Qualche
giorno fa, legittimamente soddisfatti per l'introduzione di 13 nuovi
siti italiani nei luoghi che l'Unesco tutela a nome dell'intera
umanità, dicemmo che per l'Italia e per gli italiani tutto questo
ben di dio era una iattura. Che i palazzinari toscani erano incazzati
come iene e che gli immobiliaristi erano entrati in uno stato di
pericolosa fibrillazione cardiaca con seri rischi di ictus
devastanti. Ma si sa, l'Unesco dà e l'Unesco toglie. Vi credevate
che dopo i crolli, i furti, le devastazioni, le dimissioni di Sandro
Bondi, la situazione del sito archeologico di Pompei fosse migliorata? Ma manco
p'o' cazzo. Peggio di prima. Tanto che l'Unesco, una pericolosa
agenzia delle Nazioni Unite famosa per non farsi mai le minchie sue,
stanca di essere presa per i fondelli dagli statisti italiani, ha
lanciato l'ultimatum: “O entro sei mesi provvedete a turare le
infiltrazioni d'acqua, costruire le canaline di drenaggio, coprire i
mosaici che la luce del sole danneggia, demolire le costruzioni
improprie non previste dal piano concordato con l'Unesco e non
assumete personale adeguato o son cazzi vostri”. C'è da dire che,
mesi addietro, l'Unesco aveva stanziato 20 milioni di euro per un
primo intervento di recupero e consolidamento. Che fine abbiano
fatto, ovviamente, nessuno lo sa. Giovanni Puglisi, che della
commissione italiana dell'Unesco è il presidente, per il momento si
mantiene sulle generali, dice e non dice che Pompei rischia di essere
estromessa dai siti dell'agenzia delle Nazioni Unite per il
patrimonio culturale mondiale, insomma, fa le battutine. L'ultima in
ordine di tempo è stata: “Il primo ministro Letta(Letta, nda) ha
detto che si sarebbe dimesso se ci fossero stati ulteriori tagli
alla cultura. Nel caso di Pompei – ha ridacchiato Puglisi –
qualche taglio c'è stato... anche se camuffato”. Ecco, LettaLetta
camuffa. Mica solo Pompei. Lui camuffa tutto e poi, da quel
gentiluomo virtuoso che è, non mente... omette, capita la
differenza, campioni d'ipocrisia? LettaLetta camuffa l'Iva, l'Imu,
l'energia elettrica che invece di farci risparmiare 5 euro l'anno ci
costerà (notizia di ieri mattina) l'1,4 per cento in più. Camuffa i
tagli alla scuola, alla ricerca, l'aumento delle sigarette
elettroniche e, ma scommettiamo che nessuno se n'è ancora accorto,
delle marche da bollo. E poi, camuffa un autunno che più caldo di
così non si potrà. Lo ha detto Saccomanni: “E i tagli dolorosi
dovranno ancora venire”. Privo di coraggio, di fantasia, di uno
slancio di sana follia (se li avesse che balenottero bianco
sarebbe?), LettaLetta è peggio di Mario Monti, visto che con lui
qualche leggina ad personam passerà, lo ha detto ieri Anna
Finocchiaro e c'è da crederle. Ma torniamo al nostro patrimonio che,
siccome appartiene all'umanità, è nostro solo perché si trova sul
territorio della nazione più indifferente, apatica e menefreghista
che esista al mondo. Vendiamolo, dio bono. Cominciamo da subito.
Dunque, Pompei la smontiamo e la rimontiamo in Baviera. L'Etna è
facilmente trasportabile in Scozia, almeno il Lago di Lochness avrà
uno scenario più accattivante. Le ville medicee ne diamo una a testa
a: Denver, Baltimora, Oklahoma City, Reno, Las Vegas, Philadelphia
(ma solo perché ci ricorda i formaggini), Chicago, Boston, New York,
Honolulu, Los Angeles e San Diego. I giardini di Boboli li piantiamo
a Shangai e la Torre di Pisa a Mumbay (fa pendant con il Taj Mahal).
Il Colosseo potremmo cederlo ai berlinesi, mentre la Fontana di Trevi
potrebbe fare la sua porca figura a Innsbruck Centro. Ci scommettiamo
la reputazione che in queste nazioni e in queste città, i nostri
monumenti farebbero alzare il Pil almeno di un punto, mentre da noi
ci costano un punto e mezzo. Questione di prospettiva, ma anche di un
optional solo italiano che si chiama rispetto.
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domenica 30 giugno 2013
sabato 29 giugno 2013
De Gregorio, Lele Mora, la senatrice Anitori. Per un verso o per un altro, ci tocca imbarazzarci un po'
Imbarazziamoci
un po'. Togliamoci qualche “sasso dallo stomaco”, come ama
definire un peso insostenibile l'ex senatore della Repubblica, Sergio
De Gregorio. E partiamo da lui, da quello che fu un giornalista
d'assalto eletto nelle file dell'Idv e poi “comprato” da Silvio
per far cadere Romano Prodi. Al contrario di Renato Pozzetto, il De
Gregorio corrotto pentito, non ha visto la Madonna ma ha sognato il
padre che, dopo averlo preso per le orecchie, sembra gli abbia detto:
“Figlio mio parla, racconta tutto, denunciali 'sti bastardi”. E
il figlio lo ha fatto. Ha denunciato una combine grazie alla quale,
in quella stessa legislatura, 120 fra deputati e senatori cambiarono
partito. Giustamente, Sergio De Gregorio oggi dice: “Possibile che
fra tutti quelli che passarono con Silvio, l'unico corrotto sia stato io
mentre per gli altri si parlò di contrattazione?” Bella domanda,
però la lasciamo così, volteggiare nell'aria. Dice ancora De
Gregorio: “Ho rinunciato a candidarmi quando Denis Verdini, ancora
il 19 dicembre, mi ripeteva: 'Vieni in Senato, ci difenderemo tutti
insieme dai magistrati comunisti, governeremo la giunta per le
immunità'. Gli ho detto di no, non volevo uscire dal Senato con le
manette”. De Gregorio si è pentito, ha parlato con i magistrati di
Napoli, si è fatto 100 giorni di arresti domiciliari, ha chiesto
scusa a Romano Prodi e ora ha deciso di dire addio alla politica e di
scrivere un libro, un diario utile a spiegare nei particolari ciò
che accadde in quei giorni bui. Imbarazziamoci un po'. Tocca a Lele
Mora che ormai possiamo definire “uno”, “bino” e “trino”,
dipende dalle dichiarazioni che rende e dalle smentite che seguono
immediatamente le parole appena dette. Nel corso del processo definito
“Ruby-bis”, sentito prima dai giornalisti poi dai giudici, ha
detto: “Dismisura, abuso di potere e degrado. Lo ha scritto un
importante quotidiano nazionale, ed è proprio così”. Parla, Lele
Mora, e sembra che voglia togliersi anche lui un sasso dallo
stomaco... cazzo quanti struzzi! E prosegue: “Io ne sono
stato il passivo concorrente, ma oggi non voglio più mangiare cibo
avariato e lascio il compito ai miei difensori di chiarire”. E il
difensore chiarisce: “Il compito di Mora era quello di rendere
famose le sue clienti, di esibirle sul palcoscenico di Arcore. La sua
condotta non ha nulla a che vedere con gli atti sessuali
eventualmente compiuti”. Poi, quasi a volersi sgravare l'anima dal
confessabile e dall'inconfessabile, l'ex talent-scout ha detto: “Mi
vergogno per le polemiche che ho fatto contro giornalisti e
comunisti, per le minacce, mi vergogno e chiedo scusa. Voglio solo
uscire da questa bufera infernale che mi ha tolto la luce”. Nel
frattempo, però, deve essergli arrivato un sms direttamente dal
padreterno che stazionava pigro dalle parti di Arcore. Appena uscito
dall'aula del tribunale, dopo questo popò di pentimento, Lele
Mora ha negato tutto. Leggete: “Ad Arcore non c'è stato niente di
male, quando in aula ho parlato di degrado, ho detto quello che ha
riportato un giornale. Ad Arcore la prostituzione non c'è mai
stata”. Imbarazziamoci ancora un po'. Ieri il M5S ha perduto un
altro pezzo. Dopo l'attacco di Anonymous al sito di Casaleggio,
defacciato della home page e con un messaggio che diceva: “Siete il
cancro che volevate eliminare”, la senatrice laziale Fabiola
Anitori ha detto addio al Movimento aderendo al Gruppo Misto. Nella
lettera di addio, la senatrice scrive: “Gli avvenimenti registrati
all'interno del Movimento negli ultimi mesi, mi hanno profondamente
segnata, peraltro in un periodo molto delicato della mia vita. Non
riconosco più l'impostazione iniziale del Movimento che è diventato
proprio quel 'partito personale' dallo stesso tanto criticato, con un
sistema feudale di fedeltà che respinge o espelle chi dissente, chi
non si allinea. Io ho creduto, e credo al messaggio politico del
'cambiamento' da attuare, però, attraverso il confronto democratico,
sia interno che esterno, che ritengo un valore, una virtù
repubblicana irrinunciabile e che non ritrovo nel Movimento”.
Imbarazziamoci pure, però a noi la senatrice Fabiola Anitori non ci
sembra una paracula pronta a disertare per gli avanzi della diaria. A
proposito, lunedì prossimo in pompa magna, si doveva tenere la
cerimonia di restituzione delle somme non spese, il Restitution Day.
Slitterà di qualche giorno. Problemi tecnici. Imbarazziamoci un po',
mica ci fa male.
venerdì 28 giugno 2013
Brunetta Furioso. Da Marina (Berlusconi) a Lucia (Annunziata), il capogruppo del Pdl alla Camera ne ha per tutti
Non è
un problema di caldo (non c'è) ma di indole. Renato Brunetta non è
un uomo facile. Convinto di essere il più grande economista del
mondo (defraudato del Nobel solo perché prestato alla politica),
Renatino mal sopporta tutti gli altri esseri umani, considerati alla
stregua di analfabeti di ritorno o... poco meno. Neppure agli ordini
del suo primo padrone, Bettino Craxi, Brunetta si era dimostrato
domabile. Doveva dire sempre la sua, esternare, bacchettare,
insegnare, dare lumi, riprendere, correggere, ironizzare,
maramaldeggiare, provocare, stuzzicare, sentirsi un palmo più alto
dei suoi colleghi di partito (il Psi). Che poi Bettino fosse alto
come un'arcata della Tour Eiffel non era un problema, Renato era
convinto che la sua intelligenza raggiungesse l'antenna di France2. E
tanto gli bastava per fare la sua porca figura ai congressi dei
Socialisti sullo sfondo delle colonne del Partenone, portabandiera di
un nuovo classicismo in politica. Renato è anche portato agli
insulti. Gli vengono nature, senza difficoltà, con una semplicità e
un candore disarmanti. Negli anni del berlusconismo, Brunetta ha
insultato tutti, dai cancellieri dei tribunali agli impiegati della
PA, dagli attori ai macchinisti, compresi i suoi stessi compagni di
partito che, qualche volta lo hanno sopportato, altre meno. Quando la
pazienza veniva meno lo prendevano a schiaffi (letteralmente). Le
liti furibonde con Giulio Tremonti, l'inventore dell'economia
creativa, erano all'ordine del giorno dei consigli dei ministri e
spesso finivano all'infermeria di Palazzo Chigi. Parecchio indolente,
irascibile mica no, tendente caratterialmente al dileggio, Renato
Brunetta è un Nobel in pectore talmente convinto delle sue enormi
potenzialità, che non essere considerato il numero uno lo
infastidisce molto e quando prova fastidio esonda. Silvio sceglie la
figlia prediletta come erede al trono? E lui fa sapere che... ehm...
