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venerdì 30 agosto 2013

Silviò: “Aux armes forzaitaliens”!

Piccolo inciso che non c'entra una mazza. Il dittatore coreano Kim Jong-Un ha risolto a modo suo l'annoso problema del finanziamento della cultura. Prendendo spunto dagli statisti italiani, teorici dell'alato pensiero “con la cultura non si mangia” e, soprattutto, che è inutile “andare a vedere la Boheme perché tanto quella baldracca di Mimì muore sempre di tisi”, Jong-Un ha deciso di risolvere in maniera radicale i problemi di previdenza sociale per gli artisti. Siccome in Corea del Nord non c'è l'Enpals e soprattutto una legge paragonabile alla “Bacchelli”, lui gli artisti li fucila in piazza. Prima li accusa di pornografia, poi li passa per le armi: una sventagliata di mitra, per la precisione. Ultimamente ne ha fatto fuori dodici, compresa la ex fidanzata. Brunetta e Tremonti approvano.
E passiamo all'ira furiosa di Silviò dopo la lettura del dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione, quella che lo condanna a quattro anni di galera e a un tot di interdizione dai pubblici uffici. Tra la lettura del documento e la convocazione del cameraman personale per un videomessaggio al fulmicotone, è trascorso un minuto, 60 secondi durante i quali Silviò ha mandato in frantumi tutto quello che aveva intorno, compresa la statuina della Madonna di Lourdes che gli aveva regalato la zia suora. Perché, vedete, il Capataz aveva sperato fino alla fine che il dispositivo contenesse almeno un appiglio che lo trasformasse da carnefice a vittima, magari di qualche manager infedele o, perché no, addirittura morto. Invece i giudici della Cassazione, firmando tutti insieme la sentenza (fatto inusuale mai accaduto prima), hanno addirittura scritto che Silviò è stato “l'ideatore della maxi elusione fiscale ad uso creazione fondi neri”, togliendogli di fatto ogni possibilità di giustificazione pubblica e privata. Silviò, insomma, è un genio della finanza, uno in grado di inventare macchinette sofisticatissime per truccare le carte del gioco, un baro inarrivabile di una bravura unica e, ormai, certificata. Ci ricorda il Totò pirandelliano della “Patente”, l'unica differenza è che Totò la patente di iettatore la pretendeva, Silviò, di quella di baro, ne avrebbe fatto a meno. E come sempre accade quando qualcuno lo becca con le dita nella marmellata, Silviò da di matto. Fedele alla regola di tutti i mariti che cornificano le mogli: “negare, negare e negare sempre anche l'evidenza”, Silviò dall'alto della sua immensa creatività, ha aggiunto “e incazzati pure, sei più credibile”. Tanto ha fatto, e nel videomessaggio alla nazione ha usato i toni più truculenti possibili; gli è mancata solo la bambolina di pezza con gli occhiali da infilzare con gli aghi voodoo, e la pantomima sarebbe stata perfetta, come perfetto sarebbe stato il risultato televisivo. Pronto a impallinare domineddio, Silviò ha fatto anche capire (ma non serviva), che l'Imu era una scusa (anche perché non si parla di restituzione) e che un'altra scusa sarà l'Iva e un'altra scusa ancora il consenso popolare del quale si sente investito come un qualsiasi unto dal signore, perché vox populi vox dei est. Lui non ama perdere. Una sconfitta gli procura extrasistolia ventricolare, spasmi intestinali con annessi e connessi, secchezza delle fauci, orticaria colinergica e, per quanto riguarda la sfera sessuale, un ricorso all'uso sfrenato di Scapagnini Pill's per una erezione contenuta. Ha quindi chiamato a raccolta tutto il popolo forzaitaliota per quella che si preannuncia come la madre di tutte le battaglie: tornare alle urne e vincere le elezioni, poi sarà Terzo Reich. Nel frattempo, tanto per avere una conferma della composizione antropologia degli appartenenti a Forza Italia, i carabinieri e l'Interpol hanno arrestato a Dubai Amedeo Matacena, ex deputato berlusconiano, condannato in via definitiva a 5 anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Era appena arrivato negli Emirati Arabi dalle Seychelles dov'era fuggito a giugno quando la Corte di Cassazione lo aveva condannato. Evidentemente, Matacena non gode dello stesso consenso popolare di Silviò, altrimenti sarebbe rimasto in Italia a invocare il “giudizio di Dio”. Chiudiamo con una bella notizia. Matteo Renzi, e i renziani, una volta assunta la guida del Pd, porteranno il partito nell'Internazionale Socialista. A tanto non si era spinto manco Massimo D'Alema. Ma attenzione, non è un segno dei tempi, è che Matteo deve prendere tutte le distanze possibili da LettaLetta, altrimenti la differenza dov'è?

giovedì 29 agosto 2013

Angelino: “Missione compiuta”. Silvio: “E ora il rinvio della decadenza, avanti con il lodo Violante”

Prima di qualsiasi altra considerazione, vorremmo sapere dal Pd come la pensa. Non sull'Imu, quello lo sappiamo già, ma sulla decadenza di Berlusconi, perché ieri, Luciano Violante, ha candidamente ammesso che la sua proposta è coerente con la linea del Partito Democratico. Se l'affermazione di “non abbiamo toccato Mediaset” dovesse rispondere al vero, allora la linea dei democrat è chiarissima e, per dirla tutta, molto paracula. La riassumiamo: “Noi voteremo compatti la decadenza di Silvio Berlusconi, perché le leggi si rispettano, non appena verrà discussa in giunta e sottoposta all'approvazione del Senato”. Bene, perfetto. Ma se rinvio dopo rinvio, la decadenza non dovesse mai arrivare in giunta, o nell'aula di Palazzo Madama, il Pd come si comporterebbe, continuerebbe a governare con un pluripregiudicato come alleato? E pensate cosa sarebbe successo se la “Severino” non l'avessero votata anche quelli del Pdl: minimo avrebbero gridato al golpe. Ma ci ha pensato l'ex ministro Romani a chiarire la posizione del partito sulla legge delle “decadenze”. Ha detto senza nessuna vergogna: “Quella legge l'abbiamo votata perché era buona, ma fino a quando non ha riguardato Silvio Berlusconi”, perché nel momento in cui il Capo si è ritrovato invischiato in quella sporca ragnatela, la legge è diventata una cagata. Intanto però, non si può non dare atto a LettaLetta, detto 'O Nipote, di aver imparato a memoria la lezione dei dorotei. Sta costruendo intorno al suo governo una sorta di muro di gomma che respinge perfino le mosche che ci vanno a sbattere. Un cordone sanitario in grado di debellare ogni virus e qualche batterio in libera uscita che prova ad avvicinarsi. Prendiamo l'Imu. Via la prima rata, via anche la seconda, quella di dicembre, ma senza copertura finanziaria. Dove andrà a pescare i denari necessari non si sa, però intanto ha guadagnato qualche mese. Il “lodo Violante”, quello che rispetta la linea del partito, sembra fatto apposta per guadagnare tempo: un rinvio alla Corte Costituzionale, un altro alla Corte di Giustizia europea e intanto i mesi passano e Silvio resterà saldamente incollato allo scranno di Palazzo Madama. Ieri, LettaLetta se n'è uscito con una battuta che merita un commento: “Questo governo non è a termine”. Significa che durerà tutta la legislatura, significa che disinnescherà il fenomeno 5Stelle, significa che sarà l'inizio di un altro, lungo, interminabile periodo di consociativismo, significa che le larghe intese (come aveva già sottilmente fatto notare qualche giorno dopo l'insediamento), da “prassi straordinaria potrebbero diventare sistema ordinario”. Moriremo democristiani, avevate qualche dubbio? 
Intanto è scoppiata l'ennesima querelle nel Pd. Piergigi Bersani, che ogni tanto, tra una birra e l'altra, rilascia ancora interviste, ha dichiarato: “Basta con i partiti padronali” e poi ha aggiunto: “Renzi? Non capisco il suo Pd”. Ti venga un bene, Piergigi, ma perché il tuo Pd lo ha capito qualcuno? 

