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giovedì 31 ottobre 2013

Halloween: la notte dei Silvi viventi

Li avete sentiti ieri i pidiellin-forzaitalioti dire che mai, in sessant'anni di storia della Repubblica, il Senato ha adottato il voto palese per autorizzare provvedimenti contro i senatori? Come sempre, quando parlano i pidiellini trattasi di balla colossale. 13 maggio 1993. Il Senato viene chiamato a decidere sull'autorizzazione a procedere per il senatore Giulio Andreotti, richiesta dalla Procura di Palermo per mafia. Il Senato vota più che palesemente, lo fa per alzata di mano, tutti i senatori alzano la manina, o la tengono abbassata, per deliberare sulla sorte di Belzebù. 20 giugno 2012, poco più di un anno fa, la stessa sorte toccherà al senatore Luigi Lusi, l'ex tesoriere della Margherita, per il quale i magistrati avevano chiesto addirittura l'arresto (eseguito). Sapete chi era il presidente del Senato in quella occasione? Renatino Schifani, che oggi tuona contro la violazione del regolamento. Per Lusi non ci fu l'alzata di mano ma il voto per appello nominale. Berlusconi non è, quindi, né un eroe né un martire. Né, in tutta evidenza, può continuare a invocare l'eccezionalità della persecuzione giudiziaria nei suoi confronti, l'unica eccezionalità vera è che in Senato ci sieda e non che ne venga espulso. Dicono che sia furioso anzi, di più, furiosissimo. Ieri si sarebbe dovuto incontrare a pranzo con i ministri del Pdl ma, dopo il voto della Giunta per il regolamento, ha disdetto tutto e si è rifugiato nella dependance di Dudù per un piatto di Cesar selvaggina e tartufo. Il Cavaliere vorrebbe tornare immediatamente alle urne, senza modificare di una virgola la Porcellum, in modo da potersi scegliere uno per uno i deputati e i senatori di Forza Italia. Non sa, il Silvio vivente, che se andasse oggi alle urne verrebbe travolto da Matteo Renzi (gliel'ha detto 2232) e, anche se lo sanno i suoi, ormai colto dal raptus muoia Silvio con tutti gli italiani, Berlusconi ha deciso di andare fino in fondo, come disse Edward J. Smith, il comandante del Titanic (o Francesco Schettino della Concordia, fate voi). Bello il titolo di Libero questa mattina: “Lo vogliono in galera”. Uno potrebbe anche rispondere “perché, in quale altro posto lo vedresti?” Ma siamo in piena pacificazione, non si può.
Giunge notizia che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, nell'agosto scorso, sia intervenuta per far uscire dal carcere Giulia Maria Ligresti. La ministra ha confessato al procuratore aggiunto di Milano, Vittorio Nessi, che lo ha fatto sì, ma per ragioni umanitarie. Giulia Ligresti, che già soffriva di anoressia, non mangiava più e rischiava di morire. Il procuratore aggiunto ha chiuso la faccenda con un “non luogo a procedere” perché “ non c'è nesso provato fra l'attivarsi della ministra e il rilascio della Ligresti”. Nulla da eccepire, ci mancherebbe, solo un piccolo elenco, questa volta di morti veri:
Cucchi
Aldrovandi
Uva
Gugliotta
Nahri
Fuad
De Marco
Midilli
Marsala
Smeragliuolo
e altri 990 detenuti morti di botte o per malattia o per suicidi in carcere. Che fregatura non chiamarsi Ligresti

martedì 29 ottobre 2013

Il ricattatuni di Berlusconi. Tranquillo Silvio, lo scriveranno anche i libri di Storia

Silvio "Stevie" Berlusconi
"Il voto sulla mia decadenza sarebbe una macchia sulla democrazia italiana destinata a restare nei libri di storia: il leader di centrodestra escluso così, con una sentenza politica che è il contrario della realtà, perché non si riesce a batterlo nelle urne...” . Il concetto di realtà per Silvio è sempre stato un optional. Lui non è vissuto sulla terra, percorso i nostri sentieri, respirato la stessa aria, bevuto la stessa acqua. Berlusconi ha sempre navigato in un mondo tutto suo, un macrocosmo che si è costruito e inventato di sana pianta durante l'intero corso della sua permanenza su questo pianeta. Profeta del tutto e del suo contrario, ha avuto con la gente un feeling che gli ha consentito di spadroneggiare per un ventennio, quintuplicando il suo capitale personale ma impoverendo mezza nazione. Invece di un balcone ha utilizzato la televisione; invece delle gracchianti radio dell'Eiar le voci dei suoi innumerevoli servi, maggiordomi, nani e ballerine. Silvio è stato l'uomo del pensiero fugace, dei sempreverdi in autunno, dei gabbiani affamati, delle falene impazzite, delle autobiografie di Mino Reitano e di Mike Buongiorno. Dicono che a tempo perso abbia letto Elogio della Follia del suo compare Erasmo, ma soprattutto i Diari di Benito Mussolini, anche se nell'edizione tarocca di Marcello Dell'Utri. I giudici di Milano, quelli della Corte d'Appello che hanno sancito la sua interdizione biennale dai pubblici uffici, lo hanno scritto chiaro e tondo: “Il ruolo pubblicamente assunto dall’imputato, non più e non solo come uno dei principali imprenditori incidenti sull’economia italiana, ma anche e soprattutto come uomo politico, aggrava la valutazione della sua condotta”. Il fatto è che del suo ruolo di “uomo politico” Silvio ha fatto scempio, un precedente unico in Europa perché nel resto del mondo ne abbiamo viste di peggiori. E ora, a conclusione di una vicenda che si sarebbe dovuta chiudere nel momento stesso in cui la Cassazione ha pronunciato il verdetto di condanna nei suoi confronti, Silvio ricatta impunemente e stavolta senza alibi né circonlocuzioni. È stato chiarissimo: “O resto in Senato o cade il Governo”. Punto. Senza possibilità d'appello. Il Pd, invee di reagire mandandolo dove dovrebbe andare perché sa benissimo dove dovrebbe andare, sta cercando di fare del tutto per trovargli un'altra sponda, e a cominciare da Renzi che: “Berlusconi? Abbiamo parlato per vent'anni di Berlusconi, ora basta”. Il Sindaco sa che se vuole acchiappare qualche voto dalla destra non può sparare contro Silvio, altrimenti corre il rischio di restare impallinato dalle sue stesse parole. Che personaggio il Renzi! Più lo sentiamo parlare e meno capiamo di quale partito stia ragionando ma soprattutto di quale paese vaneggia, visto che parla di sogni e di “mentalyst” come nell'imitazione straordinaria di Maurizio Crozza. Oggi l'ufficio di presidenza del Senato avrebbe dovuto decidere se adottare il voto palese o quello segreto per la decadenza di Silvio. Non si sa come, non si sa perché, tutto è rimandato a domani, quando finalmente il senatore del Trentino, Zeller potrà raggiungere Roma, magari in autostop. Sta andando in onda, nemici del Pdl, il più grande ricatto, lo potremmo definire “ricattatuni”, della repubblica, e state tranquilli i libri di Storia lo scriveranno a caratteri cubitali, dando in aggiunta e gratis, il suo giudizio definitivo sul significato di "pezzenti".

Angelino s'inchina al Padre. 46 milioni di comunicazioni italiane intercettate: mancano quelle di LettaLetta (che l'ha presa male)

Ci sono momenti nella vita di un uomo, nei quali è giusto rivoltarsi contro il padre. Soprattutto se in ballo c'è l'amore della madre/partito. Edipo ne sapeva qualcosa, 'O Shiattamuort è arrivato dopo ma si sta attrezzando. Per ora muovendo timidi passi, fra un po', chissà. Angelino Alfano ha innestato la retromarcia, ha interrotto “aspettatamente” il suo coito preferito, quello con il potere di risulta non avendo le palle per correre in proprio. Sapete, c'è chi, arrivato a cinquant'anni, continua a nutrire nei confronti del “padre” un sacro timore. Nonostante una vita autonoma, una famiglia, magari l'amante e il pied-a-terre, vive il rapporto con il padre in stato di totale asservimento, sviluppando una personalità schizoide da essere umano pensante incompiuto. Angelino rientra in questa casistica che comprende, ancora oggi, qualche milione di malati cronici che neppure la morte del competitor porterebbe a guarigione. Per chi ha il dono di interpretare le immagini e le movenze del corpo umano in una condizione data, che Alfano non aspettasse altro che una carezza di Silvio, per tornare a casetta scodinzolando onde tener compagnia a Dudù, lo si era capito il giorno del voto di fiducia al LettaLetta nel momento in cui Silvio disse solennemente: “Voteremo sì”. Poco ci mancava che gli scappasse una lacrima. E, avendo avuto in regalo dalla natura due occhi che più espressivi di quelli che ha non si può, la luce che apparve all'improvviso sul suo volto la diceva tutta su come sarebbe finita la storia. È bastato che il “padre” dicesse in consiglio di presidenza del Pdl che “Angelino sempre figlio mio è”, che il figlio, quasi prodigo, decidesse di non chiedere la parte della sua eredità e di restare in famiglia. Più che di calcolo politico, nel caso dell'ex segretario del Pdl si può, e si deve, parlare di totale mancanza di coraggio. Il padre morirà di morte naturale e lui lo piangerà al 'capezzone' fino alla fine.
Il Nipote (ce n'è solo uno non occorre specificare), l'ha presa veramente male. Lo ha considerato uno sgarbo e una scortesia che lo spingerà alla prossima riunione del G20, a mostrare la faccia corrucciata e la bocca a culo di gallina. Come a chi? A Barack Obama che ha, secondo il Nipote, una grave colpa: non averlo intercettato. Mettiamoci nei suoi panni. Snowden dice che in Italia la Nsa ha intercettato oltre 46 milioni di comunicazioni. Fra telefonate ed email, una massa incredibile di dati è entrata nel database dell'agenzia di spionaggio americana. Ebbene, non una telefonata né una email di LettaLetta sono state intercettate. Quasi un delitto di lesa maestà ma soprattutto l'esempio più facilmente e scientificamente dimostrabile che il nostro premier non conta una mazza. Proprio ieri sera, parlando con un nostro amico, abbiamo deciso di verificare se siamo ancora spiati. Da domani inizieremo a scriverci email piene di parole come “bombe”, “tritolo”, “C2”, “C3”, C4” e “Semtex” e di frasi senza senso. Poi descriveremo un piano d'attacco al cuore dell'economia mondiale e, giacché ci siamo, come mettere del bourbon nella lattina di Coca Light di George W. Bush per verificare se è davvero astemio o racconta balle. Ancora, abbiamo deciso di inserire (grazie a Google traduttore) termini arabi come “gnocca” e “pilu”. Se dovessimo veder girare intorno a casa nostra i furgoni della Fedex con un'antenna sul tetto, ebbene vorrà dire che siamo ancora spiati. Ma il massimo sarebbe se in piena notte fossimo svegliati da Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e Bruce Willis che, oltre a massacrarci psicologicamente con la visione dei loro film, ci torturassero per sapere tutto dei nostri rapporti con Al Qaeda. Volete vedere che dopo questo post entreremo di corsa nel database della Nsa che manco il presidente del consiglio?