le regole della democrazia sono altre. Saccomanni non segue i suoi
consigli da vate dei numeri? E lui dichiara che... ehm... è un ministro “opaco”, causando lo scompiglio fra i suoi che pensano a una
retinite devastante. E poi ci sono i soliti problemi con la tv. In
Rai circolano due loschi individui che hanno deciso di fare a meno
dei suoi commenti salaci e così pieni di buon senso. Si chiamano
Lucia Annunziata e Fabio Fazio. Renatino, pur di coglierli in fallo e
denunciarli all'AgCom, si è visto tutte le loro trasmissioni ed è
arrivato alla conclusione che Fazio e la Annunziata si sono resi
colpevoli di un paio di reati, nello specifico: violazione della par
condicio e violazione del pluralismo. Siccome non ci va proprio di
parlare né di Paolo Del Debbio né di Barbara D'Urso, prendiamo la
denuncia di Brunetta come una ripicca verso chi di cagarselo non ci
pensa proprio. Però non possiamo non sottolineare il puntiglio con
il quale, sempre il Nobel in pectore, ha preso appunti. “Negli anni
2012/2013 – scrive Brunetta all'AgCom – la signora Annunziata ha
ospitato a In mezz'ora, 14 esponenti del centrosinistra contro i 2
del centrodestra. Mentre il signor Fazio, nello stesso periodo, a Che
tempo che fa ha avuto la presenza di 20 esponenti del centrosinistra
contro i 4 del centrodestra”. A ciò potremmo aggiungere che il
salumiere don Peppe ha fraudolentemente fatto pagare 90 grammi di
prosciutto invece dell'etto richiesto dalla signora Brunetta, il
panettiere don Carlo ha calcolato lo stesso importo per due rossette
invece di tre, il parrucchiere don Figaro si è reso colpevole di
aver applicato la stessa tariffa di una permanente a una classica
messa in piega. E tutto ai danni della famiglia Brunetta che,
evidentemente, non sa fare la spesa. Renatino però non è cattivo, è
fatto a modo suo ma è di una bontà temprata come l'acciaio.
Potrebbe essere un efficace concorrente del concorso Cuore t'oro,
quello che si tiene ogni anno a Scasazza, provincia di Taormina, a
chiusura delle celebrazioni civili per Sani Gesualdi. E non importa che abbia
il cuore troppo vicino... lì. Quello che conta è che un cuore lo
abbia.
giovedì 27 giugno 2013
Berlusconi Dinasty: è l'ora di Marina. E intanto a Pomezia, due commercianti aggrediscono il sindaco 5S. La sensazione è che la realtà sia diversa da Gaia.
Sembra
proprio che sia arrivata la sua ora. Marina Berlusconi, la figlia
prediletta di papà Silvio, la presidente della Mondadori, la donna
che per grinta si mette in tasca pure la Santanchè, è la
predestinata a raccogliere l'eredità politica di cotanto padre. C'è
da dire che Marina il ruolo di “delfina” se l'è guadagnato. Pur
di difendere papà, ha fatto secchi tutti gli scrittori di punta
della più grande casa editrice italiana, compreso Roberto Saviano al
quale ha detto che i suoi commenti sul governo e su Silvio non erano
graditi. Saviano ha fatto le valigie, approdando in un amen alla
Feltrinelli che si è ritrovata immediatamente un best-seller
(promosso come sempre alla grande dall'immenso venditore di libri e
cd in circolazione, Fabio Fazio), fra le mani. Inge ha ringraziato
commossa. E la stessa cosa Marina l'ha fatta con la controllata
Einaudi. “Mio padre ti sta sui coglioni? E io ti rescindo il
contratto”. La Presidente, come ormai la chiamano le “puttane del
pdl” (definizione di Giuliano Ferrara, non nostra), sta studiando
da premier. Acquistati quaderni e matite nello shop Mondadori di
Segrate, Marina si è messa a totale disposizione di Paolo Del
Debbio, l'anima nera di Forza Italia, il magister maximus
espertissimo nel creare “miti inarrivabili” quasi fosse Roland
Barthes. A notte fonda, quatta quatta, Marina è stata vista entrare
nello studio di Quinta Colonna, dove Del Debbio aveva appena finito
di allestire l'ennesima puntata tagliavene del più brutto talkshow
politico mai andato in onda sulla televisione italiana, tanto che
Porta a Porta, è diventata all'improvviso una trasmissione cult.
Paolo Del Debbio, appena l'ha vista, l'ha fatta accomodare su una delle
poltrone dei suoi ospiti schizofrenici e, guardandola negli occhi con
fare intimidente le ha detto: “Lection one: mentire, mentire,
negare sempre. Anche l'evidenza”. Che poi è la stessa strategia
dei mariti e delle mogli che rendono malati incurabili di cornutite
cronica i rispettivi coniugi. Una voce contro, ma si fa per dire, è stata quella di Renatino Brunetta il quale, forse convinto che sarebbe
diventato lui il delfino, ha prontamente dichiarato alla stampa:
“Onore a Marina Berlusconi. Donna degnissima... ehm... grande donna. Ma non vorrei che si
creassero dinastie... ehm... non è mica tanto democratico e
liberista”. Più chiaro di così.
Lo
sapete, i grillini ci stanno simpatici. Cazzo, li abbiamo pure
votati! Però quello che è accaduto ieri a Fabio Fucci, neoeletto
sindaco di Pomezia, qualche interrogativo ce lo pone. Il fatto. Fabio
Fucci stava passeggiando tranquillamente per la splendida cittadina
laziale (al cui confronto Miami Beach è una specie di caccola), in
compagnia della vicesindaco Elisabetta Serra, quando è stato
aggredito fisicamente da due commercianti (Repubblica specifica: “un
uomo e una donna, italiani, cinquantenni”), incazzati neri per una
questione di licenze per bancarelle a Tor Vajanica. I due energumeni
erano evidentemente molto incazzati, perché se la sono presa non
solo con i politici ma anche con un vigile urbano accorso a
soccorrerli. Non contenti, l'uomo e la donna hanno tentato di
aggredire pure i carabinieri arrivati di corsa per dare una mano al
sindaco, al vice e al vigile urbano; per la cronaca, tutti e tre sono
stati medicati al pronto soccorso e gli energumeni arrestati. Ora, a
parte questa sciocchezza che potrebbe accadere in qualsiasi parte
d'Italia e con sindaci esponenti delle più diverse forze politiche,
quello che ci fa riflettere è l'incapacità dei grillini di farsi
capire dai cittadini, di quelli cioè che, secondo loro, li hanno
eletti e a nome dei quali parlano. Ne sa qualcosa Pizzarotti che a
Parma, dopo aver rincarato i prezzi delle mense scolastiche e acceso
l'inceneritore che “mai e poi mai”, ha dovuto ammettere che un
conto è il dire, un altro il fare e che spesso, le buone intenzioni
non sempre si trasformano in azioni. Pizzarotti si è ritrovato una
folla inferocita sotto le finestre del municipio, ma questa è
un'altra storia. Partendo da questa elementare considerazione, ma
talmente elementare che di più facile ci sono solo le materne, a
volte basterebbe un po' di buon senso per capire che un conto è il
dire e un altro il fare. Che se la gente ti vota è perché vorrebbe
che le promesse fatte in campagna elettorale fossero mantenute. Se
anche i grillini vengono aggrediti dai cittadini, è lecito chiedersi
se forse c'è qualcosa che non funziona? O anche questa è lesa
maestà? Meno male che a noi Grillo non ci potrà mai espellere, al
massimo ci infilerà nei gabbiotti per i giornalisti che intende far
costruire a Montecitorio...
mercoledì 26 giugno 2013
Giuliano Ferrara: “Siamo tutti puttane”. O, non lo sapeva nessuno!
Ma uno
dice che poi se la cerca. Come si fa a rendere lapalissiano un
concetto che tutti conoscono, e riferiscono solo nel segreto di un
confessionale ma non hanno il coraggio di dire pubblicamente? Semplice, basta
andare a Roma a Piazza Farnese e urlarlo ai quattro venti. Con le
labbra arrossettate, Giuliano Ferrara si è presentato allo sparuto
popolo di destra che manco al gay pride. Poi, colto da un attacco di
sincerità, ha urlato l'evidenza, un fatto che tutti sanno da sempre,
e cioè che coloro che appartengono al popolo delle destre italiane
sono delle grandissime puttane. È vero, ricorrendo al solito
impeto trasformato in foga oratoria, Ferrara ha inserito nella categoria solo le ragazze che si
sono prostituite con il Capo. Però sa molto bene, il direttore
del Foglio, che è facilissimo ascrivere nella categoria coloro che rientrano nel meretricio perché la/lo danno, ma
anche quelli che mettono al servizio di qualcuno, per prebende o
regalie o un posto al sole qualsiasi, la propria dignità,
l'intelligenza, la penna, la professionalità fino a disintegrarsi in
nome del padrone. Chi lo paga il Foglio? Continua a essere Veronica
Lario l'azionista di riferimento o, grazie alle vendite, il giornale
di Giulianone si mantiene da solo? E che dire di Feltri e Sallusti? O
di Belpietro che continua a essere pagato solo perché lo Stato gli
regala milioni di euro con la scusa che Libero è il
quotidiano dei monarchici? Sussiste, ancora, un equivoco di fondo.
Una è mignotta solo se allarga le cosce dietro pagamento di regolare
tariffa. Per questo si chiama sesso a pagamento, e per
questo, spesso, le mignotte vengono assimilate, come categoria, ai
tassinari: entra il cliente, scatta il tassametro e alla fine della
corsa paghi i chilometri fatti, l'unica differenza è che gli autisti
di taxi a maggio pagano le tasse. Uno che si picca di essere il più
intelligente, il più furbo, il più grande giornalista vivente, non
si può permettere di prendere topiche simili perché alla fine, la
manifestazione folkloristica di oggi, è servita a rendere chiaro al
popolo italiano che il concetto di “puttanità” è andato
modificandosi nel corso del tempo, e che negli ultimi venti anni ha
subìto una vera e propria mutazione genetica. Chi ci fa un po' pena,
però, non è Ferrara e non è il popolo berluschino. Lo schifo
arriva ancora una volta da quella che è stata per venti anni
l'opposizione più supina che una democrazia abbia mai avuto in tutto
il mondo. Perfino ai tempi di Pinochet, i democratico-cristiani
filodittatura ebbero i loro problemi, gli ex comunisti italiani manco
quelli: un lunghissimo inciucio durato mezzo secolo e che continua
ancora sotto gli occhi di un popolo reso impotente da milioni di ore
di tv lavacervelli. I silenzi dei pidini gridano vendetta al cospetto
di qualsiasi forma di intelligenza, anche quella mono-neuronica,
figuriamoci di fronte ai problemi di un popolo asservito ai
desiderata di un unico padrone. Ragassi, c'è il LettaLetta porco
boia. Finalmente è presidente del consiglio uno dei nostri. Chi molla è
un fetente e chi denuncia il principale alleato un traditore.
martedì 25 giugno 2013
Silvio come Brad: 7 anni (non in Tibet) e interdizione perpetua. Indagati per falso i 30 testimoni della difesa. È una Caporetto.
