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lunedì 30 giugno 2014

Silvio e i gay: storia di una folgorazione. Manco San Paolo a Damasco


Novembre 2010. Intervenendo sul caso Ruby, Berlusconi dichiara: " Meglio appassionarsi alle belle ragazze che essere gay".
2005, Berlusconi dichiara: "In Italia sono santificati solo i comunisti e i gay".
2008, Berlusconi commenta: "Meglio occuparci di infrastrutture e trasporti che di omosessualità".
2009, dopo il terremoto dell'Aquila, Berlusconi dichiara: "Ragazzi, se tutto va bene mi sa che veramente ve le porto le veline, le minorenni, altrimenti ci prendono tutti per gay". E ancora: "Mi hanno detto di tutto, manca solo che mi dicano che sia gay".
2014, dopo l'iscrizione all'Arcigay di Francesca Pascale e Vittorio Feltri, Berlusconi dichiara: "Quella per i diritti civili degli omosessuali è una battaglia che in un paese davvero moderno e democratico dovrebbe essere un impegno di tutti". Soprattutto se gli omosessuali portano un milione e mezzo di voti. 



martedì 24 giugno 2014

Caso Galan. La colpa è sempre del maggiordomo, pardon, della segretaria

Gira che ti rigira, se sei un lord o un politico, la colpa dei tuoi misfatti è sempre degli altri. Nel caso dei lord, l'assassino è il maggiordomo, in quello dei politici il colpevole è sempre e comunque la segretaria. Giancarlo Galan, che pure fra i forzaitalioti è uno dei pochi che rientra nella categoria dei semi-guardabili, è accusato di essersi imboscato una cifra intorno ai 50 milioni di euro che ha provveduto a smistare immediatamente nel Sud-Est asiatico. Ovviamente è stato il commercialista, però imbeccato dalla segretaria la quale, nottetempo, portava in uno zainetto griffato il danè al professionista. Al resto provvedevano la magia del computer, un collegamento con fibra ottica a Internet e l'abilità diabolica del consulente. “E' tutta una balla colossale - dice ora Galan ai giornalisti – mi hanno fatto il canestrello e io ci sono caduto come un pirla”. Nella memoria difensiva che l'ex governatore del Veneto presenterà alla Commissione per le autorizzazioni a procedere della Camera, Galan spiega in che modo è riuscito a ristrutturare la sua casetta “mutui, nulla di più, 700 mila euro di soldi miei e gli infissi sono gli stessi del momento in cui l'ho comprata”. Spiace però, davvero tanto, il fatto che Galan si sia dovuto difendere anche da attacchi che riguardano la sua intimità familiare. Ha dovuto raccontare a tutti che la Signora Governatora (“bellissima ma con un fisico non propriamente adatto”) non faceva la cubista ma la volontaria, e quando si è scoperto di chi era la moglie, è stata immediatamente licenziata. Ma il massimo della tragicommedia in corsa, Galan l'ha raggiunto quando ha raccontato la storia della sua segretaria, la signora Claudia Minutillo, una narrazione da brividi letterari degna di essere riportata integralmente. Dice Giancarlo: “"Volevo assumere mia cugina, ma Minutillo era stata appena licenziata da Paolo Scarpa Bonazza Buora, molto influente all'epoca in quanto coordinatore regionale di Forza Italia, che la mise in mezzo ad una strada e lei con grande abilità si ingraziò tutti andando a lavorare al gruppo regionale. Essendo una gran lavoratrice si fece assumere. L'ho mandata via più di otto anni fa per l'antipatia che aveva con mia moglie. Sì, ma la verità è che era antipatica a tutti, nessuno la sopportava. Ed era la segretaria più lussuosamente e costosamente vestita dell'emisfero boreale... Quando ho saputo che indossava un cappotto da 16 mila euro, allora qualche dubbio mi è venuto...". Dubbio postumo ed evviva la foca, noto pinnipede artico in via di estinzione.

giovedì 19 giugno 2014

Quando chiude un giornale non è una festa ma un lutto. Cercasi disperatamente qualcuno disposto a spiegarlo a Beppe

