno presa per
il culo tutti. Prima i fasci statisti, poi Ballarò, poi la
disconoscenza della Costituzione, poi il portafoglio, Roberta, c'è
un limite a tutto. Tale e quale, la Lombardi, al suo collega
senatoriale Crimi. Il buon Vito, ieri sera in forma smagliante da
Vespa, uno dei salotti televisivi criminalizzati (hihi!) dal suo
capo, deve avere una qualche forma strana di malattia del sonno.
Piglia e s'accuccia dappertutto. Sugli scranni del Senato o su una
poltrona del Freccia Rossa per lui è lo stesso. Il lavoro lo
sta massacrando e la sua autonomia è limitata e poi, Vito, il
Freccia Rossa, cazzo. Ma non siete voi quelli che odiano i privilegi?
Ma non siete voi quelli che hanno detto, un po' di tempo fa, che
avrebbero viaggiato con la gente, in mezzo alla gente, facendo
intendere che avreste preso solo regionali (anche se veloci)? Ma il
Freccia Rossa non costa più dell'aereo?
Ragassi, nel Pd volano
stracci. Matteo dà dei vecchi rincoglioniti e parassiti alla
Finocchiaro (“carrello umano della scorta per la spesa all'Ikea”)
e a Marini (“trombato al senato dai suoi stessi elettori”). E
pensa che, siccome sono rincoglioniti, non gli risponderanno. Invece
lo hanno fatto e si è beccato del “miserabile”. Ignaro, caduto
improvvisamente dal pero, Matteo si è indignato della replica alle
sue offese, e dichiarandosi “rammaricato”, se n'è andato a Parma
a festeggiare i cento anni di Pietro Barilla. E sapete chi ha
incontrato? Silvio, con il quale ha fatto quattro chiacchiere piangendogli sulla spalla. È stato allora che Silvio gli ha
accarezzato il capo, gli ha dato la sua eterna benedizione e gli ha detto sommessamente: "Non te la prendere, il Pd sta sulle palle anche a me".
Amiamo
Boston, la città più europea d'America, la capitale della cultura,
parliamo di cultura e non di sperimentazione o innovazione, dati
caratteristici di New York. L'abbiamo girata a piedi, conosciamo quei
luoghi. Ne abbiamo ammirato la tolleranza e invidiato alcune
strutture (MFA e ICA) su tutte. Centro mondiale della ricerca (MIT) e
delle Università (Harvard, Cambridge e Boston), capitale mondiale
dei trapianti e dell'innovazione medica (MGH), Boston è stata
attaccata al cuore ieri, durante una manifestazione, la maratona, che
è la seconda al mondo per “anzianità”, dopo quella di Atene. Le
bombe, piazzate sulla linea del traguardo, non hanno ancora una
matrice, solo, per il momento, tre morti e decine di feriti gravi.
Sul sito di Al Qaeda, non ce n'è traccia. Nessuna rivendicazione, e
tutti sanno quanto i terroristi del fu Bin Laden, siano precisi nelle
loro manifestazioni di simpatia. Girano voci. Si parla
insistentemente di frange razziste bianche, contrarie alla presidenza
Obama e al lavoro che il presidente Usa sta facendo per limitare
l'uso delle armi d'assalto. Si parla, si vocifera, di interessi
prettamente americani, non sarebbe la prima volta che gli americani
attaccano se stessi e poi danno la responsabilità dell'accaduto al
mondo intero. Resta la vigliaccheria di un atto di terrorismo che,
come sempre, porta la morte fra chi non c'entra un cazzo. Sarà un caso, ma la maratona di quest'anno era dedicata alle piccole vittime di Newton, Connecticut...
lunedì 15 aprile 2013
Obiettivo: Quirinale. Inizia la settimana di passione. Gli anatemi di Silvio il bugiardo.