“...
perché voi della sinistra siete invidiosi dei soldi di Silvio e ve
li volete fregare mandandolo in galera. Vergognatevi”. Così, un
milanese o ciento pe' ciento, originario di Molfetta, ha commentato
la sentenza di primo grado del tribunale di Milano che condanna
Berlusconi a 7 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai
pubblici uffici. Poco più in là, sempre fuori dal tribunale, una
signora si è presentata con un crocifisso al collo e la statuetta
della madonna di Medjugorie fra le braccia, forse per dare spiritualmente
una mano al Silvio perseguitato. Appena l'ha vista, un signore
indignatissimo, l'ha apostrofata dicendole: “Ma che cazzo fai con
la madonnina in mano? Ma non ti vergogni? Che c'entra la madonna di
Medjugorie con un delinquente, porcod ...”. In Italia il folklore
è sempre dietro l'angolo. Se ti distrai un attimo ti sommerge. Si è
capito, vedendo i filmati girati davanti al tribunale subito dopo
l'uscita della sentenza, perché Silvio continua ad avere una vasta
popolarità e, soprattutto, 9 milioni di voti. Le parole che si
sentono, sono quelle che si leggono sul Giornale e su Libero, e si
ascoltano da Barbara D'Urso e Paolo Del Debbio. Sembra quasi che gli
house organ del Capataz siano riusciti a “normalizzare” 9 milioni
di cervelli, incapaci di andare oltre il semplicissimo meccanismo di
accettazione acritica di balle mediatiche scientificamente studiate,
proposte e reiterate in loop. Così, mentre non ci si può
sorprendere delle sparate dei vari Gasparri, 2232-Cicchitto,
Danielona Santanché, Ferrara che chiama per oggi pomeriggio a
raccolta il popolo di destra a Piazza Farnese, Malan, Capezzone,
Prestigiacomo, Carfagna, Brambilla, Biancofiore tutti rigorosamente a
libro paga, quello che sconvolge è il giudizio di milioni di
pensionati, cittadini per bene, nullafacenti e locatari in nero che
per Silvio darebbero tre reni come Totonno Razzi. Certo che la corte
di Milano non c'è andata morbida. Alla concussione acclarata, ha
aggiunto la “costrizione” che, secondo i giudici, ha segnato
l'intervento dell'allora presidente del consiglio presso la questura
di Milano, quando ha “preteso” che Ruby venisse affidata alla
consigliera regionale Nicole Minetti e non ai servizi sociali. La
ragione è nota, Ruby era la nipote di Mubarak e si rischiava un
incidente diplomatico. Comunque la si voglia mettere, la sentenza del
Tribunale di Milano è una sentenza. Punto. Ci sono ancora due gradi
di giudizio prima che abbia un seguito e che conduca, eventualmente,
Silvio ad essere ospitato nelle patrie galere. Tutto questo
spintonare, e dichiarare preventivamente guerra al mondo, è un
mettere le mani avanti da giocarsi sul campo molto più complicato
degli equilibri politici. La sentenza diventa, per assurdo, un'arma
di ricatto a favore e non contro, perché viviamo in Italia e i
machiavellismi sono all'ordine del giorno. Da altre parti Silvio
avrebbe già preso un aereo per una destinazione sconosciuta ma dove
non vige l'estradizione. L'arma di ricatto nei confronti del Pd
assume le sembianze di leggi paracule, di provvedimenti
elettoralistici ascrivibili ai pidiellini perché a breve si tornerà
a votare, di una sorta di supremazia psicologica da “perdenti”
che diventa valore assoluto. Guardate, tutto questo si potrebbe
inserire in un trattato di alta psichiatria perché da noi, la
politica ormai è diventata solo convivenza patologica, di socialità
e di diritto di cittadinanza non c'è più nulla. Poi arrivano i
“nobili d'animo”, i guerrieri della politica come arte, gli
ideologici dei pifferi e i filosofi scoglionati e inizia la farsa.
Cacciari: “Ma che senso ha questa condanna? Sette anni...
interdizione perpetua... mah... Berlusconi deve essere battuto
politicamente non per sentenza”. Suppergiù le stesse parole di
Nichi Vendola e dei maggiorenti del Pd che da venti anni tentano
inutilmente di battere Silvio alle elezioni, e se lo prendono sempre
dove vola l'uccello Padulo. Silvio potrebbe anche essere battuto
politicamente se, però, si giocasse ad armi pari. Siccome con chi
detiene una potenza di fuoco mediatica come il Cavaliere, una
battaglia ad armi pari non sarà mai possibile, cominciamo intanto a
rispettare e a far rispettare le sentenze. Cominciamo a dichiararne
l'ineleggibilità, perché l'eleggibilità non è un diritto che si
acquisisce per usucapione, ma rispettando le leggi vigenti. E se le
leggi dicono che chi usufruisce di concessioni pubbliche non può
essere eletto, così ha da essere, altrimenti fanno bene i pidiellini
a non rispettare la sentenza del tribunale di Milano. Purtroppo il
problema è sempre questo, si conoscono i colpevoli, si sa chi sono i
conniventi e chi per venti anni ha fatto finta di nulla. Altro che
101 zozzoni, questi sono 101 delinquenti matricolati. È morto Emilio
Colombo. Beh, ciao.
lunedì 24 giugno 2013
La vita, l'arte, gli amori di uno statista: Antonio “Totonno” Razzi, detto m' faccio li cazz mie'.
La
vicenda è di qualche giorno fa, ma come per i film comici che si
rispettano, la storia di Antonio Razzi fa ridere anche a una seconda, a una terza o a una quarta visione. Sapete, dopo l'alzata di scudi dei
costruttori italiani (che hanno inviato una nota di vivo e vibrante
biasimo all'Unesco che non si fa mai i cazzi suoi, ed elegge di
continuo siti italiani a patrimonio dell'umanità), che dalle parti
di Palazzo Madama si aggiri il senatore abruzzese Antonio Razzi,
rientra nell'ordinaria illogicità delle questioni italiane, giunte
ormai a un livello di patologia schizofrenica tale che Hannibal
Lecter ci fa un pippone. Così, per qualche giorno, ci siamo tenuti
nel nostro personale database il testo dell'intervista che il
senatore Razzi ha rilasciato ai soliti burloni della Zanzara,
per tirarla fuori nel momento in cui di grosse notizie in giro non ce
ne fossero. Tolto che oggi pomeriggio la corte di Milano emetterà la
sentenza di primo grado sul processo Ruby. Tolto che, nel suo
piccolo, Enrico Letta processerà la ministra Idem rea di mancato
versamento dell'Ici e di una piccola evasione fiscale. Tolto che
Casaleggio ha dato in esclusiva al Corriere della Sera la sua
personale visione del mondo (entrando nei dettagli del pianeta Gaia),
tutto sommato oggi è un piattissimo, e caldo, lunedì di fine giugno
e le dichiarazioni di Totonno Razzi ci stanno come il cacio (pecorino
abruzzese) sugli spaghetti alla chitarra: la morte sua. Dunque. Lo
sapevate che Totonno è amico personale di Kim Jong-un, il pericoloso
e un po' fuori di testa dittatore della Corea del Nord? Dice il
senatore: “Ho avuto il piacere di conoscere Kim quando studiava
all'università di Berna, perché io vivevo lì e con lui parlavamo
insieme in tedesco”. Poi ha aggiunto: “Nel mio ufficio ricevo
spesso l'ambasciatore della Corea del Nord e quello della Corea del
Sud, sono due brave persone e abbiamo parlato della loro
riappacificazione. Se si mettono a tavola possono dialogare perché
sono persone eccezionali, uguali a noi italiani”. E per finire:
“Voi non lo sapete, ma quelli della Corea del Nord, fanno tutto
quello che gli diciamo noi italiani, tanto che il viceministro degli
Affari Esteri, Pistelli, mi ha detto che per questo mi daranno il
Nobel per la pace”. Ovviamente, nel corso dell'intervista alla
Zanzara, non poteva mancare una domanda sulla senatrice Gambaro dei 5S, appena espulsa dal Movimento. La risposta di Totonno: “Alla
senatrice Gambaro ho dato la mia solidarietà perché le ho detto che
in questa storia ci ho passato anch'io”. Ma il meglio di sé, il
senatore Antonio Totonno Razzi, eletto a furor di popolo in
Abruzzo, lo ha dato parlando in punta di lingua di Silvio Berlusconi.
E da questo momento, inizia il più delirante dei deliri che essere
umano normodotato possa trovarsi sulla sua strada. “Io prego ogni
giorno i miei santi – ha detto m' faccio li cazz mie' – perché
Berlusconi viva fino a 120 anni. Io darei la vita per lui, morirei.
Gli darei un rene, due reni, tre reni e la prostata. Gli darei anche
mia moglie, se lei fosse d'accordo”. Ma quanto costa un po'
d'orgoglio? Un vitalizio parlamentare può bastare. Az, se basta.
domenica 23 giugno 2013
I pazzi sognatori dell'Unesco. Dopo l'Etna, dodici ville medicee e i Giardini di Boboli nel patrimonio culturale dell'umanità. Non sanno mica che per gli italiani è una iattura!
Sembra
che l'Unesco lo faccia apposta, tanto che qualche costruttore
palazzinaro, e un po' pirata, si sta pure incazzando. Facciamo
crollare Pompei, dilapidiamo le bellezze naturali e artistiche delle
Cinque Terre, massacriamo la Valle dei Templi, rinterriamo le tombe
etrusche e le vestigia romane, sennò i palazzi non potrebbero
nascere e le linee metropolitane si dovrebbero interrompere.
Chiudiamo orchestre sinfoniche una a pranzo e una a cena. Il ministro
Bray deve scendere in campo per il Maggio Fiorentino, i teatri non
hanno una lira per le loro stagioni e quelli dell'Unesco che fanno?