Bla bla bla. Si parla tanto per hablar. Giorni decisivi per l'Unità e non solo. Ragioni economiche, è vero, però una redazione che si scioglie sarà sempre una sconfitta e non c'è nulla da ridere, nessun motivo per far festa. Faremmo lo stesso discorso anche se chiudesse Libero o se Silvio decidesse di non finanziare più il Giornale. Anche Giuliano Ferrara che dovesse smettere di scrivere e il Foglio di uscire ci causerebbe un dispiacere. Ma forse siamo pochi a pensarla così. I giornali chiudono, meglio, vengono chiusi dai regimi totalitari, quando è indispensabile l'affermazione del pensiero unico. In democrazia è una sconfitta per tutti. Non sempre apprezziamo le cosiddette linee editoriali, non sempre (quasi mai) ci troviamo d'accordo su quanto scrivono alcuni organi di informazione, ma da qui a gioire perché una testata chiude il passo è lunghissimo. Poi, si potrebbe discutere su quanto possano giovare all'educazione politica degli italiani alcuni giornalisti e le loro idee tanto al chilo, ma anche questo è il gioco delle regole della libera informazione. L'informazione è il pane della democrazia, e la pluralità delle idee e delle posizioni il lievito e il sale di un popolo che non si accontenta. Qualche tempo fa, seguimmo Michele Santoro pure a Bologna perché le epurazioni non ci sono mai piaciute e la parola “censura” ci incute una fifa blu. La nascita del Fatto è stato un momento indimenticabile, come indimenticabile (per ragioni esattamente opposte), l'avvicendamento di Scalfari alla direzione di Repubblica. Da quel giorno, dalla presa del potere totale dell'editoriale Repubblica-L'Espresso da parte di Carlo De Benedetti, non abbiamo più acquistato un giornale che ci ha tenuto compagnia e informato per anni. La tessera numero 1 del PD non ci è mai piaciuta ieri né ci potrebbe piacere domani; a distanza di anni, che sembrano secoli, continuiamo a tifare per monsignor Bettazzi. Ma questa è tutta un'altra storia. Così ci amareggiano le parole di Beppe Grillo, ancora una delusione, sul rischio che l'Unità chiuda e gli attacchi ad personam alla Oppo e a Jop. Spiegateci voi la differenza fra il Grillo dei giornalisti da sottoporre al pubblico ludibrio e il Berlusconi di Biagi, Luttazzi, Santoro e Travaglio. Questione di delirio di onnipotenza o voglia matta di lapidare chi non la pensa come noi? Quando chiude un giornale non è un giorno di festa, qualcuno glielo spiega al Beppe che vuole incontrare “la Peste” per tentare di governare fra 104 anni?

martedì 17 giugno 2014

Gli autosospesi del PD. La strana idea di democrazia di chi nun ce vo' sta

Da ragazzini, alle elementari eleggevamo il capoclasse. Quasi sempre quella votazione guidata sapientemente dal maestro, anno dopo anno vedeva vincitori (nell'ordine), il figlio del sindaco, del medico, dell'avvocato, del geometra e del prete anche se tutti lo sapevano però non si poteva dire. Alla fine di ogni elezione, noi figli del proletariato ci guardavamo in faccia chiedendoci chi diavolo li avesse votati e perché, ma non sapevamo darci una risposta. Nonostante il capoclasse ci stesse cordialmente antipatico, nessuno di noi si sarebbe mai sognato di dargli una sberla solo perché era figlio di. “È stato eletto democraticamente” ci diceva il maestro, e quindi dovevamo rispettare il volere della maggioranza espresso in voti. Più tardi, esaurito il tempo dei capoclasse, arrivarono i consigli d'istituto e la rappresentanza di noi studenti era anch'essa decisa da una votazione. Mi ricordo che una volta, pur di vincerle, il figlio del preside diede a me e a qualche amico fumatore, un pacchetto di MS da dieci. Capii allora il significato di voto di scambio, ma la voglia di fumare era tanta e i soldi pochi che l'accettammo senza battere ciglio. Il figlio del preside diventò rappresentante di classe con un plebiscito. Ancora più tardi nelle fumose riunioni di AO, le decisioni venivano prese democraticamente a maggioranza. Si presentavano le mozioni e ci si esprimeva liberamente, quella più votata diventava la linea del Movimento, punto. E se provavi a dire “a me non sta bene”, ti indicavano la strada della porta invitandoti ad uscire. La democrazia è questa, passa la linea decisa dalla maggioranza degli aventi diritto e quella decisione diventa di tutti: le regole del gioco sono queste, chi non ci sta fa un passo indietro e se ne va. Pensate, funziona così anche nei circoli anarchici. Funziona così in ogni parte del mondo meno che nel PD. Capito perché per venti anni i pidini hanno consegnato questo paese su un piatto d'argento a Berlusconi? Silvio sta ancora ridendo, e quel blues irrefrenabile di sghignazzate lo accompagnerà nei secoli dei secoli. Amen

