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domenica 30 giugno 2013

Diktat dell'Unesco all'Italia: 6 mesi per salvare Pompei, altrimenti spostiamo il sito in Baviera

Qualche giorno fa, legittimamente soddisfatti per l'introduzione di 13 nuovi siti italiani nei luoghi che l'Unesco tutela a nome dell'intera umanità, dicemmo che per l'Italia e per gli italiani tutto questo ben di dio era una iattura. Che i palazzinari toscani erano incazzati come iene e che gli immobiliaristi erano entrati in uno stato di pericolosa fibrillazione cardiaca con seri rischi di ictus devastanti. Ma si sa, l'Unesco dà e l'Unesco toglie. Vi credevate che dopo i crolli, i furti, le devastazioni, le dimissioni di Sandro Bondi, la situazione del sito archeologico di Pompei fosse migliorata? Ma manco p'o' cazzo. Peggio di prima. Tanto che l'Unesco, una pericolosa agenzia delle Nazioni Unite famosa per non farsi mai le minchie sue, stanca di essere presa per i fondelli dagli statisti italiani, ha lanciato l'ultimatum: “O entro sei mesi provvedete a turare le infiltrazioni d'acqua, costruire le canaline di drenaggio, coprire i mosaici che la luce del sole danneggia, demolire le costruzioni improprie non previste dal piano concordato con l'Unesco e non assumete personale adeguato o son cazzi vostri”. C'è da dire che, mesi addietro, l'Unesco aveva stanziato 20 milioni di euro per un primo intervento di recupero e consolidamento. Che fine abbiano fatto, ovviamente, nessuno lo sa. Giovanni Puglisi, che della commissione italiana dell'Unesco è il presidente, per il momento si mantiene sulle generali, dice e non dice che Pompei rischia di essere estromessa dai siti dell'agenzia delle Nazioni Unite per il patrimonio culturale mondiale, insomma, fa le battutine. L'ultima in ordine di tempo è stata: “Il primo ministro Letta(Letta, nda) ha detto che si sarebbe dimesso se ci fossero stati ulteriori tagli alla cultura. Nel caso di Pompei – ha ridacchiato Puglisi – qualche taglio c'è stato... anche se camuffato”. Ecco, LettaLetta camuffa. Mica solo Pompei. Lui camuffa tutto e poi, da quel gentiluomo virtuoso che è, non mente... omette, capita la differenza, campioni d'ipocrisia? LettaLetta camuffa l'Iva, l'Imu, l'energia elettrica che invece di farci risparmiare 5 euro l'anno ci costerà (notizia di ieri mattina) l'1,4 per cento in più. Camuffa i tagli alla scuola, alla ricerca, l'aumento delle sigarette elettroniche e, ma scommettiamo che nessuno se n'è ancora accorto, delle marche da bollo. E poi, camuffa un autunno che più caldo di così non si potrà. Lo ha detto Saccomanni: “E i tagli dolorosi dovranno ancora venire”. Privo di coraggio, di fantasia, di uno slancio di sana follia (se li avesse che balenottero bianco sarebbe?), LettaLetta è peggio di Mario Monti, visto che con lui qualche leggina ad personam passerà, lo ha detto ieri Anna Finocchiaro e c'è da crederle. Ma torniamo al nostro patrimonio che, siccome appartiene all'umanità, è nostro solo perché si trova sul territorio della nazione più indifferente, apatica e menefreghista che esista al mondo. Vendiamolo, dio bono. Cominciamo da subito. Dunque, Pompei la smontiamo e la rimontiamo in Baviera. L'Etna è facilmente trasportabile in Scozia, almeno il Lago di Lochness avrà uno scenario più accattivante. Le ville medicee ne diamo una a testa a: Denver, Baltimora, Oklahoma City, Reno, Las Vegas, Philadelphia (ma solo perché ci ricorda i formaggini), Chicago, Boston, New York, Honolulu, Los Angeles e San Diego. I giardini di Boboli li piantiamo a Shangai e la Torre di Pisa a Mumbay (fa pendant con il Taj Mahal). Il Colosseo potremmo cederlo ai berlinesi, mentre la Fontana di Trevi potrebbe fare la sua porca figura a Innsbruck Centro. Ci scommettiamo la reputazione che  in queste nazioni e in queste città, i nostri monumenti farebbero alzare il Pil almeno di un punto, mentre da noi ci costano un punto e mezzo. Questione di prospettiva, ma anche di un optional solo italiano che si chiama rispetto. 

sabato 29 giugno 2013

De Gregorio, Lele Mora, la senatrice Anitori. Per un verso o per un altro, ci tocca imbarazzarci un po'

Imbarazziamoci un po'. Togliamoci qualche “sasso dallo stomaco”, come ama definire un peso insostenibile l'ex senatore della Repubblica, Sergio De Gregorio. E partiamo da lui, da quello che fu un giornalista d'assalto eletto nelle file dell'Idv e poi “comprato” da Silvio per far cadere Romano Prodi. Al contrario di Renato Pozzetto, il De Gregorio corrotto pentito, non ha visto la Madonna ma ha sognato il padre che, dopo averlo preso per le orecchie, sembra gli abbia detto: “Figlio mio parla, racconta tutto, denunciali 'sti bastardi”. E il figlio lo ha fatto. Ha denunciato una combine grazie alla quale, in quella stessa legislatura, 120 fra deputati e senatori cambiarono partito. Giustamente, Sergio De Gregorio oggi dice: “Possibile che fra tutti quelli che passarono con Silvio, l'unico corrotto sia stato io mentre per gli altri si parlò di contrattazione?” Bella domanda, però la lasciamo così, volteggiare nell'aria. Dice ancora De Gregorio: “Ho rinunciato a candidarmi quando Denis Verdini, ancora il 19 dicembre, mi ripeteva: 'Vieni in Senato, ci difenderemo tutti insieme dai magistrati comunisti, governeremo la giunta per le immunità'. Gli ho detto di no, non volevo uscire dal Senato con le manette”. De Gregorio si è pentito, ha parlato con i magistrati di Napoli, si è fatto 100 giorni di arresti domiciliari, ha chiesto scusa a Romano Prodi e ora ha deciso di dire addio alla politica e di scrivere un libro, un diario utile a spiegare nei particolari ciò che accadde in quei giorni bui. Imbarazziamoci un po'. Tocca a Lele Mora che ormai possiamo definire “uno”, “bino” e “trino”, dipende dalle dichiarazioni che rende e dalle smentite che seguono immediatamente le parole appena dette. Nel corso del processo definito “Ruby-bis”, sentito prima dai giornalisti poi dai giudici, ha detto: “Dismisura, abuso di potere e degrado. Lo ha scritto un importante quotidiano nazionale, ed è proprio così”. Parla, Lele Mora, e sembra che voglia togliersi anche lui un sasso dallo stomaco... cazzo quanti struzzi! E prosegue: “Io ne sono stato il passivo concorrente, ma oggi non voglio più mangiare cibo avariato e lascio il compito ai miei difensori di chiarire”. E il difensore chiarisce: “Il compito di Mora era quello di rendere famose le sue clienti, di esibirle sul palcoscenico di Arcore. La sua condotta non ha nulla a che vedere con gli atti sessuali eventualmente compiuti”. Poi, quasi a volersi sgravare l'anima dal confessabile e dall'inconfessabile, l'ex talent-scout ha detto: “Mi vergogno per le polemiche che ho fatto contro giornalisti e comunisti, per le minacce, mi vergogno e chiedo scusa. Voglio solo uscire da questa bufera infernale che mi ha tolto la luce”. Nel frattempo, però, deve essergli arrivato un sms direttamente dal padreterno che stazionava pigro dalle parti di Arcore. Appena uscito dall'aula del tribunale, dopo questo popò di pentimento, Lele Mora ha negato tutto. Leggete: “Ad Arcore non c'è stato niente di male, quando in aula ho parlato di degrado, ho detto quello che ha riportato un giornale. Ad Arcore la prostituzione non c'è mai stata”. Imbarazziamoci ancora un po'. Ieri il M5S ha perduto un altro pezzo. Dopo l'attacco di Anonymous al sito di Casaleggio, defacciato della home page e con un messaggio che diceva: “Siete il cancro che volevate eliminare”, la senatrice laziale Fabiola Anitori ha detto addio al Movimento aderendo al Gruppo Misto. Nella lettera di addio, la senatrice scrive: “Gli avvenimenti registrati all'interno del Movimento negli ultimi mesi, mi hanno profondamente segnata, peraltro in un periodo molto delicato della mia vita. Non riconosco più l'impostazione iniziale del Movimento che è diventato proprio quel 'partito personale' dallo stesso tanto criticato, con un sistema feudale di fedeltà che respinge o espelle chi dissente, chi non si allinea. Io ho creduto, e credo al messaggio politico del 'cambiamento' da attuare, però, attraverso il confronto democratico, sia interno che esterno, che ritengo un valore, una virtù repubblicana irrinunciabile e che non ritrovo nel Movimento”. Imbarazziamoci pure, però a noi la senatrice Fabiola Anitori non ci sembra una paracula pronta a disertare per gli avanzi della diaria. A proposito, lunedì prossimo in pompa magna, si doveva tenere la cerimonia di restituzione delle somme non spese, il Restitution Day. Slitterà di qualche giorno. Problemi tecnici. Imbarazziamoci un po', mica ci fa male.

venerdì 28 giugno 2013

Brunetta Furioso. Da Marina (Berlusconi) a Lucia (Annunziata), il capogruppo del Pdl alla Camera ne ha per tutti