Ci dicono ancora una volta che il nostro patrimonio culturale è
unico e va protetto, perché non è solo “cosa nostra” ma
dell'intera umanità. Così, dopo aver dichiarato addirittura un
vulcano, l'Etna, patrimonio dell'umanità (causando un attacco di
bile ai costruttori che già pregustavano colate di cemento e
bed&breakfest a gogò), i maledetti “uneschini” hanno
risalito la penisola e, giunti in Toscana, hanno osservato le Ville
Medicee di Cafaggiolo a Barberino di Mugello, Trebbio a San Pietro a
Sieve, Careggi, Poggio Imperiale, Castello, La Pietraia, Fiesole,
Poggio a Caiano, Carmignano, Cerreto Guidi, La Magia di Quarrata, il Palazzo di Serravezza e hanno deciso, motu proprio, di dichiararle
tutte insieme patrimonio culturale dell'umanità. Poi, non ancora
soddisfatti e probabilmente rintronati dal Brunello, visto che
c'erano, hanno adottato lo stesso provvedimento per i Giardini di
Boboli e quello di Pratolino, nel comune di Vaglia: un vero e proprio
accanimento terapeutico su una nazione morta. Se una cosa del genere
fossa accaduta in qualsiasi altra parte del mondo, i paesi coinvolti
avrebbero fatto festa per un mese. In Italia accade solo quando ti compri la bandiera arancione o quella blu, allora sì che son feste.
Perché, cari amici, essere dichiarati “patrimonio culturale
dell'umanità”, è una rottura di palle senza limiti né confini.
Devi stare attento ai ciottoli, alle crepe, alle siepi che crescono
storte, alla gramigna che infetta i prati, alle zone dove non si può
(e deve) parcheggiare, alla revisione semestrale delle strutture e
degli impianti rigorosamente a norma, a non togliere neppure una
scheggia da quella cazzo di finestra che ha 600 anni, e che potrebbe
essere sostituita tranquillamente con una di alluminio anodizzato con
doppio vetro termico. E se poi si dovesse rompere un vetro, madonna
che delirio! Dove si trova un vetraio in grado di sostituirlo senza
fracassare il telaio della finestra e attaccare tutto col Vinavil? E
poi, cosa dire agli amministratori che avevano pensato di coprire i
tetti di tegole antiche con i pannelli solari, che quella cosa non si
può fare? Essere dichiarato “patrimonio culturale dell'umanità”,
per gli italiani è una iattura più grossa del terremoto, perché
dopo un terremoto speculi sulla ricostruzione, per una Villa Medicea
su cosa puoi speculare, un cartello segnalatore? Pochi euro e il
problema è risolto. Dopo il terremoto, invece...
sabato 22 giugno 2013
Silvio: Iva e Imu pretesti pubblici. Assoluzioni e leggi ad personam quelli privati. E ci sta venendo un dubbio su Bersani e i 5S. Come andò la trattativa?
Dice:
“Io sono uno Statista, mi consenta. Il governo potrebbe cadere solo
sull'Iva e sull'Imu”. Invece pensa: “Giorgio non mi protegge.
Enrichetto non mi dà la sua solidarietà e non ha permesso neppure
un piccolo emendamento per salvarmi il culo nel decreto-disastri”.
Dice: “Il governo è stabile, solido, l'unico possibile. Le mie
vicende giudiziarie non influiranno sul suo destino”. Invece pensa:
“Poffarbacco, lunedì c'è la sentenza Ruby; fra poco la Cassazione
sul 'Mediaset', che se va male mi becco cinque anni di interdizione.
E i miei alleati del Pd fanno finta di nulla”. E dice pure:
“Stavolta i sondaggi non sono affidabili. Andare a votare ora
sarebbe una tombola, mica è detto che vinceremmo. E poi ancora
larghe intese? Impossibile, arriverebbero i forconi a Palazzo
Grazioli”. Non è facile questo particolare momento storico per
Silvio Berlusconi I°, Imperatore di Arcore, Re di Villa Certosa,
Pro-Governatore di Saint-Lucia, Console Onorario Russo-Putiniano. Non
è facile perché i nodi dei processi stanno venendo al pettine, e la
fregatura e che lo stanno facendo tutti insieme: un delirio. Resosi
anche conto che la coppia di legali che lo ha seguito fino a ora,
Ghedini e Longo, è ormai guardata con odio viscerale in ogni tribunale
italiano e pure in quelli irlandesi, Silvio ha assoldato il pacioso
professor Coppi con l'unico scopo di trovare falle nei dispositivi
dei pm e Coppi, da questo punto di vista, è il migliore in assoluto.
Qualcuno potrebbe dire: “Ma allora Silvio ha deciso finalmente di
difendersi 'nei' processi?” Eh no! Coppi è l'ultima speranza di
far saltare il castello di prove inossidabili che i magistrati hanno
ormai costruito, usando il detonante dei cavilli. È un tentativo,
nulla più. Si può immaginare quindi, l'aria che tira a Palazzo
Grazioli e nella Villa Mausoleo di Arcore. Bondi, lasciato giorni e
giorni senza pappone; Bonaiuti, che ha iniziato a scrivere le sue
memorie invece dei comunicati stampa pro-Capo; Capezzone senza più
bonus cravatte; la Santanchè, ferma in sala d'attesa come una
Olgettina qualsiasi e senza il conforto del palo della lap-dance.
Vacanze amare quest'anno per Silvio. Tanto che per divertirsi un po',
ha richiamato Topolanek, almeno quello, pensieri o non pensieri, è
sempre in tiro.
Sono
giorni che un dubbio ci assilla. Ohibò, succede anche a noi. Come
qualcuno ricorderà, durante l'incarico-farsa a Piergigi 'o
smacchiatore Bersani, la chiacchiera che girava era quella che i
grillini avessero chiuso ogni porta a una eventuale collaborazione
con il Pd. Fin qui tutto chiaro e la diretta streaming con Bersani,
ne rappresentò in qualche modo la conferma. Crimi e la Lombardi
dissero in coro: “Mai e poi mai”. Sono giorni, però, che Grillo
va urlando che il Pd “da noi voleva solo numeri e non ci ha
offerto di entrare in nessun governo”. Questa frase, che se confusa
nel mare di parole che Grillo urla a ogni comizio non significherebbe
nulla, presa e contestualizzata in quel momento, il suo bel
significato lo ha. Secondo Grillo, il Pd (Bersani) pretendeva dal M5S
solo l'appoggio esterno al suo eventuale governo, senza alcuna
chiamata di responsabilità diretta dei 5S. Bersani invece, racconta
un'altra storia e cioè che i grillini, fin dal primo momento, hanno
detto di no a un governo a sua guida. Chi racconta la verità, chi
mente? E il fatto che non ci sarebbe stata nessuna offerta “diretta”
di partecipazione attiva al governo, quando e dove è stato
stabilito? In quale luogo segreto gli ambasciatori plenipotenziari
del Pd e del M5S, hanno discusso di presenze grilline nel governo? E
perché Bersani avrebbe detto di no, visto che la maggioranza, a quel
punto, sarebbe stata schiacciante? Pd-Sel e 5S avrebbero avuto i
numeri per governare, eccome! Il problema, allora, è un altro. La
questione è che i 101 Zozzoni come hanno affondato Prodi, avrebbero
silurato un eventuale governo tutto di sinistra e Bersani questo lo
sapeva. L'appoggio esterno sarebbe servito solo a tacitare
politicamente l'anima inciucista del Pd e a null'altro, anche se
siamo convinti che nel segreto del voto di fiducia... A quel
punto Grillo ha detto, giustamente, vaffanculo. È ciò che avremmo
detto noi. Solo in questo caso specifico, e per niente altro,
chiediamo scusa a Grillo, ci abbiamo messo un po', ma alla fine...
PS. Se è vero che i fatti si sono svolti in questo modo, rivolgiamo a Beppe il caldo invito di cambiare immediatamente comunicatori e di fare un corso accelerato anche lui stesso-se medesimo. E' assurdo che un uomo di spettacolo come lui non riesca a farsi capire, ed è sconsolante vedere mezzeseghe che inseguono la bellezza delle parole, piuttosto che la sostanza.
venerdì 21 giugno 2013
Silvio e l'eterna partita a scacchi con la giustizia
Per
lui è come fare il concorrente di uno dei suoi demenziali telequiz.
Non risponde alle domande e pretende l'aiutino. La storia del
pronunciamento della Corte Costituzionale, contrario al
riconoscimento del legittimo impedimento per una udienza del processo
Mediaset, è costellata di stupidaggini di vario tipo e natura. Ma
tutto parte dall'intima convinzione che Silvio è un intoccabile, un
re, un uomo che non ha mai chiesto semplicemente perché tutto gli è
dovuto. Maurizio Lupi: “Se non è possibile convocare un consiglio
dei ministri senza chiedere il permesso al tribunale, un problema di
democrazia si pone”. E chi lo ascolta in tv ci crede pure. Non sa,
l'ignaro ascoltatore, che quel consiglio dei ministri era stato
convocato apposta per non andare in tribunale, una udienza
calendarizzata da tempo dagli stessi avvocati del Dux. Ascoltateli
attentamente, i pidiellini. Tuonano contro la magistratura ma, alla
fine, mica ci spiegano perché lo fanno. I cittadini si sentono
ripetere in continuazione che Silvio è un perseguitato. E, come per
i mantra, alla fine se ne convincono. Non importa che abbia commesso
reati. Non importa che di quei reati ci siano le prove. Non importa
che vige un principio per il quale tutti i cittadini sono uguali di
fronte alla legge. Non importa il vivere in un paese di diritto.
Quello che conta è ciò che si dice, non ciò che si fa (o si è
fatto). Michaela Biancofiore-Simbol d'amore, talmente infoiata di
Silvio che “per lui farei tutto, l'immaginabile e
l'inimmaginabile”, ha detto che se il suo Signore vuole, lei è
disposta a fare un esposto alla Corte Europea dei diritti umani di
Strasburgo, per denunciare l'accanimento giudiziario nei confronti
dell'ex premier. Non sa, la signora Biancofiore, che se inoltrasse
davvero quell'esposto, la Corte Europea sarebbe costretta a indagare
sul serio. E da un'indagine seria cosa potrebbe venir fuori se non
un'accusa di genocidio culturale di una intera nazione, cioè
l'Italia, nei confronti del suo mentore e padrone? Insomma, per la
gente del Pdl, Silvio non è un comune cittadino. Che sia il loro
benefattore e che grazie a lui finalmente siano riusciti a sbarcare
il lunario, è un dato di fatto. Ma non sembra che il servilismo,
anche quello più abietto, alla fine debba avere un limite? Lo dicono
e non lo dicono. Sentiteli i vari Capezzone, Brunetta, Prestigiacomo,
Gelmini, Santanchè, Verdini. Non riescono a trovare una sola
giustificazione alle loro accuse contro la magistratura e, assurdo
degli assurdi, ce ne fosse uno che dicesse a chiare lettere:
“Berlusconi è innocente”. Ciurlano nel manico, parlano perché
danno fiato alla bocca e sollecitano le corde vocali, ma la ragione
per la quale Silvio non si deve toccare, non ce l'ha spiegata ancora
nessuno. Il problema di questo paese è, da sempre, dalla fine del
regno della Balena Bianca, Silvio Berlusconi. Far finta che non sia
così sarebbe negare la storia al punto che, ne siamo convinti, senza
Berlusconi non sarebbe esistito neppure questo Pd che, di Silvio, è
una sbiadita fotocopia. Se il LettaLetta dovesse cadere (cosa che
Silvio non auspica perché teme come la peste bubbonica un accordo
Pd-Sel-Ex 5S), non sarebbe mica per i suoi procedimenti giudiziari,
ma perché l'IVA sale di un punto e l'IMU sulla prima casa non trova
pace. Tutte balle. Perniciose balle spazial-elettorali. E ci sono
ancora nove milioni di italiani che gli credono.
giovedì 20 giugno 2013
No legittimo impedimento? Ahi ahi ahi...E Silvio pensa al "bolscevico"
Che
strano paese! Uno (non uno qualsiasi) è condannato per un reato che
ha commesso e la colpa è dei giudici. Se non fossimo in Italia e non
stessimo parlando di Silvio Berlusconi I°, Imperatore di Arcore,
diremmo che in quel paese di cui trattiamo, vige uno strano concetto
e della democrazia e della distinzione tra i poteri dello Stato.