mercoledì 28 agosto 2013

Morire d'alcol a 19 anni. E Il Nipote cerca di togliere l'alibi “Imu” a Silvio

Parto con un inciso. Lo dico senza spocchia né accampando chissà quali diritti di esclusiva (la Rete è libera e “ancora” di tutti), ma mi fa un piacere immenso vedere come alcune testate ben più importanti del mio blog (che si autopromuove senza trombe) adottino, il giorno dopo, parte dei titoli dei miei post e, qualcuno in particolare crisi di creatività, anche alcuni concetti espressi. In un momento in cui la carta stampata è in crisi, mi sento quasi sollevato nell'offrire una sponda a chi, con tutta evidenza, ha poche idee e pure confuse. Riassumo il tono di sempre e “passiamo” ad altro. Molti giornali riportano oggi la fine di un ragazzo di 19 anni di Sparone, in provincia di Torino, che su Facebook ha postato: “Mi riempio di alcol”. Lo ha fatto, è andato a una festa, si è sentito male ed è morto. Morire, probabilmente a seguito di un coma etilico, è devastante. Già non si tollerano le morti dei ragazzi sulla strada o quelle per overdose, figuriamoci le morti autoprocurate con tanto di annuncio sul più popolare dei social network disponibile in rete. Guardate, non ci va di fare né i moralisti né, tanto meno, i proibizionisti. Siamo convinti che la scelta di vivere o di morire in un certo modo, sia meritevole del massimo rispetto perché, oltre l'intelligenza e la libertà di ciascuno di noi non esiste altro. Quello che ci sconvolge è decidere di farsi male (perché bere questo è) fino a morirne e annunciandolo pubblicamente. Ci sarebbe da scrivere un trattato di psico-sociologia adolescenziale ma poi, scorrendo le cronache di questi tempi bui, ci rendiamo conto che il fenomeno dell'autodistruzione è molto più vasto e non riguarda solo i ragazzi, che pure restano la parte della società più debole. Fragile diremmo. L'alcol è un segno dei tempi. Ne abbiamo avuto la dimostrazione uscendo di casa la sera, dalle nostre parti: bar, cantine, vinerie e spacci alcoolici vari, sold-out. Con cinque euro ci si appropria di una sedia e di un tavolo per tutta la sera e si torna a casa brilli. Una sera a settimana, magari non il sabato, è tollerabile, sette sere a settimana diventa patologico e a “partire” non è solo il fegato. Il problema che ci poniamo è quello delle “alternative” possibili che, ovviamente, non sono né le canne né gli sniffi ma un “altro” vero, reale, di vita e di pensiero. E qui si potrebbe aprire un dibattito lungo un'eternità. Siamo disponibili a parlarne.
Non so se qualcuno se n'è accorto, ma Il Nipote è un gran marpione. In evidente combutta con lo “Zione”, e quella parte del Pdl che non se la sente di mollare l'ultima poltrona della sua vita politica, LettaLetta sta disinnescando la restante mina carica rimasta in mano a Silvio: l'Imu. Raggiunto un accordo sull'imposta sulla prima casa e sul congelamento dell'Iva, al Cavaliere non resterebbe nessun pretesto valido per staccare la spina al governo senza essere tacciato di egoismo allo stato puro, di pensare cioè, come sta facendo da vent'anni, più a se stesso che all'Italia. Ironizzando, ieri abbiamo riportato la telefonata, inventata da noi di sana pianta, di Piersilvio al padre nella quale gli diceva che era ora di smetterla perché “hai fracassato la minchia”. Oggi, veniamo a sapere dai giornali, che quella telefonata c'è stata davvero e che a chiamare il Capataz, non è stato solo Piersilvio ma anche Marina, Fedele Confalonieri e perfino Enio Doris, il “Giotto” della finanza. 150 milioni persi in un sol colpo e il meno 7 per cento di valore delle azioni delle imprese di famiglia, hanno turbato profondamente e costretto Silvio a placare lo slancio rivoluzionario della Pitonessa&His Friends. Al termine di questa mattinata, al massimo nel tardo pomeriggio, sapremo com'è andata la discussione sull'Imu al consiglio dei ministri, e se la mediazione di queste ultime ore (notti) è andata a buon fine. Resta il fatto che l'Innominabile ha ringraziato “i morti sono tutti uguali” per le considerazioni in punta di diritto che ha fatto per tentare di salvare il culo di Silvio. C'è già un'agenda operativa. Vedrete, alla fine Berlusconi sarà “agibilitato”, gli sarà concesso insomma di continuare a fare danni. Le dichiarazioni di principio dei pidini, ci ricordano tanto quelle di Andreotti: buone a calmare gli animi ma destinate a perdersi nel mare magnum dell'indifferenza, trascorsi un paio di mesi. 

martedì 27 agosto 2013

Silvio perde in una mattinata 150 milioni e frena. Ma non doveva fare gli interessi dell'Italia? A ri-ecco Violante, l'uomo per tutte le stagioni

Ormai è chiaro, lapalissiano, che Silvio ha in cuore solo gli interessi dell'Italia e degli italiani, come ripete amabilmente da vent'anni. A lui dei soldi, delle sue imprese, delle assicurazioni, delle banche, della pay-tv, dei tutor autostradali, della grande distribuzione, dell'editoria da supermarket non frega una mazza. Eroe dei nostri tempi, Silvio è “l'Italiano vero”, quello cantato da Toto Cutugno e che, anche se non fuma la pipa (mentre si diverte da matto a far fumare il sigaro), rappresenta quanto di meglio c'è nel nostro Paese in termini di “eccellenza politica e imprenditoriale”. Coerente come solo i grandi idealisti sanno essere, prima da fuoco alle polveri del “muoia Sansone con tutti i filistei”, manda Alfano con il cappello in mano da LettaLetta a vedere cosa può fare per salvargli il culo, minaccia domineddio compreso il Quirinale Silente ma niente affatto Accondiscendente, dà la carica a molla alla Santanchè che così canta sempre la stessa canzone come Cicciobello poi, dopo una mattinata durante la quale Mediaset e Mediolanum vengono sospese in borsa per eccesso di ribasso, ci ripensa e inizia a fare marcia indietro. L'aria di crisi procurata per non finire in galera, ha fatto indispettire i mercati che, si sa, sono molto sensibili al vento che spira. In una manciata di ore Silvio ha perso 150 milioni di euro e visto scendere del 7 per cento il valore delle azioni delle sue imprese. Si è reso conto del disastro a cui stava andando incontro con i suoi diktat, solo dopo la telefonata di Piersilvio il quale, preoccupatissimo, gli ha detto “mo' hai fracassato la minchia, smettila”. È stato in quel momento che “cuore di padre” ha avuto la meglio sulla voglia incontenibile di mandare tutti affanculo, ed è stato in quel momento che ha deciso di togliere la chiavetta alla carica della Santanchè. Troppo tardi però. La Pitonessa aveva già rilasciato un'intervista a Repubblica nella quale, tanto perché nel Pdl si respira un'aria di unità feroce, ha fatto l'elenco dei buoni e dei cattivi, di coloro che stanno con il Capo fino alla morte e di chi sta trovando invece una via d'uscita per la sua carriera. A rinfocolare e riattizzare i falchi del Pdl ci ha però pensato, indovinate chi? Ma Luciano Violante porco boia, al quale, di stare un momentino zitto, non passa manco per... l'anticamera del cervello. Così, mogio mogio quatto quatto, il signor “i morti sono tutti uguali” e “nessuno, come promesso, ha toccato Mediaset”, se n'è uscito come Brunetta non avrebbe mai potuto augurarsi: “Non è detto – ha dichiarato l'ex Berja – che non si possa ragionare in termini di revisione della Severino da sottoporre al parere della Corte Costituzionale”. Che strano animale, il Pd! In questo momento ha più berlusconiani lui nelle sue fila che l'intero Pdl. Per non parlare di Mimmuzzo Scilipoti che, da buon Responsabile, ha già fatto sapere che in caso di voto di “sfiducia” al governo LettaLetta, lui si avvarrà dell'articolo 67 della Costituzione, quello del parlamentare senza vincolo di mandato. E ha rafforzato il senso della sua scelta dicendo senza eufemismi, “e non me scassate o' cazzo”.

lunedì 26 agosto 2013

E mercoledì il giorno del giudizio. Mentre LettaLetta avvisa Alfano: “Gli zozzoni li avete anche voi”

Guglielmo Epifani che “tuona” è una novità. Il senso dell'intervista rilasciata dal segretario pro tempore del Pd a Repubblica, è quello che perfino Don Abbondio, se lo fanno incazzare, tira fuori le palline e lancia il breviario al primo Innominabile che passa. Lo ha detto chiaro e tondo, il segretario, “Ma che stiamo scherzando? Non si baratta un governo per l'illegalità. Toccherà a Berlusconi spiegare agli italiani perché toglie la fiducia a Enrichetto, e vedremo come gli italiani risponderanno”. Quello che colpisce però di tutta questa storia, è l'apparente distacco con il quale LettaLetta sta seguendo l'evolversi dei fatti. Che Enrichetto sia un democristiano tutto d'un pezzo e, quindi, un muro di gomma impenetrabile, è nell'ordine delle cose. Ma che continui a dire “nessun rischio per il governo”, secondo noi, nasconde qualcosa di più. E non basta l'appoggio incondizionato dell'Italiano che siede sulla poltrona più alta, deve esserci sotto qualcosa. Un fatto che lo spinge a stare tranquillo più che un missile con testata chimica puntato su Arcore. Il missile potrebbero essere venti missili che, per il momento, siedono quietamente sugli scranni di Palazzo Madama. Venti senatori del Pdl che, nel caso in cui Silvio decidesse di staccare la spina, loro resterebbero collegati alla rete elettrica della politica nazionale. Aggiungendo ai 20 di cui sopra quelli del Gruppo Misto, Enrichetto potrebbe avere la possibilità di togliere di mezzo il Porcellum, fatto che costituirebbe già una mezza sconfitta per il cavaliere; riformare l'Imu in senso equo (e quindi bastonare i ricchi e i ricchissimi) e, perché no, se la maggioranza dovesse dimostrarsi “solida”, portare addirittura a termine il mandato. Cosa potrebbe succedere nel frattempo? Tolto di mezzo Silvio (decaduto da senatore e ai servizi sociali), ridotto l'effetto del “brand” Forza Italia, messi all'opposizione dura (praticamente a pane e acqua) i falchi dell'ex Partito della Libertà, il centrodestra si dovrebbe rifondare con l'intervento di Montezemolo, Fini, Casini e di tutti i peggiori ammennicoli del liberismo ad oltranza. Sostanzialmente, questo Paese direbbe addio al peggior politico che ha avuto in 150 anni di storia, anche se sarebbe comunque costretto a fare i conti con il "berlusconismo", una piaga che ci porteremo appresso almeno per altre quattro generazioni di elettori passivi. Per molti versi ci auguriamo che possa andare così, perché un conto è mandare a casa LettaLetta alle prossime elezioni, tutt'altra faccenda è chiudere definitivamente i conti con Berlusconi il quale, tanto per smentire coloro che hanno brindato a ogni fine apparente della sua storia politica fino a sconquassarsi il fegato, non ha nessuna voglia di mollare, causa affari personali e della sua famiglia. L'impressione è che le sette vite stiano arrivando alla fine. Resta l'ultima, la più dura, quella attaccata ai tubi del peggior servilismo e di interessi (questi sì) innominabili.

domenica 25 agosto 2013

La linea dura dei berluschini. Va in onda “Il ricattuni”

