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mercoledì 7 settembre 2016

“Non ho capito” è come “professore, ho dimenticato il quaderno a casa”


Ve le ricordate le scuse per non essere interrogati a scuola? In assenza di giustificazioni firmate da mio padre (se avesse potuto mi avrebbe piuttosto incenerito che giustificato), ne inventavo di inverosimili, a volte di inarrivabili. Con il professore di matematica poi, la mia creatività si esprimeva al massimo, fino alla morte del “terzo nonno materno” che resterà impressa nella memoria di chi assistette alla più penosa delle mie performance scolastiche. Ma allora si giocava anche sulla morte e le famiglie non erano allargate. Il professore si era ricordato della dipartita degli altri due, con il risultato che il quattro di una silente interrogazione, si trasformò in un tre perché il professor Lombardi aggiunse l'aggravante della menzogna manifesta.
I tempi, inutile negarlo, sono cambiati. Oggi si manda il professore direttamente affanculo e non c'è preside che tenga. Gli alunni sono considerati clienti di quell'immenso supermercato che è la scuola, quindi, guai a perderne uno. Ecco. La questione sta proprio nel cambiamento dell'educazione. La 'teoria Brunetta' del “sono tutti uguali” ha preso il sopravvento sulla capacità di analizzare la gravità di un fatto senza dover ricorrere al “tu hai fatto lo stesso”; ma sto parlando di te, cretino, mica del resto del mondo! Non ho mai letto, come in questi giorni, tante offese-a-prescindere sui social. Parole al vento, insulti, invettive nelle quali il termine “ladro” è il più benevolo, auguri di morti istantanee, aids dilagante e terremoti ad personam, mentre il tema in discussione è solo uno.

Il caso è quello della Raggi e di Roma, dei non so e dei distinguo, della lotta al coltello fra le anime dei 5s divise fra destra e sinistra (nonostante tutto la differenza esiste e si vede). Un avvocato cresciuto nello studio di Cesare Previti non può essere una mammoletta, lo dicono i fatti e lo dice la storia. Oltretutto, la candidatura Raggi non è andata giù a buona parte del Direttorio e del comitato dei garanti che la Casaleggio&Co le ha affiancato. Questa storia sembra più un regolamento dei conti interno che una lotta per tenere la barra dritta sui principi fondanti lo stesso Movimento. Di Maio sapeva tutto ma ha taciuto, lo dicono le email pubblicate (chissà come) dal Messaggero. Sapeva ma “ho capito male”, è la tattica per far continuare a spiegare la lezione dal professore e non passare all'interrogazione. Ci si metteva d'accordo: io lo dico due volte, tu tre. L'ora passava e avevamo sfangato il match a due. Ora il problema è quello di chiedere scusa. I 5s si sa, sono delle personcine educate: mai un insulto, mai una parola sopra le righe, mai un vaffa che sia uno. Per cui il problema si risolve chiedendo pubblicamente scusa quando per gli altri si invoca la morte civile perenne. È questo doppiopesismo che annoia e sconcerta. È quello di ritenersi puri quando puri non lo si è, visto che la verginità si è persa quando ci si è seduti a Montecitorio. Non sono del PD, non sono un meno-male-che-Silvio-c'è, non sono un radical chic con la bandiera rossa e, a mio assoluto demerito, posso dire di essere tornato a votare proprio per dare la mia ics a Grillo. È subito dopo che ho dato ragione a Muzio Scevola. Come? Non sapete chi è? Cazzi vostri.

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