Non è un problema di caldo (non c'è) ma di indole. Renato Brunetta non è un uomo facile. Convinto di essere il più grande economista del mondo (defraudato del Nobel solo perché prestato alla politica), Renatino mal sopporta tutti gli altri esseri umani, considerati alla stregua di analfabeti di ritorno o... poco meno. Neppure agli ordini del suo primo padrone, Bettino Craxi, Brunetta si era dimostrato domabile. Doveva dire sempre la sua, esternare, bacchettare, insegnare, dare lumi, riprendere, correggere, ironizzare, maramaldeggiare, provocare, stuzzicare, sentirsi un palmo più alto dei suoi colleghi di partito (il Psi). Che poi Bettino fosse alto come un'arcata della Tour Eiffel non era un problema, Renato era convinto che la sua intelligenza raggiungesse l'antenna di France2. E tanto gli bastava per fare la sua porca figura ai congressi dei Socialisti sullo sfondo delle colonne del Partenone, portabandiera di un nuovo classicismo in politica. Renato è anche portato agli insulti. Gli vengono nature, senza difficoltà, con una semplicità e un candore disarmanti. Negli anni del berlusconismo, Brunetta ha insultato tutti, dai cancellieri dei tribunali agli impiegati della PA, dagli attori ai macchinisti, compresi i suoi stessi compagni di partito che, qualche volta lo hanno sopportato, altre meno. Quando la pazienza veniva meno lo prendevano a schiaffi (letteralmente). Le liti furibonde con Giulio Tremonti, l'inventore dell'economia creativa, erano all'ordine del giorno dei consigli dei ministri e spesso finivano all'infermeria di Palazzo Chigi. Parecchio indolente, irascibile mica no, tendente caratterialmente al dileggio, Renato Brunetta è un Nobel in pectore talmente convinto delle sue enormi potenzialità, che non essere considerato il numero uno lo infastidisce molto e quando prova fastidio esonda. Silvio sceglie la figlia prediletta come erede al trono? E lui fa sapere che... ehm... le regole della democrazia sono altre. Saccomanni non segue i suoi consigli da vate dei numeri? E lui dichiara che... ehm... è un ministro “opaco”, causando lo scompiglio fra i suoi che pensano a una retinite devastante. E poi ci sono i soliti problemi con la tv. In Rai circolano due loschi individui che hanno deciso di fare a meno dei suoi commenti salaci e così pieni di buon senso. Si chiamano Lucia Annunziata e Fabio Fazio. Renatino, pur di coglierli in fallo e denunciarli all'AgCom, si è visto tutte le loro trasmissioni ed è arrivato alla conclusione che Fazio e la Annunziata si sono resi colpevoli di un paio di reati, nello specifico: violazione della par condicio e violazione del pluralismo. Siccome non ci va proprio di parlare né di Paolo Del Debbio né di Barbara D'Urso, prendiamo la denuncia di Brunetta come una ripicca verso chi di cagarselo non ci pensa proprio. Però non possiamo non sottolineare il puntiglio con il quale, sempre il Nobel in pectore, ha preso appunti. “Negli anni 2012/2013 – scrive Brunetta all'AgCom – la signora Annunziata ha ospitato a In mezz'ora, 14 esponenti del centrosinistra contro i 2 del centrodestra. Mentre il signor Fazio, nello stesso periodo, a Che tempo che fa ha avuto la presenza di 20 esponenti del centrosinistra contro i 4 del centrodestra”. A ciò potremmo aggiungere che il salumiere don Peppe ha fraudolentemente fatto pagare 90 grammi di prosciutto invece dell'etto richiesto dalla signora Brunetta, il panettiere don Carlo ha calcolato lo stesso importo per due rossette invece di tre, il parrucchiere don Figaro si è reso colpevole di aver applicato la stessa tariffa di una permanente a una classica messa in piega. E tutto ai danni della famiglia Brunetta che, evidentemente, non sa fare la spesa. Renatino però non è cattivo, è fatto a modo suo ma è di una bontà temprata come l'acciaio. Potrebbe essere un efficace concorrente del concorso Cuore t'oro, quello che si tiene ogni anno a Scasazza, provincia di Taormina, a chiusura delle celebrazioni civili per Sani Gesualdi. E non importa che abbia il cuore troppo vicino... lì. Quello che conta è che un cuore lo abbia.

giovedì 27 giugno 2013

Berlusconi Dinasty: è l'ora di Marina. E intanto a Pomezia, due commercianti aggrediscono il sindaco 5S. La sensazione è che la realtà sia diversa da Gaia.

Sembra proprio che sia arrivata la sua ora. Marina Berlusconi, la figlia prediletta di papà Silvio, la presidente della Mondadori, la donna che per grinta si mette in tasca pure la Santanchè, è la predestinata a raccogliere l'eredità politica di cotanto padre. C'è da dire che Marina il ruolo di “delfina” se l'è guadagnato. Pur di difendere papà, ha fatto secchi tutti gli scrittori di punta della più grande casa editrice italiana, compreso Roberto Saviano al quale ha detto che i suoi commenti sul governo e su Silvio non erano graditi. Saviano ha fatto le valigie, approdando in un amen alla Feltrinelli che si è ritrovata immediatamente un best-seller (promosso come sempre alla grande dall'immenso venditore di libri e cd in circolazione, Fabio Fazio), fra le mani. Inge ha ringraziato commossa. E la stessa cosa Marina l'ha fatta con la controllata Einaudi. “Mio padre ti sta sui coglioni? E io ti rescindo il contratto”. La Presidente, come ormai la chiamano le “puttane del pdl” (definizione di Giuliano Ferrara, non nostra), sta studiando da premier. Acquistati quaderni e matite nello shop Mondadori di Segrate, Marina si è messa a totale disposizione di Paolo Del Debbio, l'anima nera di Forza Italia, il magister maximus espertissimo nel creare “miti inarrivabili” quasi fosse Roland Barthes. A notte fonda, quatta quatta, Marina è stata vista entrare nello studio di Quinta Colonna, dove Del Debbio aveva appena finito di allestire l'ennesima puntata tagliavene del più brutto talkshow politico mai andato in onda sulla televisione italiana, tanto che Porta a Porta, è diventata all'improvviso una trasmissione cult. Paolo Del Debbio, appena l'ha vista, l'ha fatta accomodare su una delle poltrone dei suoi ospiti schizofrenici e, guardandola negli occhi con fare intimidente le ha detto: “Lection one: mentire, mentire, negare sempre. Anche l'evidenza”. Che poi è la stessa strategia dei mariti e delle mogli che rendono malati incurabili di cornutite cronica i rispettivi coniugi. Una voce contro, ma si fa per dire, è stata quella di Renatino Brunetta il quale, forse convinto che sarebbe diventato lui il delfino, ha prontamente dichiarato alla stampa: “Onore a Marina Berlusconi. Donna degnissima... ehm... grande donna. Ma non vorrei che si creassero dinastie... ehm... non è mica tanto democratico e liberista”. Più chiaro di così.
Lo sapete, i grillini ci stanno simpatici. Cazzo, li abbiamo pure votati! Però quello che è accaduto ieri a Fabio Fucci, neoeletto sindaco di Pomezia, qualche interrogativo ce lo pone. Il fatto. Fabio Fucci stava passeggiando tranquillamente per la splendida cittadina laziale (al cui confronto Miami Beach è una specie di caccola), in compagnia della vicesindaco Elisabetta Serra, quando è stato aggredito fisicamente da due commercianti (Repubblica specifica: “un uomo e una donna, italiani, cinquantenni”), incazzati neri per una questione di licenze per bancarelle a Tor Vajanica. I due energumeni erano evidentemente molto incazzati, perché se la sono presa non solo con i politici ma anche con un vigile urbano accorso a soccorrerli. Non contenti, l'uomo e la donna hanno tentato di aggredire pure i carabinieri arrivati di corsa per dare una mano al sindaco, al vice e al vigile urbano; per la cronaca, tutti e tre sono stati medicati al pronto soccorso e gli energumeni arrestati. Ora, a parte questa sciocchezza che potrebbe accadere in qualsiasi parte d'Italia e con sindaci esponenti delle più diverse forze politiche, quello che ci fa riflettere è l'incapacità dei grillini di farsi capire dai cittadini, di quelli cioè che, secondo loro, li hanno eletti e a nome dei quali parlano. Ne sa qualcosa Pizzarotti che a Parma, dopo aver rincarato i prezzi delle mense scolastiche e acceso l'inceneritore che “mai e poi mai”, ha dovuto ammettere che un conto è il dire, un altro il fare e che spesso, le buone intenzioni non sempre si trasformano in azioni. Pizzarotti si è ritrovato una folla inferocita sotto le finestre del municipio, ma questa è un'altra storia. Partendo da questa elementare considerazione, ma talmente elementare che di più facile ci sono solo le materne, a volte basterebbe un po' di buon senso per capire che un conto è il dire e un altro il fare. Che se la gente ti vota è perché vorrebbe che le promesse fatte in campagna elettorale fossero mantenute. Se anche i grillini vengono aggrediti dai cittadini, è lecito chiedersi se forse c'è qualcosa che non funziona? O anche questa è lesa maestà? Meno male che a noi Grillo non ci potrà mai espellere, al massimo ci infilerà nei gabbiotti per i giornalisti che intende far costruire a Montecitorio...

mercoledì 26 giugno 2013

Giuliano Ferrara: “Siamo tutti puttane”. O, non lo sapeva nessuno!

Ma uno dice che poi se la cerca. Come si fa a rendere lapalissiano un concetto che tutti conoscono, e riferiscono solo nel segreto di un confessionale ma non hanno il coraggio di dire pubblicamente? Semplice, basta andare a Roma Piazza Farnese e urlarlo ai quattro venti. Con le labbra arrossettate, Giuliano Ferrara si è presentato allo sparuto popolo di destra che manco al gay pride. Poi, colto da un attacco di sincerità, ha urlato l'evidenza, un fatto che tutti sanno da sempre, e cioè che coloro che appartengono al popolo delle destre italiane sono delle grandissime puttane. È vero, ricorrendo al solito impeto trasformato in foga oratoria, Ferrara ha inserito nella categoria solo le ragazze che si sono prostituite con il Capo. Però sa molto bene, il direttore del Foglio, che è facilissimo ascrivere nella categoria coloro che rientrano nel meretricio perché la/lo danno, ma anche quelli che mettono al servizio di qualcuno, per prebende o regalie o un posto al sole qualsiasi, la propria dignità, l'intelligenza, la penna, la professionalità fino a disintegrarsi in nome del padrone. Chi lo paga il Foglio? Continua a essere Veronica Lario l'azionista di riferimento o, grazie alle vendite, il giornale di Giulianone si mantiene da solo? E che dire di Feltri e Sallusti? O di Belpietro che continua a essere pagato solo perché lo Stato gli regala milioni di euro con la scusa che Libero è il quotidiano dei monarchici? Sussiste, ancora, un equivoco di fondo. Una è mignotta solo se allarga le cosce dietro pagamento di regolare tariffa. Per questo si chiama sesso a pagamento, e per questo, spesso, le mignotte vengono assimilate, come categoria, ai tassinari: entra il cliente, scatta il tassametro e alla fine della corsa paghi i chilometri fatti, l'unica differenza è che gli autisti di taxi a maggio pagano le tasse. Uno che si picca di essere il più intelligente, il più furbo, il più grande giornalista vivente, non si può permettere di prendere topiche simili perché alla fine, la manifestazione folkloristica di oggi, è servita a rendere chiaro al popolo italiano che il concetto di “puttanità” è andato modificandosi nel corso del tempo, e che negli ultimi venti anni ha subìto una vera e propria mutazione genetica. Chi ci fa un po' pena, però, non è Ferrara e non è il popolo berluschino. Lo schifo arriva ancora una volta da quella che è stata per venti anni l'opposizione più supina che una democrazia abbia mai avuto in tutto il mondo. Perfino ai tempi di Pinochet, i democratico-cristiani filodittatura ebbero i loro problemi, gli ex comunisti italiani manco quelli: un lunghissimo inciucio durato mezzo secolo e che continua ancora sotto gli occhi di un popolo reso impotente da milioni di ore di tv lavacervelli. I silenzi dei pidini gridano vendetta al cospetto di qualsiasi forma di intelligenza, anche quella mono-neuronica, figuriamoci di fronte ai problemi di un popolo asservito ai desiderata di un unico padrone. Ragassi, c'è il LettaLetta porco boia. Finalmente è presidente del consiglio uno dei nostri. Chi molla è un fetente e chi denuncia il principale alleato un traditore. 

martedì 25 giugno 2013

Silvio come Brad: 7 anni (non in Tibet) e interdizione perpetua. Indagati per falso i 30 testimoni della difesa. È una Caporetto.