Non deve essere facile dopo venti anni di totale impunità, accettare una sentenza. Per Silvio poi, che insieme con Cesarone Previti i giudici se li è sempre comprati, sapere che in Italia ci sono magistrati indifferenti alle sue prebende deve essere una fatto inspiegabile, un mistero gaudioso al quale non ha mai dato una spiegazione logica neppure la zia monaca. Per lui agire secondo la legge è un controsenso esistenziale: troppe tasse? E lui le evade. Non si può andare a letto con le minorenni (consenzienti o no)? E lui ci va con la benedizione di Santa Romana Chiesa. Non si può costruire nelle aree protette? E lui fa cadere la giunta di Monza che non glielo permette. Non si possono falsificare i bilanci aziendali? E lui fa approvare una legge che li cancella. Per venti anni quest'uomo ha fatto viaggiare l'Italia secondo i suoi tempi e le sue necessità, e siccome le devastazioni sono sotto gli occhi di tutti, si può tranquillamente affermare che è stato un pessimo capotreno. Perla delle perle. Quello che doveva riformare il sistema economico nazionale, dando più spazio al mercato e meno allo stato, ha fatto fare alla spesa pubblica, in 15 anni di potere assoluto, un salto del 69 per cento, cosa mai avvenuta neppure durante il ventennio di potere incontrastato della Balena Bianca. E se 9 milioni di quacquaracquà evasori fiscali totali e rincoglioniti da Paolo Del Debbio, Emilio Fede, Barbara D'Urso, Iva Zanicchi, Mike Buongiorno, Corrado, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, Bilba di Cadey e il Prosciutto Cotto Rovagnati, hanno continuato a votare per lui fino a fargli vincere (quasi) anche le ultime elezioni, a ragion veduta Silvio può parlare di “incoronazione” a furor di popolo, e si comporta come un Re, mai stato così nudo, che prima di abdicare provoca rivoluzioni. Lo psicodramma arcoriano di ieri è la testimonianza dell'odio e del rancore che Silvio cova in petto dalla sentenza della Corte di Cassazione. Abituato a prendersi quello che vuole, arrivato quasi a 80 anni, ritiene inconcepibile che gli si possa negare qualcosa. Abituato a far cadere i governi comprandosi mezze seghe elette dall'altra parte o sputtanando mediaticamente gli avversari, non ci sta a mollare senza combattere e senza provare (almeno) a corrompere qualcuno in grado di metterci una pezza. Che poi ci sia un Fioroni della 101Zozzon Band disposto a dargli una mano, è un altro discorso perché Fioroni non è che la punta di un iceberg pidino ben più consistente. E che dire di un partito che per venti anni gli ha dato corda e mai tenuto botta? Che dire delle anime sante degli eredi di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro che hanno sputtanato i loro modelli non appena giunta l'età della ragione, preferendo seguire gli esempi “miglioristi” Innominabili e di Belzebù San Giulio I? La politica di questo paese, figlia delle pensate di Niccolò Machiavelli, ci ha disgustato da un pezzo e continua a farlo senza che qualcuno riesca a porci rimedio. Pur di cambiare abbiamo compiuto vere e proprie efferatezze nella cabina elettorale, violentando anche i nostri stessi principi, ma non è servito a nulla. Dovendoci per forza attaccare a qualcosa che non sia umano, speriamo che lo Spirito, che solitamente soffia dove vuole, illumini la mente a un numero di onorevoli e senatori sufficienti a cambiare la Porcellum poi, come un treno, tornare a votare, mandare in pensione l'Innominabile e provare a riprendere a vivere in un paese normale dove le regole devono rispettarle tutti. Non solo i coglioni. 

sabato 24 agosto 2013

La finta vivacità della politica italiana. D'Alema sponsorizza Renzi e i ministri del Pdl non vogliono dimettersi. E la novità dov'è?

A leggere i giornali sembra che questo Paese sia un immenso laboratorio pensante dove si studiano le future linee guida della politica, dell'economia, dell'arte e della cultura. Poi, grattando un po', ci si rende conto che i protagonisti di questo brain storming 24hours sono sempre gli stessi. Che palle! Grazia sì, grazia no. San Giovanni vince, san Giuseppe perde. È il gioco delle 3 carte più volte richiamato su questo blog. C'è il fratacchione di C'eravamo tanto amati (nel caso specifico l'Innominabile), che con accento ciociaro/napoletano e la tonaca del frate cercatore (quella è la stessa), depreda gli avventori del Re della Mezza Porzione. Puntano dieci lire su San Giovanni e invece appare per miracolo san Giuseppe. Alla fine perdono tutti, l'unico che vince è sempre il frate cercatore che però non ha nessuna intenzione di diventare priore, lui! Abituati da una vita ad aggiustare le cose “all'italiana”, tanto che questo modo di dire è entrato nel lessico comune di altre parti del mondo, alla fine i belpaesisti trovano una soluzione a tutto, possibilmente incruenta, possibilmente spostandosi poco da casa, possibilmente incontrando qualcuno che il forcone glielo porge, altrimenti sai che fatica scendere in cantina a prenderlo! Così, mentre i falchi del Pdl le carte vogliono scompigliarle, le colombe dicono al Capo: “Ma no, che crisi, gli italiani non capirebbero e ci punirebbero alle prossime elezioni che l'Innominabile non ha nessuna voglia di indire”. Per cercare di convincere Silvio a non mandare tutto a puttane (che battuta del cazzo!) sono scesi in campo anche i figli che, durante una cena ad Arcore, hanno cercato di fargli capire che le aziende correrebbero grossi rischi e che a finire in galera (vera), stavolta sarebbe proprio lui, il Capataz dei Capataz caduto alla difesa ultima, vana (per dirla alla Saba), perfino del principe del foro avvocato Coppi. Silvio è indeciso. Per indole, Berlusconi sarebbe portato ad acquistare una Bomba H portatile direttamente dalla Corea del Nord, ma poi cerca di ragionare e, da buon commerciante, di capire cosa gli conviene fare per perdere il meno possibile. Dall'altra parte, i democrat sono in piena crisi di identità, un po' come i bianchi balenotteri dopo la caduta del Muro di Berlino che, non avendo più un nemico da combattere (i comunisti) si sono squagliati come neve al sole. Questi sono giorni in cui i “possibilisti”, quelli alla Fioroni della 101ZozzonBand per intenderci, stanno muovendo i primi, timidi passi per trovare una via d'uscita all'agibilità politica di Berlusconi. Fioroni&Co., sono coloro che nel Pd non dovrebbero manco starci però ci sono e ci restano, perché un Partito Democratico unito non fa comodo a nessuno. E poi c'è il congresso (forse). E poi ci sarà la lotta intestina fra Renzi e LettaLetta, due personaggi che nella vita non hanno mai detto una cosa di sinistra e che ora si sono messi in testa di rappresentarla. E poi c'è che le mille anime del Pd non hanno nessuna intenzione di convivere, e lo hanno fatto capire chiaro e tondo quando hanno trombato Prodi alla presidenza della repubblica. E poi c'è che con queste teste aduse all'arte del compromesso non si va da nessuna parte. E poi c'è che questo è un paese depresso. E poi c'è che vincerà la pigrizia e che scendere in piazza è di uno stress... E poi c'è che ci meritiamo tutti i politici che abbiamo, nessuno escluso. E poi c'è che l'unica via d'uscita è quella di restituire la cittadinanza, e la carta di identità, nelle mani dell'Innominabile. Questo sì sarebbe un bel gesto. Incruento. Simbolico. Forte. Ma tranquilli, non lo capirebbe nessuno e ci tratterebbero (senza documento di riconoscimento) peggio dei clandestini. Ad maiora Italia!

venerdì 23 agosto 2013

Silvio: “La crisi colpa di Scaramacai e di Pappagone. Se mi buttano a mare la barca sbanda”. Ma non affonda

Signori, siamo in Italia! La colpa di tutto quello che accade è sempre degli altri. Perfino se ci becchiamo una multa per sosta in tripla fila, la colpa è del vigile che infila il contrassegno sotto il tergicristalli, mica la nostra che siamo idioti! Incapaci da sempre di assumerci uno straccio di responsabilità, o di avere una botta d'orgoglio (anche se temporanea), più delinquiamo più la colpa è del mondo crudele. Se un marito ammazza la moglie, la colpa è della puttana che voleva lasciarlo così, se un fidanzato brucia la fidanzata, la colpa è di quella bottiglietta di benzina che il pirla si è trovato per caso in tasca: di solito si definisce autocombustione. Siamo fatti così: perfino quando ci trovano con le dita nel barattolo della marmellata neghiamo di essere sul punto di mangiarla, per non parlare di tutti quegli sprovveduti che si fanno pagare le mazzette nel parcheggio del supermercato e, puntualmente, le telecamere della Guardia di Finanza li colgono sul fatto: si chiama flagranza di reato ed è un gran casino. Ma non per i corrotti che si difendono così: “È solo un prestito per curare mia moglie gravemente malata”. Silvio, che i vizi degli italiani li incarna tutti (dopo aver tolto di mezzo ogni virtù), non è esente dal vezzo. Lui delinque e la colpa è della magistratura. Un tribunale di tutte donne lo condanna a sette anni di galera, e la colpa è dell'invidia del pene. Continua a delinquere, la Cassazione lo segna a vita, e la colpa è di un giudice chiacchierone al quale lui sta sulle palle sempre per invidia. Così, se il governo LettaLetta dovesse cadere, la colpa è del Pd che si rifiuta caparbiamente di salvargli il culo contra legem, votando in Senato a suo favore e disconoscendo il valore delle leggi che regolano la vita di questa nazione di quacquaracquà senza rimedio né ritegno. L'ultima se l'è inventata Angelino AlfanoO Schiattamuort', ventriloquo di Silvio: “Chiediamo al Pd di non prendere il voto al Senato come la rivincita contro il nemico storico, ma di considerare Berlusconi un qualsiasi senatore”. Ma quale cazz'è la logica di questo ragionamento? Quali scheletri negli armadi del Pd conosce il Pdl per tirar fuori una proposta che non ha alcun senso? Eppure. Eppure. Sono venti anni che uomini politici del Pd salvano il culo a Silvio e alle sue aziende “patrimonio culturale dell'Italia”. Sono venti anni che i pidini fanno mancare il numero legale o si assentano dalla Camera quando i provvedimenti in discussione potrebbero essere dannosi per il cavaliere. Che non hanno messo mano al conflitto di interessi. Che tutelano le imprese di Silvio come fossero le loro, salvo essere colpiti e affondati dallo stesso ex premier sulla Bnl e sul Monte dei Paschi di Siena. Sono venti anni che Berlusconi detta senza vergogna (per il Pd) l'agenda politica dei suoi nemici comunisti, e sono venti anni che gli ex nemici comunisti si lasciano dettare l'agenda da Berlusconi. Non sembra, ai dirigenti del Pd, che sia arrivato il momento di dire, senza se e senza ma: “Basta”? Macchè... Così, dopo aver riesumato Silvio a seguito dell'ennesimo, presunto funerale, LettaLetta e l'Innominabile si dovrebbero assumere l'onore storico di salvargli il culo andando contro non solo al buon senso, ma allo stesso senso dello Stato e al rispetto delle sentenze. O la sentenza la deve rispettare solo il tunisino preso con dieci grammi d'erba (che non è origano) in tasca? Lontano dall'essere morto, Silvio si è dovuto beccare anche il pesantissimo giudizio del primo ministro austriaco, Werner Faymann che, alla fine dell'incontro con LettaLetta, durante la conferenza stampa, ha detto: “Ho conosciuto Berlusconi e non ho mai pensato che sia un garante della stabilità”. Gli house-orgasm del cavaliere l'hanno immediatamente definita “una gaffe” ma non lo era. Lo pensano tutti. Lo sanno tutti e tutti ne hanno preso atto. Meno il Pd.