lunedì 16 giugno 2014

Beppe apre a Matteo. “Ma lo streaming lo voglio io”, dice il Sindaco

Per i duri e puri è stato un colpo al cuore. La notizia che Grillo e Casaleggio abbiano chiesto udienza a Renzi, anche se limitatamente al percorso sulla riforma elettorale, deve aver rappresentato uno shock da cardioaspirina. Per quelli di Casa Pound, poi, un tradimento da punire con l'olio di ricino e una botta di moschetto in testa. Della decisione ha gioito (e ci crediamo) la base del Movimento, quella che dei vaffanculo urbi et orbi si sono cordialmente fracassati i cabasisi e ha una voglia matta di rimettere in sesto questo paese. Il fatto è che, visti i precedenti, stavolta Matteo non vuole né inciuci né fraintendimenti per cui, facendo saltare tutti i microchip sottocutanei, ha richiesto espressamente che l'incontro avvenga in streaming. Sentirsi scippare anche l'arma preferita dei grillini per vantarsi di essere trasparenti come l'acqua delle Tremiti, non deve aver fatto una bella impressione a Beppe e al suo socio per cui, dalla disponibilità dichiarata, ora dovranno dimostrare di saper discutere di fatti e non dell'ultimo film di George A. Romero, il regista inventore degli zombie. La balla che hanno raccontato per questa uscita inaspettata, è quella che le ultime elezioni hanno legittimato Renzi al quale è scomparsa improvvisamente la “e” finale, quella che faceva tanto Fonzie, e sulla quale Grillo si sollazzava come un pazzo mentre la folla rideva. Una scusa dovevano pur trovarla per rientrare in gioco e per non dover attendere 104 anni prima di governare, così, un po' tanto paraculi, hanno pensato di dover riconoscere nel Sindaco un interlocutore istituzionale dal quale sarebbe comunque impossibile prescindere, visto che è il Presidente del Consiglio. E insieme all'apertura di Grillo è arrivata anche quella di, udite udite, Matteo Salvini che ha tanta voglia di farsi quattro chiacchiere con il difensore dei malati di scabbia che ci distruggeranno come popolo e come nazione. Quel maledetto 40,8 per cento che Renzi si è preso alle Europee, sembra insomma aver convinto tutti a giungere a più miti pretese. Tutti meno uno, Silvio, il quale spalleggiato 'O Schiattamuort, ha deciso di raccogliere le firme per il referendum propositivo sulla elezione diretta del presidente della Repubblica. Silvio, si sa, ama il Quirinale più della sua villa di Arcore ma, detto fra noi, la speranza che Silvio diventi presidente della Repubblica è pari a quella della Città del Vaticano di vincere i campionati del mondo di calcio: nessuna.  

venerdì 13 giugno 2014

La UE all'Italia: “Serve il paracadute per le banche”. Tranquilli, pagheremo noi il Monte Paschi, la Carige, Banca Marche...