lunedì 28 ottobre 2013

Aung San Suu Kyi a Roma. Meno male che in Campidoglio non c'era Calderoli

Essere cittadina di Roma mi fa sentire cittadina del mondo”. Queste sono le parole che Aung San Suu Kyi ha detto ieri in Campidoglio, ricevendo la cittadinanza onoraria della Capitale dal sindaco Ignazio Marino. A Bossi e ai terun della Padania devono essere fischiate le orecchie, ma una bistecca d'orso e un fantozziano rutto libero, dovrebbero aver risolto il problema. Il capo dell'opposizione birmana, è reduce da un tour europeo durante il quale ha potuto ricevere personalmente i premi che in questi lunghi anni di arresti domiciliari (quindici) non aveva potuto ritirare. La San Suu Kyi è una di quelle donne che in questi anni hanno dimostrato che il coraggio, la coerenza, la fermezza, il sacrificio personale, sono doti che appartengono ormai all'ex sesso debole, visto che gli uomini hanno alzato bandiera bianca da un pezzo, e che tanto per riaffermare il loro ruolo di padroni del nulla, si sono dati allo stalkeraggio, spesso con femminicidi finali. Sono le donne che hanno dentro la forza delle idee, donne alle quali le rughe intorno agli occhi danno un fascino che nessun botulino potrà conquistare... a pagamento. Donne come Aung San Suu Kyi che non hanno bisogno del chirurgo estetico per tirarsi le pieghe dell'età stampate in faccia né di ricorrere a diete cervellotiche per infilarsi una 42. Sono semplicemente donne che fanno del coraggio, e di un ideale di libertà senza compromessi, l'unica ragione di vita. Quando le dissero che Michael Aris, un marito amato più di se stessa, stava morendo di cancro, le autorità birmane tentarono di convincerla a partire sapendo che non l'avrebbero mai fatta tornare in patria, dove era diventata un simbolo. Lei rifiutò di lasciare la sua terra consapevole che il lavoro che stava portando avanti a rischio della vita, non poteva essere interrotto, era l'unica speranza di un popolo oppresso da una dittatura sanguinaria. Luc Besson, che sulla vita di Aung ha girato un film, The Lady, ha detto: “Se riuscivo a capire anche solo un po' come una persona che pesava 50 chili era riuscita a tenere testa, da sola, a un esercito di 300mila uomini, ai generali della giunta militare, be' allora questo segreto avrebbe cambiato anche la mia vita”. Sorpresa, quasi intimorita da tutti quei figuri in giacca e cravatta, Aung San Suu Kyi nel momento in cui ha iniziato a parlare, ha dimostrato di che pasta è fatta. La voce ferma, gli occhi puntati negli occhi di chi la stava ascoltando, ha dichiarato ancora una volta, senza tentennamenti, tutto il suo amore per la giustizia e per la libertà, un messaggio che fra quelle mura, alla fine, è risultato anche stonato. Chissà perché parlare di Aung San Suu Kyi ci fa sempre venire in mente Anna Politkovskaja. Forse perché sono due donne che amiamo profondamente, forse perché hanno molto da insegnare, forse perché, se non fosse stato per le pressioni internazionali e il Premio Nobel, anche Aung sarebbe stata sparata in faccia da sicari governativi spacciati per delinquenti comuni e mai processati. Fortunatamente la leader birmana è ancora viva e il suo soggiorno italiano sarà brevissimo, chissà cosa avrebbe pensato ascoltando Calderoli dare del gorilla alla Kyenge

sabato 26 ottobre 2013

I cazzeggi del sabato. Il Pdl è morto, rinasce Forza Italia e i governativi berluschini disertano la presidenza. Ma qual è l'Italia di Renzi? E soprattutto, cos'è il Pd?

Doveva essere il giorno degli stracci e invece è stato il pomeriggio delle fughe. Con 19 lealisti su 25 componenti, i filo-governativi non avevano chance quindi, piuttosto che farsi tritare dai falchi, allupati come tigri del Bengala dopo una sniffata di curry, hanno preferito disertare la riunione-imboscata che Silvio aveva preparato dopo una notte insonne passata a far giocare Dudù con la pecora di pezza che il cagnetto si tromba in mancanza d'altro. Adottando le giustificazioni più assurde (Alfano aveva un appuntamento con l'oculista; Cicchitto, alias 2232, con il restauratore di cazzuole e con il sarto per il nuovo grembiulino; Formigoni era messa da monsignor Fisichella; Schifani alle prese con una pericolosa crisi di rigetto da parrucchino e Maurizio Lupi al cda della Compagnia delle Opere), i filogovernativi se la sono data a gambe coperti nientepopodimenoché dallo stesso Berlusconi che ha detto: “Ho dato io il permesso di assentarsi”, perché, per chi non lo sapesse, se Silvio non vuole che tu vada in bagno, o hai una prostata a prova di bomba, o sei destinato a inzupparti i calzoni e le scarpe e a rimediare una figura di merda. La prima battaglia l'hanno vinta i lealisti. Era facile prevederlo, ma non altrettanto facile era immaginare la loro assenza alla riunione della presidenza del partito. Azzerate tutte le cariche, i poteri assoluti in mano al Capataz (che non li ha mai mollati neppure ad Alfano che ha fatto sempre il Rockfeller), il via senza se e senza ma alla ricostituzione di Forza Italia, la riunione è andata come doveva andare. A nulla sono serviti gli appelli dei dissidenti per non arrivare allo scioglimento del Pdl. Non c'è stato nulla da fare, il Pdl è morto, abbasso il Pdl e via alla nuova Forza Italia. Dicono che dopo un lungo periodo di meditazione zen, la Santanchè abbia squarciato il silenzio delle stanze di Palazzo Grazioli con un urlo che ha fatto fuggire Dudù sotto il tavolo. Alla domanda “cosa diavolo ti è successo?” la pitonessa ha risposto: “Appena avete nominato Forza Italia ho raggiunto un orgasmo irrefrenabile”. Che è poi come la barzelletta di quello che era andato dal medico per farci curare l'eiaculazione precoce insomma, a non far accendere anzitempo il fiammifero. Giorni duri per il governo LettaLetta anche perché 'O Schiattamuort, che notoriamente non è una volpe, non sa più che pesci pigliare dopo aver sentito per l'ennesima volta Silvio dire che sarà lui a prendere il suo posto dopo la dipartita.
Dove e da chi abbia imparato Matteo Renzi a comunicare così tanto democristianamente da far girare le palle allo stesso Letta (il nipote) non si sa. Non risponde mai a nessuna domanda che non gli vada a genio. “Matteo che ne pensi dell'Imu?” Risposta: “Ancora sto cazzo d'Imu, parliamo dell'Italia”. “Matteo che ne pensi dell'Iva?” “Ancora sta cazzo d'Iva, ma parliamo dell'Italia”. “Matteo che ne pensi della decadenza di Berlusconi?” “Ancora 'sto cazzo di Berlusconi, parliamo dell'Italia”. Ma se non parli dell'Italia quando affronti l'Imu, l'Iva e Berlusconi, ma niente niente preferisci parlare della Francia? E facciamolo, basta che ci dai una risposta, una qualsiasi, anche tre parole in fila che però abbiano un senso.
E veniamo al Pd. Non sappiamo se qualcuno di voi si sia divertito a leggere “Chiedilo a Mike!”, che non è Mike Buongiorno, ma Moore il documentarista. Ebbene, leggendo Michael Moore sembra di stare in Italia e di trovarci di fronte al Partito Democratico di Bersani, D'Alema, Veltroni e compagnia cantando. Scrive Moore: “In questo momento mi sto ponendo le domande che si pone la gente. 'È vero che i democratici vanno a letto con l'orsacchiotto e tengono la luce accesa?' 'Posso far parte del collegio elettorale delle primarie anche se ho solo la seconda elementare?' e poi, 'Quanti democratici ci vogliono per perdere le elezioni più facili della storia italiana?'”. È proprio vero, tutto il mondo è paese. Democratico, ma paese.

venerdì 25 ottobre 2013

Roi Georges, il Pdl, Forza Italia e MarinaMarina. L'Italia guerrigliera di Brunetta studia le tattiche d'assalto