Da
Berlusconi non compreremmo mai un'auto usata, dopo il primo
chilometro fonderebbe le bronzine. Né un cellulare, nella confezione
si troverebbe solo segatura. Tanto meno ci verrebbe in mente di
votare un suo candidato a una qualsiasi carica, compresa quella di
stalliere supplente ad Arcore. Non sappiamo per quale ragione ma, a
memoria, Silvio è l'unica persona al mondo che se dice una cosa, ci
viene la tentazione di fare il contrario. È più forte di noi, una
sorta di antipatia a pelle unita a una idiosincrasia totale per tutto
ciò che sa di plastica, di tarocco, di falso. Certo che, da quando
c'è lui, questo Paese è diventato il regno incontrastato degli
ignoranti e dei profittatori, dei nani e delle ballerine, delle
giovin donzelle travolte da un quarto d'ora di fama immeritata e un
futuro marchiato a fuoco, come Milady De Winter di Dumas. Per cui, se
Silvio dice di non volere Romano Prodi al Quirinale, pena un espatrio
forzoso alle Cayman (conosce un ristorantino niente male), noi
iniziamo a fare un tifo sfegatato per il Professore al Colle. Dei due
negletti nominati da Silvio a Bari, Gino Strada e Romano Prodi,
propendiamo decisamente per il secondo, vedendo nel fondatore di
Emergency un ministro della Salute con le palle, che torni a far
valere i diritti del malato sanciti dalla Costituzione, insomma,
l'uomo giusto al posto giusto, cosa che in Italia è sempre stato un
optional. Gli anatemi di Silvio, ovviamente, sono di natura
preventiva. È vero, ci sono personaggi che teme più della peste,
perché sa che lo conoscono benissimo e, a proposito di auto usate,
neppure loro ne comprerebbero una nell'autosalone di Cologno Monzese.
Poi arriva il dissanguatore finale degli italiani, il famigerato
Monti the Pyton, che da Fabio Fazio dice che occorre una larghissima
maggioranza per eleggere il presidente; che raggiungere l'intesa
Pd/Pdl, con Lista Civica a reggere il moccolo, è l'unica soluzione
possibile per il Paese; che un presidente eletto al primo turno,
frutto di un inciucione, sarebbe la soluzione migliore per questi
cazzo di mercati che ormai non se ne può più. Monti è un altro che
ci indispettisce da sempre. Lo guardiamo in faccia e ci viene la
voglia di prendere una vanga. Il Professore2 (l'1, diritto di
anzianità, è Prodi) è talmente tronfio, pieno di sé e dei suoi
miracolistici interventi, che è riuscito a far aumentare tutto:
disoccupazione, debito pubblico, fabbisogno dello stato, consumi,
beni primari, sfiducia, pessimismo, qualunquismo, espatri e qualità
della vita. Oggi ci sono ancora i boat people che arrivano a
Lampedusa, ma mica per restare in Italia, per andarsene velocemente
in Germania. Nell'immaginario collettivo degli abitanti del bacino
del Mediterraneo non siamo più un sogno, siamo diventati l'incubo
peggiore, la terra di mezzo fra la fame e la prosperità. C'è da
dire anche che oggi il papà di Gaia, incontra gli industriali di
Confapri, l'associazione presieduta da Arturo Artom che, come dice
l'Huffington Post, è l'ufficiale di collegamento fra il M5S e le
imprese. Casaleggio andrà ad illustrare i contenuti della
Grillonomics mentre gli industriali, tutti ex berluschini,
proporranno la loro ricetta per diminuire il debito pubblico. Artom,
uno di quelli che ci ha causato una serie infinita di incubi
notturni dopo il collegamento con Piazza Pulita, è il fautore
dell'eutanasia delle imprese in difficoltà. In poche parole dice:
“Ci sono imprese che non ce la fanno? Lasciamole spegnere
serenamente e investiamo i soldi della Cig nel reddito di
cittadinanza”. Un altro dei pallini di Artom è il dimezzamento del
pubblico impiego, una via di mezzo fra i “mangiapane a tradimento”
di Brunetta e “con la cultura non si mangia” di Tremonti, da
mandare a casa senza passare dal via. Ancora un pallino sono i cento
miliardi di debito della PA nei confronti delle imprese, poi
l'abolizione dell'Irap, poi i ritocchi dell'IVA. E, tanto per
predisporre al meglio l'animo degli industriali trevigiani e
lombardi, ieri Grillo, a stretto giro di post, ha fatto sue le
preoccupazioni di Sergio Squinzi che, dal palco di Torino, ha
lanciato l'ultimatum di Confindustria alla politica. Domanda: ma i
grillini conoscono le proposte economiche del loro Movimento? E
ancora: sanno che tipo di rapporti ci sono fra Artom e Casaleggio?