Se c'è una cosa che fa incazzare gli italiani è essere costretti a fare (ancora) sacrifici per la salvaguardia del sistema bancario. I banchieri, questi figli di gran signora che pigliano tangenti e mazzette alla velocità della luce e investono in prodotti finanziari tarocchi, sono sempre in difficoltà, bussano a soldi per tappare buchi non causati dai correntisti, non erogano un euro di fido alle famiglie né alle piccole e medie imprese. Fanno finta di curare gli interessi dei clienti mentre si fanno, sempre e solo, i loro. Banche, Agenzia delle Entrate ed Equitalia sembrano, unite appassionatamente, un'associazione a delinquere, con l'unica differenza che chiamano “interessi” i pizzi, per il resto è uguale. E se applicano tassi da usura e vai incazzato dal direttore della filiale, ti senti dire: “È il mercato, bellezza”. Così, mogi mogi quatti quatti, i ministeri del Tesoro e dell'Economia stanno lavorando per adempiere all'ennesimo rito europeo bancocentrico, quello che prevede il “paracadute” a tutela del sistema di credito (debito?). In poche parole, tutti gli stati dell'Unione dovranno attrezzarsi per far fronte alle crisi delle loro banche a spese, udite udite, dei contribuenti. La Bce si è rotta le palle di tappare buchi così, questa volta, tocca ai cittadini far fronte agli scandali che dal Monte Paschi a Carige e giù giù fino a Banca Marche riempiono le pagine dei giornali più che la lite continua fra Grillo e Pizzarotti. A proposito, 23 mila grillini hanno deciso che il Movimento deve allearsi con Farage a Bruxelles. Per paura che i militanti abilitati votassero a favore dell'alleanza Green, i manovratori del Blog (maiuscolo perché è “il” Blog”), hanno tolto l'opzione dalle possibilità di scelta. 23 mila abilitati, 6 milioni di voti alle Europee. Ma non è il Movimento della democrazia diretta?

giovedì 12 giugno 2014

Le due anime del PD, quella santa e quella morta

Ieri c'è stato un deputato che per poco non crepava dal ridere. Era il leghista Gianluca Pini, primo firmatario dell'emendamento leghista sulla responsabilità civile dei giudici. L'emendamento, che era stato bocciato dal governo, è stato riproposto in aula e lì c'è stato il colpo di scena. La proposta che inasprisce le punizioni contro quei giudici le cui decisioni non verranno poi confermate negli altri gradi di giudizio, è passato grazie ai voti di una parte dei deputati del PD che ha votato contro la linea del governo facendo dire a Pini: “La norma è passata con almeno 80 voti del PD, quindi prima di sfidare la volontà popolare invito i democratici a sfidarsi internamente, mettendo d'accordo la parte destra del cervello con quella sinistra, per poi formulare una proposta alternativa sul tema". Siamo alle solite, l'anima destra del PD, quando si tratta di rompere le palle su provvedimenti all'apparenza di sinistra, intervengono con tutto il loro peso e infatti, nel boudoir della Villa di Arcore, Silvio sta gongolando orgasmaticamente. Non è un caso che questo voto (anche se il deputato del PD Ettore Rosato dice che verrà modificato in Senato), arrivi alla vigilia di quella che sembra (Matteo ormai ci ha abituato ai condizionali e alla legge della relatività) essere la grande offensiva contro la corruzione. E quando si parla di corruzione, si sa, a Silvio vengono i coccoloni. Ovviamente l'Anm lo ha detto immediatamente che questo voto rappresenta un duro colpo alle indagini, ma tanto in questo paese è così, inutile sperare. In attesa che Renzi termini l'ultima pietanza di riso e rientri in Italia, c'è da dire che i deputati del M5S, al momento del voto in aula, se ne sono andati. “Volevamo fare emergere tutta l'ipocrisia del PD”, ha detto il grillino Andrea Colletti. Con i Five Stars è sempre la solita solfa, buttano il bambino insieme all'acqua sporca e si tagliano le palle per fare un dispetto alla moglie. Mah, contenti loro che hanno conquistato Livorno, contenti tutti.

mercoledì 11 giugno 2014

Maroni: “O il governo accelera o salta l'Expo”. Renzi: "Te lo dico da amico, fatti i ...zzi tuoi". E i poteri a Cantone che fine hanno fatto?