Diciamolo. Per quanto uno possa sentirsi e vedersi allo specchio un Re, c'è un limite a tutto. E siccome non viviamo in una monarchia assoluta ma in una repubblica parlamentare, il limite è prima di buon senso e poi costituzionale. Con l'aria che tira e gli stracci che volano in continuazione, spiegateci voi il senso di una convocazione notturna dei leader del Pd e del Pdl per discutere della riforma elettorale. Non bastavano i “saggi” né le riforme votate senza il voto richiesto dei due terzi del Parlamento, l'Innominabile ha voluto verificare di persona personalmente la volontà della maggioranzucola che compone il governo del paesicchio, per assicurarsi che qualche passo avanti, rispetto alla Porcellum, si farà. Il fatto è che il Pd e il Pdl, sulla legge elettorale sono praticamente d'accordo su niente. Se a Silvio si toglie l'esercito dei nominati, come diavolo farà a tenere per le palle deputati e senatori proni a ogni suo desiderio ma fino a un certo punto? Qualcuno potrebbe dire che Le Roi è intervenuto per impedire una pericolosa vacatio legislativa nel caso in cui la Corte Costituzionale dovesse ritenere (a dicembre) fuorilegge la Porcellum. In effetti il problema si potrebbe porre, ma non perché c'è il rischio che si torni alle urne il giorno dopo il pronunciamento della Corte, ma per il fatto che gli italiani si potrebbero incazzare sul serio rendendosi conto di aver dato il via a due legislature con una legge anticostituzionale, l'ennesima presa per il culo a una nazione che vede sfilare continuamente in televisione i più grandi evasori fiscali della storia repubblicana, un monito virtuale per la brava gente. Ieri sera a Trento, Beppe Grillo ha urlato che ha dato mandato agli avvocati del M5S di iniziare la pratica per l'impeachment dell'Innominabile. Speriamo che nessuno si sconvolga se diciamo, a chiare lettere, di essere d'accordo con il comico.
Guerra e guerriglia. Ma siamo seri, chi diavolo ce lo vede Brunetta nella giungla delle vie di Roma mentre applica la teoria del “colpisci e ritirati”, così mirabilmente descritta nel manuale del Che? Ma siamo seri, chi diavolo crede che MarinaMarina (un omaggio alla canzone di Rocco Granata composta nel 1959 e ricelebrata dai Gipsy King), non scendesse in politica dopo le sue continue presenze romane? Silvio non si fida di nessuno, figuriamoci d'O Schiattamuort o del condannato in primo grado Fitto che quando arriverà in Cassazione non potrà neppure dire di avere dieci milioni di italiani che lo votano. Oggi pomeriggio Silvio deciderà (a meno di repentini dietrofront ai quali ci ha abituato), di ripartire da Forza Italia. Questo significa l'azzeramento degli incarichi del Pdl, il defenestramento di Alfano, l'assunzione piena e totale, in prima persona, di tutto il potere all'interno del partito. Questo significherà che Silvio sarà il presidente unico e intoccabile e che il ruolo di candidato premier alle prossime elezioni, toccherà alla figlia prediletta. Silvio si è rotto le palle sia di Alfano che di Fitto, è stanco di farsi tirare per la giacchetta (Caraceni) dalla Santanchè e da Brunetta e non ne può più delle laudi di Bondi. Parte la Berlusconi Dinasty, e sarà un altro bellissimo incubo.

giovedì 24 ottobre 2013

Ma come si fa a non essere faziosamente antiberlusconiani? Ennesimo rinvio a giudizio per Silvio. A Napoli. L'11 febbraio 2014 la prima udienza

"Senza titolo" di Giuseppe Piscopo
Siamo faziosi, lo siamo sempre stati. Lo siamo per lo sport, la vita, il lavoro, la politica, le donne, gli amici, i compagni di strada, gli sfigati e i clochard. La faziosità prevede la passione non l'ottusità. Lo si diventa quando si costruiscono certezze e ci si convince di stare dalla parte giusta: ovviamente parliamo di ideali, non di marchette. Così, nel tempo, siamo diventati faziosi nei confronti dei grandi voli di pensiero, di qualche sogno, di idealità mai speciose né costruite ad arte pro domo nostra. Siamo anti-berlusconiani da quando il Cavaliere “interrompeva le emozioni” con la pubblicità, da quando Silvio ha iniziato a fare l'imprenditore dell'inarrivabile e vendeva prodotti facendo sottoscrivere cambiali. Se poi Pietro Maso ammazzava i suoi per ereditare e comprarsi una Porsche, nessuno poteva stupirsi, come dice Giovanardi quando il branco violenta sedicenni. E la faziosità antiberlusconiana aumenta di giorno in giorno, e diventa irrefrenabile quando, come accaduto ieri, arriva l'ennesimo rinvio a giudizio per la compravendita del senatore Sergio Di Gregorio, alias l'impallinatore di Romano Prodi. La compravendita politica, il voto di scambio, è un reato gravissimo che Silvio aveva già messo in atto con i finanziamenti a gogò della chiesa cattolica ergo, nel caso del “pallone” napoletano, si tratta di reiterazione. E noi siamo faziosi. Abituato a pagare 80 euro un chilo di fagiolini, spendere 3 milioni per comprarsi un Idv, peraltro di un certo peso, a Silvio deve essere sembrato un prezzo di realizzo e così se l'è portato a casa insieme alla poltrona più alta di Palazzo Chigi, arrivata subito dopo con un trasporto speciale dell'UPS. L'inchiesta dei pm Alessandro Milita, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e Henry John Woodcock, si è così chiusa con il patteggiamento di Di Gregorio a 20 mesi e con il rinvio a giudizio di Silvio: prima udienza a Napoli, l'11 febbraio 2014. Ovviamente si sono scatenati gli altri faziosi, quelli favorevoli al vecchio lenone che hanno riacceso la tiritera della persecuzione giudiziaria e della magistratura vestita di rosso, armata contro un solo obiettivo, l'Innocente a prescindere di Arcore. L'ex senatore Di Gregorio, ha avuto ieri parole di comprensione nei confronti del suo fu acquirente tanto al chilo. Gli ha mandato a dire: “Credo che questa vicenda acceleri il tramonto di un percorso politico ormai arrivato al redde rationem. Consiglio a Berlusconi di ritirarsi dalla scena politica, liberando l'Italia
e la sua persona da tante infamie. Ho avuto un comportamento che oggi ritengo assolutamente disdicevole, finalizzato a ribaltare il governo Prodi in una sorta di guerra santa denominata dallo stesso Berlusconi 'operazione libertà'. Mi sento sollevato da un peso, ho detto la verità. Oggi non rimetterei la mia intelligenza, la mia capacità operativa, le mie conoscenze internazionali al servizio di Berlusconi: quell'uomo non meritava il mio aiuto”. La nostra faziosità ci spinge al punto di chiederci: ma se perfino un corrotto che pagherà l'essersi fatto corrompere con 20 mesi di galera, dice che non aiuterà mai più un uomo come Berlusconi, come può il PD continuare a tenere a galla il “killer” (come lo definisce l'Huffington Post) di Prodi? Giriamo la domanda al segretario Epifani e, in subordine, a Massimo D'Alema e Matteo Renzi anche se la risposta la conosciamo già: “responsabilità”. Che poi è il nome nuovo della correità. 

mercoledì 23 ottobre 2013

Rosy Bindi presidente dell'antimafia. E l'effetto serra colpisce la politica, un surriscaldamento da tonnellate di Pasta di Fissan

Gatto siamese uzbeko
Tutto si può dire meno che la politica italiana sia soporifera. Se perfino la più alta carica dello stato, quella che non si può nominare, impazzisce e si mette a inveire non contro chi l'ha chiamata “traditore” ma contro chi lo ha scritto per informare, significa che non siamo messi tanto bene e che l'orlo della crisi di nervi è stato superato da un pezzo. Tra l'Innominabile e il Fatto Quotidiano è scoppiata una guerra senza esclusione di colpi tanto che, per la prima volta nella storia della repubblica, un capo dello stato, in un comunicato stampa ufficiale, di un giornale fa nome e cognome. Non c'è dubbio che il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo, che vuole ascoltare l'Uomo del Quirinale nel processo sul “trattatuni”, ha scoperto nervi sensibili, talmente sensibili che se un bambino provasse a chiamare “nonno” il Presidente, si prenderebbe un vaffanculo colossale. Ma la giustizia non è uguale per tutti? O l'unico più uguale degli altri è solo Berlusconi? Volano stracci, quando voleranno anche bestemmie non contestualizzate e paesi vari dove far svernare le natiche, avremo raggiunto il top della coglionaggine. Perché vedete, i pidiellini sono stati abituati male. Comandando sempre e solo loro da una vita, non sopportano che qualcuno possa nominare presidente di commissione uno che non sia passato attraverso i raggi ics del loro apparatnik o, in subordine, non abbia almeno ricevuto il certificato di incapacità. Così, contravvenendo a un patto che si sta dimostrando contronatura sotto tutti gli aspetti, il Pd nomina Rosy Bindi presidente della Commissione Antimafia, un personaggio, la Rosy, che per chi è abituato a infarcire la commissione antimafia di mafiosi, suona più come una provocazione che come uno sgarbo politico. E c'è da sottolineare che nel momento in cui i pidiellini hanno abbandonato, offesi e incazzati come gatti siamesi dell'Uzbekistan evirati la commissione antimafia, pensavano che qualcun altro li seguisse. Ad esempio i leghisti i quali, facendo gli gnorri e fischiando motivetti padani facendo finta di nulla, non solo sono rimasti al loro posto ma si sono portati a casa anche due segretari. Scelta Civica si è astenuta (ma ormai gli ex montiani sanno fare solo quello, incapaci come sono di assumere una qualsiasi decisione), Sel ha votato a favore mentre i 5S hanno votato sì contro, ma sono rimasti in aula assicurando il numero legale rendendo così valida l'elezione. Alla Bindi, invece dei complimenti da gentleman, Brunetta ha urlato: “Dimettiti”. La stessa frase le è stata rivolta dall'altro Renato, Schifani, mentre la Santanchè ha preferito tacere godendosi i 740 mila euro incassati dalla vendita del 5,5 per cento delle azioni di Bioera. Rosy, invece di dimettersi subito dopo essere stata eletta, ha detto: “Sarò la presidente di tutti perché la mafia la si combatte tutti insieme”. A noi, questo ottimismo viscerale dei cattolici qualche volta fa una tenerezza della madonna.
Terminiamo con una notizia attesa dal 27 giugno del 1980. La Corte di Cassazione ha definitivamente sancito che il DC 9 dell'Itavia caduto nel mare di Ustica, non è precipitato per un cedimento strutturale ma a causa di un missile. Ora mancano i nomi dei depistatori, la nazionalità del missile, e il perché il caccia che lo trasportava e che lo ha lanciato, si trovasse proprio lì in quel momento. Nel paese delle menzogne e dei segreti, a volte ci si può accontentare anche di una mezza verità.


martedì 22 ottobre 2013

Pdl verso la scissione e Giovanardi fa 'il Carlo': “La ragazza violentata a Modena? Perché vi meravigliate?”