“... perché voi della sinistra siete invidiosi dei soldi di Silvio e ve li volete fregare mandandolo in galera. Vergognatevi”. Così, un milanese o ciento pe' ciento, originario di Molfetta, ha commentato la sentenza di primo grado del tribunale di Milano che condanna Berlusconi a 7 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Poco più in là, sempre fuori dal tribunale, una signora si è presentata con un crocifisso al collo e la statuetta della madonna di Medjugorie fra le braccia, forse per dare spiritualmente una mano al Silvio perseguitato. Appena l'ha vista, un signore indignatissimo, l'ha apostrofata dicendole: “Ma che cazzo fai con la madonnina in mano? Ma non ti vergogni? Che c'entra la madonna di Medjugorie con un delinquente, porcod ...”. In Italia il folklore è sempre dietro l'angolo. Se ti distrai un attimo ti sommerge. Si è capito, vedendo i filmati girati davanti al tribunale subito dopo l'uscita della sentenza, perché Silvio continua ad avere una vasta popolarità e, soprattutto, 9 milioni di voti. Le parole che si sentono, sono quelle che si leggono sul Giornale e su Libero, e si ascoltano da Barbara D'Urso e Paolo Del Debbio. Sembra quasi che gli house organ del Capataz siano riusciti a “normalizzare” 9 milioni di cervelli, incapaci di andare oltre il semplicissimo meccanismo di accettazione acritica di balle mediatiche scientificamente studiate, proposte e reiterate in loop. Così, mentre non ci si può sorprendere delle sparate dei vari Gasparri, 2232-Cicchitto, Danielona Santanché, Ferrara che chiama per oggi pomeriggio a raccolta il popolo di destra a Piazza Farnese, Malan, Capezzone, Prestigiacomo, Carfagna, Brambilla, Biancofiore tutti rigorosamente a libro paga, quello che sconvolge è il giudizio di milioni di pensionati, cittadini per bene, nullafacenti e locatari in nero che per Silvio darebbero tre reni come Totonno Razzi. Certo che la corte di Milano non c'è andata morbida. Alla concussione acclarata, ha aggiunto la “costrizione” che, secondo i giudici, ha segnato l'intervento dell'allora presidente del consiglio presso la questura di Milano, quando ha “preteso” che Ruby venisse affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti e non ai servizi sociali. La ragione è nota, Ruby era la nipote di Mubarak e si rischiava un incidente diplomatico. Comunque la si voglia mettere, la sentenza del Tribunale di Milano è una sentenza. Punto. Ci sono ancora due gradi di giudizio prima che abbia un seguito e che conduca, eventualmente, Silvio ad essere ospitato nelle patrie galere. Tutto questo spintonare, e dichiarare preventivamente guerra al mondo, è un mettere le mani avanti da giocarsi sul campo molto più complicato degli equilibri politici. La sentenza diventa, per assurdo, un'arma di ricatto a favore e non contro, perché viviamo in Italia e i machiavellismi sono all'ordine del giorno. Da altre parti Silvio avrebbe già preso un aereo per una destinazione sconosciuta ma dove non vige l'estradizione. L'arma di ricatto nei confronti del Pd assume le sembianze di leggi paracule, di provvedimenti elettoralistici ascrivibili ai pidiellini perché a breve si tornerà a votare, di una sorta di supremazia psicologica da “perdenti” che diventa valore assoluto. Guardate, tutto questo si potrebbe inserire in un trattato di alta psichiatria perché da noi, la politica ormai è diventata solo convivenza patologica, di socialità e di diritto di cittadinanza non c'è più nulla. Poi arrivano i “nobili d'animo”, i guerrieri della politica come arte, gli ideologici dei pifferi e i filosofi scoglionati e inizia la farsa. Cacciari: “Ma che senso ha questa condanna? Sette anni... interdizione perpetua... mah... Berlusconi deve essere battuto politicamente non per sentenza”. Suppergiù le stesse parole di Nichi Vendola e dei maggiorenti del Pd che da venti anni tentano inutilmente di battere Silvio alle elezioni, e se lo prendono sempre dove vola l'uccello Padulo. Silvio potrebbe anche essere battuto politicamente se, però, si giocasse ad armi pari. Siccome con chi detiene una potenza di fuoco mediatica come il Cavaliere, una battaglia ad armi pari non sarà mai possibile, cominciamo intanto a rispettare e a far rispettare le sentenze. Cominciamo a dichiararne l'ineleggibilità, perché l'eleggibilità non è un diritto che si acquisisce per usucapione, ma rispettando le leggi vigenti. E se le leggi dicono che chi usufruisce di concessioni pubbliche non può essere eletto, così ha da essere, altrimenti fanno bene i pidiellini a non rispettare la sentenza del tribunale di Milano. Purtroppo il problema è sempre questo, si conoscono i colpevoli, si sa chi sono i conniventi e chi per venti anni ha fatto finta di nulla. Altro che 101 zozzoni, questi sono 101 delinquenti matricolati. È morto Emilio Colombo. Beh, ciao. 

lunedì 24 giugno 2013

La vita, l'arte, gli amori di uno statista: Antonio “Totonno” Razzi, detto m' faccio li cazz mie'.

La vicenda è di qualche giorno fa, ma come per i film comici che si rispettano, la storia di Antonio Razzi fa ridere anche a una seconda, a una terza o a una quarta visione. Sapete, dopo l'alzata di scudi dei costruttori italiani (che hanno inviato una nota di vivo e vibrante biasimo all'Unesco che non si fa mai i cazzi suoi, ed elegge di continuo siti italiani a patrimonio dell'umanità), che dalle parti di Palazzo Madama si aggiri il senatore abruzzese Antonio Razzi, rientra nell'ordinaria illogicità delle questioni italiane, giunte ormai a un livello di patologia schizofrenica tale che Hannibal Lecter ci fa un pippone. Così, per qualche giorno, ci siamo tenuti nel nostro personale database il testo dell'intervista che il senatore Razzi ha rilasciato ai soliti burloni della Zanzara, per tirarla fuori nel momento in cui di grosse notizie in giro non ce ne fossero. Tolto che oggi pomeriggio la corte di Milano emetterà la sentenza di primo grado sul processo Ruby. Tolto che, nel suo piccolo, Enrico Letta processerà la ministra Idem rea di mancato versamento dell'Ici e di una piccola evasione fiscale. Tolto che Casaleggio ha dato in esclusiva al Corriere della Sera la sua personale visione del mondo (entrando nei dettagli del pianeta Gaia), tutto sommato oggi è un piattissimo, e caldo, lunedì di fine giugno e le dichiarazioni di Totonno Razzi ci stanno come il cacio (pecorino abruzzese) sugli spaghetti alla chitarra: la morte sua. Dunque. Lo sapevate che Totonno è amico personale di Kim Jong-un, il pericoloso e un po' fuori di testa dittatore della Corea del Nord? Dice il senatore: “Ho avuto il piacere di conoscere Kim quando studiava all'università di Berna, perché io vivevo lì e con lui parlavamo insieme in tedesco”. Poi ha aggiunto: “Nel mio ufficio ricevo spesso l'ambasciatore della Corea del Nord e quello della Corea del Sud, sono due brave persone e abbiamo parlato della loro riappacificazione. Se si mettono a tavola possono dialogare perché sono persone eccezionali, uguali a noi italiani”. E per finire: “Voi non lo sapete, ma quelli della Corea del Nord, fanno tutto quello che gli diciamo noi italiani, tanto che il viceministro degli Affari Esteri, Pistelli, mi ha detto che per questo mi daranno il Nobel per la pace”. Ovviamente, nel corso dell'intervista alla Zanzara, non poteva mancare una domanda sulla senatrice Gambaro dei 5S, appena espulsa dal Movimento. La risposta di Totonno: “Alla senatrice Gambaro ho dato la mia solidarietà perché le ho detto che in questa storia ci ho passato anch'io”. Ma il meglio di sé, il senatore Antonio Totonno Razzi, eletto a furor di popolo in Abruzzo, lo ha dato parlando in punta di lingua di Silvio Berlusconi. E da questo momento, inizia il più delirante dei deliri che essere umano normodotato possa trovarsi sulla sua strada. “Io prego ogni giorno i miei santi – ha detto m' faccio li cazz mie' – perché Berlusconi viva fino a 120 anni. Io darei la vita per lui, morirei. Gli darei un rene, due reni, tre reni e la prostata. Gli darei anche mia moglie, se lei fosse d'accordo”. Ma quanto costa un po' d'orgoglio? Un vitalizio parlamentare può bastare. Az, se basta.

domenica 23 giugno 2013

I pazzi sognatori dell'Unesco. Dopo l'Etna, dodici ville medicee e i Giardini di Boboli nel patrimonio culturale dell'umanità. Non sanno mica che per gli italiani è una iattura!