Bobo “Blues” non ricorda (o fa finta) chi ha governato e governa la Longobardia. Da Craxi in poi, per riffa o per raffa, Milano se la sono bevuta in tanti, praticamente tutti. La differenza è che erano diverse le arsure. C'era chi beveva di più e chi di meno e, se non fosse arrivato Pisapia, probabilmente starebbero ancora a bere un Ramazzotti alla faccia dei contribuenti della ex capitale morale. Insomma succede che Maroni abbia detto a Renzi: “Muovi il culo o qui salta tutto”. E succede che dall'altra parte Renzi, direttamente da Shangai, gli abbia risposto “pensa alla Lombardia e non rompere il cazzo”. Mentre Andrea Orlando, ministro della giustizia, ha sottolineato il fatto che “Maroni deve star tranquillo. Magari se si fosse agitato prima, forse più occhi avrebbero potuto evitare di mandare Cantone dopo”. Però, caro ministro, Cantone non è ancora arrivato a Milano. Il procuratore anticamorra era stato chiaro: “O mi danno poteri per potermi muovere liberamente o a Milano a fare il turista io non ci vado”. È passata una settimana, poi un'altra, infine un'altra ancora e di poteri a Cantone non si parla “forse la prossima settimana”, tengono a precisare gli scudieri. Ecco, se appena annunciato Matteo avesse spedito Raffaele Cantone a Milano, probabilmente non staremmo qui a fare le pulci ad Hamelin. Invece, sembra che ancora una volta i casi Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino non hanno insegnato nulla. Non ci piacciono i comizi, alla nostra età, dopo averne sentiti a centinaia, non li sopportiamo più. A maggior ragione non ci piacciono le boutade televisive che non hanno seguito, a quelle ha sempre pensato Silvio, l'uomo che passerà alla storia per aver introdotto nel codice della strada la patente a punti. Matteo, quando mandi Cantone a Milano armato dei poteri promessi? Il fatto che tu sia andato a portare i fiori sulla tomba di Ho Chi Min non ti fa passare per uno di sinistra. Almeno fa il “destro” come si deve.

domenica 8 giugno 2014

VENERE, PIETAS E BELTÁ L'insostenibile leggerezza della generosità. Il mio testo per l'inaugurazione di GiovArti