Il piano di battaglia era stato messo a punto in ogni particolare: la cavalleria, agli ordini del Generale Bondì, avrebbe attaccato il governo LettaLetta a destra; le amazzoni, con a capo la Santanchè a sinistra e, al centro, la mitica fanteria comandata (come solo lui sa fare), dal Generale Verdini, incaricato di sfondare la prima linea nemica. Alle spalle dell'esercito, Raffaele Fitto con l'artiglieria. Silvio l'Imperatore si sarebbe goduto la “campale” sulle spalle di Capezzone con in braccio Dudù, mentre Francesca avrebbe preparato con le sue mani i babà per festeggiare la madre di tutte le vittorie. La battaglia era iniziata. Sandro Bondì aveva iniziato a far muovere la cavalleria con lo scopo di disturbare la Legge di Stabilità. Le amazzoni stavano minando le certezze dello schieramento nemico, attaccando frontalmente lo stratega del Quirinale. Verdini aveva iniziato a saggiare la consistenza delle file del nemico cercando di comprenderne la solidità e la coerenza. E proprio sul fronte del bancarottiere fiorentino (dopo l'intervista a Report, Di Pietro si dimise, Verdini col cazzo che lo farà), iniziavano a vedersi le prime crepe. Il Magnifico redivivo, grazie al suo fiuto proverbiale per i maramaldi, aveva iniziato a capire che stavolta la compravendita non avrebbe funzionato e che le truppe mercenarie avevano trovato un “soldo” migliore. E infatti, proprio mentre stava dando l'ordine di attaccare subito dopo il voto di decadenza dell'Imperatore dal Senato, Denis aveva sfogliato i giornali rendendosi conto che non ce l'avrebbe mai fatta. 24 (diconsi 24) senatori del Pdl avevano infatti deciso di sostenere il governo che la battaglia campale avrebbe dovuto affondare. A nulla sono serviti gli appelli all'unità dell'Imperatore il quale, non sapendo più cosa offrire, era arrivato a proporre un giro sull'Otto volante con Dudù. In queste ore, un Imperatore deluso e amareggiato, tradito anziché no, sta prendendo atto che una scissione non è più evitabile. Che le sirene casiniane sono più forti dei dané, e che l'anima nera della peggiore Democrazia Cristiana, sta tornando alla luce dopo una rapida emersione dalle tenebre e una spolverata alle fasce (come le mummie). E se qualcuno dei transfughi avesse avuto ancora qualche dubbio, le dichiarazioni della Pitonessa e del condannato Fitto di domenica scorsa, li hanno definitivamente convinti ad abbandonare la nave che affonda. Non essendo cuori di leone, hanno una paura fottuta che Silvio non li ripresenti se si dovesse tornare alle urne e, quindi, meglio tirare a campare fino al vitalizio.
A riecco Carletto Giovanardi, l'uomo che non sa tacere e che quando parla combina disastri. Com'è avvezzo fare, il capo del tea-party italiota non si lascia scappare mezza occasione per fustigare i costumi e dare addosso ai gay. Sostenitore del boicottaggio della legge contro l'omofobia, Giovanardi, a proposito della ragazza di Modena stuprata dal branco, ha detto: “Non voglio entrare nel merito della vicenda che l'Autorità giudiziaria dovrà chiarire in tutti i suoi controversi aspetti. Quello che ritengo insopportabile sono certe dichiarazioni, tra l'indignato e il meravigliato, come se fosse possibile, 364 giorni all'anno, dileggiare ogni regola ed ogni principio educativo, presentando la sessualità come uno dei tanti beni di consumo, e poi scandalizzarsi se i ragazzi non si rendono neppure conto dell'inaudita gravità di certi comportamenti”. Fino a qui potremmo anche essere d'accordo con il senatore ultraconservatore, quello che ci stupisce è che Giovanardi non si renda conto che chi ha introdotto in Italia il concetto di “sesso = bene di consumo”, chi ha dileggiato le donne riducendole a puro oggetto del desiderio, chi ha frantumato il concetto di famiglia costruendosene tre, chi ha privilegiato da sempre il ruolo del maschio padrone fino a diventare simbolo esso stesso del machismo d'accatto, è proprio il suo capo, l'Imperatore di cui sopra, teorico e realizzatore della tivvù tette e ombelichi del “posso tastarle il culo?”, del “ma lei quante volte viene?” E Giovanardi parla di valori quando milita dalla parte di chi i valori li ha distrutti per un etto di prosciutto cotto Rovagnati e una doccia con Bilba di Cadey al gelsomino. Carletto vergognati e tornatene in convento a mangiare il pappone con le bertucce.

lunedì 21 ottobre 2013

Raffaele Fitto da Fabio Fazio. Se per noi votassero dieci milioni di italiani, potremmo...

Silvio Scaglia
Sentite questa: “Sì, onorevole Fitto, però, ad esempio, Silvio Scaglia (ex presidente Fastweb, nda), destinatario di un mandato di cattura, pur trovandosi all'estero è rientrato in Italia, si è difeso nel processo e alla fine è stato dichiarato innocente”. “Ma che me ne frega a me di Scaglia – risponde Fitto – lui mica ha dieci milioni di italiani che lo votano”. Eccolo il distinguo. Scaglia, povero Cristo, siccome non ha dieci milioni (che poi sono sette scarsi) di italiani che lo votano, si è dovuto presentare alla frontiera, farsi arrestare, andare a processo e poi, dopo essersi difeso nel processo e non dal processo, ha potuto finalmente lasciare il carcere e tornare a respirare aria di libertà. E stiamo parlando di Silvio Scaglia, mica di un pinco pallo qualsiasi. Però, siccome non è sceso in politica, non ha rincitrullito gli italiani con venti anni di televisione subliminale, non ha una schiera di maggiordomi, servi meno acculturati, ballerine, escort, fidanzate con barboncino preferibilmente bianco, nani, pagliacci con il naso rosso e senza, monsignori contestualizzatori e cardinali carrozzieri pronti a riparare una carcassa malconcia con il botulino e la plastica pilifera, lui doveva andare in galera e poi difendersi. Gli italiani, che credono alle balle di Fitto come alle lacrime della Madonna di Civitavecchia, indefessamente, continuano a ritenere vera la cazzata della magistratura politicizzata e invidiosa della fulminea carriera dell'unico, vero, originale, incontrovertibile self-made-man del Bel Paese che, occhio, non è il formaggino. Da tutto ciò si desume che se noi avessimo 10 milioni di voti (che non sono dieci ma sette scarsi), potremmo: pisciare al parco senza beccarci una multa per atti osceni in luogo pubblico; mostrare le nostre nudità alle ragazzine dopo aver aperto il trench; fregare due chili di vitella al macellaio nascondendoli dentro le mutande per sembrare Rocco Siffredi; rubare nella cassetta delle elemosine in chiesa per acquistare farfalline pachistane; farci una canna davanti a Giovanardi; tastare il culo a Paola Binetti per sentire se indossa il cilicio; dare della mignotta a Rosy Bindi e non essere querelati nonostante la manifesta incapacità di intendere e di volere; dare del cocainomane a Gianfranco Micciché... no, l'esempio è sbagliato; fare la cresta sui diritti televisivi; mandare affanculo Bossi perché vuole ancora sapere dove abbiamo preso i soldi per Milano2; andare a letto con le minorenni e non essere accusati di pedofilia; andare a letto con le mignotte perché tanto “noi le donne non le paghiamo”; andare a letto, nel lettone di Putin, perché “noi le donne le spacchiamo in due” (detta a Carlo De Benedetti); corrompere il giudice Metta per fregare la Mondadori al De Benedetti di cui sopra; inciuciare con D'Alema per pagare solo l'1,5 per cento del fatturato della nostra impresa; farci eleggere parlamentare e sgovernare per 20 anni nonostante il conflitto di interessi per le concessioni dello Stato grazie alle quali lavoriamo; triplicare il nostro patrimonio fregando la pubblicità alla Rai; dare dell'abbronzato a Barack Obama ed essere ancora ammessi al G8; dare del kapò a Martin Shultz senza essere espulsi su due piedi dal parlamento europeo; mettersi a urlare “mister Obama” davanti alla regina Elisabetta; bere la vodka dall'ombelico di Natasha nella dacia di Vlady; baciare le mani a un dittatore e poi dire di non averlo mai frequentato; pagare l'avvocato Mills per farlo stare zitto; pagare Mangano per farsi proteggere da un mafioso dalla mafia; costruire il buen retiro a Santo Domingo per il bibliofilo principe del nostro Paese, Marcello Dell'Utri; pagare l'affitto e le bollette delle utenze a ragazze abbandonate dalle Orsoline Scalze; nominare consigliere provinciali, regionali, parlamentari italiane ed europee, e perfino ministre in cambio di un servizietto osceno; possedere trentatré reti televisive, una squadra di calcio, dieci ville, cinque castelli, otto resort e due università; una banca; una compagnia di assicurazioni; un giornale (ufficiale) e almeno altri due di risulta; una parte della rete di distribuzione del grande consumo; l'agroalimentare; gli interessi innominabili in Gazprom. Potremmo tutto questo e anche di più, perché noi abbiamo dalla nostra parte sette milioni di italiani. Ma il passaporto non ce lo hanno ancora restituito...