Perché, degli incontri che hanno tenuto prima delle elezioni, non c'è
stata una diretta streaming?
domenica 14 aprile 2013
Silvio e l'Italia col barboncino in braccio. Dudù prossimo ministro della Cultura.
Questa
è l'immagine esatta e perfetta del regno democratico di Silvio I.
L'Italia miliardaria con il barboncino bianco e il look ipergriffato.
È l'Italia degli evasori fiscali e delle Damine di San Vincenzo. Del
lusso esibito e del pressappochismo manicheo dei cummenda. È
l'Italia che se ne sbatte le palle dei disoccupati e degli esodati,
dei 165 nuovi poveri al giorno e delle pensioni pignorate in banca da
Equitalia. È l'Italia delle ipocrisie e dei piccoli/grandi privilegi
diffusi, delle file saltate, dei ruoli non rispettati, delle mazzette
per le licenze e delle assunzioni di responsabilità mai. È l'Italia
dei conti correnti offshore e di quegli evasori fiscali (quasi)
totali che prima votavano Silvio oggi Grillo perché, per chi non lo
sapesse, il maggior numero dei titolari di conti correnti all'estero
sono lombardi e veneti. Ah... marchettari trevigiani! Bari, comizio
del Popolo delle Libertà (loro). Palco pieno di “vips” e la
parola “Silvio”, stampata dappertutto. “Volete voi Gino Strada
presidente della repubblica?”, chiede Berlusconi a gran voce al suo
popolo di siliconati che affolla Piazza (anche lei) della Libertà.
“Nooooo” è la risposta secca dei cervelli all'ammasso. E questo
basta per qualificare la gente che vota per Silvio. E che continuerà
a votarlo, visto che i sondaggi lo danno ancora una volta in testa
nelle prossime, eventuali elezioni. Questo è un paese perduto, senza
nessuna prospettiva, un futuro nebuloso, giovani sfiduciati, una
classe politica marcia nonostante gli innesti innovatori. Pensavamo
che il M5S fosse diverso, fosse un movimento vero, invece è un
partito come gli altri, con le sue strategie, le sue mosse, i suoi
veti, i suoi interessi. E Silvio impera, e continuerà a farlo fino
all'ultimo respiro e si propone ancora come candidato premier, mentre
le sentenze tardano ad arrivare e spira un'aria di navigazione a
vista che, onestamente, ci spaventa. E poi c'è il nemico pubblico
numero uno: Romano Prodi, quello che ha sconfitto Silvio due volte su
due e Berlusconi, che odia perdere, se l'è legata al dito. “Se
Prodi diventa presidente della repubblica, meglio andare all'estero”.
Se, invece, lo dovesse diventare lui, mano ai forconi, perché
stavolta basta. L'immagine di oggi è l'immagine esatta di quello che
è diventata l'Italia: una demodè signora in tiro con cane di razza in
braccio. A quella foto manca solo la futura suocera di Silvio, quella
gentile signora che, a sua detta, lo tiene prigioniero in casa.
Conoscendo il pollo...
PS.
Se Silvio dovesse diventare presidente del consiglio, ha già pronto
il nuovo ministro della cultura. Si chiama Dudù ed è il barboncino
di Francesca Pascale. Dopo tanti cani, un cane vero.
sabato 13 aprile 2013
Lo strano “affaire” delle Quirinarie: nessun attacco hacker. Il dualismo Prodi-D'Alema, quando l'odio obnubila e travolge.