Sembra che l'Unesco lo faccia apposta, tanto che qualche costruttore palazzinaro, e un po' pirata, si sta pure incazzando. Facciamo crollare Pompei, dilapidiamo le bellezze naturali e artistiche delle Cinque Terre, massacriamo la Valle dei Templi, rinterriamo le tombe etrusche e le vestigia romane, sennò i palazzi non potrebbero nascere e le linee metropolitane si dovrebbero interrompere. Chiudiamo orchestre sinfoniche una a pranzo e una a cena. Il ministro Bray deve scendere in campo per il Maggio Fiorentino, i teatri non hanno una lira per le loro stagioni e quelli dell'Unesco che fanno? Ci dicono ancora una volta che il nostro patrimonio culturale è unico e va protetto, perché non è solo “cosa nostra” ma dell'intera umanità. Così, dopo aver dichiarato addirittura un vulcano, l'Etna, patrimonio dell'umanità (causando un attacco di bile ai costruttori che già pregustavano colate di cemento e bed&breakfest a gogò), i maledetti “uneschini” hanno risalito la penisola e, giunti in Toscana, hanno osservato le Ville Medicee di Cafaggiolo a Barberino di Mugello, Trebbio a San Pietro a Sieve, Careggi, Poggio Imperiale, Castello, La Pietraia, Fiesole, Poggio a Caiano, Carmignano, Cerreto Guidi, La Magia di Quarrata, il Palazzo di Serravezza e hanno deciso, motu proprio, di dichiararle tutte insieme patrimonio culturale dell'umanità. Poi, non ancora soddisfatti e probabilmente rintronati dal Brunello, visto che c'erano, hanno adottato lo stesso provvedimento per i Giardini di Boboli e quello di Pratolino, nel comune di Vaglia: un vero e proprio accanimento terapeutico su una nazione morta. Se una cosa del genere fossa accaduta in qualsiasi altra parte del mondo, i paesi coinvolti avrebbero fatto festa per un mese. In Italia accade solo quando ti compri la bandiera arancione o quella blu, allora sì che son feste. Perché, cari amici, essere dichiarati “patrimonio culturale dell'umanità”, è una rottura di palle senza limiti né confini. Devi stare attento ai ciottoli, alle crepe, alle siepi che crescono storte, alla gramigna che infetta i prati, alle zone dove non si può (e deve) parcheggiare, alla revisione semestrale delle strutture e degli impianti rigorosamente a norma, a non togliere neppure una scheggia da quella cazzo di finestra che ha 600 anni, e che potrebbe essere sostituita tranquillamente con una di alluminio anodizzato con doppio vetro termico. E se poi si dovesse rompere un vetro, madonna che delirio! Dove si trova un vetraio in grado di sostituirlo senza fracassare il telaio della finestra e attaccare tutto col Vinavil? E poi, cosa dire agli amministratori che avevano pensato di coprire i tetti di tegole antiche con i pannelli solari, che quella cosa non si può fare? Essere dichiarato “patrimonio culturale dell'umanità”, per gli italiani è una iattura più grossa del terremoto, perché dopo un terremoto speculi sulla ricostruzione, per una Villa Medicea su cosa puoi speculare, un cartello segnalatore? Pochi euro e il problema è risolto. Dopo il terremoto, invece...

sabato 22 giugno 2013

Silvio: Iva e Imu pretesti pubblici. Assoluzioni e leggi ad personam quelli privati. E ci sta venendo un dubbio su Bersani e i 5S. Come andò la trattativa?

Dice: “Io sono uno Statista, mi consenta. Il governo potrebbe cadere solo sull'Iva e sull'Imu”. Invece pensa: “Giorgio non mi protegge. Enrichetto non mi dà la sua solidarietà e non ha permesso neppure un piccolo emendamento per salvarmi il culo nel decreto-disastri”. Dice: “Il governo è stabile, solido, l'unico possibile. Le mie vicende giudiziarie non influiranno sul suo destino”. Invece pensa: “Poffarbacco, lunedì c'è la sentenza Ruby; fra poco la Cassazione sul 'Mediaset', che se va male mi becco cinque anni di interdizione. E i miei alleati del Pd fanno finta di nulla”. E dice pure: “Stavolta i sondaggi non sono affidabili. Andare a votare ora sarebbe una tombola, mica è detto che vinceremmo. E poi ancora larghe intese? Impossibile, arriverebbero i forconi a Palazzo Grazioli”. Non è facile questo particolare momento storico per Silvio Berlusconi I°, Imperatore di Arcore, Re di Villa Certosa, Pro-Governatore di Saint-Lucia, Console Onorario Russo-Putiniano. Non è facile perché i nodi dei processi stanno venendo al pettine, e la fregatura e che lo stanno facendo tutti insieme: un delirio. Resosi anche conto che la coppia di legali che lo ha seguito fino a ora, Ghedini e Longo, è ormai guardata con odio viscerale in ogni tribunale italiano e pure in quelli irlandesi, Silvio ha assoldato il pacioso professor Coppi con l'unico scopo di trovare falle nei dispositivi dei pm e Coppi, da questo punto di vista, è il migliore in assoluto. Qualcuno potrebbe dire: “Ma allora Silvio ha deciso finalmente di difendersi 'nei' processi?” Eh no! Coppi è l'ultima speranza di far saltare il castello di prove inossidabili che i magistrati hanno ormai costruito, usando il detonante dei cavilli. È un tentativo, nulla più. Si può immaginare quindi, l'aria che tira a Palazzo Grazioli e nella Villa Mausoleo di Arcore. Bondi, lasciato giorni e giorni senza pappone; Bonaiuti, che ha iniziato a scrivere le sue memorie invece dei comunicati stampa pro-Capo; Capezzone senza più bonus cravatte; la Santanchè, ferma in sala d'attesa come una Olgettina qualsiasi e senza il conforto del palo della lap-dance. Vacanze amare quest'anno per Silvio. Tanto che per divertirsi un po', ha richiamato Topolanek, almeno quello, pensieri o non pensieri, è sempre in tiro.
Sono giorni che un dubbio ci assilla. Ohibò, succede anche a noi. Come qualcuno ricorderà, durante l'incarico-farsa a Piergigi 'o smacchiatore Bersani, la chiacchiera che girava era quella che i grillini avessero chiuso ogni porta a una eventuale collaborazione con il Pd. Fin qui tutto chiaro e la diretta streaming con Bersani, ne rappresentò in qualche modo la conferma. Crimi e la Lombardi dissero in coro: “Mai e poi mai”. Sono giorni, però, che Grillo va urlando che il Pd “da noi voleva solo numeri e non ci ha offerto di entrare in nessun governo”. Questa frase, che se confusa nel mare di parole che Grillo urla a ogni comizio non significherebbe nulla, presa e contestualizzata in quel momento, il suo bel significato lo ha. Secondo Grillo, il Pd (Bersani) pretendeva dal M5S solo l'appoggio esterno al suo eventuale governo, senza alcuna chiamata di responsabilità diretta dei 5S. Bersani invece, racconta un'altra storia e cioè che i grillini, fin dal primo momento, hanno detto di no a un governo a sua guida. Chi racconta la verità, chi mente? E il fatto che non ci sarebbe stata nessuna offerta “diretta” di partecipazione attiva al governo, quando e dove è stato stabilito? In quale luogo segreto gli ambasciatori plenipotenziari del Pd e del M5S, hanno discusso di presenze grilline nel governo? E perché Bersani avrebbe detto di no, visto che la maggioranza, a quel punto, sarebbe stata schiacciante? Pd-Sel e 5S avrebbero avuto i numeri per governare, eccome! Il problema, allora, è un altro. La questione è che i 101 Zozzoni come hanno affondato Prodi, avrebbero silurato un eventuale governo tutto di sinistra e Bersani questo lo sapeva. L'appoggio esterno sarebbe servito solo a tacitare politicamente l'anima inciucista del Pd e a null'altro, anche se siamo convinti che nel segreto del voto di fiducia... A quel punto Grillo ha detto, giustamente, vaffanculo. È ciò che avremmo detto noi. Solo in questo caso specifico, e per niente altro, chiediamo scusa a Grillo, ci abbiamo messo un po', ma alla fine...

PS. Se è vero che i fatti si sono svolti in questo modo, rivolgiamo a Beppe il caldo invito di cambiare immediatamente comunicatori e di fare un corso accelerato anche lui stesso-se medesimo. E' assurdo che un uomo di spettacolo come lui non riesca a farsi capire, ed è sconsolante vedere mezzeseghe che inseguono la bellezza delle parole, piuttosto che la sostanza.

venerdì 21 giugno 2013

Silvio e l'eterna partita a scacchi con la giustizia

Per lui è come fare il concorrente di uno dei suoi demenziali telequiz. Non risponde alle domande e pretende l'aiutino. La storia del pronunciamento della Corte Costituzionale, contrario al riconoscimento del legittimo impedimento per una udienza del processo Mediaset, è costellata di stupidaggini di vario tipo e natura. Ma tutto parte dall'intima convinzione che Silvio è un intoccabile, un re, un uomo che non ha mai chiesto semplicemente perché tutto gli è dovuto. Maurizio Lupi: “Se non è possibile convocare un consiglio dei ministri senza chiedere il permesso al tribunale, un problema di democrazia si pone”. E chi lo ascolta in tv ci crede pure. Non sa, l'ignaro ascoltatore, che quel consiglio dei ministri era stato convocato apposta per non andare in tribunale, una udienza calendarizzata da tempo dagli stessi avvocati del Dux. Ascoltateli attentamente, i pidiellini. Tuonano contro la magistratura ma, alla fine, mica ci spiegano perché lo fanno. I cittadini si sentono ripetere in continuazione che Silvio è un perseguitato. E, come per i mantra, alla fine se ne convincono. Non importa che abbia commesso reati. Non importa che di quei reati ci siano le prove. Non importa che vige un principio per il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Non importa il vivere in un paese di diritto. Quello che conta è ciò che si dice, non ciò che si fa (o si è fatto). Michaela Biancofiore-Simbol d'amore, talmente infoiata di Silvio che “per lui farei tutto, l'immaginabile e l'inimmaginabile”, ha detto che se il suo Signore vuole, lei è disposta a fare un esposto alla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, per denunciare l'accanimento giudiziario nei confronti dell'ex premier. Non sa, la signora Biancofiore, che se inoltrasse davvero quell'esposto, la Corte Europea sarebbe costretta a indagare sul serio. E da un'indagine seria cosa potrebbe venir fuori se non un'accusa di genocidio culturale di una intera nazione, cioè l'Italia, nei confronti del suo mentore e padrone? Insomma, per la gente del Pdl, Silvio non è un comune cittadino. Che sia il loro benefattore e che grazie a lui finalmente siano riusciti a sbarcare il lunario, è un dato di fatto. Ma non sembra che il servilismo, anche quello più abietto, alla fine debba avere un limite? Lo dicono e non lo dicono. Sentiteli i vari Capezzone, Brunetta, Prestigiacomo, Gelmini, Santanchè, Verdini. Non riescono a trovare una sola giustificazione alle loro accuse contro la magistratura e, assurdo degli assurdi, ce ne fosse uno che dicesse a chiare lettere: “Berlusconi è innocente”. Ciurlano nel manico, parlano perché danno fiato alla bocca e sollecitano le corde vocali, ma la ragione per la quale Silvio non si deve toccare, non ce l'ha spiegata ancora nessuno. Il problema di questo paese è, da sempre, dalla fine del regno della Balena Bianca, Silvio Berlusconi. Far finta che non sia così sarebbe negare la storia al punto che, ne siamo convinti, senza Berlusconi non sarebbe esistito neppure questo Pd che, di Silvio, è una sbiadita fotocopia. Se il LettaLetta dovesse cadere (cosa che Silvio non auspica perché teme come la peste bubbonica un accordo Pd-Sel-Ex 5S), non sarebbe mica per i suoi procedimenti giudiziari, ma perché l'IVA sale di un punto e l'IMU sulla prima casa non trova pace. Tutte balle. Perniciose balle spazial-elettorali. E ci sono ancora nove milioni di italiani che gli credono.