giovedì 22 agosto 2013

A me me piace o Jazz (2). E il reading di UT

Oltre il Blu JazzFest - Il reading di UT con Enrica Loggi, Alessandra Morelli e io
Colpo d'occhio con folla. E Alessandra Morelli


Jano Quartet

mercoledì 21 agosto 2013

Ratzinger: “Mi sono dimesso perché me lo ha detto Dio”. Lo sapevamo, Silvio è ateo

Molto forte la rivelazione dell'ex Sommo Pontefice. Che i Papi abbiano un rapporto privilegiato con l'Entità Suprema lo sospettavamo, ma non fino al punto che, sempre l'Entità, potesse consigliare amorevolmente al suo rappresentante in terra di dimettersi: questo è un pensiero non ci sarebbe mai venuto, neppure dopo una serata di televisione estiva, quella delle repliche ad oltranza. Joseph Ratzinger invece, dice che è andata proprio così e che la spinta decisiva per prendere la decisione storica che ha preso, gli sia venuta direttamente dal Capo. Quello che però non si capisce, è come mai lo stesso consiglio il Capo non lo abbia dato a Silvio che, al contrario di Benedetto XVI, non è né uomo pio né fervido credente. Infatti, pur di pigliarsi andreottianamente qualche vagonata di voti all'incenso, in tutti questi anni Silvio si è spacciato per il più tenace protettore di Santa Madre Chiesa e uno dei più violenti crociati contro le coppie di fatto, l'omofobia, il femminicidio, la libera morte in libero stato, le ricerche e l'applicazione delle cellule staminali se non avallate e permesse dalla commissione di bioetica. Santo benefattore dei ciellini, Silvio è stato l'elargitore di fiumi di denaro al clero e alla gerarchia ecclesiastica fino al punto che, dopo un terremoto, le prime strutture a essere ricostruite e finanziate sono state proprio le chiese. Amico intimo del Cardinale Carrozziere (ultimamente caduto in disgrazia) nonché estimatore di Propaganda Fide (quella dei palazzi storici di Piazza di Spagna), Silvio si è potuto giovare dell'appoggio totale e indiscriminato del Vaticano, finanziando a più non posso oratori e sale cinematografiche parrocchiali, il restauro di tutti i beni clericali possibili, e diventando il teorico massimo del “niente ICI alle chiese”. Dopo aver fatto brillare le scuole private cattoliche distruggendo quelle pubbliche, nel momento del bisogno è passato all'incasso: fuori Boffo che lo criticava, e le giustificazioni più assurde (a favore di un mortale non comune) di tutti i suoi peccati, che pure sono molti e pesanti, da parte di prezzolate e imbarazzanti eminenze in porpora. Uno pensa che con un pedigree del genere, il Padre Eterno potesse avere un occhio di riguardo anche nei confronti di Silvio e invece no. Lasciato solo a risolvere i suoi guai il Celeste (che diceva di parlarci di persona personalmente), Dio non ha avuto l'accortezza di dare a Silvio lo stesso consiglio che ha dato a quel brav'uomo di Papa Ratzinger. Non lo ha, insomma, consigliato di dimettersi. A questo punto le chiavi di lettura sono due: o il Padre Eterno, attraverso l'opera della Provvidenza, ha in serbo una piacevole sorpresa, stile causare un attacco di amnesia perniciosa a 60 milioni di italiani, oppure, stanco dei peccati e del pessimo uso che i berluschini hanno fatto del suo nome, ha deciso di lasciare il Capataz cuocere nel suo brodo. E dire che ci avrebbe fatto un favore da poco perché, se ancora non lo avete capito: "Io non mollo".

martedì 20 agosto 2013

Silvio arroccato, ma questa non è una partita di scacchi. Intanto la GdF scopre altri 5mila evasori totali. Siamo proprio un paese triste

Daniela Santanchè, sempre lei, ieri ha detto che “la nota dell'Innominabile è irricevibile perché afferma solennemente che le sentenze dei giudici vanno rispettate”. Voi diteci in quale paese al mondo un presidente della repubblica potrebbe dire, senza essere preso a randellate, che delle sentenze dei giudici se ne sbatte le palle. Uno, ditecene uno. Perfino nei paesi dittatoriali le sentenze vengono rispettate, anche se in quel caso si tratta di sentenze spesso pilotate dallo stesso dittatore. Ma non è un caso che dovunque, la parola dei giudici (salvo dimostrare in giudizio che non è così), è considerata “sacra” e addirittura, in terzo grado, “inappellabile”. E continua il ricatto perenne: “O il pluripregiudicato Berlusconi continua a sedere in Senato o è crisi di governo”, un fatto inimmaginabile perfino nella Birmania dei colonnelli dove il Senato non esisteva proprio. Viviamo in un paese anormale, prendiamone atto e sforziamoci di ricordare dove il nonno ha riposto il forcone.
Ieri, andando nel nostro angolo di pineta a leggere Conan Doyle (a 99 centesimi), abbiamo incontrato due ragazzi che non stavano parlando della vineria dove andare a sbronzarsi la sera, ma delle rispettive situazioni familiari. La ragazza diceva al ragazzo: “Mio padre figura disoccupato però lavora” e il ragazzo le rispondeva: “Pure mia zia sennò non camperebbe”. Ci è venuto in mente Stefano Fassina e la sua niente affatto bizzarra idea dell'”evasore per fame”. Contro Fassina si sono scagliati quasi tutti gli alti esponenti del suo partito (ipocriti fino alla morte) mentre dal Pdl si sono limitati a dire: “Benvenuto fra noi”. L'altra sera, reduci da una non cena, abbiamo deciso di mangiare un gelato. Contrariamente a quanto avvenuto altre volte, non ce la siamo sentita di chiedere lo scontrino. In quella gelateria non c'era praticamente nessuno, fargli risparmiare un paio di centesimi di tasse ci è sembrata una idea più buona che giusta. Poi ci abbiamo ripensato e ci siamo detti “mai più”. Stando ai dati sulla disoccupazione (soprattutto quella giovanile), sulle ore di cassa integrazione, sugli operai che dalla sera alla mattina non trovano più la loro fabbrica trasferitasi nottetempo in Polonia, dovremmo vivere in un paese poco illuminato, con i locali pubblici chiusi alle 8 di sera, gente vestita malissimo intenta a rovistare nei cassonetti, mendicanti a ogni angolo di strada, mense della Caritas interdette per sovraffollamento. Quello che invece ci troviamo di fronte le poche sere in cui ci siamo permessi di fare quattro passi nei luoghi della “movida” locale, è un tutto esaurito in pizzerie e ristorantini, gelaterie e chalet balneari, mercatini e venditori di patacche e file di clienti in attesa davanti ai ritrattisti-tatuatori-parrucchieri-artisti vari-saltimbanchi-ricchi premi-cotillon. C'è qualcosa che non quadra. I conti non riportano e non crediamo che la risposta possa essere solo nella frase della ragazza di cui sopra: “Mio padre figura disoccupato però lavora”. Per anni in Italia abbiamo assistito passivamente al proliferare di secondi e terzi lavori, tutti rigorosamente in nero, che hanno permesso anche agli uscieri o ai segretari personali dei sindaci, di comprarsi la barca o la casa al mare. Per anni, e con tutti i regimi possibili, l'Italia ha vissuto più di sommerso che di lavoro alla luce del sole. Situazione invidiabile quella di denunciare un reddito e nasconderne almeno un altro. E da noi tutto questo si verificava scientificamente e con la più grande delle tolleranze. Per assurdo però, il lavoro in nero fatto per una vita è stato, in questi anni di crisi drammatica, il motivo della tenuta sostanziale del Paese, andando a costituire quello zoccolo duro del “risparmio” che ha consentito agli italiani di non soccombere miseramente nei confronti di uno spread arrivato a 535 di differenziale sui bund. Notizia di ieri, la Guardia di Finanza ha scoperto 5mila evasori fiscali totali, quella categoria di delinquenti che non denunciano neppure uno dei tre o quattro redditi di cui dispongono. E, sempre notizia di ieri, il 40 per cento degli italiani è rimasto in città non potendo permettersi neppure un giorno di vacanza al mare o in montagna. In questo paese c'è qualcosa che non va, non riportano i conti, viviamo una sostanziale forma di schizofrenia economica e di discriminante sociale. Nel frattempo però, scrivendo questo pezzo, ci siamo ricordati dove il nonno ha nascosto il forcone.