La
democrazia in Rete è un rischio. Non è una novità. Non scopriamo
l'acqua calda. Lasciamo stare le inveterate e le prediche, i
discorsoni e le battute da bar, parliamo di cose più serie: i conti
correnti nelle banche, i segreti inconfessabili di stato, gli archivi
della Cia e del Mossad, le pianificazioni terroristiche di Al Qaeda, le
oscillazioni dei titoli di borsa, la variazione del prezzo del succo
d'arancia, le votazioni per scegliere candidati e capi. Ieri è
successo un fatto spiacevole. Il M5S ha dovuto annullare le
“Quirinarie” per un difetto tecnico: un presunto attacco hacker,
ha prontamente scritto Beppe Grillo sul suo blog. Ovviamente l'altra
Rete, quella che non ha avuto accesso alle consultazioni on line, si
è divertita a sbeffeggiare i grillini, riempiendoli di battutacce e
di spernacchiamenti che sono andati dal “Compratevi un antivirus”
al “C'è sempre un nerd più nerd di voi” per finire con “Ma
che vi ha attaccato la Corea del Nord?” Ora, se non fossimo stati
fra gli artefici del successo del M5S alle ultime elezioni, ci
saremmo anche noi divertiti a prendere in giro la poderosa macchina
informatica della Casaleggio Associati. Però, siccome ci sentiamo
responsabili di un mezzo disastro, ci permettiamo una paio di
considerazioni che non vogliono essere un atto di accusa nei
confronti di nessuno. La prima è che non è vera la storia
dell'attacco hacker e, soprattutto, non è vero quanto affermato da
Beppe Grillo sul suo portale, e cioè che la società di
certificazione olandese chiamata a verificare l'esito del voto
virtuale, abbia avallato l'ipotesi dell'attacco. La società
olandese, nel suo rapporto, ha parlato infatti di “discrepanze”
fra i voti giunti e i votanti, che è cosa ben diversa dal massiccio
intervento di rompicoglioni seduti davanti alla tastiera di Hal.
Responsabile di tutto l'apparato elettorale è, come abbiamo scritto,
la Casaleggio Associati, fatto che un po' ci stupisce, un po' ci
rammarica e un po' atterrisce perché, quanto meno, è possibile accusarla di
pressappochismo e di impreparazione. L'altra considerazione, invece,
ha una chiave di lettura più politica: qualcuno ventila l'ipotesi che i voti
arrivati non fossero in linea con i desiderata dello stesso
Casaleggio e che, il teorico di Gaia, si sia inventato di sana
pianta un attacco in realtà mai avvenuto. Se fosse valida questa
seconda ipotesi, le domande che verrebbero fuori sarebbero davvero
tante, mentre non nascondiamo che potremmo anche essere colti dalla
sindrome di Muzio Scevola. Che senso avrebbe, militare in un partito
che trucca i voti dei suoi iscritti e, soprattutto, in un partito che
fa della trasparenza (degli altri) il suo massimo credo? Speriamo,
insomma, che qualcosa si sia tecnicamente inceppato, perché se così
non fosse, ci chiederemmo il motivo dell'esistenza in vita di Vito
Crimi e di Roberta Lombardi. E passiamo finalmente a Stanlio&Ollio.
Certo che Prodi e D'Alema si odiano in modo inverecondo. La storiella
del gatto e del topo o quella del cane e gatto, a loro fa una pippa.
Romano e Baffetto si odiano da sempre, questione di incompatibilità
di carattere. Il fatto è che Prodi, nel bene e nel male, come ha
detto Marco Travaglio riferendosi al primo governo del Professore, ha rappresentato l'unico
politico decente degli ultimi venti anni. Ha vinto le elezioni perché
ha preso più voti, ha fatto il presidente del consiglio perché è
risultato il più votato dalla gente, ha battuto, secco, Berlusconi
due volte su due: un record. Quando ha finito il suo percorso di
presidente del consiglio (tradito dai suoi), Prodi ha ricevuto
offerte di lavoro da tutto il mondo e da parte dei più prestigiosi
consessi mondiali (Onu compresa). Alla fine, ha deciso per un
impegno diretto per l'Africa sotto le insegne delle Nazioni Unite,
insomma, Prodi in Africa c'è andato davvero nonostante non lo avesse
dichiarato. D'Alema, poverino, terminato il governo di altissimo
profilo con Kossiga e Mastella, le ha tentate tutte credendo di
essere diventato uno statista. Gliene fosse andata bene una... Così,
da ministro degli esteri europeo in pectore, ha finito per sedersi
sulla poltrona di presidente del Copasir, prendendo il posto di un
altro grande statista: Francesco Rutelli. Ancora una volta, la storia
patria li ha messi uno di fronte all'altro, uno contro l'altro,
D'Alema e Prodi. Obiettivo: il Quirinale. Non ci riuscirà nessuno
dei due, ma almeno Baffetto non dovrà stringere la mano a un
presidente della repubblica che non ha mai amato, anzi... Purtroppo i
due non possono essere paragonati neppure a Totò e Peppino ma, al
massimo, a Gastone e Paperino. Ovviamente, per l'assegnazione dei
ruoli, ci si potrebbe rivolgere alla Casaleggio Associati.
venerdì 12 aprile 2013
In Italia, 6 milioni di inattivi e la situazione peggiorerà. Silvio non cerca benefit: “I miei processi li risolverò in Cassazione”.