sabato 19 ottobre 2013

La Bonev, Francesca e Dudù. Riecco Pierfy l'intramontabile e torna il gaffeur Filippo, simile a Silvio ma con più stile (regale)

Non si è mai capito per quale motivo se un giornalista fa il suo mestiere, e intervista “testimoni scomodi”, si deve scatenare l'iradiddio. Accadde lo stesso quando Santoro ebbe l'ardore di intervistare Patrizia D'Addario. Nonostante Silvio avesse fatto una figura della madonna (mitico il racconto della performance notturna del Capataz nella parte dello sciupafemmine), l'intervista televisiva era stata preceduta da una serie di diktat minacciosissimi di Niccolò Ghedini, il quale aveva adombrato perfino l'eventualità della terza guerra mondiale. Stavolta è successo con la signora Dragomira Boneva, in arte Michelle Bonev, che ha raccontato come è riuscita a girare la sua fiction televisiva dopo aver soggiaciuto alle avances del Caimano. Ma fino a quel punto nessuna sorpresa, lo sanno tutti che per far carriera durante il berlusconismo, occorreva pagare pegno, soprattutto se donna, giovane e carina. Ma la Bonev è andata oltre e ha raccontato a un pubblico esterrefatto, che Francesca Pascale ha, sessualmente, gusti particolari, insomma è lesbica e lei lo sa benissimo perché non “ci sono stata solo una volta, avevamo un rapporto”. E ha continuato: “Lo sanno tutti ma non parla nessuno”. É partito il fuoco di fila, non poteva essere altrimenti. Tutto il Pdl, non più diviso fra falchi e colombe, si è buttato addosso a Santoro, che manco una mischia di rugby, e lapidato mediaticamente Michelle Bonev. La Pascale, poi, è uscita fuori di testa. Ha dato immediatamente mandato ai suoi legali di querelare Dragomira e di chiedere danni per 10 milioni di euro. Svegliato nel cuore della notte, anche Dudù ha dato mandato ai suoi legali di querelare la Bonev. Richiesta del barboncino: un quintale di Eukanuba.
Toh, chi si rivede, Pierfy. Il bianco scudocrociato dop (come l'asparago verde di Altedo), quando c'è da ordire trame sottili è sempre presente. Sembra il pataccaro che da trentanni va al Louvre, si siede davanti alla Gioconda e la guarda per capire se è davvero una donna o sotto quella chioma si celi l'amante segreto di Leonardo da Vinci. E non lo ha ancora capito. Così il Pierfy, tutti i giorni della sua vita da quando era un ragazzino brufoloso, si alza, si veste e, accompagnato dalla scorta alla quale hanno diritto tutti gli ex presidenti della Camera, Bertinotti compreso, siede su uno scranno qualsiasi del Parlamento e inizia a guardare i banchi del governo. Il suo scopo è capire come tornare a sedere da quelle parti e soprattutto con quale formazione politica, visto che Bersani, D'Alema e Beppe Fioroni lo hanno corteggiato per anni senza successo: a loro, il Moscone verde, non lo dà. Così, con la fissa della ricostituzione della Democrazia Cristiana, va alla caccia disperata di tutti quelli che potrebbero dargli una mano. In questo momento, il suo obiettivo è creare un nuovo gruppo al Senato formato dagli 11 fuoriusciti da Scelta Civica e da altri democristiani dop (come il Canestrato di Moliterno) che riuscirà a raccattare in un Pdl diviso più che mai in neri e grigi. E siccome sa che se non mignotteggia un po' quelli se ne restano con Silvio, ha dichiarato: “Se al Senato voterò per la decadenza di Berlusconi? Non lo so, agirò secondo coscienza”. Se la coscienza di Pierfy è la stessa che gli ha fatto proteggere fino alla fine Totò Cuffaro, stiamo freschi.
E chiudiamo con l'ennesima gaffe di Filippo di Edimburgo che non abbiamo mai capito se ci è o ci fà. Ma all'estemporaneo consorte, SM Elisabetta II ha sempre perdonato tutto, perché Filippo sarà pure un gaffeur inarrivabile però lo fa con il regale stile che lo contraddistingue. Filippo, ad esempio, non urlerebbe mai “Mister Obama” durante un ricevimento a Buckingham Palace. “Sì, va beh, ma la gaffe?“... Calma, che avete fretta stamattina? Dunque, la gaffe. Elisabetta voleva tanto conoscere Malala (che tutti sanno chi è quindi è inutile perdere tempo a spiegarlo). Davanti al coraggio di questa ragazzina innamorata della scuola e della cultura, Elisabetta si stava commuovendo quando è intervenuto Filippo. “Sai – ha detto a Malala – in Inghilterra sarebbe inconcepibile che una ragazza non vada a scuola. I genitori farebbero di tutto pur di non averla tra i piedi a casa”.

venerdì 18 ottobre 2013

LettaLetta, Monti, Fassina, Brunetta, Giorgio, Beppe & Co.: Classe 2 "I", quella degli asini

In tutte le scuole di ogni ordine e grado del mondo c'è la classe, o meglio, la sezione degli asini. Quando andavamo a scuola noi, era la “C”. Rappresentava il meltingpot di ogni sottogenere (a detta dei professori e del preside) umano. Era piena di rompipalle, asini certificati e quelli di risulta, ripetenti, oppositori, orfani del '68 sprovvisti, oltretutto, di pedigree sociale: niente figli di medici, avvocati, notai, farmacisti, impiegati statali e preti. La nostra era la “B”, un gradino sotto la “A” ma solo per lo stretto ordine alfabetico, perché in termini di merito eravamo nettamente superiori. In questa nazione straziata dall'insipienza, la sezione degli asini è la “I” come Italia, da sempre sovraffollata peggio delle carceri, da sempre coacervo di figuri che invece di studiare pretendono di insegnare, arroganti manco poco come tutti gli ignoranti. La sezione “I” è quella che si riconosce immediatamente perché all'entrata ci sono i vigili urbani a regolare il traffico; gli studenti, che non conoscono né la destra né la sinistra, si rendono infatti protagonisti di frontali leggendari. Ma conosciamone qualcuno partendo dalle storie di questi giorni. Come si sa, la legge di stabilità sta procurando una serie di mal di pancia che non è possibile curare con una endovena di camomilla. Il primo risultato è stato quello delle dimissioni di Mario Monti dalla sua intuizione politica, Scelta Civica. Scippare le creature degli altri va di gran moda, a tutti i livelli e a ogni latitudine. Io invento, curo, faccio crescere (sputandoci lacrime, sangue e lavoro) una creatura o un progetto e arriva un tizio La Qualunque che, investito chissà da quale potere sovrannaturale, fa del tutto per scipparmi il frutto di anni di lavoro fino ad appropriarsene sfacciatamente. Ne sa qualcosa Bill Gates ma non siamo a questi livelli. Dopo giorni di incontri neppure troppo segreti con il suo ex padrone Mastro Silvio, Mario Mauro ministro della difesa ed esponente di spicco di Scelta Civica, fa sottoscrivere a 11 parlamentari del partito un documento di pieno e totale appoggio al governo, dopo che il presidente e fondatore, sulla legge di stabilità, ne aveva dette di cotte e di crude. Il risultato è stato che Mario Monti, purtroppo, si iscriverà al gruppo misto. Essendo senatore a vita non avremo il piacere di vederlo uscire dalla porta principale di Palazzo Madama
Stefano Fassina, che non abbiamo ancora capito dove abbia preso la laurea in Economia, magari per corrispondenza alla Radio Elettra, sta per lasciare il governo. Sembra che durante la discussione su come impostare la legge di stabilità, in Via XX Settembre non se lo filassero proprio. E infatti, mentre Saccomanni discuteva con i tecnici, lui era nello stanzino a fare le fotocopie. “Io non mi dimetto per la legge di stabilità ma per la mancanza di collegialità nel governo”, ha detto Fassina con le lacrime agli occhi assaporando un lecca-lecca alla fragola. 
I falchi del Pdl sono tornati al lavoro e hanno stroncato la ex finanziaria accusandola di tassazioni nascoste. Insomma, gli alleati di LettaLetta stanno facendo a pezzi il governo e lui che fa? All'uscita dallo Studio Ovale dichiara: “Che me ne frega a me della fiducia di Bondi, oggi ho incassato quella di Obama”, che notoriamente siede sugli scranni di Montecitorio e vota nel parlamento italiano a nome del popolo americano.
Ma i più grandi di tutti sono come sempre Renato Brunetta e Beppe Grillo. Il primo è riuscito ancora una volta a rendere un servizio della madonna al suo capo. Nel momento in cui si presentano le nuove stagioni televisive (e si fanno i contratti pubblicitari), Renatino ha messo sotto accusa Fabio Fazio e tolto dal caricatore di Mamma Rai due cartucce dum-dum, Maurizio Crozza e Roberto Benigni, che avrebbero spostato di parecchio il bilancio a favore della tivvù di Stato. Mediaset, in crisi nera di creatività, avrà così l'opportunità di farsi ancora valere sul mercato della pubblicità non per merito proprio ma degli scherani del Cavaliere, un immenso conflitto di interessi che continua e continuerà sempre. Curzio Maltese su Repubblica, ci ricorda gli ingaggi di Beppe Grillo quando era il comico di punta della Rai. All'epoca, una comparsata a Sanremo gli fruttava la bellezza di 380 milioni di lire a serata, che paragonati allo stipendio di un operaio, gridavano vendetta al cospetto della santa trinità. Beppe dimentica facilmente, come tutti gli italiani vittime della sindrome di Berlusconi, e si getta lancia in resta nella pugna per dire che il milione e ottocento milioni di euro all'anno a Fazio sono un insulto. A parte che secondo noi Fabio Fazio starebbe bene solo nella guardiola degli studi Rai di Corso Sempione ma, fatti quattro conti, sembra che la sua trasmissione si autofinanzi davvero con la pubblicità, cosa che non avveniva ai tempi di Beppe, quando a pagare erano solo i contribuenti. Ma che bella scuola, ma che sezione di asini, ma che compagnia di guitti!