lunedì 19 agosto 2013

Celebrato il matrimonio fra LettaLetta e CL. Avanti con Enrico nei secoli dei secoli. Amen

È accaduto quello che molti sospettavano. Rimini. Meeting di Comunione e Liberazione. Gli orfani del Celeste hanno accolto fra le loro calde e voraci braccia LettaLetta. Il matrimonio è stato celebrato sotto gli occhi benedicenti di Roberto Formigoni il quale, pur non invitato, ha pensato bene di essere presente per poter assistere a una svolta storica del suo Movimento. Chi gli abbia pagato il viaggio A/R da Milano, il vitto e l'alloggio non si sa, forse la Provvidenza che con i ciellini è sempre stata molto prodiga. Basti pensare che la Compagnia delle Opere, il braccio armato economico-finanziario del Movimento fondato da don Giussani, conta oggi 41 sedi in Italia. 17 in altri paesi. Ha 36mila imprese affiliate e oltre 1000 associazioni. Sapete qual è il fatturato? 70 miliardi di euro. A questi livelli è impensabile che, pur nella logica dottrinale della sussidiarietà, Comunione e Liberazione possa avere la puzza sotto il naso nella scelta dei partner politici. Praticamente li ha passati tutti. Dal “santo protettore” Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi, i ciellini hanno destinato il loro serbatoio di voti (tanti, veramente tanti), a Renata Polverini, Giulio Tremonti, Maurizio Lupi, Mario Mauro, Roberto Formigoni e sponsorizzato personaggi per altri e alti incarichi: Giulio Terzi di Sant'Agata, naufragato insieme ai marò in India, Mario Monti, Corrado Passera, Giuliano Amato, Giuseppe Orsi, Renato “Betulla” Farina, molti manager finiti in galera e perfino il cardinale Angelo Scola nella speranza che diventasse Papa. Quando Sua Eminenza si è accorto che l'amicizia con CL poteva essere d'ostacolo alla sua scalata al Soglio di Pietro ha tentato un rapido dietrofront, ma era troppo tardi. Con LettaLetta invece, il feeling è stato immediato, fin da quando il Nipote prese parte ai funerali di don Giussani. Enrico sapeva che la sponda ciellina gli poteva essere utilissima, soprattutto se nel suo partito si arriverà a primarie “libere” perché, come ha detto Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: “Personalmente sono per la continuazione del governo Letta a oltranza. Siamo come in guerra, abbiamo bisogno di una continuità di governo”. Volendo tradurre, “appoggeremo Enrico Letta sempre e comunque, anche a casa sua in vista delle primarie. A noi Renzi non sta bene”. E da parte sua il Premier ha pensato bene di dire alla platea di CL quello che la stessa platea voleva sentirsi dire: “La formula della grande coalizione è destinata, come spesso è avvenuto in Italia, a trasformarsi da momento straordinario in ordinarietà. Basta con lo scontro frontale, io voglio abbracciare questa destra e governare con loro”. A quel punto il matrimonio era fatto. Perfino Roberto Formigoni, che già si vedeva disoccupato, ha tirato un sospiro di sollievo, visto che per lui l'aria di Comunione e Liberazione è diventata irrespirabile. Ci ha pensato il grande capo, don Julian Caròn che dal Celeste, ha preso tutte le distanze possibili. A officiare il matrimonio voluto fortemente dai poteri fortissimi, nientepopodimenochè l'Innominabile, intervenuto con un video all'inaugurazione del Meeting: un lungo osanna al lavoro di LettaLetta e una benedizione che Papa Francesco se la sogna. Questa mattina si è materializzato un incubo che ci perseguita dal giorno dell'insediamento di questo governo, e cioè che LettaLetta non sarebbe durato 18 mesi ma tutta la legislatura perché a un democristiano, se gli si da la possibilità di sedersi su una poltrona, non lo si schioda neppure con la fiamma ossidrica. Lo abbiamo detto e scritto in epoca non sospetta e prima della celebrazione dell'ennesimo matrimonio contronatura: “Enrico durerà, tranquilli”. A proposito, grazie Beppe. Sei davvero un genio.  

sabato 17 agosto 2013

E finalmente un po' di Jazz. Oltre il blu JazzFest, il 17 e 21 agosto (con la poesia di UT)

Giunta alla sua quarta edizione, la rassegna Oltre il Blu Jazz Fest anche quest'anno si distingue per l’attenzione verso le avanguardie e il contemporaneo proponendo ad un pubblico, il più eterogeneo possibile, selezionati gruppi di giovani jazzisti. Risultato di un'appassionata e continua attività di ricerca condotta da Manuela Angelini e Francesco Re di Note di Colore, il programma presenterà infatti, come nelle altre edizioni, due gruppi appartenenti al nuovo, prolifico e sempre più interessante panorama jazzistico italiano: il quartetto del chitarrista Francesco Diodati, (i Neko) e quello del pianista ascolano Emiliano D'Auria, (lo Jano Quartet) , prototipi del jazzista moderno, in grado di guardare al futuro attraverso l'intreccio incondizionato di generi e stili. In entrambe le serate verranno presentate produzioni originali, nella volontà di valorizzare la creatività e la voglia di sperimentare.
Il primo appuntamento, fissato per sabato 17 agosto, vede protagonisti i Neko con Francesco Diodati chitarra, composizione; Gaetano Partipilo sax tenore, Francesco Ponticelli contrabbasso, basso elettrico; Ermanno Baron batteria. La formazione presenterà Need something strong nuovo cd per l'etichetta Auand Records, in cui il leader Francesco Diodati si cimenta con un repertorio di composizioni originali e di rivisitazioni di brani di Thelonious Monk e Kurt Cobain. La ricetta del successo di questa formazione nasce da un originale connubio di freschezza timbrico-melodica e libertà formale. I brani che prendono vita “dall’interazione continua tra scrittura e improvvisazione”, racconta Diodati, sono ricercati ma orecchiabili e denotano la matrice della ricerca espressiva del leader, in equilibrio tra aggressività rock, intuizioni avanguardistiche e atmosfere sognanti, in cui il “jazz è solo il punto di partenza” (La Repubblica).
Protagonista del secondo appuntamento, mercoledì 21 agosto, è invece lo Jano Quartet con Gianluca Caporale, sax soprano/tenore e clarino; Emiliano D’Auria, piano e live electronics; Amin Zarrinchang, contrabbasso; Alex Paolini, batteria e live electronics. Le dinamiche concettuali del concerto ruotano intorno alla struttura del reportage, costruito utilizzando sonorità attuali, cercando di trasmettere una visione nuova e accattivante del Jazz. Lo spettacolo offrirà brani originali, tratti dal secondo lavoro discografico, Distante (Via veneto Jazz, 2012). Dai dieci brani originali contenuti nell’album, emerge un jazz elettroacustico e modernamente “atmosferico”. L’utilizzo dell’elettronica, l’impianto delle composizioni, la scelta dei suoni, è tutto orientato a creare spazi e diversi piani sonori, a creare ambienti e aprire orizzonti. L’equilibrio di ruoli e il lirismo diffuso si colorano di timbri suggestivi. Il risultato è sospeso con misura tra nebbie di paesaggi incontaminati e sottili brividi da allucinazione metropolitana in cui le folate d’inquietudine, di attesa, di sospensione psichedelica, interagiscono per creare un sound disteso come le correnti d’alta quota, “distanti”, appunto, anche da accademismi e mode.
La quarta edizione presenta poi una novità: la partecipazione della rivista letteraria UT che curerà dei reading pre-concerto: parole prima della musica. “Parole e musica o musica e parole. Il refrain è lo stesso ma il senso cambia se le parole introducono un festival Jazz. Si fanno scorrevoli o sincopate. A volo libero o seguendo un ritmo. Parole cadenzate. Parole che esprimono pensieri e sentimenti, forse qualche emozione. Il senso dei reading di Maria Teresa Urbanelli, Emanuele Feliziani, Alessandra Morelli e Enrica Loggi (collaboratori di UT), ad apertura delle due serate di Oltre il Blu, sta tutto nella strettissima correlazione fra la poesia e la musica perché, se la poesia rappresenta la musicalità delle parole, la musica è l'essenza della poesia. Partendo dal titolo del Festival, Oltre il Blu, UT si tuffa nella perdita d'occhio dell'infinito, nei meandri dell'eros, nella bellezza dei suoni, nei gangli vitali dell'amore. Facendo sintesi. Volando un po'”.
Ad ospitare gli eventi sarà come sempre la suggestiva location della Palazzina Azzurra, teatro di numerosi concerti ed eventi dell'estate sambenedettese. In caso di pioggia i concerti si terranno presso l'Auditorium Comunale Tebaldini.
L'evento è organizzato da NOTE DI COLORE con il contributo del Comune di San Benedetto del Tronto – Assessorato al Turismo, Cultura e Sport e con il patrocinio di Assoartisti dell'Adriatico.
Inizio reading ore 21.20; inizio concerti ore 21.40

L'ingresso (una rarità) è libero

PS. Ma è solo un inciso: presento io...