giovedì 20 giugno 2013

No legittimo impedimento? Ahi ahi ahi...E Silvio pensa al "bolscevico"

Che strano paese! Uno (non uno qualsiasi) è condannato per un reato che ha commesso e la colpa è dei giudici. Se non fossimo in Italia e non stessimo parlando di Silvio Berlusconi I°, Imperatore di Arcore, diremmo che in quel paese di cui trattiamo, vige uno strano concetto e della democrazia e della distinzione tra i poteri dello Stato. Diremmo che alzate d'ingegno simili, sono la conseguenza dei troppi gradi di calore di quel parallelo, diremmo, insomma, che quella è la classica democrazia delle banane. Ma li avete sentiti i pasdaran berluschini dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale (la Corte non emette sentenze, si pronuncia) ? Ci fosse stato uno, da Capezzone a Gasparri, dalla Santanché alla MaryStar Gelmini, che fosse entrato nel merito. Che abbia detto: “Il pronunciamento è sbagliato perché il legittimo impedimento, essendo in corso una riunione del consiglio dei ministri, era sacrosanto”. Macché! Una delle ragioni per la quale Silvio è innocente è la seguente: “Lo votano 9 milioni di italiani”. E 'sti cazzi? E Barabba, allora? Certo, potrebbero dire i pidiellini, 9 milioni di cittadini sono sempre di più del 65 per cento dei 19mila che hanno votato l'espulsione della Gambaro dai FiveStars, ma non resta comunque un motivo valido per assolverlo senza passare dal Via, quando lo si fa, di solito si va in Prigione (mai giocato a Monopoli? No? Ahi ahi ahi). Un'altra ragione è la seguente: “Silvio non può essere condannato perché tiene in piedi il governo di emergenza”. Ma che vi venga un bene. E all'emergenza, questo paese, chi diavolo ce lo ha portato, Nonna Papera? Poi, da parte dell'esercito delle fedelissime (una specie di raggruppamento stanziale di autoctone della Silicon Valley), le motivazioni sono altre. Silvio non è condannabile perché è “bello”, “affascinante”, “buono”, “umano”, “tutto cuore” e paga sempre il conto (alla fine). Il succo di tutto questo ragionamento, è che Silvio i reati li ha commessi, ma siccome lui è lui (e gli altri non contano un cazzo, ecc. ecc.), tutto gli è concesso: evadere le tasse, divulgare intercettazioni secretate, andare a mignotte (minorenni), fare pressioni perché le mignotte vengano rilasciate, mettere da parte castelletti in nero, giocare alle scatole cinesi, trafficare in petrolio con amici e conoscenti, affidare al fratello i “tutor” austostradali e il monopolio dei decoder. Ma lui è lui. Punto. Dall'altra parte, c'è da prendere atto delle lacrime neppure troppo nascoste dei pidini. All'uscita del pronunciamento della Corte, non si è capito, infatti, se fossero più dispiaciuti i pidiellini o gli uomini della sinistra che fu. Profilo bassissimo, sia nelle dichiarazioni, che nelle manifestazioni di solidarietà che sicuramente ci saranno state. Il più grande inciucio degli ultimi 150 anni non deve finire qui. Non ora. C'è un congresso da celebrare entro l'anno e andarci senza avere in mano neppure uno straccio di presidente del consiglio sarebbe una iattura. Dobbiamo sottolineare, però, il grande aplomb del Cavaliere, che non sarà stato fatto “Cavaliere” a caso, o no? Silvio ha detto: “Non importa, avanti con il governo”, accreditandosi come un grande statista, mentre non è che il solito, spietato calcolatore. Uscire fuori dal governo in questo momento, significherebbe non avere nessun potere contrattuale e Berlusconi non se lo può permettere. C'è un grande amico alla Cassazione e gli amici, si sa, per Silvio sono sacri (e viceversa). Nel segreto delle sue stanze, circondato dall'affetto dei suoi cari, a Silvio però un sospetto è venuto. Comincia a pensare seriamente che quel “bolscevico” che siede al Quirinale, non lo stia tutelando sufficientemente. “Se uno è stato contaminato dal bolscevismo - pensa il Capataz – bolscevico resta. Per tutta la vita”.

mercoledì 19 giugno 2013

“Cane da riporto”. “Zombie”. “Morti”. “Cretini”. “Cosetta dei Miserabili”. Continua il florilegio. E i grillini hanno scritto anche a me: “Il Che era un fucilatore di democratici. E tu sei un fesso”.

Mi hanno lasciato in pace per un po', poi ieri sono esplosi e hanno scritto. Siccome sono abituato a comportarmi diversamente dagli “anonimi” che da sempre popolano il mio blog (nelle cose che scrivo ci metto sempre il nome, il cognome e la faccia), mi sembra giusto rendere pubblico il commento dell'anonimo grillino che ieri mi ha onorato della sua presenza. Scrive il senza nome: “Scusa, visto che coi fessi te la intendi, non potresti spiegare alla Gambaro che invece di andare a parlar male di chi le ha fatto vincere le elezioni poteva dare un segnale forte e chiaro dimettendosi dall'incarico. Ma naturalmente non lo ha fatto e, come vedrai, confluirà nel gruppo misto tenendosi tutte le spettanze, annessi e connessi! Ma naturalmente i falchi (nel senso di occhio lungo) come te questo non lo hanno visto, sarà la rete a pronunciarsi se ha ragione la Gambaro (un mezzo) o Grillo (colui che volenti o nolenti, ha portato un'idea nuova). Ah, un'ultima cosa, l'abluzione palatale dovresti farla fare anche ai parenti di tutti gli uomini fatti fucilare dal Che soltanto perché convinti che una rivoluzione cubana democratica era possibile. Vivere con le fette di prosciutto sugli occhi non serve a molto, fidati”.
La mia risposta: “Chi sei e cosa proponi, si giudica da solo, compreso il prosciutto sugli occhi e la scarsa conoscenza della storia della rivoluzione cubana. Però non devo aggiungere nulla al tuo commento. Come vedi, qui si commenta e si possono anche esprimere idee che non condivido. Io non mi permetterei mai di censurare né te né nessun altro. Tu puoi dire lo stesso? È solo una misera questione di confronto che, a quanto pare, nel vostro caso è a senso unico. Puoi rispondermi e io ti risponderò. Non occorre insultare, basta parlare”. Fidati.
Ho letto il commento dell'anonimo ieri sera, dopo che le agenzie di stampa avevano battuto la notizia della richiesta di espulsione anche per Paola Pinna. L'impressione che ne ho ricavato è stata quella di una sgradevolezza che ho covato per un po', poi ho risposto. Credo che nei grillini la Storia sia un optional. Come considerare altrimenti la sparata su Che Guevara che, quando si accorse che la rivoluzione cubana stava prendendo una piega che non gli piaceva, se ne andò a combattere per la libertà dell'Angola? È un po' il refrain della ex capogruppo alla Camera, l'onorevole Lombardi, che disse che i “fascisti erano persone con un grande senso dello Stato”, manifestato poi con le leggi a tutela della razza “ariana”... in Italia!!!
Che il M5S fosse un raggruppamento eterogeneo, unito solo dal leader (come Tito la Jugoslavia e Stalin l'Unione Sovietica), lo sapevo, era evidente. Ma che scambiare la gratitudine per servilismo fosse una conditio sine qua non, ebbene, questo non lo avrei mai immaginato. Con l'anonimo grillino, che ha avuto la bontà di scrivermi, concordo su un solo punto, quello che “ volenti o nolenti, Grillo ha portato un'idea nuova”. Infatti, era talmente nuova la sua idea di “rabbia”, che ci sono cascato anche io e l'ho votato. Certo, se avessi saputo che il mio voto avrebbe contribuito a eleggere Roberta Lombardi, e la sua bizzarra idea sul fascismo, magari non lo avrei fatto, però è accaduto e ora, basta rimpianti, anche se il “Che fucilatore”, grida ancora vendetta. Ormai nei 5S si espelle a ogni piè sospinto. “Hai alzato un sopracciglio a una frase di Grillo? Vaffanculo!” È di ieri l'ultima: “Pippo Civati è un cane da riporto”. Ma possibile che il Pippo sia un cane e gli evasori fiscali totali della Marca che hanno sostenuto il Movimento, dei galantuomini? Non sarà che, come nel Pdl, se non lecchi un po' sei fuori?


martedì 18 giugno 2013

Fuori la Gambaro. Meglio di Danton, peggio di Robespierre, Marat non pervenuto. Vabbè che son Cittadini, ma la ghigliottina no!

Il clima dentro i 5S è terribile. O i Cittadini hanno perduto definitivamente la testa (causa i primi, feroci caldi) o la testa non l'hanno mai avuta. Violenti, volgari, minacciosi, ripiccosi, permalosi fino allo sfinimento, devoti al loro capo, tanto che organizzeranno a Roma (esattamente come i pidiellini a Brescia), una manifestazione a sostegno di Beppe Grillo che, questa vicenda della senatrice Adele Gambaro, l'ha messa proprio sul personale, i Cittadini parlamentari miracolati la stanno buttando giù dura, e adoperano termini che uno mai si aspetterebbe da bravi ragazzi come loro. Ma andiamo per ordine e illustriamo quanto sta succedendo. Ieri riunione dei gruppi parlamentari dei 5S. Un unico punto all'ordine del giorno: l'espulsione della senatrice Adele Gambaro, neo-rea di lesa maestà. La prevista diretta streaming, per volontà dell'assemblea, e non per un guasto tecnico, non c'è stata: è buona solo per sputtanare Bersani. Crimi, che evidentemente conta ancora molto, ha votato subito per il sì. Lo ha seguito Morra, lo hanno seguito gli irriducibili, quelli che per il Capo (esattamente come i pidiellini) lo darebbero via anche per poco. Adele Gambaro si è fermata in assemblea un'ora, ha letto una dichiarazione nella quale ha affermato che le dispiace tanto, ma non ha fatto un passo indietro: nessuna scusa a Grillo anzi, le  pretende. Finita la lettura, la senatrice ha alzato i tacchi e se n'è andata. Sono iniziate le rappresaglie. Manlio Di stefano se la prende contro la sarda Paola Pinna, la cui unica colpa è stata quella di aver spezzato una lancia a favore della collega Gambaro. E sapete cosa le dice quel gran pezzo di gentiluomo di Di Stefano: “La Pinna è una Cosetta dei Miserabili laureata, disoccupata, che viveva con i genitori a Quartuccio Cagliari e che con 100 voti 100 è diventata deputata al parlamento. Invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di certa Gambaro, una miracolata che si crede Che Guevara”. Dunque, a parte il fatto che prima di nominare il Che, Di Stefano, perfetto sconosciuto, dovrebbe fare un'abluzione palatale, ma cosa significa che la Pinna era una “laureata, disoccupata, che viveva con i genitori”? Che era una merda? Grande Cittadino questo Di Stefano, e grazie a nome dei giovani laureati, disoccupati e che vivono con i genitori. E poi, spargere i petali di rosa dove cammina il Capo, non l'abbiamo sentito già da una certa Nicole Minetti e da una marocchina-egiziana di nome Ruby? Il sospetto che il M5S sia frequentato da loschi figuri, trova però la conferma nel post che tal Maurizio Buccarella, senatore, pubblica su FB. Leggete che linguaggio guerrafondaio e truculento: “Dopo quasi 20 ore di riunioni di gruppo svolte negli ultimi giorni, sotto l'assedio mediatico della stampa nemica (“Taci il nemico ti ascolta”, lo diceva Benito, nda) che, percepito l'odore del sangue, si avventa come un branco di squali per distruggere e dividere i parlamentari fra loro, e fra loro e Grillo, oggi avremo finalmente l'opportunità di sentire dalla diretta voce della collega, che ha ben pensato di eclissarsi fino ad oggi dalle suddette riunioni sfinenti, il suo pensiero e le sue intenzioni”. A parte il fatto che vorremmo sommessamente consigliare al senatore Buccarella la frequenza di un corso intensivo di italiano per emigrati, resta lo sgomento per una dichiarazione che manco Badoglio prima del 20 settembre. Poi, sorpreso, sempre Buccarella si chiede perché la senatrice Gambaro si sia eclissata. Evidentemente ha rinunciato alla scorta della Digos, o no? Comunque, tanto per gradire, sembra che lo staff grillino, quello composto dai fedelissimi, abbia già pronti i dossier per sputtanare gli eventuali scissionisti. Altro che Muzio Scevola, quella cazzo di mano destra ce la dovremmo tagliare direttamente. E senza passare dal via.