Diceva Oscar Wilde che “la bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell'acqua scura di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna”. Non conosciamo un solo artista che non punti nel suo lavoro alla bellezza e, anche se non c'è un ideale “assoluto” di bellezza, resistono ancora canoni che ne determinano l'esistenza o l'illusione. In fondo, l'arte è l'unica disciplina dell'intelligenza umana destinata a restare nel tempo e una volta che la bellezza viene impressa sulla tela o su qualsiasi altro supporto materiale, rimarrà lì a dispetto del tempo, delle mode, degli stili, delle concettualizzazioni. L'artista in fondo è un testimone privilegiato. Dal suo lavoro emerge sempre la realtà vissuta e, anche se filtrata dalla sua sensibilità e dal suo “genio”, il sapore che si porta appresso è quello di un mondo altro ma solo in apparenza. Quello che ci chiediamo, a prescindere dall'ammirazione senza condizioni che abbiamo nei confronti degli artisti, è come facciano oggi, in un contesto di analfabetismo funzionale imperante e perciò dilaniante, a continuare ad essere protagonisti e testimoni di una realtà che il bello lo rifiuta scambiandolo per merce di consumo o di sterile piacere. Ci domandiamo fino a che punto siano dei martiri e qual è il momento di rottura che li rende eroi di una Resistenza che combatte il brutto, il volgare, il pressappochismo, la disonestà intellettuale, l'arrivismo e ogni possibile forma di ambizione fine a se stessa. Gli artisti sono fondamentalmente dei generosi che continuano a offrire, e a offrirsi, come portatori del bello, del buono, dell'imperfezione creativa a dispetto di chi li vorrebbe relegati nel ghetto dei drop-out perché dell'arte “si può anche fare a meno”. C'è poi un distinguo tutto interno al mondo degli artisti, si chiama “coerenza” e rende una possibile discussione sul mondo dell'arte un artificio tutto da esplorare. La base di partenza di qualche tempo fa, soprattutto negli artisti giovani, era il senso profondo della ricerca di nuove vie e di nuove “prospettive” in arte. E fin quando durava questa ricerca, il coinvolgimento emotivo, l'ispirazione, il “menar pennellate” e rendere le tele solo una base di espressione, rappresentavano quella che tutto sommato era una lotta con se stessi spesso violenta, dura, senza appello. Finito il tempo delle sperimentazioni e trovata la propria strada, l'artista tendeva per sua natura a incardinarsi, a giocare con il già visto, a cristallizzare il suo stile e vivere di rendita. Fortunatamente oggi i tempi sono cambiati. Vivere solo d'arte è diventata un'impresa e forse per questo la base di partenza delle nuove generazioni è tutta “ideale” e niente affatto pragmatica. Oggi, così come avveniva un secolo fa, dell'artista restano le caratteristiche classiche e storiche: la ricerca della bellezza, la bontà, la generosità perché un artista che non si dà è un sepolcro imbiancato o una mummia da esporre. 
Disse Pablo Picasso in una controversa intervista-dialogo con Giovanni Papini: “Oggi, come sapete, sono celebre e sono ricco. Ma quando sono solo con me stesso, non ho il coraggio di considerarmi come un artista nel senso grande e antico della parola. Sono stati grandi Giotto, il Tiziano, Rembrandt, Goya. Io sono soltanto un tipo che diverte il pubblico, che ha capito il proprio tempo e ha sfruttato il più possibile l'imbecillità, la vanità, la cupidigia dei contemporanei. La mia è una confessione amara, più dolorosa di quanto può sembrare, ma ha il merito di essere sincera”. E proprio perché Picasso, più di qualsiasi altro protagonista del suo tempo, conosceva il mondo e se stesso, è stato uno degli artisti più generosi che la storia dell'arte moderna e contemporanea abbia mai avuto. Sempre Pablo Picasso tratteggiò così il suo contesto: “Nell'arte il popolo non cerca più consolazione ed esaltazione. Ma i raffinati, i ricchi, gli sfaccendati, i distillatori di quintessenza cercano il nuovo, lo strano, l'originale, lo stravagante, lo scandaloso. E io stesso, dopo il cubismo e anche da prima, ho accontentato questi maestri e questi critici con tutte le bizzarrie cangianti che mi sono passate per la testa, e meno mi capivano più mi ammiravano. A forza di divertirmi con questi giochi, con tutti questi rompicapi, rebus e arabeschi, sono diventato celebre e rapidamente”.
Non sappiamo quanti giovani oggi siano disposti a ripercorrere le strade del pittore di Malaga, una sorta di prostituzione intellettuale messa in opera solo per raggiungere fama e ricchezza, ciò di cui siamo certi è che vediamo la strada del compromesso più lontana e che il cuore gioca ancora un ruolo fondamentale in una partita aperta a ogni possibile risultato.

Il mio alter ego fumettaro compie 80 anni... auguri Donald Duck


venerdì 6 giugno 2014

Scandalo dopo scandalo è arrivato il verdetto finale: siamo un paese di truffatori e corrotti. E Raffaele Cantone è ancora in attesa dei poteri promessi