venerdì 16 agosto 2013

Vola un Forza Italia nel cielo. Silvio tu non sarai mai solo

Ieri, come anticipato da tutti i mezzi di informazione, padronali e non, gli aerei di Forza Italia-Forza Silvio hanno sorvolato le spiagge italiane. Dai lidi del nord a quelli del centro, striscioni stagliati sullo sfondo azzurro del cielo hanno comunicato ai bagnanti di Ferragosto che Silvio è vivo, non molla e soprattutto “c'è”, come scrivevano i ciellini sui muri una ventina di anni fa a proposito di dio. E Silvio c'era davvero ma non in cielo. Lui si trovava a Villa San Martino, senza passaporto e circondato dall'affetto dei familiari, dei maggiordomi, degli amici più cari, della fidanzata e del cane Dudù che per colmo di disprezzo, gli ha fatto pipì tre volte sulle scarpe. Il momento di Silvio è difficile, potremmo dire difficilissimo. A breve scatterà l'esecuzione della pena e dovrà scegliere fra il carcere, i domiciliari e i servizi sociali. C'è un collegio di ragazze al quale servirebbe un giardiniere, ma sembra che la direttrice, una combattiva orsolina, abbia già detto di no. Tanti sono i dilemmi che in questo momento rendono insonni le lunghe notti di Silvio. Mandare affanculo LettaLetta? Non è il caso di far incazzare l'Innominabile, c'è una domanda di grazia da predisporre in tempi brevi e colui che la dovrà esaminare è proprio l'Innominabile di cui sopra. Allungare i tempi di discussione in Giunta delle elezioni e delle ineleggibilità? Non ha i numeri per farlo e proprio ieri, Felice Casson e Stefania Pezzopane hanno detto che la Giunta si dovrà esprimere nei tempi previsti. La candidatura di Marina sembra definitivamente tramontata. Qualora la figlia prediletta dovesse improvvidamente scendere in politica, sa già a quale tipo di accoglienza sarebbe sottoposta (villa alle Bermuda, il conto “Muesta”, ecc.) quindi, meglio continuare a fare la presidente della Mondadori. A questo punto, i falchi del Pdl stanno facendo un passo indietro. La voglia di sparigliare sembra scomparsa dopo il messaggio a reti unificate dell'Innominabile, così pieno di rispetto e di considerazione per un pluripregiudicato che se fossimo in Renato Bilancia ci incazzeremmo un attimino. Quello che continua come un mantra, è il tentativo di tutti i pidiellini di far entrare nella testa degli italiani che, siccome Silvio è stato votato da 10 milioni di loro, è da considerarsi un intoccabile. Una deputata ieri si è spinta a dire che “togliere Silvio dalla competizione elettorale sarebbe come privare una squadra di calcio della sua bandiera”. Non sa, la deputata, che se “la bandiera” si è beccata una squalifica in campo non potrà mai scendere, manco a furor di popolo. Le regole del gioco ci sono e vanno rispettate e dovrebbe anche pensare, sempre la deputata, che le regole valgono anche in quell'immenso puttanaio che è il mondo del calcio, figuriamoci in politica. Sarà l'estate, sarà il caldo, sarà che gli appetiti vengono mangiando, ma la situazione di momentanea indisponibilità di Silvio sta dando la stura a personaggi vari e coloriti del centrodestra, per cercare di proporsi come leader dello schieramento. Lo ha fatto anche Flavio Tosi, sindaco di Verona, al quale ha risposto prontamente l'Umberto da Pontida: “Questa cosa mi fa ridere. Ma chi cazzo lo vuole Tosi? Lui ha fatto qualcosa solo perché si è imbarcato sulla nave della Lega. E poi, basta guardare il Veneto com'è ridotto. Meglio Marina allora”. C'è aria da tutti contro tutti. Da fratelli che accoltellano fratelli, amici che pugnalano alle spalle gli amici. Succede sempre quando un dittatore è in procinto di cadere. Le iene si scatenano pronte a spolpare insieme una carcassa, salvo mordersi per avere il pezzo migliore. Comunque, per non sapere né leggere né scrivere, gli avvocati di Silvio stanno predisponendo la domanda di grazia. Fanno testo le parole dell'Innominabile: “Per concedere una grazia devo prima ricevere la domanda”. Pronta, è in arrivo sul binario 27 della stazione di Milano, quello dei deportati ebrei italiani ad Auschwitz.

giovedì 15 agosto 2013

D'Alema consiglia l'amico Silvio di fare come Grillo. Marina “non può” scendere in politica e il governo LettaLetta va a gonfie vele. Il ferragosto triste del trombador cortese

Gli amici, si sa, si riconoscono nel momento del bisogno. È nei momenti bui e tristi che intervengono per darti una pacca sulla spalla o per rifilarti consigli spesso non richiesti. Il vezzo degli amici (e delle amiche) di infilarsi nella vita degli altri è pari quasi a quello di Graziano Mesina di delinquere: lo fa da cinquant'anni e lo farà per sempre. Insomma, solitamente gli amici (quelli finti) non riescono mai a farsi i cazzi loro, figuriamoci a non elargire pillole di saggezza. L'ultima testimonianza di amicizia vera è quella di Massimo D'Alema nei confronti del suo ventennale, finto antagonista, Silvio Berlusconi. A freddo, e senza che nessuno gli avesse chiesto una beneamata minchia, Baffetto gli ha pubblicamente consigliato di dimettersi dal Senato e di fare come Beppe Grillo. Siccome uno non bastava, Silvio (d'accordo anche Giulianone Ferrara detto 'o elefantino), dovrebbe andare in giro comiziando, potendosi così finalmente permettere di bestemmiare senza che un monsignore Fisichella qualsiasi gli contestualizzi il “porco...”, ed esibire il suo sconfinato bagaglio di barzellette sconce non dovendosi più giustificare con i birichini del Fatto Quotidiano che non gliene perdonano una. E tutto ciò per far sedere sugli scranni ministeriali Daniela Santanchè, Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e magari riesumare Bondi e Scajola perché, per la figlia prediletta Marina, sembra ci siano problemi. Quei rossi matricolati giornalisti dell'Espresso, hanno scoperto che Marina ha, come dire, una passione viscerale per i conti off-shore. E che uno di questi, per la precisione il “Muesta”, sia intestato a lei. C'è da dire che questa scomodissima verità emerge semplicemente dalle carte del processo che ha portato alla condanna di Silvio per frode fiscale. Il tutto è contenuto nella testimonianza dell'avvocato David Mills che, materialmente, costituì i due tesoretti esteri per Marina e Piersilvio alla vigilia del matrimonio del Capataz con Veronica Lario. Quando Silvio ai suoi esternò il timore che la figlia, una volta scesa in politica, si potesse ritrovare nei guai come lui, sapeva esattamente di cosa stava parlando. Non è, quindi, la voglia di continuare a fare l'imprenditrice che frena la discesa in campo di Marina, ma qualcosa d'altro e ben più pericolosa: la passione per il denaro. Ma, comunque la vogliate mettere, Silvio trascorrerà il peggior Ferragosto della sua vita. Asserragliato nella villa di Arcore, il Capataz, con le lacrime agli occhi e la tristezza nel cuore, sta ripensando a Villa Certosa, a quando i voli di Stato gli portavano a domicilio i migliori amici e soprattutto le amiche. A quando, braccio sulla spalla di Mariano Apicella, si esibiva in Que reste-t-il (de nos amours) e, con la bandana in testa post-trapianto capelluto, girava felice per le strade dell'isola con Tony Blair. E poi il vulcano che eruttava a comando, la finta foresta tropicale, il tunnel sottomarino, costruito in barba a tutte le leggi edilizie che, invece di rappresentare una via d'uscita in caso di attacco terroristico, era una via d'entrata per le amicizie da tenere riservate. E la dacia di Putin e la vodka nell'ombelico di Natasha che non potrà più sorseggiare perché gli hanno ritirato il passaporto. E la villa alle Bermuda, dove costringeva i fedelissimi a jogging mattutini feroci e pesantissimi. Tutto questo sembra essere la storia di un secolo fa e invece era ieri. Oggi, seduto in poltrona, potrà solo vedere in diretta streaming gli aerei con la scritta di plastica Forza Silvio svolazzare sulle spiagge. Armiamoci di fionde, chissà...

mercoledì 14 agosto 2013

L'Innominabile comprende “i turbamenti e le preoccupazioni dei pidiellini” e apre alla “grazia”. Silvio soddisfatto a metà: “Si vota”