lunedì 17 giugno 2013

Maroni si 'grillizza'. E come il leader del M5S rischia la scissione.

Il M5S doveva essere la fotocopia del fenomeno Lega di qualche anno fa. La differenza è che la Lega impiegò un po' di tempo per esplodere, mentre il Movimento di Grillo è esploso subito. Al primo colpo. Mai la Lega ha avuto 9 milioni di voti però, quelli che ha avuto, li ha sfruttati alla grande, 'magnando' a più non posso una volta che l'aria contaminata di Roma li aveva contagiati. Sull'orlo della disperazione, e pensando che alzando il tono della voce le lancette dell'orologio potessero tornare indietro, Maroni ha smesso i panni del tastierista di piano bar, per indossare quelli del cacciatore di teste dissenzienti. E nell'ordalia c'è finito pure il fondatore, padre putativo e naturale, leader maximo incontrastato del raggruppamento dei baluba nordici che fu la Lega Nord. A Umberto Bossi, detto il Senatùr, Bobo Blues non le ha mandate a dire. Esattamente come per i 5S, in cui uno è uguale a uno meno il capo che è di più, Maroni, constatata l'assenza di Bossi all'Assemblea Federale che doveva indire il congresso, è sbottato: “Deve portare la giustificazione, cazzo! Umberto è uguale agli altri”. Ora, a parte che ci farebbe scompisciare dalle risate vedere Bossi che va a via Bellerio accompagnato dai genitori, ma l'impressione che ricaviamo dal Maroni 'tosto' è che la disperazione stia tracimando, che le idee dei vichinghi adoratori di Odino non siano mai state tanto confuse e che l'essere ridotti ormai a un prefisso del telefono, abbia fuso le ultime bronzine di un motore ingolfato e resa inabile l'unica sinapsi, desolatamente vagabonda, che gira ancora in cervelli spappolati dalle bistecche d'orso. Cacciata a pedate (della cosa però non si hanno notizie certe né una documentazione ufficiale), l'istigatrice degli stupri etnici, Dolores Valandro, ascoltata la dichiarazione delirante di Borghezio contro Nigel Farage, reo di averlo espulso dal gruppo europeo del quale faceva parte, con il partito in piena crisi di identità, Maroni ha deciso di fare il 'Grillo' e di mettere mano alle espulsioni di tutti i dissidenti, di coloro cioè che si rifiutato di sottostare ai suoi ordini demenziali. E per dare concretezza alle minacce, Bobo Blues ha congelato il congresso, rimandandone la convocazione all'assemblea federale di settembre quando, secondo lui, il repulisti nella Lega sarà completato e gli oppositori tacitati o cacciati. Rischia anche Bossi del quale sia Fabio Rainieri che in modo più velato lo stesso Tosi e perfino Calderoli, hanno chiesto la testa. L'accusa è quella di non essere più “motivo di attrazione di voti”. Insomma Bossi, dopo gli scandali che hanno coinvolto la sua famiglia, fa scappare i leghisti facendoli confluire nel M5S dove, considerate le posizioni di Grillo sullo 'ius soli', dicono abbondantemente la loro. E a proposito di 5Stars, o di pentastelluti, c'è da registrare il fatto che oggi si terrà il processo per direttissima contro la senatrice Gambaro, rea di aver dato tottò sulle manine del Capo chiedendogli di moderare i toni. Gli strateghi di Gaia stanno disponendo in campo le forze. Sanno di essere in maggioranza e, avendo il vezzo di vincere facile, probabilmente stringeranno nell'angolo la senatrice. C'è da dire che la Gambaro, niente affatto impaurita, ha detto chiaro e tondo che se Grillo non smette di minacciarla lo denuncerà e la stessa cosa farà con i colleghi che alzeranno i toni o, nella peggiore delle ipotesi, le mani. Secondo le regole del non-statuto, oggi l'assemblea dovrebbe decidere sull'espulsione della senatrice ma la parola finale dovrebbe toccare alla Rete, a quei tremila registrati ufficiali nel blog di Grillo, che non si sa bene né perché, parlano a nome di tutti i cittadini italiani. A prescindere dall'arroganza di una pretesa che non sta in cielo né in terra, visto che non ci sentiamo manco p'o' cazzo rappresentati da loro, anche il ridottissimo “popolo del web” dovrebbe votare per la cacciata della Gambaro. Grillo non lo sa, o forse sì, ma è già pronto lo statuto dei nuovi gruppi parlamentari dei “dimissionari” dei 5S. “Meglio pochi ma buoni”, tuona ancora Beppe che se la prende un'altra volta con i giornali e i giornalisti, il rischio è che quei pochi diventino “nessuno”. Ma noi siamo nati soli e soli vogliamo restare.

domenica 16 giugno 2013

Il terrore di LettaLetta di perdere la poltrona. E domani è il giorno pentastelluto del redde rationem.

Che LettaLetta ci tenga da matti a fare il presidente del consiglio, lo si capisce dalla postura che assume quando parla in tv. Enrichetto si sente tanto capoclasse. Muove le mani come se stesse dirigendo le sue parole come una sinfonia. Alza gli occhi al cielo come se ogni volta dovesse spiegare a una manica d'ignoranti il senso dei provvedimenti che intende(rebbe) adottare. Si dice: “Minchia quanto sono bravo!”, ma intimamente. Deve essere bello suonare il campanellino d'argento per iniziare un consiglio dei ministri e, ancora più bello, farlo per finire, farsi scortare a casa e raccontare alla moglie il peso di una giornata da statista. Non lo dà a vedere, Enrichetto, però questa cosa non solo lo appaga, ma lo rende orgoglioso di sé e di tanta, democristiana grazia. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se reagisce malissimo alle parole che Guglielmo Epifani si lascia scappare a Parigi: “Non sta scritto da nessuna parte – ha detto il segretario dei pidini – che se cade il governo si debba tornare per forza a votare”. Come dire: “Caro Enrico, io ti stimo tantissimo (come la signora Pina rispose a Fantozzi quando lui le chiese se l'amava, nda), ma se ci capita l'occasione per non continuare ad avere rapporti contronatura, noi vorremmo approfittarne”. Pronta la reazione di LettaLetta, il quale teme come la peste bubbonica, una eventuale alleanza Pd-Sel-NewFiveStars, che lo manderebbe a casa in un giro di valzer asburgico. Enrichetto dice: “Non si fa così, però. Non si spara a pallettoni contro il governo di unità nazionale nel quale passano sono gli argomenti non divisibili della destra. Siete dei maramaldi”. E poi, alzando la cornetta del telefono: “Pronto, zio? Aiutami tu”. Ecco, LettaLetta ha capito che potrebbe avere anche meno dei 18 mesi previsti dal presidente della repubblica, (che poi smentisce indignato il suo pensiero e le sue dichiarazioni manco fosse Silvio), e guarda con una fifa blu nei pantaloni, quanto accadrà domani dalle parti del Movimento5Stelle. Beppe Grillo lo sa, tira aria di burrasca o, per meglio dire, di scissione dolorosa. Stanno venendo fuori tutti i mal di pancia di quel gruppo miracolato di cittadini comuni, che in queste ore si stanno dicendo: “Cittadini comuni sì, uno vale uno sì, ma proprio coglioni no!” C'è chi tenta di gettare acqua sul fuoco e chi tende a mettere mano a una tanica di benzina ma, quello che sta accadendo dentro i 5S, è che la decisione di espellere o meno la senatrice Gambaro, non sarà senza effetti collaterali. Comunque vada, si è sputtanato l'ennesimo sogno di una paese di zozzoni.