PS L'Innominabile lo trattiamo un po' di sguincio, non vorremmo incorrere in qualche reato. La Corte d'Appello di Palermo ha stabilito che lui e Mancino devono testimoniare al processo sul “trattatuni”. “Fateci vedere le carte”, hanno detto dal Palazzo più alto della politica italiana del quale non si può fare il nome.

giovedì 17 ottobre 2013

Lampedusa: funerali di Stato sì, funerali di Stato no. L'ipocrisia balenottera e senza vergogna dei nuovi democristiani

Lo abbiamo visto tutti. Inginocchiato davanti alle bare bianche dei bambini. Poi, con la faccia contrita, le mani giunte quasi per una preghiera, gli occhi umidi e la voce semi-rotta dal pianto, promettere davanti al Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, solenni funerali di stato per le 373 vittime del mare di Lampedusa e della balordaggine criminale degli scafisti. Lo abbiamo visto e sentito tutti, LettaLetta, affermare, con il piglio deciso della Giovane Marmotta che vuole arruffianarsi il Gran Mogol: “L'iscrizione nel registro degli indagati per immigrazione clandestina è un atto dovuto... però, vedrete, non ci saranno conseguenze”. Li abbiamo visti tutti, LettaLetta e Barroso piegati dal dolore nel raccontare di quel cadavere di giovane donna con il bambino appena partorito, legato ancora alla madre dal cordone ombelicale. Lo abbiamo sentito tutti, 'O Schiattamuort, invocare la difesa armata delle coste italiane, come se la UE avesse un esercito e, sancito dai trattati, ogni Stato membro non dovesse provvedere con le proprie forze alla difesa delle sacre coste patrie. Poi, passato il cordoglio, ripreso l'aereo di Stato per Roma, tutto è stato dimenticato, tanto che quella conferenza stampa ci ha ricordato il comizio di Cetto La Qualunque quando prometteva pilu pi tutti due volte al giorno. Ma a quale razza di animali acquatici appartengono i politici italiani? Ai tonni, ai cefali, ai paguri bernardi, alle passere, alle vongole o forse alle cozze? Eh no, loro fanno parte delle balene, ma non quelle azzurre che misurano 33 metri e pesano 160 tonnellate, quelle bianche, un po' più piccole ma parecchio affidabili, quelle che nutrono i balenotteri spruzzandogli direttamente in bocca il latte grasso. Perché il ragionamento è semplice. 
Chi mai ha potuto generare una stirpe di ipocriti conclamati come quelli che ci sgovernano da venti anni e continueranno a farlo per i prossimi venti? 
Di cosa si sono potuti nutrire questi famelici rappresentanti dei capi bastone dei partiti se non di latte grasso? Così, dopo il cordoglio, arriva il cordiglio, quello dei frati neri lefebvriani che hanno avuto giustizia dopo aver urlato “Perché agli immigrati morti a Lampedusa i funerali di Stato e al cattolicissimo Priebke niente?” Detto, fatto. Niente funerali di Stato. La giustificazione? Si sono dimenticati, proprio così, si sono dimenticati. 
Ieri mattina, mogi mogi quatti quatti, i militari della marina italiana hanno preso le bare in stretto ordine numerico arabo (beffa del destino) e le hanno caricate sulle navi per essere sepolte nei cimiteri siciliani che hanno dato la disponibilità ad accoglierle. Non c'è stato nulla. Né una preghiera per chi ci crede né una parola per chi ha della fede un concetto diverso. Giusi Nicolini, la sindaca di Lampedusa e Linosa (che donna, che palle!), intervistata ieri mattina da RaiNews24, ha detto: “Io non voglio fare polemiche, per carità. Ci avevano promesso i funerali di stato ma non è successo nulla. Dello spostamento dei feretri ci hanno informato poco fa. Non abbiamo potuto dare né l'ultimo saluto né fare un funerale di stato o neppure un semplice funerale di paese”. Abbiamo cercato sui principali quotidiani italiani la notizia. L'ha riportata solo il Fatto. RaiNews24, dopo il primo lancio, ha taciuto. Nessun commento, come direbbe la sindaca: “Per carità”.

mercoledì 16 ottobre 2013

Botte da orbi ai funerali di Priebke. Un boia resta un boia anche da morto

Stavolta Luciano Violante non ha avuto il coraggio di dire che i morti sono tutti uguali, forse perché non c'è in ballo nessun inciucio: tutto è compiuto (come scrive San Giovanni nel suo Vangelo). In verità, non lo hanno detto neppure Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Che differenza ci sia fra i torturatori di Salò e il boia Priebke non lo sapremo mai, però i repubblichini sono morti da rispettare, mentre la salma di Priebke poteva anche finire in una discarica. E l'umana pietas? E lo spirito di riconciliazione? E il perdono cristiano? Che diavolo di fine hanno fatto, visto che perfino il Vicariato Romano si è rifiutato di celebrare i funerali del boia? 
In compenso ci hanno pensato i filo-nazi dei preti neri lefebvriani, riabilitati nelle ampie e calde braccia di Santa Romana Chiesa da Benedetto XVI
La fregatura è che non avevano fatto i conti con la popolazione di Albano la quale, appresa con sgomento la notizia che le esequie dello sparatore alla nuca di civili si sarebbero tenute proprio nel loro comune, hanno dato fuori di testa. Il bello (o ridicolo) di tutta questa sporca storia è che, alla fine, il rito non è stato celebrato perché il prete incaricato, a un certo punto, si è tolto i paramenti e se n'è andato. Sapete perché? Perché la popolazione di Albano in rivolta, ha impedito ai familiari e alla ventina di neonazisti presenti sul sagrato, di entrare in chiesa. E non è tutto, ai microfoni de “La zanzara”, il prete nero-nero lefebvriano, Don Floriano Abrahamowicz, incaricato delle esequie, ha detto: "Priebke era un mio amico e lo considero un cristiano cattolico, un soldato fedele, unico caso di innocente dietro le sbarre. E' uno scandalo come è stato trattato in Italia, è stato perseguitato mentre si accolgono in modo dignitoso gli immigrati a Lampedusa. E' una vergogna". Allucinante! 
Forse Don Floriano non sa che in Italia c'è un altro innocente che rischia di finire dietro le sbarre, si chiama Silvio, ma questa è un'altra faccenda. 
È notte, e mentre stiamo scrivendo questo post, la situazione ad Albano è ancora molto tesa. Nel pomeriggio, i neonazisti avevano reagito agli insulti della gente lanciando sassi. Se avessero avuto in tasca bombe a mano sarebbe stata una strage, ma anche questa è un'altra faccenda. 
Abbiamo letto che in Senato la commissione giustizia ha dato il via all'introduzione del reato di negazionismo. Insomma, dire che la Shoah è stata solo una manovra propagandistica delle potenze demo-plutocratiche, sarà un reato. Hanno votato contro Carlo Giovanardi (ma va là!) e il socialista Enrico Buemi. Ci chiediamo, a questo punto, se lo sarà anche negare i valori della Resistenza o affermare che i partigiani erano terroristi. Sarebbe una bella tranvata per i fasci. Povero Maurizio e povero Ignazio, e povera anche Giorgia (canterebbero Jannacci e Fo).

martedì 15 ottobre 2013

Mamma li pidiellini! Guerra a Fazio e Crozza. E la Lega e Grillo litigano a chi è più razzista.

È bastato rientrare dalla porta di servizio al governo, che i pidiellini tornano a cavalcare una vecchia hit, quell' “Editto Bulgaro Rap” che non è solo una canzone ma un vero e proprio inno di guerra. Inutile, se non sei con loro e ti seguono un fottio di persone, non hai diritto di cittadinanza né in Mediaset né in Rai. Di epurati nella Rai c'è un elenco lungo quasi quanto i morti di Lampedusa, bambini esclusi. In Mediaset il discorso è più semplice perché guardano il pedigree. E se non sei almeno un barboncino non ti vogliono. Lo scazzo Fazio-Brunetta ha avuto come sempre un seguito. A Brunetta, che ha una memoria da elefante e una sorta di perpetua rivalsa contro l'umanità normale, non sono andati giù gli applausi della “claque” dell'esangue Fabio Fazio. Forte del suo linguaggio a “insulto reiterato e continuato”, l'ideologo del tormentone per demolire le argomentazioni dell'avversario, è uscito dalla sede Rai di Milano con un diavolo per capello, quindi tanti capelli tanti diavoli. Tornato a Roma si è incontrato immediatamente con i plenipotenziari del suo partito e lanciato la sfida: sul compenso di Fazio occorre metterci mano e a Crozza niente Rai”. Sì, perché l'altro comico genovese, terminata l'ultima serie su La7, dal prossimo anno sarebbe dovuto passare alla Rai. L'odio profondo, diremmo viscerale, che i pidiellini provano nei confronti dei comici è inspiegabile, visto che ne hanno per capo assoluto uno che non è manco il migliore. Però c'è da sottolineare come i vizi del partito dell'amore e della libertà sia sempre lo stesso da venti anni. Si chiamino Biagi, Santoro, Luttazzi, Travaglio o Dandini, quelli che remano contro non devono apparire in tivvù, soprattutto se a seguirli è qualche milione di persone che tentano affannosamente di non farsi smerigliare il cervello. È ripartita la sfida perenne contro i detrattori e i non allineati, contro coloro che la pensano “diverso” e gli esponenti della libera comunicazione. Parliamoci chiaro, di Fabio Fazio o di Maurizio Crozza a noi non frega una solenne mazza, per quanto ci riguarda potrebbero anche lasciare il video e andare a pescare cefali nel Mediterraneo, ma quello che non si sopporta è il ritorno al clima di intolleranza totale dopo un paio d'anni di calma apparente e qualche testa che, comunque, è saltata. Tutto ciò non è ammissibile, soprattutto se l'accusa viene mossa nei confronti di chi, pur guadagnando un barcone (immorale) di soldi, paga le tasse fino all'ultimo centesimo e non è mai stato condannato a pene definitive.
Spettacolo imperdibile ieri sera da Formigli. La direttrice della Padania, di cui non ricordiamo il nome perché non ce ne frega niente, e un blogger grillino-ortodosso, di cui non ricordiamo il nome perché non ce ne frega niente, se le sono date di santa ragione e sapete perché? Hanno fatto a gara per dimostrare alla “pancia” degli italiani chi dei due è più razzista. Proprio così, leghisti e grillini hanno litigato, in nome del 25 per cento dei voti, per dimostrare chi di loro ha più in avanzata fase di incubazione il morbo del razzismo. Oddio, mettersi a litigare con Borghezio, razzista dalla culla, non ci è sembrato il caso, però qui sono in ballo milioni di voti e un progetto politico che ha bisogno di croci sulla scheda elettorale come il bradipo ubriaco del Venezuela della topa per non finire morto stecchito su un ramo e senza erede. Comunque la si voglia mettere, quello di ieri sera è stato uno spettacolo vergognoso. Maledetta mano destra (la nostra).