Ci torniamo su un attimo: l'immagine dell'Italia in questo momento è quella del carabiniere che saluta militarmente Silvio appena condannato all'entrata del Senato. Ci pensate cosa accadrebbe se un fatto del genere si verificasse all'ingresso in tribunale di Tanzi o di Ligresti, di Renato Bilancia o di Totò Cuffaro? Si scatenerebbe un putiferio, a meno che anche fra i pregiudicati e i pluri-pregiudicati non esistano i criminali di serie a e quelli di serie b, come se la galera si trasformasse magicamente in un resort per quelli di serie a, e in un girone dell'Inferno per quelli di serie b. Ma almeno il carcere, in questo paese, è uguale per tutti o no? Ci chiediamo: ma è possibile adottare una comprensione a scartamento ridotto per chi si becca due anni per furto “per fame”, e a treno ad alta velocità per chi sottrae allo Stato decine di milioni di euro in tasse? Sembra proprio di sì, e il Cittadino che siede sullo scranno più alto della repubblica lo ha fatto capire chiaro e tondo. Mai risposta tanto sollecita ci fu rispetto all'atteggiamento del presidente su una particolare e specifica questione, mai tanta apertura ci fu rispetto al riesame di una condanna passata in giudicato. Si capisce subito che Silvio gode di una corsia preferenziale, dall'incipit del comunicato uscito ieri dalle stanze del Colle più alto: “nessuna domanda di grazia è stata presentata”. Perché, se lo fosse (presentata) cosa accadrebbe? Dall'inizio del mandato dell'Innominabile, sono state presentate 2688 richieste di grazia (trovare il numero è stata un'impresa), ne sono state accolte 23, meno dell'1 per cento. E c'è da dire che nel frattempo c'è stato l'indulto. L'ultima grazia accolta è stata confezionata in tempi record, riguardava Alessandro Sallusti che sempre di quella razza è. Che poi il documento uscito ieri rechi scritto: “le sentenze si rispettano e si eseguono” è un puro gioco di parole, tanto che Silvio è fortemente tentato dal far chiedere la grazia a Marina (la possono presentare i parenti dei condannati). Ma ovviamente al Capataz questa soluzione piace poco. Lui vorrebbe restare sulla scena politica a pieno titolo, vorrebbe insomma che il Capo dello Stato sconfessasse, da Presidente del Csm, la sentenza della Corte di Cassazione e che inviasse il giudice Esposito direttamente nella riaperta, per l'occasione, colonia penale dell'Asinara. Silvio ama vincere senza se e senza ma. Lui non deve chiedere nulla a nessuno. Lo fece agli inizi della sua avventura televisiva, quando si recava a Roma con la 24ore piena di contanti per i politici (un vizietto che non ha mai perso fino al punto di corrompere se stesso una volta sceso in politica), ma da allora nisba: Scilipoti, Razzi e Di Gregorio non li ha corrotti, li ha semplicemente comprati come il giudice Metta. In attesa della domanda di grazia che presenterà qualche familiare in ambasce, c'è da registrare il no definitivo di Marina la figlia prediletta, alla discesa in politica. La presidente della Mondadori lo ha detto chiaramente: “Io in politica non voglio scendere, sto bene dove sto, mi piace fare l'imprenditrice”. Fermo restando il discorso che la famiglia Berlusconi ci ha abituati a repentini cambi di marcia (e di parere), secondo noi Marina ha una paura fottuta che anche nei suoi confronti si possa scatenare il livore della magistratura rossa invidiosa dei successi del capostipite. Teme, insomma, che anche per lei si possa applicare qualche strano teorema da parte di quella magistratura che “ha perseguitato mio padre dal 1994”. Noi siamo convinti che se Marina ha agito sempre nella legalità, nessun teorema sarebbe mai applicabile. Non vorremmo invece che si trattasse di paura preventiva. 

martedì 13 agosto 2013

Parte il “brand” Forza Italia ma Silvio stavolta è fuori. Continuerà a comandare il gioco da dentro

Prima di parlare del futuro prossimo di questa nazione di teledipendenti a senso unico, vorremmo riportare tre titoli di Repubblica senza aggiungere nessun commento: “Genova, sfigurata con l'acido nell'ospedale dove lavora”; “Pinzolo, uccide a coltellate la ex e ne abbandona il corpo nell'auto”; “Avola, uccide la moglie e si suicida”. E un quarto: “14enne gay suicida, il dramma dei genitori 'Non abbiamo capito il suo disagio'”. Tutto qui. Nessun commento. Passiamo ad altro.
Ormai nel Pdl stanno prendendo atto che dovranno correre senza Silvio capolista ovunque, anche in Molise. Lo dice la legge Severino e, da quanto è possibile capire, neppure dalla bacchetta magica dell'Innominabile, questa volta potrà uscire l'incantesimo utile a farlo restare sullo scranno senatoriale di Palazzo Madama. Silvio è fuori dai giochi fatti in prima persona, starà però in tribuna perché gli sarà negata pure la panchina. Che i carabinieri continueranno a salutarlo militarmente, come si fa con i rappresentanti istituzionali della Repubblica, non sarà che un inciso, per quanto sgradevole ma un inciso. La sentenza Mediaset passata in giudicato, impedisce di fatto qualsiasi interpretazione diversa della legge “Severino” che, come si ricorderà, fu votata anche dai pidiellini convinti, dopo le dimissioni di Silvio e l'ingresso sulla scena del governo Monti, dell'inattaccabilità-impunità perenne del loro capo supremo. Le cose non sono andate così. Silvio a settembre lascerà Palazzo Madama per andare, probabilmente, ai domiciliari da dove, armato di tutto punto, guiderà la rinata squadra di Forza Italia alle prossime elezioni politiche (probabilmente a febbraio o in primavera). Nonostante il falco Nitto Palma (il vero pasdaran della giustizia secondo Berlusconi) preveda un ricorso al Tar per l'immissione in lista di Silvio, la strada sembra essere definitivamente chiusa, di più, sbarrata con i Cavalli di Frisia. Ecco allora la genialata tratta direttamente dal manuale del perfetto marketingettista: puntare tutto sul brand “Forza Italia”. Detta così, per i non frequentatori del mondo della comunicazione pubblicitaria sembra un argomento difficilissimo, invece non lo è. Facciamo un esempio. Marlboro non è solo un marchio, è un vero e proprio brand. È, insomma, la qualità assoluta rispetto al valore puro e semplice della “marca” di sigarette. Wikipedia lo definisce così: “Il brand management è l'applicazione delle tecniche di marketing a uno specifico prodotto, linea di prodotto o marca. Lo scopo è aumentare il valore percepito dal consumatore rispetto a un prodotto, aumentando di riflesso il brand equity (valore del marchio o patrimonio di marca). Gli operatori del marketing vedono nella marca la 'promessa' di qualità che il cliente si aspetta dal prodotto, determinandone così l'acquisto nel futuro”. Torniamo alla Marlboro. Quando un fumatore va dal tabaccaio e chiede un pacchetto di Marlboro (rosse morbide), si domanda chi è il presidente o l'amministratore delegato dell'azienda? Ma proprio no! Acquista quella “marca” perché la ritiene migliore delle altre. Riportiamo il ragionamento a bomba. Lavorare sul brand “Forza Italia” significa “aumentare il valore percepito dal consumatore” rispetto al prodotto politico, privilegiare la “marca” rispetto a chi presiede o dirige l'azienda che la fabbrica. Così Silvio intende fare con Marina: la nominerà amministratore delegato di un'azienda che fabbrica un prodotto di qualità assoluta in grado di catturare l'attenzione del futuro consumatore. In questo momento storico, il nome di Silvio non potrà sparire dai 6x3 (o 3x6 è uguale) né dagli striscioni che voleranno sulle teste degli italiani in spiaggia a ferragosto. Lo vogliono la logica della continuità e una sorta di ringraziamento perenne al fondatore. Ma vedrete, con il passare delle settimane, una volta che il “brand” si sarà fissato nei cervelli tanto al chilo di una vagonata di italiani invasati dalla voglia di lusso esibito, al posto del nome di Silvio ci sarà quello di Marina. Insomma, conta più il marchio di chi lo rappresenta. Questa è stata la chiave del successo di Silvio in politica, aver modificato la percezione dell'italiano-elettore in italiano-consumatore, aver venduto Forza Italia come le sue tivvù facevano con Bilba di Cadey o il Prosciutto Cotto Rovagnati dei break pubblicitari di Mike Buongiorno. Già da allora, primi anni '90, molti italiani si resero conto che sotto c'era una fregatura colossale, uno straordinario cambiamento della società e dei costumi che, come primo risultato, produsse personaggi alla Pietro Maso, il criminale che uccise i genitori per comprarsi la Porsche. Se a Giulio Andreotti la storia non ha potuto addebitare le Guerre Puniche, a Silvio Berlusconi, e al berlusconismo, potrà invece tranquillamente addossare la responsabilità dell'imbarbarimento di una intera nazione trasformata in un supermarket delle illusioni ad altissimo costo. Chi dice che il nostro anti-berlusconismo è solo snobismo intellettuale, rispondiamo che siamo anti-berlusconiani da molto prima che Silvio scendesse in politica. Era il suo sedersi sotto l'albero di Natale circondato da una moltitudine di bambini belli, biondi e con gli occhi azzurri, che ci stava sulle palle. Allora era solo il presidente di Mediaset, ma la voglia di sentirsi Gesù Cristo c'era già tutta. Chiediamo scusa per questo post poco ferragostano, ma al solo pensiero di andare in spiaggia e vederci svolazzare sulla testa un aereo con la scia “Forza Silvio” ci piglia di un male...

lunedì 12 agosto 2013

Danielona: “Il LettaLetta è finito. Avanti con Forza Italia e Silvio in tour”. Più di Vasco, meglio di Jovanotti