Il
Fondo Monetario Internazionale ci dice che ci sono 200 milioni di
disoccupati (“cifra intollerabile”, dice il FMI) di cui 3 in
Italia. Il fatto è che da noi la cifra raddoppia, perché la
sfiducia è diventata una sindrome nazionale e 3 milioni di cittadini
ancora produttivi, hanno smesso di cercare lavoro. La contrazione
della spesa, quella che mette materialmente i beni di consumo nel
carrello, registra in Europa un decremento dello 0,4 per cento di
media, mentre in Italia è molto più alta e arriva a toccare il 4
per cento (senza lo zero davanti). In poche parole la gente spende
meno, con tutto quello che comporta per la fluidità del mercato, i
bilanci delle aziende e via dicendo. Si chiama recessione e ha padri
e madri, nomi e cognomi, codici fiscali e indirizzi. Ma sembra che
nessuno ci faccia caso. Pur mettendo al centro della loro attività
politica il tema del lavoro, i partiti sembrano interessati a
tutt'altre faccende. Il Pd è alle prese con l'affaire Renzi al quale
Massimo D'Alema, in piena corsa solitaria per il Quirinale, è andato
a dare la sua personale solidarietà. Nel Pdl l'affaire sono da sempre
les affaires di Berlusconi. Silvio, in una lunga intervista a
Repubblica, ha detto che il problema della elezione di un capo dello
stato di sinistra lui non se lo pone. Basta che subito dopo prenda
vita un governo di larghe intese e che i ministri vengano fuori da
rose di nomi condivise. Il problema del Cavaliere è che, ultime le
dichiarazioni dell'agente di Noemi Letizia, ha talmente tanti casini
che sarà più impegnato a mettere assieme memorie difensive,
piuttosto che a pensare di governare. Non deve essere piacevole
sentirsi dare del “pedofilo” pubblicamente, perché se una volta,
andare con una minorenne procace e disinibita, può essere una
svista, due iniziano a rappresentare una tendenza o, meglio, una
prova, come direbbe il nostro amico Poirot: maledetto vezzo di non
chiedere mai la carta d'identità e di fidarsi solo della taglia dei
reggiseni. Comunque, Silvio sembra rassegnato (ma chi lo conosce sa
che sta tramando sicuramente qualcosa), al punto che per la prima
volta in vita sua, ha deciso di affidarsi alla giustizia: “I miei
processi li risolverò in Cassazione”, ha detto Silvio con l'aria
da ultima spiaggia. Certo è che Ghedini deve essersi stancato di
scrivere sceneggiature per i film del Capo, specie se a interpretare
i ruoli che lui traccia con grande abilità, è una guitta sulle
scale del Tribunale di Milano: “Almeno datemi Margherita Buy”,
sembra abbia detto Niccolò dopo l'ultima interpretazione di Ruby.
Ormai ci siamo. Oggi dovremmo sapere “il chi è” il candidato
presidente della repubblica dei grillini. Abbiamo provato a votare
pure noi ma non ci siamo riusciti. Tabù. La Rete non è poi così
democratica, o forse non sapevamo che fosse composta da “eletti”
pure lei. I nomi che girano sono sempre gli stessi, ad esclusione di
Romano Prodi e di Emma Bonino, i 5S puntato suppergiù su personaggi
dalla indubbia fama e dalla trasparenza cristallina, un identikit nel
quale ci ritroviamo ovviamente anche noi. Il problema, come Concita
De Gregorio scrive ormai da qualche giorno su Repubblica, è vedere
cosa ne pensano i grandi manovratori. Chissà perché nel nostro
paese oltre ai grandi elettori, ci debbano essere per forza anche i
grandi manovratori. E i treni deragliano.
giovedì 11 aprile 2013
Silvio: “Bersani al Quirinale, larghe intese e voto a luglio”. E Grillo li attacca: “Inciuciano silenziosamente. Niente streaming, niente stampa e frequentano luoghi segreti. Vergogna!”