Diremmo che alzate d'ingegno simili, sono la conseguenza dei troppi
gradi di calore di quel parallelo, diremmo, insomma, che quella è la
classica democrazia delle banane. Ma li avete sentiti i pasdaran
berluschini dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale (la
Corte non emette sentenze, si pronuncia) ? Ci fosse stato uno, da
Capezzone a Gasparri, dalla Santanché alla MaryStar Gelmini, che
fosse entrato nel merito. Che abbia detto: “Il pronunciamento è
sbagliato perché il legittimo impedimento, essendo in corso una
riunione del consiglio dei ministri, era sacrosanto”. Macché! Una
delle ragioni per la quale Silvio è innocente è la seguente: “Lo
votano 9 milioni di italiani”. E 'sti cazzi? E Barabba, allora?
Certo, potrebbero dire i pidiellini, 9 milioni di cittadini sono
sempre di più del 65 per cento dei 19mila che hanno votato
l'espulsione della Gambaro dai FiveStars, ma non resta comunque un
motivo valido per assolverlo senza passare dal Via, quando lo si fa,
di solito si va in Prigione (mai giocato a Monopoli? No? Ahi ahi
ahi). Un'altra ragione è la seguente: “Silvio non può essere
condannato perché tiene in piedi il governo di emergenza”. Ma che
vi venga un bene. E all'emergenza, questo paese, chi diavolo ce lo ha
portato, Nonna Papera? Poi, da parte dell'esercito delle fedelissime
(una specie di raggruppamento stanziale di autoctone della Silicon
Valley), le motivazioni sono altre. Silvio non è condannabile perché
è “bello”, “affascinante”, “buono”, “umano”, “tutto
cuore” e paga sempre il conto (alla fine). Il succo di tutto questo
ragionamento, è che Silvio i reati li ha commessi, ma siccome lui è
lui (e gli altri non contano un cazzo, ecc. ecc.), tutto gli è
concesso: evadere le tasse, divulgare intercettazioni secretate,
andare a mignotte (minorenni), fare pressioni perché le mignotte
vengano rilasciate, mettere da parte castelletti in nero, giocare
alle scatole cinesi, trafficare in petrolio con amici e conoscenti,
affidare al fratello i “tutor” austostradali e il monopolio dei
decoder. Ma lui è lui. Punto. Dall'altra parte, c'è da prendere
atto delle lacrime neppure troppo nascoste dei pidini. All'uscita del
pronunciamento della Corte, non si è capito, infatti, se fossero più
dispiaciuti i pidiellini o gli uomini della sinistra che fu. Profilo
bassissimo, sia nelle dichiarazioni, che nelle manifestazioni di
solidarietà che sicuramente ci saranno state. Il più grande
inciucio degli ultimi 150 anni non deve finire qui. Non ora. C'è un
congresso da celebrare entro l'anno e andarci senza avere in mano
neppure uno straccio di presidente del consiglio sarebbe una iattura.
Dobbiamo sottolineare, però, il grande aplomb del Cavaliere, che
non sarà stato fatto “Cavaliere” a caso, o no? Silvio ha detto:
“Non importa, avanti con il governo”, accreditandosi come un
grande statista, mentre non è che il solito, spietato calcolatore.
Uscire fuori dal governo in questo momento, significherebbe non avere
nessun potere contrattuale e Berlusconi non se lo può permettere.
C'è un grande amico alla Cassazione e gli amici, si sa, per Silvio
sono sacri (e viceversa). Nel segreto delle sue stanze, circondato
dall'affetto dei suoi cari, a Silvio però un sospetto è venuto.
Comincia a pensare seriamente che quel “bolscevico” che siede al
Quirinale, non lo stia tutelando sufficientemente. “Se uno è stato
contaminato dal bolscevismo - pensa il Capataz – bolscevico resta.
Per tutta la vita”.
mercoledì 19 giugno 2013
“Cane da riporto”. “Zombie”. “Morti”. “Cretini”. “Cosetta dei Miserabili”. Continua il florilegio. E i grillini hanno scritto anche a me: “Il Che era un fucilatore di democratici. E tu sei un fesso”.
Mi
hanno lasciato in pace per un po', poi ieri sono esplosi e hanno
scritto. Siccome sono abituato a comportarmi diversamente dagli
“anonimi” che da sempre popolano il mio blog (nelle cose che
scrivo ci metto sempre il nome, il cognome e la faccia), mi sembra
giusto rendere pubblico il commento dell'anonimo grillino che ieri mi
ha onorato della sua presenza. Scrive il senza nome: “Scusa, visto
che coi fessi te la intendi, non potresti spiegare alla Gambaro che
invece di andare a parlar male di chi le ha fatto vincere le elezioni
poteva dare un segnale forte e chiaro dimettendosi dall'incarico. Ma
naturalmente non lo ha fatto e, come vedrai, confluirà nel gruppo
misto tenendosi tutte le spettanze, annessi e connessi! Ma
naturalmente i falchi (nel senso di occhio lungo) come te questo non
lo hanno visto, sarà la rete a pronunciarsi se ha ragione la Gambaro
(un mezzo) o Grillo (colui che volenti o nolenti, ha portato un'idea
nuova). Ah, un'ultima cosa, l'abluzione palatale dovresti farla
fare anche ai parenti di tutti gli uomini fatti fucilare dal Che
soltanto perché convinti che una rivoluzione cubana democratica era
possibile. Vivere con le fette di prosciutto sugli occhi non
serve a molto, fidati”.
La mia
risposta: “Chi sei e cosa proponi, si giudica da solo, compreso il
prosciutto sugli occhi e la scarsa conoscenza della storia della rivoluzione cubana.
Però non devo aggiungere nulla al tuo commento. Come vedi, qui si
commenta e si possono anche esprimere idee che non condivido. Io non
mi permetterei mai di censurare né te né nessun altro. Tu puoi dire
lo stesso? È solo una misera questione di confronto che, a quanto
pare, nel vostro caso è a senso unico. Puoi rispondermi e io ti
risponderò. Non occorre insultare, basta parlare”. Fidati.
Ho
letto il commento dell'anonimo ieri sera, dopo che le agenzie di stampa avevano
battuto la notizia della richiesta di espulsione anche per Paola
Pinna. L'impressione che ne ho ricavato è stata quella di una
sgradevolezza che ho covato per un po', poi ho risposto. Credo che
nei grillini la Storia sia un optional. Come considerare altrimenti
la sparata su Che Guevara che, quando si accorse che la rivoluzione
cubana stava prendendo una piega che non gli piaceva, se ne andò a
combattere per la libertà dell'Angola? È un po' il refrain della ex
capogruppo alla Camera, l'onorevole Lombardi, che disse che i
“fascisti erano persone con un grande senso dello Stato”,
manifestato poi con le leggi a tutela della razza “ariana”... in
Italia!!!
Che il
M5S fosse un raggruppamento eterogeneo, unito solo dal leader (come
Tito la Jugoslavia e Stalin l'Unione Sovietica), lo sapevo, era
evidente. Ma che scambiare la gratitudine per servilismo fosse una
conditio sine qua non, ebbene, questo non lo avrei mai immaginato. Con
l'anonimo grillino, che ha avuto la bontà di scrivermi, concordo su
un solo punto, quello che “ volenti o nolenti, Grillo ha portato
un'idea nuova”. Infatti, era talmente nuova la sua idea di
“rabbia”, che ci sono cascato anche io e l'ho votato. Certo, se
avessi saputo che il mio voto avrebbe contribuito a eleggere Roberta
Lombardi, e la sua bizzarra idea sul fascismo, magari non lo avrei
fatto, però è accaduto e ora, basta rimpianti, anche se il “Che
fucilatore”, grida ancora vendetta. Ormai nei 5S si espelle a ogni
piè sospinto. “Hai alzato un sopracciglio a una frase di Grillo?
Vaffanculo!” È di ieri l'ultima: “Pippo Civati è un cane da
riporto”. Ma possibile che il Pippo sia un cane e gli evasori
fiscali totali della Marca che hanno sostenuto il Movimento, dei
galantuomini? Non sarà che, come nel Pdl, se non lecchi un po' sei
fuori?
martedì 18 giugno 2013
Fuori la Gambaro. Meglio di Danton, peggio di Robespierre, Marat non pervenuto. Vabbè che son Cittadini, ma la ghigliottina no!
Il
clima dentro i 5S è terribile. O i Cittadini hanno perduto
definitivamente la testa (causa i primi, feroci caldi) o la testa non
l'hanno mai avuta. Violenti, volgari, minacciosi, ripiccosi,
permalosi fino allo sfinimento, devoti al loro capo, tanto che
organizzeranno a Roma (esattamente come i pidiellini a Brescia), una
manifestazione a sostegno di Beppe Grillo che, questa vicenda della
senatrice Adele Gambaro, l'ha messa proprio sul personale, i Cittadini parlamentari miracolati la stanno buttando giù dura, e
adoperano termini che uno mai si aspetterebbe da bravi ragazzi come
loro. Ma andiamo per ordine e illustriamo quanto sta succedendo. Ieri riunione dei gruppi parlamentari dei 5S. Un unico punto all'ordine
del giorno: l'espulsione della senatrice Adele Gambaro, neo-rea di lesa maestà.