Certo che hai voglia di sperare. Sperare in cosa poi, in una buona morte? Ci siamo appena ripresi dallo scandalo dell'Expo ed ecco pronto quello del Mose. Leggendo la lista dei corrotti colpiscono alcune cifre. È vero che nel frattempo l'inflazione ha galoppato, che c'è stato il cambio lira-euro, che il costo della vita è aumentato a dismisura, però a passare da 30 denari a 33 mila euro il salto ci sembra davvero spericolato. È inutile, questo è un paese marcio. Quelli di Tangentopoli prendevano a scusante che la politica costava, quelli che sono subentrati (qualche recidivo a parte), non lo fanno neppure per la politica ma per se stessi. Sono, quindi, delinquenti al quadrato con l'aggravante del dolo e della premeditazione. È bastato che il governo del condannato-passato-in-giudicato Berlusconi abolisse il reato di falso in bilancio, che tutti si sono sentiti in dovere di diventare indifferentemente corrotti e corruttori oltreché, naturalmente, evasori matricolati. E più hai i soldi, e vesti Caraceni, più l'Agenzia delle Entrate e Equitalia ti lasciano in pace perché jeans e polo fanno tanto morto di fame. Preferiscono, loro, vessare le piccole e medie imprese, chi le imprese vorrebbe avviarle e chi in un momento di difficoltà, invece di trovare “accoglienza” e buon senso, trova la canna del gas. Questo è un paese marcio, bacato dalle fondamenta da sempre. Non c'è senso della collettività né quello dello stato. Non c'è nessuna educazione civica né quotidiana e la nostra più grande concettualizzazione è il vaffanculo con cui perfino marito e moglie si salutano la mattina al posto del buongiorno. Popolo di ignoranti e analfabeti funzionali, non sappiamo più leggere un articolo di giornale e quando accade, ci fermiamo al titolo, al massimo al sommario. Non sappiamo neppure arrabbiarci perché un popolo arrabbiato non vota 5Stelle ma va all'assalto del Palazzo d'Inverno. Siamo al de profundis e non possiamo neppure consolarci del fatto che i corrotti e i corruttori hanno una certa età, molti giovani, basta guardarli e ascoltarli, sono peggio. L'Expo, il Mose, la ricostruzione dell'Aquila, quella dell'Irpinia, del Belice, l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, il Ponte di Messina che continua a succhiare soldi nonostante non sarà mai costruito, sono lì a dimostrarci che questi governanti, e questa classe politica, tutta insieme, nuova e vecchia, deve essere spazzata via da un soffio d'aria fresca. I polmoni, però, chi ce li mette?

mercoledì 4 giugno 2014

La solita sinistra poco radical e tanto chic. Si spacca la Lista Tsipras

Dice la signora Paola Bacchiddu, ex capo della comunicazione della Lista Tsipras: “Il mio culo? Può essere servito a far circolare il nome della lista”. Culo o non culo, la Lista Tsipras ha raggiunto un obiettivo nel quale nessuno credeva: è riuscita a superare il quorum del 4 per cento e a portare in Europa un esponente che si unirà a quelli eletti in Grecia. Erano anni che una lista della sinistra radicale non riusciva nell'impresa e in molti si saranno detti: “Visto? Non siamo morti”. Ma si sa, i sinistri radical chic sono fantasiosi ma anche parecchio rissosi così, all'indomani del successo elettorale, e tanto per far sapere agli italiani che sono sempre gli stessi, si sono spaccati. Esistono due linee di pensiero. La prima fa capo a coloro che chiedono all'eletta italiana, Barbara Spinelli, di farsi da parte come aveva promesso prima delle elezioni. La ragione? La signora Spinelli non ha nessuna intenzione di farsi da parte. La seconda, invece, tifa apertamente per la suddetta e riafferma che la volontà popolare non può essere disattesa, dentro, quindi, la Spinelli. Negli attici dei Parioli, fra un prosecco e una tartina, il clima è tesissimo. “La Bavbava deve andavsene”, dice il Duca Bordeaux. “La Bavbava deve vestave”, dice il Marchese Amaranto mentre i flute tintinnano e i tacchi 12 risuonano “sinistramente” (è il caso di dirlo), sul finto cotto toscano fine '700. Passano gli anni, le stagioni, i capelli imbiancano, spesso cadono, ma gli adoratori del cachemire sono sempre lì, a discutere di classe operaia quando non sanno neppure a cosa serva un giravite. Sono sempre gli stessi attrezzi arrugginiti di una sinistra litigiosa, capziosa, arruffona e inconcludente che ha portato la sinistra-sinistra a perdere tutte le elezioni dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Sono superstipendiati che, annoiati dal benessere e dalle agiatezze, sognano di fare la rivoluzione e vengono colti dal terrore se il vento fischia e la bufera urla. Borghesi dentro e fuori, per loro l'apparire è sempre stato più importante dell'essere, perché le palle non le acquisti in boutique né le rinvigorisci con un lifting. Sono loro, i rossi-rossi di sempre, che si riuniscono nei salotti al caldo quando fuori nevica e tra una mano di burraco e l'altra, parlano di “ultimi”, di “senza tetto”, di “affamati”, di cassintegrati, di cococo, di partite Iva, di sfruttati senza mai nominare gli sfruttatori, quando l'ultima partita giocata è stata una mano di bridge da togliere il fiato. “Signova mavchesa, come se la sente staseva”. “Oh cavo bavone, cvedo di aveve un po' di pvuvito pvopvio lì”. Ma andate affa...