Se
Beppe Grillo non fosse un comico, abilitato per mestiere a fare
battute, l'uscita di ieri avrebbe dovuto sollevare l'ilarità di
tutto il mondo civile e anche, un po', di quello incivile. Ha
accusato B&B, che non è il bed&breakfast “D'Alema”, via
dell'Inciucio 69, Roma ma semplicemente l'acronimo
Berlusconi-Bersani, di tramare nel buio, di mestare nel torbido, di
agire in silenzio come due massoni in sonno. Li ha accusati di aver
tenuto l'incontro in un luogo segreto, senza giornalisti, senza
diretta streaming e, soprattutto, senza la possibilità di piazzare
la cimice a forma di tetta inventata da Casaleggio, che gli avrebbe
permesso di seguire la conversazione senza essere visto. È
stupefacente (letteralmente) il doppiopesismo grillesco e soprattutto
meraviglia la sua voglia (legittima) di sapere, applicando il metodo
della trasparenza solo agli altri. C'è qualcosa di patologico, in
tutto ciò, qualcosa di animalesco e primordiale, qualcosa che suona
come il clone di Casaleggio che sta spopolando in questi giorni sul
web e che twitta frasi demenziali come: “Fuori la Germania
dall'euro, lentamente e con le mani bene in vista” oppure
“Riorganizzare Pubblica Amministrazione: orologio atomico per
sincronizzare pause caffè”. C'è qualcosa di farsesco in tutto
ciò, come lo spirito adolescenziale di rompere i coglioni a ogni
costo, pur non avendone più l'età. Oddio, i brufoli ci sono, gli
zainetti pure e se ci fossero anche le polluzioni notturne staremmo
veramente a posto. Ma passiamo a cose più serie. Silvio ha tirato
fuori dal cilindro il suo bianconiglio. “Piergigi – ha detto a
quattr'occhi a Bersani – fallo tu il presidente della repubblica.
Ti togli dall'imbarazzo di governare con me. Adottiamo un paio di
provvedimenti che mi possono essere utili per il futuro e a luglio,
con il solleone che spacca il culo ai passeri, torniamo a votare”.
La disperazione di Silvio è allo Zenit. Non sa più a che santo
votarsi per cercare di non albergare qualche anno a San Vittore.
L'unica possibilità è far fuori Bersani proponendogli il Colle,
promoveatur ut amoveatur, e via libera al più grande inciucio dopo
il week end. Certo, la proposta è allettante anche perché, se non
scende a patti con Bersani, il presidente della repubblica agnostico
se lo scorda. Silvio è consapevole che intorno a lui tira un'aria
brutta e pesante e infatti, al termine della riunione segreta con
Piergigi, ha dato ordine ai suoi di rilanciare la proposta di Bersani
al Quirinale, dando fiato a tutte le trombe possibili e perfino alle
lingue di Menelik che, come tutti sanno, sono molte di più delle
trombe ufficiali. In tutto questo casino istituzionale e non, che è
poi l'habitat naturale di Silvio, c'è da registrare l'incazzatura,
non mascherata anzi ostentata, di Fonzie che non ha digerito
l'esclusione dal gruppo dei grandi elettori del prossimo presidente
della repubblica. Matteo è fuori dalla grazia diddio. Ha accusato
apertamente Piergigi di averlo boicottato, di volerlo isolare, di
persecuzione razziale nei confronti dei dislessici, e di violenza
cieca contro le minoranze linguistiche. Si è davvero incazzato,
Matteo, tanto che gli osservatori politici illuminati danno per certa
la scissione del Pd. Una cosa è sicura, se il Partito Democratico
avesse fin dalla nascita, accentuato la vocazione di sinistra, Renzi
non ne avrebbe mai fatto parte. Se il Pd fosse un partito di
sinistra, a personaggi come Renzi non avrebbe dato neppure la
tessera, forse quella del Club di Topolino. Se il Pd fosse stato un
partito di sinistra, il M5S non avrebbe avuto motivo di nascere,
Ingroia non sarebbe stato costretto a trasferirsi in Val D'Aosta, la
ferraglia arrugginita vetero-comunista avrebbe continuato a lottare
sì per le 35 ore, ma alla fine, sarebbe addivenuta a più miti
consigli. Pensate, per un momento, cosa sarebbe l'Italia se il Pd
fosse stato un partito di sinistra...
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