La prevista diretta streaming, per volontà dell'assemblea, e non per
un guasto tecnico, non c'è stata: è buona solo per sputtanare
Bersani. Crimi, che evidentemente conta ancora molto, ha votato subito per
il sì. Lo ha seguito Morra, lo hanno seguito gli irriducibili, quelli che per
il Capo (esattamente come i pidiellini) lo darebbero via anche per
poco. Adele Gambaro si è fermata in assemblea un'ora, ha letto una
dichiarazione nella quale ha affermato che le dispiace tanto, ma non ha fatto un
passo indietro: nessuna scusa a Grillo anzi, le pretende. Finita la
lettura, la senatrice ha alzato i tacchi e se n'è andata. Sono iniziate le
rappresaglie. Manlio Di stefano se la prende contro la sarda Paola
Pinna, la cui unica colpa è stata quella di aver spezzato una lancia
a favore della collega Gambaro. E sapete cosa le dice quel gran pezzo
di gentiluomo di Di Stefano: “La Pinna è una Cosetta dei
Miserabili laureata, disoccupata, che viveva con i genitori a
Quartuccio Cagliari e che con 100 voti 100 è diventata deputata al
parlamento. Invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina,
sorge in difesa di certa Gambaro, una miracolata che si crede Che
Guevara”. Dunque, a parte il fatto che prima di nominare il Che, Di
Stefano, perfetto sconosciuto, dovrebbe fare un'abluzione palatale,
ma cosa significa che la Pinna era una “laureata, disoccupata, che
viveva con i genitori”? Che era una merda? Grande Cittadino questo
Di Stefano, e grazie a nome dei giovani laureati, disoccupati e che
vivono con i genitori. E poi, spargere i petali di rosa dove cammina
il Capo, non l'abbiamo sentito già da una certa Nicole Minetti e da
una marocchina-egiziana di nome Ruby? Il sospetto che il M5S sia
frequentato da loschi figuri, trova però la conferma nel post che
tal Maurizio Buccarella, senatore, pubblica su FB. Leggete che
linguaggio guerrafondaio e truculento: “Dopo quasi 20 ore di riunioni di gruppo svolte negli
ultimi giorni, sotto l'assedio mediatico della stampa nemica (“Taci
il nemico ti ascolta”, lo diceva Benito, nda) che, percepito
l'odore del sangue, si avventa come un branco di squali per
distruggere e dividere i parlamentari fra loro, e fra loro e Grillo,
oggi avremo finalmente l'opportunità di sentire dalla diretta voce
della collega, che ha ben pensato di eclissarsi fino ad oggi dalle
suddette riunioni sfinenti, il suo pensiero e le sue intenzioni”. A
parte il fatto che vorremmo sommessamente consigliare al senatore
Buccarella la frequenza di un corso intensivo di italiano per
emigrati, resta lo sgomento per una dichiarazione che manco Badoglio
prima del 20 settembre. Poi, sorpreso, sempre Buccarella si chiede
perché la senatrice Gambaro si sia eclissata. Evidentemente ha
rinunciato alla scorta della Digos, o no? Comunque, tanto per
gradire, sembra che lo staff grillino, quello composto dai
fedelissimi, abbia già pronti i dossier per sputtanare gli eventuali
scissionisti. Altro che Muzio Scevola, quella cazzo di mano destra ce
la dovremmo tagliare direttamente. E senza passare dal via.
lunedì 17 giugno 2013
Maroni si 'grillizza'. E come il leader del M5S rischia la scissione.
Il M5S
doveva essere la fotocopia del fenomeno Lega di qualche anno fa. La
differenza è che la Lega impiegò un po' di tempo per esplodere,
mentre il Movimento di Grillo è esploso subito. Al primo colpo. Mai
la Lega ha avuto 9 milioni di voti però, quelli che ha avuto, li ha
sfruttati alla grande, 'magnando' a più non posso una volta che
l'aria contaminata di Roma li aveva contagiati. Sull'orlo della
disperazione, e pensando che alzando il tono della voce le lancette
dell'orologio potessero tornare indietro, Maroni ha smesso i panni
del tastierista di piano bar, per indossare quelli del cacciatore di
teste dissenzienti. E nell'ordalia c'è finito pure il fondatore,
padre putativo e naturale, leader maximo incontrastato del
raggruppamento dei baluba nordici che fu la Lega Nord. A Umberto
Bossi, detto il Senatùr, Bobo Blues non le ha mandate a dire.
Esattamente come per i 5S, in cui uno è uguale a uno meno il capo
che è di più, Maroni, constatata l'assenza di Bossi all'Assemblea
Federale che doveva indire il congresso, è sbottato: “Deve portare
la giustificazione, cazzo! Umberto è uguale agli altri”. Ora, a
parte che ci farebbe scompisciare dalle risate vedere Bossi che va a
via Bellerio accompagnato dai genitori, ma l'impressione che
ricaviamo dal Maroni 'tosto' è che la disperazione stia tracimando,
che le idee dei vichinghi adoratori di Odino non siano mai state
tanto confuse e che l'essere ridotti ormai a un prefisso del telefono, abbia fuso le ultime bronzine di un motore ingolfato e resa inabile
l'unica sinapsi, desolatamente vagabonda, che gira ancora in cervelli
spappolati dalle bistecche d'orso. Cacciata a pedate (della cosa però
non si hanno notizie certe né una documentazione ufficiale),
l'istigatrice degli stupri etnici, Dolores Valandro, ascoltata la
dichiarazione delirante di Borghezio contro Nigel Farage, reo di
averlo espulso dal gruppo europeo del quale faceva parte, con il
partito in piena crisi di identità, Maroni ha deciso di fare il
'Grillo' e di mettere mano alle espulsioni di tutti i dissidenti, di
coloro cioè che si rifiutato di sottostare ai suoi ordini
demenziali. E per dare concretezza alle minacce, Bobo Blues ha
congelato il congresso, rimandandone la convocazione all'assemblea
federale di settembre quando, secondo lui, il repulisti nella Lega
sarà completato e gli oppositori tacitati o cacciati. Rischia anche
Bossi del quale sia Fabio Rainieri che in modo più velato lo stesso
Tosi e perfino Calderoli, hanno chiesto la testa. L'accusa è quella
di non essere più “motivo di attrazione di voti”. Insomma Bossi,
dopo gli scandali che hanno coinvolto la sua famiglia, fa scappare i
leghisti facendoli confluire nel M5S dove, considerate le posizioni
di Grillo sullo 'ius soli', dicono abbondantemente la loro. E a
proposito di 5Stars, o di pentastelluti, c'è da registrare il fatto
che oggi si terrà il processo per direttissima contro la senatrice
Gambaro, rea di aver dato tottò sulle manine del Capo chiedendogli
di moderare i toni. Gli strateghi di Gaia stanno disponendo in campo
le forze. Sanno di essere in maggioranza e, avendo il vezzo di
vincere facile, probabilmente stringeranno nell'angolo la senatrice.
C'è da dire che la Gambaro, niente affatto impaurita, ha detto
chiaro e tondo che se Grillo non smette di minacciarla lo denuncerà
e la stessa cosa farà con i colleghi che alzeranno i toni o, nella
peggiore delle ipotesi, le mani. Secondo le regole del non-statuto,
oggi l'assemblea dovrebbe decidere sull'espulsione della senatrice ma
la parola finale dovrebbe toccare alla Rete, a quei tremila
registrati ufficiali nel blog di Grillo, che non si sa bene né
perché, parlano a nome di tutti i cittadini italiani. A prescindere
dall'arroganza di una pretesa che non sta in cielo né in terra,
visto che non ci sentiamo manco p'o' cazzo rappresentati da loro,
anche il ridottissimo “popolo del web” dovrebbe votare per la
cacciata della Gambaro. Grillo non lo sa, o forse sì, ma è già
pronto lo statuto dei nuovi gruppi parlamentari dei “dimissionari”
dei 5S. “Meglio pochi ma buoni”, tuona ancora Beppe che se la
prende un'altra volta con i giornali e i giornalisti, il rischio è
che quei pochi diventino “nessuno”. Ma noi siamo nati soli e soli
vogliamo restare.
domenica 16 giugno 2013
Il terrore di LettaLetta di perdere la poltrona. E domani è il giorno pentastelluto del redde rationem.
Che
LettaLetta ci tenga da matti a fare il presidente del consiglio, lo
si capisce dalla postura che assume quando parla in tv. Enrichetto si
sente tanto capoclasse. Muove le mani come se stesse dirigendo le sue
parole come una sinfonia. Alza gli occhi al cielo come se ogni volta
dovesse spiegare a una manica d'ignoranti il senso dei provvedimenti
che intende(rebbe) adottare. Si dice: “Minchia quanto sono bravo!”,
ma intimamente. Deve essere bello suonare il campanellino d'argento
per iniziare un consiglio dei ministri e, ancora più bello, farlo
per finire, farsi scortare a casa e raccontare alla moglie il peso di
una giornata da statista. Non lo dà a vedere, Enrichetto, però
questa cosa non solo lo appaga, ma lo rende orgoglioso di sé e di
tanta, democristiana grazia. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se
reagisce malissimo alle parole che Guglielmo Epifani si lascia
scappare a Parigi: “Non sta scritto da nessuna parte – ha detto
il segretario dei pidini – che se cade il governo si debba tornare
per forza a votare”. Come dire: “Caro Enrico, io ti stimo
tantissimo (come la signora Pina rispose a Fantozzi quando lui le
chiese se l'amava, nda), ma se ci capita l'occasione per non
continuare ad avere rapporti contronatura, noi vorremmo
approfittarne”. Pronta la reazione di LettaLetta, il quale teme
come la peste bubbonica, una eventuale alleanza Pd-Sel-NewFiveStars,
che lo manderebbe a casa in un giro di valzer asburgico. Enrichetto
dice: “Non si fa così, però. Non si spara a pallettoni contro il
governo di unità nazionale nel quale passano sono gli argomenti non
divisibili della destra. Siete dei maramaldi”. E poi, alzando la
cornetta del telefono: “Pronto, zio? Aiutami tu”. Ecco,
LettaLetta ha capito che potrebbe avere anche meno dei 18 mesi
previsti dal presidente della repubblica, (che poi smentisce
indignato il suo pensiero e le sue dichiarazioni manco fosse Silvio),
e guarda con una fifa blu nei pantaloni, quanto accadrà domani dalle
parti del Movimento5Stelle. Beppe Grillo lo sa, tira aria di burrasca
o, per meglio dire, di scissione dolorosa. Stanno venendo fuori tutti
i mal di pancia di quel gruppo miracolato di cittadini comuni, che in
queste ore si stanno dicendo: “Cittadini comuni sì, uno vale uno
sì, ma proprio coglioni no!” C'è chi tenta di gettare acqua sul
fuoco e chi tende a mettere mano a una tanica di benzina ma, quello
che sta accadendo dentro i 5S, è che la decisione di espellere o
meno la senatrice Gambaro, non sarà senza effetti collaterali.