sabato 15 giugno 2013

Le quattro morti dell'anarchico Giovanni Passannante. Storie per non dimenticare

Degli ordini del giorno dei “quattro dell'Ave Maria” europea ci interessa poco o nulla. Strombazzata ai quattro venti come l'evento dell'anno, la riunione dei premier di Italia, Francia, Germania e Spagna (sembra una vecchia barzelletta ma non lo è), avrebbe dovuto rappresentare il primo passo concreto per porre un rimedio alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Ne è venuto fuori il solito 'beneintenzionario' che non approderà a nulla. LettaLetta ne ha guadagnato in immagine, ma finisce tutto qui, tranquilli ragazzi, forse ci penserà lo zio. Della storia di Giovanni Passannante, invece, ce ne ha parlato ieri sera Andrea Satta dei Têtes de Bois, arrivati dalle nostre parti per il Festival dedicato a Léo Ferré. La vicenda dell'anarchico che morì quattro volte, iniziata il 17 novembre del 1878 con l'attentato al re d'Italia Umberto I° di Savoia, si è conclusa solo nel 2007 quando, con un atto di 'umana pietà', quello che era rimasto di lui, il cervello, venne finalmente deposto in una tomba. Perché tirarla fuori oggi? Lo capirete alla fine del post. Dunque. Passannante era un anarchico e in quel tempo, il nemico numero uno degli anarchici di tutto il mondo era il Re, l'emblema dello Stato da abbattere. Passannante era l'ultimo di 10 figli, di cui quattro morti 'per fame' in tenera età. Con una mano invalida a causa dell'acqua bollente, il futuro anarchico riuscì a finire la prima elementare poi, tutto il resto, lo fece da sé. Leggi che ti leggi, studia che ti studi, Passannante abbracciò l'anarchia e si mise in testa di far fuori il Re. L'occasione arrivò, appunto, il 17 novembre, a Napoli. Il mingherlino invalido, saltò addosso a Umberto I° brandendo un coltellino (non una mannaia) con il quale riuscì a ferire sua maestà al braccio sinistro: incolume la regina Margherita alla quale i napoletani avevano dedicato una pizza. Da quel momento inizia un calvario che finirà solo più di un secolo dopo. Condannato a morte, per grazia del Re la pena venne commutata nell'ergastolo da scontare nel carcere di Portoferraio, sull'Isola d'Elba. Nel frattempo, però, tutta la famiglia di Passannante era stata giudicata “folle” e rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa. Il Re, incazzatissimo, cambiò perfino il nome del paese natio dell'attentatore, da Salvia in Savoia, a futura memoria e monito. Passannante trascorse quattordici anni in isolamento. In una cella più bassa della sua altezza. Legato a una catena di venti centimetri fissata al muro. In quelle condizioni, si ammalò di tutte le malattie possibili, fino a diventare cieco e impazzire subito dopo. Da pazzo, venne trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove, il 14 febbraio 1910, morì. Uno dice: 'è morto, finirà qui'. Invece no. Sempre come monito a futura memoria, al cadavere di Passannanti fu mozzata la testa, mentre il resto del corpo venne dato in pasto ai cani. Messo sotto formalina, il cervello dell'attentatore, in ossequio alle teorie lombrosiane, venne portato a Roma per essere esposto al Museo Criminologico dove è rimasto fino al 2007. Cosa è accaduto nel frattempo? È successo che un manipolo di inguaribili e un po' romantici anarchici italiani, si mettesse in testa di dare a quel cervello una degna sepoltura, di riportalo a casa e seppellirlo come ogni essere umano quando se ne rispetta la dignità. Quel manipolo, fra cui Andrea Satta e Alessandro De Feo dell'Espresso, portarono avanti interrogazioni ministeriali a tutto spiano, ricevendo una serie di 'no' immaginabili e qualche 'ni' meno atteso. Castelli disse no. Mentre i ni arrivarono da Diliberto e pure da Rutelli, investito della questione come ministro della cultura. Nonostante si fosse addivenuti a un accordo, fino alla fine Passannanti (o quello che restava di lui), ha dovuto vedersela con il pregiudizio anti-anarchico. Così, mentre in molti si aspettavano uno straccio di cerimonia pubblica per un atto di giustizia così tardivo, il sindaco di Savoia (Salvia) di Lucania, ha preferito adottare il low-profile, con una sepoltura fatta quasi di nascosto e in silenzio. Come vedete, cari amici e lettori di questo blog “birichino”, quando si parla di diritti umani e di rispetto della dignità dell'uomo, le chiavi di lettura possono essere molteplici. Così come tante e variegate sono le posizioni sulle “morti che rendono tutti uguali”. Sarà anche vero, ma dipende dai punti di vista. Soprattutto dipende se i corpi sono stati gettati o meno in pasto ai cani o passati per le armi davanti a un plotone di esecuzione. I morti non sono tutti uguali, lo sapeva il ministro Castelli, lo sapevano Diliberto e Rutelli. L'unico a non saperlo resta Luciano Violante. E poi uno si chiede perché Tremaglia corse ad abbracciarlo.

venerdì 14 giugno 2013

Siamo sicuri che il Pd ha capito cos'è successo e cosa sta succedendo? Oh, che amara vicenda è la vita! Il prefisso telefonico della Lega razzista è sempre vivo: pochi ma pessimi.

Inutile dire che al Partito Democratico abbiamo guardato da sempre con attenzione e interesse. Inutile dire che l'idea che fu di Prodi, quella di un grande partito progressista all'americana, per alcuni aspetti ci affascinò. Poi arrivarono D'Alema (che si alleò con Kossiga, Mastella e Dini e dichiarò Mediaset “patrimonio culturale nazionale”, rubando il mestiere all'Unesco); Violante (che disse che i morti sono tutti uguali e che nessuno avrebbe toccato le imprese del Cavaliere); Veltroni (che fece una campagna elettorale da premier senza nominare mai Berlusconi, ma prima aveva trombato il Prodi2); Bersani (che non ha capito una mazza sbagliando una corsa a Palazzo Chigi da vincente dichiarato); Renzi (che va ad Amici e pranza ad Arcore con Silvio); LettaLetta (che tutto è meno che un pidino ma la peggiore riedizione del doroteismo) e poi tutti gli altri teodem che, arrivato Francesco al soglio papale e sull'orlo del precipizio Bertone, stanno cercando di riposizionarsi dalle parti dei neocatecumenali (almeno questi pregano e non fanno danni). Il fatto è che il Partito Democratico, ringalluzzito da amministrative nelle quali si sono affermati i non-ortodossi alla Marino, sta ripercorrendo gli errori di sempre: litiga. Litigano tutti con tutti, anche quando non serve. Perché litigare, il Pd ce l'ha nel dna. Ora il problema, per i democrat, è come organizzare il prossimo congresso. Chi deve votare? Quanti devono votare? Dove devono votare? Segretario anche premier naturale o no? E poi. Possono votare anche gli animali? Solo quelli con il microchip sottopelo o anche le rane del laghetto dell'Eur? I Rom dei campi della Capitale hanno diritto al voto libero o devono prima pagare la tessera? I clochard milanesi e i commercianti di Ballarò a quale circolo devono iscriversi? E poi ancora. Veltroni lancia Renzi (che lo ha rottamato), però gli dice “Sii più profondo, non fare solo battute”. Dai Matteo che ce la puoi fare, se la profondità veltroniana è quella dei suoi romanzi, ce la puoi fare anche tu. D'Alema sta appollaiato sul ramo e si sente bene, una rivisitazione jakubiskjana, da cinema creativo dell'Est degli Anni '80. Maximo tace, ma solo per il momento, vuole vedere come si sistemeranno le truppe in campo, prima di sfogliare per la centesima volta Sun Zu (nelle altre 99 non ci ha capito una mazza) e decidersi come combattere la personale battaglia di sopravvivenza politica. Secondo noi, nel Pd c'è un solo nodo da sciogliere, un solo passo politico da compiere: scovare i 101 zozzoni che hanno trombato Prodi. Stanarli tutti, uno per uno, sottoporli a giudizio berijano e buttarli fuori. Assisteremmo al più grande rinnovamento politico e generazionale di un partito che governerebbe almeno per ventanni, proprio come Silvio. E poi, diciamolo, le espulsioni sono all'ordine del giorno. Lunedì sarà il turno della senatrice fivestar, Gambaro. Il capo è stato perentorio e ha posto l'aut aut: “O lei o io” e i leccapiedi sceglieranno lui. Ieri, senza appello e senza possibilità di replica, è toccato alla consigliera leghista del comune di Padova, Dolores Valandro. Una donna, anche se della Lega, sempre una donna dovrebbe essere. E sentire una donna dire di un'altra donna: “Perché nessuno la stupra?”, parlando della ministra Kyenge, è un abominio. Piccole Borghezio crescono, piccole Gentilini prosperano. Meno male che la Lega non esiste più, altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi.

giovedì 13 giugno 2013

Grillo 'il Suscettibile': “Mi viene voglia di mollare tutto”. E mentre arrivano i primi fischi al governo LettaLetta, qualcuno si chiede che fine abbia fatto Preiti.

Rifacciamo ogni volta una premessa, altrimenti qui si corre il rischio di passare per i soliti sfascisti o, peggio, per governativi mascherati da agit-prop. Il M5S lo abbiamo votato, proprio così, sembrerà strano ma è accaduto. Non sono 9 milioni gli italiani che si sono rotti le palle delle “caste”, ma 9 milioni e 1, il sottoscritto. Quindi, parliamo (e scriviamo) da delusi, non da frustrati stipendiati dal Pd+l, è chiaro mo'? Sarà perché i capi e i capetti, specie se alzano la voce e non argomentano, ci stanno sui cabasisi da sempre, a maggior ragione non sopportiamo i capi-bastone che, dei primi, sono i servi e i leccaculi. Per cui, se la senatrice Gambaro dice con tono niente affatto offensivo, e con una pacatezza estrema: “Magari Beppe poteva evitare un po' di toni forti sul suo blog”, non è che abbia detto al leader “cornuto”, gli ha semplicemente espresso la sua opinione sugli attacchi virulenti contro un'altra donna, nel caso specifico, la presidente della Camera Laura Boldrini. Che poi il comico sia una persona estremamente permalosa, crediamo sia un dato di fatto inequivocabile, ma da qui agli insulti della peggior specie e alle minacce fisiche, ce ne corre. E non è un caso che la Digos abbia chiesto alla senatrice se avesse bisogno di una mano. Nei confronti dei suoi parlamentari, Grillo ha gli stessi atteggiamenti di Silvio Berlusconi. Sono uguali, come se i padroni dei partiti personali fossero fatti tutti con lo stesso stampo. Silvio considera i suoi delle merde miracolate. Lo abbiamo sentito spesso dire “Senza di me non saresti nessuno”, a Fini glielo ha ripetuto fino allo sfinimento. E lo stesso fa Grillo e lo stesso, un refrain insopportabile, fanno i suoi più intimi “tirapiedi”, gli “osannatori” di professione. Casalinghe, disoccupati, cassintegrati, co.co.co. che arrivano a occupare uno scranno parlamentare per merito solo del padrone, non possono/devono avere posizioni diverse da quelle della mano che li ha miracolati. Per cui non si capisce, alla fine, che differenza ci sia fra i deputati che hanno votato la cittadinanza egiziana di Ruby e quelli che, incapaci di intendere e di volere, devono portare avanti solo le linee dettate da uno smanichettatore di mouse, oltreché picchiatore violento delle tastiere dei pc. Che differenza c'è, caro Beppe, fra Bondi e Morra? Spiegacelo perché ci piglia male. In tre mesi, Grillo ha distrutto un sogno, e questa è una colpa imperdonabile. Poi c'è, per chiudere un argomento che sta diventando penoso, che almeno nei nostri confronti, non regge neppure la tesi che chi pensava a un accordo con il Pd, ha sbagliato a votare per i 5S. Noi infatti abbiamo sempre creduto che i grillini dovessero tenere puntata una pistola (metaforica) alla tempia di Bersani, con l'intenzione di premere il grilletto non appena il Pd avesse preso una decisione non in linea con le proposte del Movimento. Ma forse la nostra è stata solo una pia illusione, finita fra un cittadino e l'altro, un mal di pancia e l'altro. Colpisce, ma neppure tanto, la dichiarazione di Claudio Messora, comunicatore dei FiveStars, che a proposito della mattana di Luigi Preiti davanti a Montecitorio, ha dato una lettura dell'accaduto, secondo noi, niente affatto peregrina. Dice Messora: “Preiti è stato armato dalla 'ndrangheta. Il suo è un avvertimento della criminalità organizzata alla politica”. Ovviamente, non sappiamo a che punto siano le indagini, ma un sospetto ci era venuto da subito (maledetta letteratura gialla), dopo aver appreso che Luigi Preiti era sommerso dai debiti (di gioco). Chi tiene in mano, oggi, in Italia il gioco d'azzardo e non? Chi gestisce il 99 per cento delle sale da gioco sorte come funghi (tali e quali ai “Compro oro”), sul territorio nazionale? Chi tiene, letteralmente, per le palle cittadini e cittadine che si sono rovinati con le slot-machine e i video-poker? Chi, in cambio della vita e della remissione dei debiti, non si farebbe qualche anno di galera pur di uscire dall'incubo del ricatto malavitoso continuo? La disperazione, si sa, è una pessima consigliera, oltreché un potente stimolo a delinquere. Chi ci dice che la 'ndrangheta, la mafia o la camorra non abbiano un esercito di disperati pronti a colpire tutti, in qualsiasi parte, in ogni momento? Possibile che dopo due mesi le indagini siano a zero e che Preiti sia solo un pazzo? O è possibile che sia iniziato l'ennesimo trattatuni in un paese che tratta su tutto, perfino sul prezzo della mamma?