lunedì 14 ottobre 2013

Da Silvio a Grillo a Renzi: quando la politica la fanno i sondaggi

Capire cosa c'è nella pancia della gente. In venti anni di berlusconismo d'assalto, è profondamente cambiato il modo di leggere i sondaggi e di conseguenza, il modo in cui si commissionano. Per cui alle agenzie (che pur di guadagnare non troverebbero affatto disdicevole chiedere ai testimonial se preferiscono la carbonara con la cipolla oppure no), invece di sondare cosa c'è dentro la testa degli italiani, in poche parole come la pensano, viene chiesto di indagare più a fondo, di capire quali sono i segreti inconfessabili dei cittadini. Il quadro che ne viene fuori è quello di una popolazione “discretamente” razzista, “silenziosamente” omofoba, “fortemente” giustizialista”, perfino troppo cosciente nell'assumere in sé il concetto di “farci guidare va bene ma non troppo”. Silvio, in venti anni di potere quasi ininterrotto, ha fatto della lettura dei sondaggi pubblicizzabili e non, il suo spirito guida. Rispondere con le parole (perché farlo con i fatti cambia completamente la visione) alla pancia degli elettori, è stato il suo imperativo categorico. Siamo convinti che nessuna delle prese di posizione di Silvio sia stata la conseguenza delle sue idee, ma solo un modo di rispondere al popolo elettore che poi, nel segreto delle “gabine”, lo avrebbe votato. Per cui, a parte i provvedimenti ad personam e ad aziendam, tutto il resto è stata solo una volgare captatio benevolentiae che è partita da un presunto essere cattolico strenuo difensore della fede, e terminata con l'odio nei confronti degli omosessuali di alcuni dei quali è per altro amico. Considerato che questo profilo politico definibile in una sola parola, “populismo” gli fa guadagnare ancora 7 milioni di voti, c'è stato chi ha cominciato a pensare che la strada tracciata da Silvio fosse quella giusta. Non evadendo tasse e non scopando come mandrilli dell'artide ai quali il freddo procura erezioni 24hours, Beppe Grillo e Matteo Renzi cercano di presentarsi al popolo come interpreti fedeli e coerenti del malpancismo nazionale. Quindi, siccome la maggioranza degli italiani è nell'intimo “discretamente” razzista, abolire il reato di clandestinità non si può. Basta andarsi a rivedere uno dei comizi fiume di Beppe-Fidel per rendersi conto che il tema dell'immigrazione non è stato manco sfiorato, figuriamoci affrontato. E se qualcuno prova a chiedere a Grillo cosa ne pensa dello ius soli, il comico risponde: “Parliamone”. E se due suoi senatori si fanno promotori dell'abolizione del reato di clandestinità, lui li sconfessa pubblicamente a mezzo post, controfirmato dal teorico di Gaia, prossimo socio del Club Bilderberg. “Erodere l'elettorato altrui facendo leva sulle sensibilità più nascoste” è, quindi, diventato l'obbligo istituzionale, una volta preso il potere democraticamente, si potrà discutere di tutto. Lo ha capito, alla grande, Matteo Renzi che ormai parla solo dopo aver letto i sondaggi commissionati all'uopo. Per cui, siccome la maggioranza silenziosa degli italiani è contraria sia all'indulto che all'amnistia (visto che l'ultima è stata fatta sette anni fa e il prodotto non è cambiato), dice a Bari che sono “una cretinata”. Poi, dal momento che sarà pur vero che ci piace farci guidare ma fino a un certo punto, si permette di affermare: “Il presidente della repubblica ha, all'interno delle sue prerogative, inviato un messaggio lungo e circostanziato alle camere. Il ruolo di un partito dovrebbe essere quello di rispondere all'invito di discuterne e non quello di appiattirsi acriticamente su quelle posizioni”. Insomma, va bene che l'Innominabile invii messaggi, però è anche nel diritto dei partiti confrontarsi e non chinare il capo e dire: “Lo ha detto lui”. Ma Matteo è furbo come una cotta e, se da una parte, parlando di immigrazione, toglie un po' di credibilità alle sue posizioni di destra, se ne riappropria immediatamente cavalcando i temi dello “svuota-carceri” e dell'antipatia che da sempre il popolo di destra ha nei confronti di Colui che siede sulla poltrona più alta del Colle. La politica, per concludere, la fanno quindi i sondaggi che riescono a leggere e ad interpretare i segreti più intimamente nascosti di un popolo di ex elettori trasformati scientificamente da Silvio in clienti affetti da shopping compulsivo. Lo ha detto anche Bobo Blues Maroni: “Grillo può provare a fare il razzista come noi, ma ne deve mangiare di 'dagli al negher'”... Poi qualcuno si meraviglia se stiamo con Landini e Rodotà.

sabato 12 ottobre 2013

I cazzeggi del sabato. Priebke, Silvio e l'impeachment del Re

Quando lo liberarono per permettergli di trascorre la vecchiaia in casa, venne accolto da uno striscione dei condomini dove c'era scritto: “Buon Natale assassino”. Quando si presentò il nipote con una bottiglia di champagne in mano per festeggiare il 90 compleanno, se non fosse intervenuta la polizia, il giovane fringuello se la sarebbe vista male, malissimo. Priebke, l'uomo del non-pentimento, del “io ero un soldato”, quello che si diede alla fuga per non finire sul banco degli imputati a Norimberga, è morto serenamente, e in pace con la sua coscienza di assassino, a 100 anni. Nel suo testamento spirituale (sic!) ha riaffermato che la shoah non è mai esistita “Prove inventate”, dice Priebke. Come dargli torto? Lui è cresciuto, combattuto e morto da ufficiale del Terzo Reich, per quella svastica che non si è mai tolto neppure sotto la doccia. Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, ha detto: "Non ha mai sentito l'esigenza di pentirsi. La strage delle Fosse Ardeatine non ha riguardato solamente la comunità ebraica, l'eccidio interessò tutta la città di Roma e i suoi abitanti. Saranno gli angeli, quelle 335 vittime, che sapranno come accoglierlo". Un vicino di casa invece ha detto: “Lui è morto in un letto, 335 romani no”. C'è chi prova a farci credere che i morti siano tutti uguali. Non lo sono, onorevole Violante, né lo saranno mai, neppure dopo una profonda revisione del concetto di morte.
Silvio è disperato, il partito gli si sta squagliando sotto le mani e l'aver optato per i servizi sociali non lo ha affatto tranquillizzato. Da una parte si registra la netta presa di posizione dei pidiellini governativi che, per bocca di 2232 hanno detto: “Va bene Forza Italia, Berlusconi presidente, 'O Schiattamuort vice e una linea moderata da destra europea moderna. Altrimenti il Pdl va avanti da solo e gli altri ridaranno vita a Forza Italia”. I cosiddetti lealisti, invece, voglio l'azzeramento delle cariche del partito, un congresso a breve per contarsi e fuori dalle palle i governativi. Ci vorrà tutta la forza di persuasione di Silvio-Timoshenko per tenere unito un partito che di restare unito non ci pensa proprio. E ci vorrà tutta la vocazione all'olocausto di Silvio che, partendo dal Binario 27 della stazione di Milano, teme di finire in galera il giorno dopo la decadenza da senatore. Il reato commesso nella corruzione del senatore De Gregorio lo contempla, l'arresto.
L'ideologo dei FiveStars, il Chiaro Professor Paolo Becchi, ha firmato l'impeachment per il presidente della repubblica. “Ha esercitato le sue prerogative al di là dei limiti previsti dalla Costituzione, ha snaturato il senso politico e morale della figura del Capo dello Stato”. La richiesta del professor Becchi (che sembra la copia sputata del dottor Jekyll dopo l'assunzione del farmaco bestiale), è arrivata in un momento molto delicato della breve vita del M5S. Sembra infatti più l'iniziativa per ricompattare un movimento dilaniato dall'ultimo post del Duo di Piadena, Grillo-Casaleggio, che una presa di posizione seria destinata a fare breccia e strada. Il reato di clandestinità ha profondamente diviso i 5S e la consapevolezza che le battaglie di Grillo sono state fatte spesso per motivi elettorali e non per un reale convincimento politico, ha deluso i giovani idealisti pentastelluti. Qualcuno dice che il Movimento, dopo questo fatto, non sarà più lo stesso. Si attendono prossime, violente, volgari espulsioni.