Comunque vada, si è sputtanato l'ennesimo sogno di una paese di
zozzoni.
sabato 15 giugno 2013
Le quattro morti dell'anarchico Giovanni Passannante. Storie per non dimenticare
Degli
ordini del giorno dei “quattro dell'Ave Maria” europea ci
interessa poco o nulla. Strombazzata ai quattro venti come l'evento
dell'anno, la riunione dei premier di Italia, Francia, Germania e
Spagna (sembra una vecchia barzelletta ma non lo è), avrebbe dovuto
rappresentare il primo passo concreto per porre un rimedio alla
disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Ne è venuto fuori il
solito 'beneintenzionario' che non approderà a nulla. LettaLetta ne
ha guadagnato in immagine, ma finisce tutto qui, tranquilli ragazzi,
forse ci penserà lo zio. Della storia di Giovanni Passannante,
invece, ce ne ha parlato ieri sera Andrea Satta dei Têtes
de Bois, arrivati dalle nostre parti per il Festival dedicato a Léo
Ferré. La vicenda dell'anarchico che morì quattro volte, iniziata
il 17 novembre del 1878 con l'attentato al re d'Italia Umberto I° di
Savoia, si è conclusa solo nel 2007 quando, con un atto di 'umana
pietà', quello che era rimasto di lui, il cervello, venne finalmente
deposto in una tomba. Perché tirarla fuori oggi? Lo capirete alla
fine del post. Dunque. Passannante era un anarchico e in quel tempo,
il nemico numero uno degli anarchici di tutto il mondo era il Re,
l'emblema dello Stato da abbattere. Passannante era l'ultimo di 10
figli, di cui quattro morti 'per fame' in tenera età. Con una mano
invalida a causa dell'acqua bollente, il futuro anarchico riuscì a
finire la prima elementare poi, tutto il resto, lo fece da sé. Leggi
che ti leggi, studia che ti studi, Passannante abbracciò l'anarchia
e si mise in testa di far fuori il Re. L'occasione arrivò, appunto,
il 17 novembre, a Napoli. Il mingherlino invalido, saltò addosso a
Umberto I° brandendo un coltellino (non una mannaia) con il quale
riuscì a ferire sua maestà al braccio sinistro: incolume la regina
Margherita alla quale i napoletani avevano dedicato una pizza. Da
quel momento inizia un calvario che finirà solo più di un secolo
dopo. Condannato a morte, per grazia del Re la pena venne commutata
nell'ergastolo da scontare nel carcere di Portoferraio, sull'Isola
d'Elba. Nel frattempo, però, tutta la famiglia di Passannante era stata giudicata “folle” e rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa.
Il Re, incazzatissimo, cambiò perfino il nome del paese natio
dell'attentatore, da Salvia in Savoia, a futura memoria e monito.
Passannante trascorse quattordici anni in isolamento. In una cella
più bassa della sua altezza. Legato a una catena di venti centimetri
fissata al muro. In quelle condizioni, si ammalò di tutte le
malattie possibili, fino a diventare cieco e impazzire subito dopo.
Da pazzo, venne trasferito nel manicomio criminale di Montelupo
Fiorentino dove, il 14 febbraio 1910, morì. Uno dice: 'è morto,
finirà qui'. Invece no. Sempre come monito a futura memoria, al
cadavere di Passannanti fu mozzata la testa, mentre il resto del
corpo venne dato in pasto ai cani. Messo sotto formalina, il cervello
dell'attentatore, in ossequio alle teorie lombrosiane, venne portato
a Roma per essere esposto al Museo Criminologico dove è rimasto fino
al 2007. Cosa è accaduto nel frattempo? È successo che un manipolo
di inguaribili e un po' romantici anarchici italiani, si mettesse in testa di dare a quel cervello una degna sepoltura, di riportalo a
casa e seppellirlo come ogni essere umano quando se ne rispetta la
dignità. Quel manipolo, fra cui Andrea Satta e Alessandro De Feo
dell'Espresso, portarono avanti interrogazioni ministeriali a tutto
spiano, ricevendo una serie di 'no' immaginabili e qualche 'ni' meno
atteso. Castelli disse no. Mentre i ni arrivarono da Diliberto e pure
da Rutelli, investito della questione come ministro della cultura.
Nonostante si fosse addivenuti a un accordo, fino alla fine Passannanti (o quello che restava di lui), ha dovuto vedersela con il
pregiudizio anti-anarchico. Così, mentre in molti si aspettavano uno
straccio di cerimonia pubblica per un atto di giustizia così
tardivo, il sindaco di Savoia (Salvia) di Lucania, ha preferito
adottare il low-profile, con una sepoltura fatta quasi di nascosto e
in silenzio. Come vedete, cari amici e lettori di questo blog
“birichino”, quando si parla di diritti umani e di rispetto della
dignità dell'uomo, le chiavi di lettura possono essere molteplici.
Così come tante e variegate sono le posizioni sulle “morti che
rendono tutti uguali”. Sarà anche vero, ma dipende dai punti di
vista. Soprattutto dipende se i corpi sono stati gettati o meno in
pasto ai cani o passati per le armi davanti a un plotone di
esecuzione. I morti non sono tutti uguali, lo sapeva il ministro
Castelli, lo sapevano Diliberto e Rutelli. L'unico a non saperlo
resta Luciano Violante. E poi uno si chiede perché Tremaglia corse
ad abbracciarlo.
venerdì 14 giugno 2013
Siamo sicuri che il Pd ha capito cos'è successo e cosa sta succedendo? Oh, che amara vicenda è la vita! Il prefisso telefonico della Lega razzista è sempre vivo: pochi ma pessimi.
Inutile
dire che al Partito Democratico abbiamo guardato da sempre con
attenzione e interesse. Inutile dire che l'idea che fu di Prodi,
quella di un grande partito progressista all'americana, per alcuni
aspetti ci affascinò. Poi arrivarono D'Alema (che si alleò con
Kossiga, Mastella e Dini e dichiarò Mediaset “patrimonio culturale
nazionale”, rubando il mestiere all'Unesco); Violante (che disse
che i morti sono tutti uguali e che nessuno avrebbe toccato le
imprese del Cavaliere); Veltroni (che fece una campagna elettorale da
premier senza nominare mai Berlusconi, ma prima aveva trombato il
Prodi2); Bersani (che non ha capito una mazza sbagliando una corsa a
Palazzo Chigi da vincente dichiarato); Renzi (che va ad Amici e
pranza ad Arcore con Silvio); LettaLetta (che tutto è meno che un
pidino ma la peggiore riedizione del doroteismo) e poi tutti gli
altri teodem che, arrivato Francesco al soglio papale e sull'orlo del precipizio
Bertone, stanno cercando di riposizionarsi dalle parti dei
neocatecumenali (almeno questi pregano e non fanno danni). Il fatto è
che il Partito Democratico, ringalluzzito da amministrative nelle
quali si sono affermati i non-ortodossi alla Marino, sta
ripercorrendo gli errori di sempre: litiga. Litigano tutti con tutti,
anche quando non serve. Perché litigare, il Pd ce l'ha nel dna. Ora
il problema, per i democrat, è come organizzare il prossimo
congresso. Chi deve votare? Quanti devono votare? Dove devono votare?
Segretario anche premier naturale o no? E poi. Possono votare anche
gli animali? Solo quelli con il microchip sottopelo o anche le rane
del laghetto dell'Eur? I Rom dei campi della Capitale hanno diritto
al voto libero o devono prima pagare la tessera? I clochard milanesi
e i commercianti di Ballarò a quale circolo devono iscriversi? E poi
ancora. Veltroni lancia Renzi (che lo ha rottamato), però gli dice
“Sii più profondo, non fare solo battute”. Dai Matteo che ce la
puoi fare, se la profondità veltroniana è quella dei suoi romanzi,
ce la puoi fare anche tu. D'Alema sta appollaiato sul ramo e si sente
bene, una rivisitazione jakubiskjana, da cinema creativo dell'Est
degli Anni '80. Maximo tace, ma solo per il momento, vuole vedere
come si sistemeranno le truppe in campo, prima di sfogliare per la
centesima volta Sun Zu (nelle altre 99 non ci ha capito una mazza) e
decidersi come combattere la personale battaglia di sopravvivenza
politica. Secondo noi, nel Pd c'è un solo nodo da sciogliere, un
solo passo politico da compiere: scovare i 101 zozzoni che hanno
trombato Prodi. Stanarli tutti, uno per uno, sottoporli a giudizio
berijano e buttarli fuori. Assisteremmo al più grande rinnovamento
politico e generazionale di un partito che governerebbe almeno per
ventanni, proprio come Silvio. E poi, diciamolo, le espulsioni sono
all'ordine del giorno. Lunedì sarà il turno della senatrice
fivestar, Gambaro. Il capo è stato perentorio e ha posto l'aut aut:
“O lei o io” e i leccapiedi sceglieranno lui. Ieri, senza appello
e senza possibilità di replica, è toccato alla consigliera leghista
del comune di Padova, Dolores Valandro. Una donna, anche se della
Lega, sempre una donna dovrebbe essere. E sentire una donna dire di
un'altra donna: “Perché nessuno la stupra?”, parlando della
ministra Kyenge, è un abominio. Piccole Borghezio crescono, piccole
Gentilini prosperano. Meno male che la Lega non esiste più,
altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi.
giovedì 13 giugno 2013
Grillo 'il Suscettibile': “Mi viene voglia di mollare tutto”. E mentre arrivano i primi fischi al governo LettaLetta, qualcuno si chiede che fine abbia fatto Preiti.
Rifacciamo
ogni volta una premessa, altrimenti qui si corre il rischio di
passare per i soliti sfascisti o, peggio, per governativi mascherati
da agit-prop. Il M5S lo abbiamo votato, proprio così, sembrerà
strano ma è accaduto. Non sono 9 milioni gli italiani che si sono
rotti le palle delle “caste”, ma 9 milioni e 1, il sottoscritto.
Quindi, parliamo (e scriviamo) da delusi, non da frustrati
stipendiati dal Pd+l, è chiaro mo'? Sarà perché i capi e i
capetti, specie se alzano la voce e non argomentano, ci stanno sui
cabasisi da sempre, a maggior ragione non sopportiamo i capi-bastone
che, dei primi, sono i servi e i leccaculi. Per cui, se la senatrice
Gambaro dice con tono niente affatto offensivo, e con una pacatezza
estrema: “Magari Beppe poteva evitare un po' di toni forti sul suo
blog”, non è che abbia detto al leader “cornuto”, gli ha
semplicemente espresso la sua opinione sugli attacchi virulenti
contro un'altra donna, nel caso specifico, la presidente della Camera
Laura Boldrini. Che poi il comico sia una persona estremamente
permalosa, crediamo sia un dato di fatto inequivocabile, ma da qui
agli insulti della peggior specie e alle minacce fisiche, ce ne
corre. E non è un caso che la Digos abbia chiesto alla senatrice se
avesse bisogno di una mano. Nei confronti dei suoi parlamentari,
Grillo ha gli stessi atteggiamenti di Silvio Berlusconi. Sono uguali,
come se i padroni dei partiti personali fossero fatti tutti con lo
stesso stampo. Silvio considera i suoi delle merde miracolate. Lo
abbiamo sentito spesso dire “Senza di me non saresti nessuno”, a
Fini glielo ha ripetuto fino allo sfinimento. E lo stesso fa Grillo e
lo stesso, un refrain insopportabile, fanno i suoi più intimi
“tirapiedi”, gli “osannatori” di professione. Casalinghe,
disoccupati, cassintegrati, co.co.co. che arrivano a occupare uno
scranno parlamentare per merito solo del padrone, non possono/devono
avere posizioni diverse da quelle della mano che li ha miracolati.