Danielona è irrequieta. La pitonessa del Pdl (a proposito di pitoni, ne hanno ritrovati 6 in pochi giorni nel bergamasco. Ma che cazzo ci fanno i bergamaschi con i pitoni?), sta affinando le armi per l'ennesimo trionfo di Silvio alla testa della rinata armata cazzeggiante di Forza Italia. Le prime prove di 3x6 (manifesti giganti, nda) inneggianti al partito del cavaliere, con lo slogan “Ancora in campo per l'Italia” (e per gli affari di famiglia), sono apparsi a Milano e, a breve, approfittando del solleone agostano, campeggeranno in tutte le città dello Stivale. La campagna elettorale, per chi avesse ancora dubbi, è partita. Silvio, in attesa di un segnale forte dal Quirinale, ha pensato di mettere le mani avanti. “Prepariamoci – ha detto ai suoi – qui o mi salvo il culo io o affondate tutti con me”. E i pidiellini, che senza Silvio non sarebbero buoni neppure a controllare le auto nei piazzali delle discoteche, hanno deciso all'unanimità di seguire il benefattore nell'ultima, sanguinolenta follia. Perfino 'O Schiattamuort ha deciso di dire “sì” ancora una volta. Povero Angelino, era convinto di essere il delfino e invece, con Marina che nuota nell'acquario travestita da piraña, dovrà accontentarsi di svolgere il ruolo che in fondo è sempre stato suo, quello del pesce-palla buono per essere preso a calci sperando di fare gol. Danielona, intervistata dal Tempo, ha detto la sua sulla situazione politica italiana. Siccome siamo convinti che anche lei, come la maggioranza dei colleghi di partito, abbia letto in tutta la vita una decina di libri, ha, come dire, una visione limitata delle cose e delle vicende umane. Lei ha un verbo, uno solo, si chiama Silvio Berlusconi, per il resto che diavolo volete che gliene freghi di quell'immensa rottura di palle che si chiama Dante Alighieri? E così, da anni, ripete sempre le stesse cose non avendo nemmeno il buon gusto, o l'intelligenza, di usare qualche sinonimo, di un contrario non se ne parla proprio. Allora: “Per me questo governo è finito perché non fa azione di governo ma rimanda tutto. La sua azione di governo è già finita”. Ora, come può un'azione di governo finire se non è mai iniziata? Non è un controsenso affermarlo anche se i metodi da Balena Bianca di LettaLetta sono come le bugie, hanno le gambe corte? Ancora: “Letta non si metta a fare giochi di parole all'estero, dove già faticano a comprendere i nostri controsensi politici”. È vero. LettaLetta dovrebbe imparare da Silvio: barzelletta su Mohamed Esposito, “cucù” alla Merkel, proposta di pomiciata all'interprete, “kapò” a Martin Schulz, “mister Obama” urlato davanti alla regina Elisabetta, “wow” detto a Michelle con il presidente USA che ha pensato “io le armi col cazzo che le tolgo di mezzo”. Questo è stato, per anni, il modo di comunicare del capo degli italiani a livello internazionale. Inarrivabile, ha ragione Danielona. E infine la sentenza madre di tutte le sentenze: “Fingere che quasi dieci milioni di italiani che rimangono senza rappresentanza politica non sia un problema del Paese, significa avere gli occhi bendati”. Danielona vuole, per Silvio, la grazia preventiva, e la fregatura è che il Capataz non potrà neppure usufruire del decreto svuota-cerceri perché lui in carcere non ci sta (ancora). Quando sentiamo questa storia che non si può dare torto a 10 milioni di elettori, ci torna sempre in mente Al Capone. Pensiamoci un attimo. Nei guai con il fisco americano, Al si poteva presentare alle elezioni e ricavarne così qualche beneficio. Purtroppo per Al, l'America non è l'Italia. Lì, se frodi il fisco ti mettono in galera e buttano la chiave e, se hai qualche pendenza penale, non ti consentono mica di candidarti. In Italia, paese di Pulcinella (nulla contro la nobile commedia dell'arte) e delle stragi irrisolte, tutto è invece concesso e ammesso, perfino che i carabinieri di guardia al Senato, salutino militarmente un pluripregiudicato. Mai un attimo di vergogna. Mai una botta di dignità.

domenica 11 agosto 2013

Come ogni estate torna Umberto Bossi, az! Non si sentiva la mancanza di idiozie. Bastavano i pidiellini

C'erano una volta il libro e il moschetto che facevano il fascista perfetto. Per fare un leghista invece, basta il moschetto, perché i libri... Il fatto è che loro, i leghisti, sono antitetici a un sacco di convenzioni (regole elementari) del vivere civile anche perché, per loro, le regole non sono regole, ma fregole. Scambiando i libri per spessori da tavolo barcollante, stentano a comprendere la vastità del mondo, delle culture che lo popolano, delle tradizioni degli altri che nulla c'entrano con Odino né con l'omaggio al Dio Po. Loro, (sempre i leghisti), si sentono bene solo in pianura (Padana) e fra le valli e le montagne dove l'eco ne rimbalza la voce fino a fargli credere di essere milioni mentre non sono che qualche centinaia di disperati. Loro, le camicie verdi, mica sanno davvero chi sia stato e cosa abbia fatto Alberto da Giussano. Lo hanno preso a simbolo, come Braveheart, di un assurdo storico-geografico chiamato Padania, manco fosse la Scozia o il Galles, o l'Irlanda, o la Catalogna o i Paesi Baschi. Confondono la storia e la geografia, l'arte e le scienze e sono davvero convinti che fra L'Aquila e il Cern di Ginevra ci sia un tunnel lunghissimo, visto che Riccardo, in vena di spacconate, ha detto di averlo percorso tutto in Ferrari. Ieri, Umberto, era in Valtrompia (da non confondersi con la Valtronfia che è tutta un'altra cosa). Avendo una voglia della madonna di brasato al barolo con polenta al formaggio fuso, Umbertino ha deciso di trascorrere il fine settimana sulle montagne del bresciano. E siccome si trovava lì, ha improvvisato un paio di comizi, tanto per giustificare l'ingurgitamento gratuito di polenta di cui sopra: “Altro che quella cazzo di pajata!”, ha detto Umberto dopo un rutto che ha fatto scappare a coda levata Leopoldo, il fox-terrier di Dolores Valandro. Ma prima, durante il comizio, Umberto aveva iniziato il discorso assumendo un aplomb da statista. Preso il microfono ha detto: “Basta con gli insulti. Noi siamo gente diversa. Parliamo, discutiamo, argomentiamo. La colpa è della Cecile Kyenge che ha rotto i coglioni”. Poi, ripreso il ghigno che neppure l'ictus è riuscito ad addolcire, ha sibilato: “Ho parlato con Angelino detto 'O Schiattamuort, e mi ha assicurato che la Bossi-Fini non si tocca. Per cui, fanculo ai clandestini e via con i respingimenti a cannonate”. Di tutte le altre idiozie è meglio tacere. Per puri scopi di tenuta di un partito ormai alla deriva, Bobo Blues Maroni non è riuscito a telefonare alla Kyenge per scusarsi; Salvini ha continuato a insultare domineddio; sempre più assessori leghisti postano foto di oranghi sulle loro pagine di Facebook. La Lega è dichiaratamente razzista e nazista; fascista per loro è un'offesa, troppo moderati, i fasci. Ce n'è a sufficienza per chiederne lo scioglimento coatto. A quando un provvedimento per rimandarli tutti sulle loro montagne?

sabato 10 agosto 2013

Silvio allo scontro finale. Il pretesto è l'Imu, l'obiettivo la fedina penale

Siamo al calor bianco. Il peggiore. Quello dei morti e dei feriti. Silvio fatto fuori per via giudiziaria è una fesseria. Lo sa il Pd. Lo sa L'Innominabile. Hai voglia a dire “le sentenze si rispettano, le condanne si eseguono”. Il ragionamento fila in un contesto di normalità, in un paese semi-civile, ma l'Italia è un'anomalia e il vice-presidente del Csm, Vietti, che convoca d'urgenza l'organismo dirigente del Consiglio Superiore della Magistratura per punire Antonio Esposito, ne è la dimostrazione più lampante: il delinquente libero, il giudice condannato. Come la chiamate questa se non “anomalia”? Ancora. C'è una sentenza di condanna in primo grado per concussione e induzione alla prostituzione. Ma se uno si becca una condanna penale ed è un pregiudicato, un altro che ne colleziona due o tre non diventa automaticamente un pluri-pregiudicato? Ecco, la prossima campagna elettorale italiana sarà all'insegna dei pluripregiudicati candidati premier. Che volete farci? Son soddisfazioni. Nel titolo abbiamo scritto che l'Imu è il pretesto silviesco per mandare a casa LettaLetta. Oddio, tanto pretesto non è visto che la cancellazione tout-court dell'imposta sulla prima casa è un provvedimento iniquo, buono solo per i ricchi e quindi l'ennesima scelta classista del Pdl, ma tolto di mezzo l'aspetto economico e di bilancio, tutti ormai hanno capito che quello di Silvio è un ricatto bello e buono. Lui entro agosto vuole una via d'uscita. Una qualsiasi. “Ci affidiamo alla fantasia dell'Innominabile”, hanno detto all'unisono i pidiellini. Ma di grandi fantasie stavolta non se ne possono inventare, perché i forconi attendono, ancora quietamente posati, dietro le porte delle case di qualche milione di italiani incazzati come opossum della Malesia con il mal di denti. Silvio sa che:
  1. la grazia non è concedibile visto che la sentenza è ancora in sospeso. C'è da decidere la durata dell'interdizione. Sarebbe una grazia preventiva: impossibile;
  2. non si andrà a votare con il Porcellum. Nonostante l'ennesimo tentativo democristiano di LettaLetta di formulare un Super-Porcellum, nessuno a parte i pidiellini e, forse, qualcuno dei 101 zozzoni, andrebbe alle urne con una legge elettorale che riporterebbe alle grandi coalizioni;
  3. l'Innominabile non scioglierà le Camere. Lo ha detto, cantato, rimato, mimato. Cercherà di trovare in Parlamento una maggioranza alternativa a quella attuale e non è detto che non ci riesca;
  4. l'Innominabile metterà sul tavolo le sue dimissioni. Ponete la questione come vi pare, ma in questo momento di timida ripresa sarebbe una iattura (non siamo pasdaran e capiamo quando c'è da frenare). Le dimissioni dell'Inquilino del Colle più Alto e l'elezione di un nuovo presidente non si sa, a questo punto, a cosa potrebbero portare. L'accordo saltato una volta con i 5S si potrebbe riproporre e, a fronte del tentativo di un pluripregiudicato di condizionare così pesantemente la vita democratica del paese, anche i parcheggiatori di voti potrebbero decidere di muoverli in qualche direzione.
    Per il momento, la cosa certa è che, come ampiamente annunciato su questo blog, trascorreremo il ferragosto in spiaggia con gli aerei da turismo inneggianti a Forza Italia. La tentazione di portarsi appresso un bazooka, magari nel cestino della lasagna, è prepotente. Ma noi siamo pacifisti, ci accontenteremo di un sano, eduardiano pernacchio.

PS. I contatti giornalieri sul mio blog superano abbondantemente i 100. Senza una grande testata a trainarlo, mi sembrano cifre di tutto rispetto. Solo ieri, parlando dei provvedimenti contro i femminicidi, e inserendo la parola nel titolo, sono sceso sotto i 40. Non voglio tirare nessuna conclusione estiva. Ma anche questo è un dato sul quale riflettere.