venerdì 11 ottobre 2013

Caccia a Silvio. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono (ai servizi sociali)

È un delirio. Sembra una cazzata ma non lo è. Pur di avere Silvio per l'anno di servizio sociale che gli tocca (ma occhio all'indulto prossimo), decine di associazioni, gruppi, cooperative, ong, no-profit, orf, arg, gran figl d putt, gran lup mann stanno facendo carte false. Fra un po' si giocheranno a dadi una presenza tanto scomoda quanto ambita: Silvio in una qualsiasi associazione decuplicherebbe gli introiti, mica pifferi. Ci sono praticamente tutti (tutte): le comunità di don Mazzi, don Gelmini, mons. Fisichella, San Patrignano, Rogoredo, Sampierdarena, Canicattì, Villa Simius, Perdasdefogu, Bergamo di Sotto e Bergamo di Sopra, Salò, Predappio, Latina, Civitavecchia, Sesso (Reggio Emilia), Orgia (Siena), Cane (Brescia), Gatto (Catanzaro), Fallo (Chieti), Gnocca (frazione di Porto Tolle) e le ultime due, che ci sembrano oggettivamente le più adatte, la libera comunità del monte Baciaculo in provincia di Brescia o, in alternativa, quella di Godo a Ravenna. Poi ci sono organizzazioni strane: Dog Sitter di Milano, Nessuno tocchi Caino e anche i Tappeti di Iqbal. Ancora, le associazioni degli Inquilini di Portoferraio, dei Bocciofili di Sesto San Giovanni, degli Oculisti di Taormina, delle Casalinghe di Abbiategrasso, delle Veline di Ala, degli Odontotecnici di Nuoro, delle Pecore Tosate di Campo Imperatore, dei Caimani Piangenti dell'Isola Mortorio, dei Mamuthones di Mamoiada e dei Tenores di Bitti, Remunnu e Locu. Insomma, Silvio ha la più ampia libertà di scelta che essere umano abbia mai avuto. L'ultima parola spetterà però a Francesca (Pascale) la quale ha proposto a Ghedini di inoltrare domanda per tenere Silvio a casa, dog sitter di Dudù. Sembra però che Dudù non lo voglia. A forza di portarlo in spalla, il barboncino ha iniziato a soffrire di mal di mare.
Ci mancava solo questa: Grillo e Casaleggio contro l'abolizione del reato di clandestinità e contro la mozione degli stessi 5Stelle, votata perfino dal Governo (quindi Pd e Pdl), da Sel e da Scelta Civica. Vabbè che Beppe ascolta la pancia del suo popolo, ma questi sembrano più che altro attacchi di colite.

giovedì 10 ottobre 2013

Sandro Bond “il giapponese”. E Alemanno finisce nei guai per i Menarini Bus

Bond è ormai un personaggio da teatro greco classico, da Shakespeare drammatico, il Yokoi Shoichi soldato giapponese fedele all'Imperatore, ritrovato nel 1972 solo, e ancora combattente, nella giungla. Al contrario di Yokoi però, Bond qualche amico lo ha. Fra di loro si chiamano “lealisti” e li unisce non la sete di potere e la brama di poltrone, piuttosto la fedeltà assoluta nell'uomo che non è stato solo il salvatore da fallimenti esistenziali totali, ma un vero e proprio mecenate-faro per donne dai non complessi costumi e uomini sull'orlo del suicidio. La devozione nei confronti di Silvio è tale e quale a quella che in milioni hanno per Padre Pio o per Madre Teresa di Calcutta anche se, come spesso accade, la via che porta al fanatismo religioso è un'erta fitta di pericoli. Bond è diverso da Bonaiuti o da Fidel Confalonieri o dagli stessi Letta (zio) e Denis Verdini, l'ex titolare del Mibac è innamorato follemente del Padrone e il suo stato di asservimento totale e acritico, è frutto di un sentimento profondo, un misto di rispetto e gratitudine che se Bond fosse una donna... Della conferenza stampa dei ministri facenti parte del governo LettaLetta, non ha criticato né l'inopportunità né il tentativo (fallito) di contarsi. A lui è balzato agli occhi che nessuno dei suoi ormai ex colleghi di partito, abbia fatto cenno al dramma personale che Silvio sta vivendo in questo momento. Nessuno dei ministri pidiellini ha detto una sola parola d'accusa nei confronti della magistratura né qualcuno ha avuto il coraggio di attaccare la politica estremista, forsennata e forcaiola del Pd (sic!). Sconvolto, confuso, deluso, tradito, esterrefatto, al termine della conferenza stampa Bond, con le lacrime agli occhi ha detto, “neppure una parola su Silvio, questa conferenza stampa è stata una pagliacciata”. Logico e conseguenziale, l'essersi schierato con Raffaele Fitto (indagato e condannato dal tribunale di Bari, in primo grado, a quattro anni di carcere - di cui tre condonati - per corruzione, finanziamento illecito ai partiti a abuso d'ufficio) che sembra essere diventato il leader dei cosiddetti “lealisti”. Bond non ne può più di traditori e voltagabbana. Il suo credo politico è uno e non è una ideologia ma un uomo, Silvio, che la prossima amnistia tirerà fuori dai guai ridandogli quella agibilità politica che gli consentirà di tornare in possesso del passaporto (Vlady lo sta aspettando nella dacia con Natasha).
Guai, e molto seri, per l'uomo della neve, lo Yeti romano. Gianni Alemanno è indagato per finanziamento illecito ai partiti in una inchiesta che ha riscontrato reati quali estorsione, emissione di fatture per operazioni inesistenti, corruzione, favoreggiamento e, appunto, finanziamento illecito ai partiti per il quale è accusato il Gianni. Lui ha detto: “Ho piena fiducia nella magistratura”, frase che detta oggi, fa diventare chi l'ha pronunciata uno statista. Tutti “neri doc” gli indagati. Segno inequivocabile che quando scendono in guerra, i fasci combattono di brutto. Eia eia eia, alalà...

mercoledì 9 ottobre 2013

Brunetta fa “buh!” e il Pd ritira l'emendamento sull'Imu. Volano stracci fra M5S e l'Innominabile: “Amnistia pro Silvio”. “Ve ne fregate della gente”

Tanto per far capire al popolo imbelle che nulla è cambiato, dopo aver strombazzato ai quattro venti che i ricchi devono pagare l'Imu, il Pd fa una precipitosa marcia indietro: in nome della pacificazione ritirano l'emendamento. LettaLetta: “Senza Silvio niente più ricatti, l'aria è serena, il governo che io presiedo può lavorare per risolvere i problemi del Paese senza più cappe sulla testa”. Siccome non ci piace essere presi per il culo, vediamo come questo governo “senza più ricatti” può risolvere i problemi del Paese. Brunetta dice: “Se il Pd non ritira l'emendamento sull'Imu, chiederemo il voto di fiducia sull'intero decreto, così vediamo come andrà a finire”. Detto, fatto: il Pd ritira l'emendamento. Legge contro l'omofobia. Brunetta dice: “Questa legge così com'è stata formulata, con l'aggravante del reato a sfondo sessuale, non ci piace”. E il Pd rinvia la legge scatenando la protesta di domineddio. Porcellum. Brunetta dice: “La reintroduzione del 'Mattarellum' ve la scordate”. E il Pd si prepara ad apportare lievi modifiche alla Porcellum facendo ridere domineddio. Bossi-Fini. Pur di non rinunciare alla stampella della Lega, Brunetta dice: “La Bossi-Fini non si tocca”. E infatti di depennare il reato di clandestinità non ne parla nessuno (del Pd), mentre Dario Fo, Gino Strada, Susanna Camusso, Nichi Vendola e un altro centinaio di personaggi, firmano l'ennesimo appello senza risposta e senza conseguenze. Questa come la chiamate voi, concertazione? Andiamo avanti. In Parlamento arriva la lettera dell'Innominabile sul sovraffollamento delle carceri. La visita a Poggioreale ha colpito talmente tanto l'inquilino del Quirinale che, tornato a casetta, ha preso carta e penna e inviato un messaggio “alto e forte”, ha detto Brunetta, ai due rami del Lago di Com... del Parlamento italiano. “Le carceri italiane gridano vendetta – scrive il Presidente – occorre almeno svuotarle un po'”. Svuotare le carceri significa concedere l'amnistia o promulgare un bel indulto. Ci sarebbe da discutere i prossimi tre giorni per capire se e quanto giovino i provvedimenti di clemenza ma, prendendo per buono il concetto che svuotando le carceri il degrado di Poggioreale si auto-risolva miracolosamente, le latrine riprendano a funzionare e le crepe sui muri a richiudersi da sole, non è il provvedimento in sé che fa discutere quanto i tempi che corrono nel momento in cui è stato proposto. Fare l'equivalenza fra Berlusconi condannato = Berlusconi amnistiato è gioco facile. E siccome tocca al Parlamento stabilire sia il tetto della pena che i reati da amnistiare, partendo dalla situazione descritta sopra, è facile immaginare come i pidiellini avranno la strada bell'e pronta per inserire nel pacchetto bonus i reati fiscali e il tetto dei quattro anni. Così, per tirarne fuori uno, se ne tirano fuori 24mila, che non sono baci ma condannati o (vergogna delle vergogne) detenuti in attesa di giudizio, cioè un'aberrazione. Che i 5S abbiano sentito puzza d'inciucio non ci vuole Higgs a capirlo, anche se in questo caso, più che parlare di “bosone”, occorrerebbe tirar fuori il termine “busone”, visto che a Silvio vanno tutte che è una meraviglia. Ci apprestiamo, gentilissime signore e gentili signori, a inaugurare un altro ventennio, quello delle larghe intese a senso unico. Democristiani dovete morire!