Per cui non si capisce, alla fine, che differenza ci sia fra i
deputati che hanno votato la cittadinanza egiziana di Ruby e quelli
che, incapaci di intendere e di volere, devono portare avanti solo le
linee dettate da uno smanichettatore di mouse, oltreché picchiatore
violento delle tastiere dei pc. Che differenza c'è, caro Beppe, fra
Bondi e Morra? Spiegacelo perché ci piglia male. In tre mesi, Grillo
ha distrutto un sogno, e questa è una colpa imperdonabile. Poi c'è,
per chiudere un argomento che sta diventando penoso, che almeno nei
nostri confronti, non regge neppure la tesi che chi pensava a un
accordo con il Pd, ha sbagliato a votare per i 5S. Noi infatti
abbiamo sempre creduto che i grillini dovessero tenere puntata una
pistola (metaforica) alla tempia di Bersani, con l'intenzione di
premere il grilletto non appena il Pd avesse preso una decisione non
in linea con le proposte del Movimento. Ma forse la nostra è stata
solo una pia illusione, finita fra un cittadino e l'altro, un mal di
pancia e l'altro. Colpisce, ma neppure tanto, la dichiarazione di
Claudio Messora, comunicatore dei FiveStars, che a proposito della
mattana di Luigi Preiti davanti a Montecitorio, ha dato una lettura
dell'accaduto, secondo noi, niente affatto peregrina. Dice Messora:
“Preiti è stato armato dalla 'ndrangheta. Il suo è un
avvertimento della criminalità organizzata alla politica”.
Ovviamente, non sappiamo a che punto siano le indagini, ma un
sospetto ci era venuto da subito (maledetta letteratura gialla), dopo
aver appreso che Luigi Preiti era sommerso dai debiti (di gioco). Chi
tiene in mano, oggi, in Italia il gioco d'azzardo e non? Chi gestisce
il 99 per cento delle sale da gioco sorte come funghi (tali e quali
ai “Compro oro”), sul territorio nazionale? Chi
tiene, letteralmente, per le palle cittadini e cittadine che si sono
rovinati con le slot-machine e i video-poker? Chi, in cambio della
vita e della remissione dei debiti, non si farebbe qualche anno di
galera pur di uscire dall'incubo del ricatto malavitoso continuo? La
disperazione, si sa, è una pessima consigliera, oltreché un potente
stimolo a delinquere. Chi ci dice che la 'ndrangheta, la mafia o la
camorra non abbiano un esercito di disperati pronti a colpire tutti,
in qualsiasi parte, in ogni momento? Possibile che dopo due mesi le
indagini siano a zero e che Preiti sia solo un pazzo? O è possibile
che sia iniziato l'ennesimo trattatuni in un paese che tratta su
tutto, perfino sul prezzo della mamma?
mercoledì 12 giugno 2013
Silvio patrimonio dell'Unesco, Hitler della Fao, Erode dell'Unicef. Quando l'amore va oltre la storia. Il M5S verso la dissoluzione: peccato, un sogno breve
Poteva
essere e non è stato. 9 milioni di voti gettati al vento, anche se
per un pugno di irriducibili sono stati un miracolo. Il M5S, o almeno
la rappresentanza dei cittadini in Parlamento, si sta lentamente ma
inesorabilmente (come la marcia vittoriosa di Pomezia e Assemini)
polverizzando. La riprova è nella spaccatura che si è registrata
per la nomina del portavoce grillino al Senato. In lizza Nicola
Morra, 5S ortodosso, fedele osservante della linea del leader, e Luis
Orellana, 5S più colomba, portato al dialogo, forse più realista
del suo concorrente diretto. L'ha spuntata per due soli voti (24 a
22) Nicola Morra. Ma non sono i due voti di scarto a far discutere, ma
il fatto che la dicono lunga sull'aria che tira nel Movimento, aria
grigia di spaccatura, aria di rivolta, richiesta di autonomia sì ma
anche di possibilità di esprimersi liberamente. Ultimo caso, quello
della senatrice Adele Gambaro che su SkyTg24 ha provato a dire,
“Forse Beppe ha sbagliato i toni degli ultimi post sul suo blog”,
beccandosi una serie di insulti che manco fra i camalli del porto di
Genova. Trattandosi di una donna, Beppe non le ha detto espressamente
“vaffanculo” ma glielo ha fatto gentilmente capire: “Se ne
vada”. Causando immediatamente le reazioni dei cittadini lettori
del blog che l'hanno apostrofata con la serie di insulti seriali che
ormai contraddistinguono le parole dei dissidenti: “Vai via”,
“Quanto ti hanno dato”, “Venduta” e così via. Sul
post-ideologismo di Grillo, ma soprattutto di Casaleggio, ci sarebbe
da discutere parecchio. Secondo il “guru” il nuovo mondo dovrebbe
nascere dal caos, dal nulla: un agglomerato sociale e politico nuovo
di zecca. Disconoscendo il 25 aprile, i pentastelluti hanno
dimostrato di seguire alla lettera le indicazioni di Casaleggio,
niente storia alle spalle, solo un futuro da costruire partendo dal
caos. Peccato che lo stesso percorso lo abbia seguito, più
sottilmente, Silvio Berlusconi, anche se solo per ridare una
verginità ai fascisti. E, meno sottilmente Joseph Goebbels che,
conquistato il Reich, pensò di cancellare la storia patria bruciando
tutti i libri. Però, il Movimento5Stelle è in ballottaggio a Ragusa.
Minchia!
Non
abbiamo parole per commentare l'ultima sortita di Michaela
Biancofiore, quella fatta secca dal Ministero per le Pari opportunità
dopo le uscite omofobe sui gay. Durante la trasmissione
“KlausCondicio”, ha detto senza provare nessuna vergogna: “Se
fosse possibile, Berlusconi lo farei patrimonio dell'Unesco, ma anche
dell'Italia e di tutti gli italiani” (tradotto: “Silvio sarebbe il mio ideale patrono d'Italia, altro che San Francesco”). E ha aggiunto:
“Purtroppo non si può fare. Io, piuttosto che il berlusconismo,
credo sia da candidare direttamente Berlusconi perché penso che non
ci sia uomo pari a lui nella storia, da molto tempo”. Amen. E
questo è amore. Dopo una sparata simile, se fossimo nei panni di
Silvio (ma non lo siamo), reagiremmo con fastidio pari a quello
dell'allontanare una mosca particolarmente insistente. Forse perché
non abbiamo mai amato (anzi...), chi ha tentato di leccarci il culo
con una piaggeria e una mielosità da deficienti, una frase del
genere, che non significa nulla in termini ma molto nella sostanza,
ci farebbe sobbalzare fino a farci firmare di corsa un esposto
pro-Tso al sindaco. Capiamo l'amore, capiamo l'invaghirsi di
personaggi potenti, capiamo che i Baci Perugina hanno introdotto un
lessico da teneroni blues, ma a tutto c'è un limite, porco boia.
Evidentemente, la signora Biancofiore (simbol d'amore), deve essere
rimasta colpita dalla dichiarazione di Nicole Minetti al tribunale di
Milano: “Io – ha detto la ex consigliera regionale della
Longobardia – di Silvio ero innamorata davvero”. E ha pensato,
invidiosa, di non poter restare indietro anche se, poverina, della
Minetti non ha né il fisico né, a questo punto, l'intelligenza
acuta. A Nicole, Silvio ha regalato un condominio, a Michaela solo un
seggio in Parlamento.
martedì 11 giugno 2013
Un cappottino fresco di sartoria. 16 a 0 nonostante il Pd e senza vergognosi “aiutini esterni”. Pomezia ai 5S. Grillo: “Lentamente stiamo arrivando”.
Partiamo
dalla fine. Il M5S realizza uno splendido risultato. Dati per
vincenti (o almeno ai ballottaggi) un po' dappertutto, i
pentastelluti devono accontentarsi di Pomezia e Assemini, centri
strategici per le sorti della nazione, che rappresentano veri e
propri punti nevralgici della politica economica del Paese. In attesa
dei risultati siciliani, regione nella quale, lo ricordiamo, il M5S è
il primo partito, Beppe Grillo ha commentato così il risultato
ottenuto nella cittadina laziale e nella sarda: “È
stato un trionfo. Lentamente ma inesorabilmente stiamo arrivando”.
Che ci ha richiamato alla memoria i commenti dei vecchi democristiani
quando il Pci di Berlinguer gli stava facendo vedere i sorci verdi.
Poi sono arrivati anche i risultati dell'Isola, e il clima non è
affatto cambiato. Al ballottaggio solo a Ragusa. Ma anche questo è
un trionfo. In Italia, siamo ormai abituati al peggio, per cui basta
poco per volare. In questo caso un ballottaggio senza speranza di
vittoria, ma almeno si corre ancora un po'. Sconfortanti i dati dei
5S che, in un colpo solo, hanno perso 25 punti (di media) a Catania
(da 30 a 3) a Ragusa (da 40 a 15) mentre nelle altre città capoluogo
non hanno sfiorato neppure il 10 per cento. Queste amministrative
sono state un cappotto, ben confezionato come quello di Cary Grant,
giunto al momento opportuno, visto che l'estate non arriva e il
freddo polare della crisi sta rosicchiando le ossa degli italiani.
Certo, non è minimamente paragonabile a quello del Pdl alle elezioni
politiche del 2001, quei 61 deputati e senatori a 0, con i quali
Silvio fece vergognare il Pd di esistere, ma è pur sempre una bella
soddisfazione, ottenuta per altro con un partito che continua a
esistere solo per la base organizzativa che ha e perché gli altri,
onestamente, fanno proprio schifo. Ma mentre a Roma la sconfitta di
Alemanno (peggio di lui nessuno), poteva essere data quasi per
scontata, i risultati di Brescia e di Treviso, dimostrano in maniera
inequivocabile che: a) la Lega non esiste più; b) il Pdl è solo
Silvio. La dimostrazione che le elezioni politiche siano state
l'ultimo miracolo possibile per un partito, e un uomo figlio ormai di
se stesso, c'è stata ieri, con una sconfitta che non ha precedenti,
neppure una casella da riempire con la bandiera delle Libertà,
neppure un destrorso a sedere sulla poltrona di sindaco. Ma ci
pensate? Dopo venti anni di dittatura xenofoba totale, Treviso ha
pensionato l'ex X-Mas Gentilini. Il pistolero, lo sceriffo delle
bollicine, sconfitto dai suoi concittadini, ha dichiarato
laconicamente: “È finita
un'epoca. Basta, mi ritiro”. Giunto a 84 anni, di cui gli ultimi 20
trascorsi a cannoneggiare i negher, Gentilini deve mollare,
abbandonare, chinare il capo fiero del suo essere fascista, del “mi
spezzo ma non mi piego” che tanti lutti ha causato a una nazione di
imbelli. Intervistato subito dopo l'esito del ballottaggio, il neo
sindaco del centrosinistra, Giovanni Manildo, ha parlato di una
Treviso che si è riappropriata di se stessa, omettendo di dire che
il primo atto che farà, sarà quello di disinfestare l'ufficio del
sindaco, iniziando dai busti di Mussolini con i quali Gentilini
accoglieva sorridendo gli ospiti. In casa Pd è iniziata la rincorsa all' “ho
vinto io”. La voglia di mettersi medaglie, per chi è abituato a
perdere, è irrefrenabile. Basta poco, un 16 a 0 e all'improvviso
perfino i 101 zozzoni si trasformano in eroi e, soprattutto, in
statisti. “Nessuna ripercussione sul governo”, dichiarano
all'unisono LettaLetta e Alfano. E ti credo!
lunedì 10 giugno 2013
Testa a testa Pd/Pdl. Tra poche ore l'esito di amministrative che non cambieranno nulla
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