martedì 3 giugno 2014

Un 2 giugno senza il “passo dell'oca”. La virtù militare e quella civile

Quant'è antica questa bandiera! Sembra che il tempo ne abbia cancellato il fascino e l'importanza, il significato profondo, lo spirito che la anima e la fa sventolare. I colori della pace ci tornano in mente ogni anno il 2 giugno, festa della nostra Repubblica. Il vezzo storico mantenuto ancora ieri, anche se in versione easy, è quello di far sfilare, con piglio virile, i rappresentanti di tutte le forze armate. Invece di una tranquilla passeggiata lungo i Fori Imperiali, con il solo scopo di mostrare alla gente incuriosita perché è necessario avere ancora sette, diconsi sette “armi”, sembra che i generali abbiano inteso lanciare messaggi che tendono ad accreditare la virtù militare come la virtù civile più alta. Nulla di più antistorico, soprattutto in un Paese che “ripudia la guerra” e che ha calpestato in una decina di occasioni, l'articolo 11 della Costituzione. Bella però questa bandiera. Bella e amata soprattutto perché mai un simbolo è riuscito ad avere i mille significati che i colori che mostra si portano appresso. Bella perché fa ritenere ancora una volta figlia di una cultura che la storia ha condannato, la rincorsa agli armamenti che la nostra nazione sta attuando come se dovessimo sederci al sole di un nuovo impero. E non è un caso che i fascisti amino missili e pistole, mitragliatori e aerei da bombardamento, maschere antigas e sfollagente hi tech di nuovissima generazione. Loro la guerra, pur non avendone vinta una, ce l'hanno nel dna. Noi immaginiamo un 2 giugno diverso. Si può? Pensiamo a tutti i musei aperti, non solo ai giardini del Quirinale. Pensiamo alla musica, al teatro, al balletto, al cinema gratis per tutti almeno un giorno, a servizi navetta che trasportano gli italiani nei luoghi che fanno del Bel Paese il Bel Paese, ai libri e ai cd musicali al 50 per cento, alle bande che svegliano paesi e città in un delirio di note musicali. Certo, queste cose non avrebbero il fascino del “passo d'oca” dei paracadutisti e dei lagunari, però volete mettere che botte di meraviglia! L'Italia che vorremmo è priva di F35 e di tutte le diavolerie intelligenti che fanno fare bella figura alle esercitazioni della Nato e che costano un fottio. La nostra Italia guarda al bello che c'è, ed è tanto, e che lascia al mare tutte le forme possibili di difesa. E poi, ci dobbiamo difendere da chi? Passa il tempo ma i cervelli bacati restano e mentre l'Europa ci dà ancora una volta i compiti a casa non capendo che è finita la stagione delle bacchettate, i destrorsi danno la dimostrazione che la Passera per loro è preponderante. Libero la scrive addirittura con tre “esse”: Passsera! Ed è tutto un bel godere.