mercoledì 12 giugno 2013

Silvio patrimonio dell'Unesco, Hitler della Fao, Erode dell'Unicef. Quando l'amore va oltre la storia. Il M5S verso la dissoluzione: peccato, un sogno breve

Poteva essere e non è stato. 9 milioni di voti gettati al vento, anche se per un pugno di irriducibili sono stati un miracolo. Il M5S, o almeno la rappresentanza dei cittadini in Parlamento, si sta lentamente ma inesorabilmente (come la marcia vittoriosa di Pomezia e Assemini) polverizzando. La riprova è nella spaccatura che si è registrata per la nomina del portavoce grillino al Senato. In lizza Nicola Morra, 5S ortodosso, fedele osservante della linea del leader, e Luis Orellana, 5S più colomba, portato al dialogo, forse più realista del suo concorrente diretto. L'ha spuntata per due soli voti (24 a 22) Nicola Morra. Ma non sono i due voti di scarto a far discutere, ma il fatto che la dicono lunga sull'aria che tira nel Movimento, aria grigia di spaccatura, aria di rivolta, richiesta di autonomia sì ma anche di possibilità di esprimersi liberamente. Ultimo caso, quello della senatrice Adele Gambaro che su SkyTg24 ha provato a dire, “Forse Beppe ha sbagliato i toni degli ultimi post sul suo blog”, beccandosi una serie di insulti che manco fra i camalli del porto di Genova. Trattandosi di una donna, Beppe non le ha detto espressamente “vaffanculo” ma glielo ha fatto gentilmente capire: “Se ne vada”. Causando immediatamente le reazioni dei cittadini lettori del blog che l'hanno apostrofata con la serie di insulti seriali che ormai contraddistinguono le parole dei dissidenti: “Vai via”, “Quanto ti hanno dato”, “Venduta” e così via. Sul post-ideologismo di Grillo, ma soprattutto di Casaleggio, ci sarebbe da discutere parecchio. Secondo il “guru” il nuovo mondo dovrebbe nascere dal caos, dal nulla: un agglomerato sociale e politico nuovo di zecca. Disconoscendo il 25 aprile, i pentastelluti hanno dimostrato di seguire alla lettera le indicazioni di Casaleggio, niente storia alle spalle, solo un futuro da costruire partendo dal caos. Peccato che lo stesso percorso lo abbia seguito, più sottilmente, Silvio Berlusconi, anche se solo per ridare una verginità ai fascisti. E, meno sottilmente Joseph Goebbels che, conquistato il Reich, pensò di cancellare la storia patria bruciando tutti i libri. Però, il Movimento5Stelle è in ballottaggio a Ragusa. Minchia!
Non abbiamo parole per commentare l'ultima sortita di Michaela Biancofiore, quella fatta secca dal Ministero per le Pari opportunità dopo le uscite omofobe sui gay. Durante la trasmissione “KlausCondicio”, ha detto senza provare nessuna vergogna: “Se fosse possibile, Berlusconi lo farei patrimonio dell'Unesco, ma anche dell'Italia e di tutti gli italiani” (tradotto: “Silvio sarebbe il mio ideale patrono d'Italia, altro che San Francesco”). E ha aggiunto: “Purtroppo non si può fare. Io, piuttosto che il berlusconismo, credo sia da candidare direttamente Berlusconi perché penso che non ci sia uomo pari a lui nella storia, da molto tempo”. Amen. E questo è amore. Dopo una sparata simile, se fossimo nei panni di Silvio (ma non lo siamo), reagiremmo con fastidio pari a quello dell'allontanare una mosca particolarmente insistente. Forse perché non abbiamo mai amato (anzi...), chi ha tentato di leccarci il culo con una piaggeria e una mielosità da deficienti, una frase del genere, che non significa nulla in termini ma molto nella sostanza, ci farebbe sobbalzare fino a farci firmare di corsa un esposto pro-Tso al sindaco. Capiamo l'amore, capiamo l'invaghirsi di personaggi potenti, capiamo che i Baci Perugina hanno introdotto un lessico da teneroni blues, ma a tutto c'è un limite, porco boia. Evidentemente, la signora Biancofiore (simbol d'amore), deve essere rimasta colpita dalla dichiarazione di Nicole Minetti al tribunale di Milano: “Io – ha detto la ex consigliera regionale della Longobardia – di Silvio ero innamorata davvero”. E ha pensato, invidiosa, di non poter restare indietro anche se, poverina, della Minetti non ha né il fisico né, a questo punto, l'intelligenza acuta. A Nicole, Silvio ha regalato un condominio, a Michaela solo un seggio in Parlamento. 

martedì 11 giugno 2013

Un cappottino fresco di sartoria. 16 a 0 nonostante il Pd e senza vergognosi “aiutini esterni”. Pomezia ai 5S. Grillo: “Lentamente stiamo arrivando”.

Partiamo dalla fine. Il M5S realizza uno splendido risultato. Dati per vincenti (o almeno ai ballottaggi) un po' dappertutto, i pentastelluti devono accontentarsi di Pomezia e Assemini, centri strategici per le sorti della nazione, che rappresentano veri e propri punti nevralgici della politica economica del Paese. In attesa dei risultati siciliani, regione nella quale, lo ricordiamo, il M5S è il primo partito, Beppe Grillo ha commentato così il risultato ottenuto nella cittadina laziale e nella sarda: “È stato un trionfo. Lentamente ma inesorabilmente stiamo arrivando”. Che ci ha richiamato alla memoria i commenti dei vecchi democristiani quando il Pci di Berlinguer gli stava facendo vedere i sorci verdi. Poi sono arrivati anche i risultati dell'Isola, e il clima non è affatto cambiato. Al ballottaggio solo a Ragusa. Ma anche questo è un trionfo. In Italia, siamo ormai abituati al peggio, per cui basta poco per volare. In questo caso un ballottaggio senza speranza di vittoria, ma almeno si corre ancora un po'. Sconfortanti i dati dei 5S che, in un colpo solo, hanno perso 25 punti (di media) a Catania (da 30 a 3) a Ragusa (da 40 a 15) mentre nelle altre città capoluogo non hanno sfiorato neppure il 10 per cento. Queste amministrative sono state un cappotto, ben confezionato come quello di Cary Grant, giunto al momento opportuno, visto che l'estate non arriva e il freddo polare della crisi sta rosicchiando le ossa degli italiani. Certo, non è minimamente paragonabile a quello del Pdl alle elezioni politiche del 2001, quei 61 deputati e senatori a 0, con i quali Silvio fece vergognare il Pd di esistere, ma è pur sempre una bella soddisfazione, ottenuta per altro con un partito che continua a esistere solo per la base organizzativa che ha e perché gli altri, onestamente, fanno proprio schifo. Ma mentre a Roma la sconfitta di Alemanno (peggio di lui nessuno), poteva essere data quasi per scontata, i risultati di Brescia e di Treviso, dimostrano in maniera inequivocabile che: a) la Lega non esiste più; b) il Pdl è solo Silvio. La dimostrazione che le elezioni politiche siano state l'ultimo miracolo possibile per un partito, e un uomo figlio ormai di se stesso, c'è stata ieri, con una sconfitta che non ha precedenti, neppure una casella da riempire con la bandiera delle Libertà, neppure un destrorso a sedere sulla poltrona di sindaco. Ma ci pensate? Dopo venti anni di dittatura xenofoba totale, Treviso ha pensionato l'ex X-Mas Gentilini. Il pistolero, lo sceriffo delle bollicine, sconfitto dai suoi concittadini, ha dichiarato laconicamente: “È finita un'epoca. Basta, mi ritiro”. Giunto a 84 anni, di cui gli ultimi 20 trascorsi a cannoneggiare i negher, Gentilini deve mollare, abbandonare, chinare il capo fiero del suo essere fascista, del “mi spezzo ma non mi piego” che tanti lutti ha causato a una nazione di imbelli. Intervistato subito dopo l'esito del ballottaggio, il neo sindaco del centrosinistra, Giovanni Manildo, ha parlato di una Treviso che si è riappropriata di se stessa, omettendo di dire che il primo atto che farà, sarà quello di disinfestare l'ufficio del sindaco, iniziando dai busti di Mussolini con i quali Gentilini accoglieva sorridendo gli ospiti. In casa Pd è iniziata la rincorsa all' “ho vinto io”. La voglia di mettersi medaglie, per chi è abituato a perdere, è irrefrenabile. Basta poco, un 16 a 0 e all'improvviso perfino i 101 zozzoni si trasformano in eroi e, soprattutto, in statisti. “Nessuna ripercussione sul governo”, dichiarano all'unisono LettaLetta e Alfano. E ti credo!

lunedì 10 giugno 2013

Testa a testa Pd/Pdl. Tra poche ore l'esito di amministrative che non cambieranno nulla

Er peggio. Er professore.
Più tardi il commento su elezioni che passeranno alla storia sì, ma per chi non è andato a votare: più del 50 per cento.