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domenica 30 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. A Bolzano i più ricchi, ad Ascoli Piceno i più poveri. Ah, la depressione!


A Bolzano i più ricchi, ad Ascoli Piceno i più poveri. Ah, la depressione!

Eppure di Suv ne girano tanti e il porto turistico è pieno di belle barche che è possibile definire yacht. Le boutique, insieme agli stracciaroli, invadono i centri storici e i centri commerciali sono sempre pieni di persone che fanno compere e mangiano, mangiano e fanno compere. Le movide serali e notturne sono sempre affollatissime e non è che una birra costi qualche centesimo! Poi il fatto è che di birre ne scorrono a fiumi e l'insofferenza e l'ignoranza fanno il resto, risse con tirapugni comprese. Da quello che è possibile vedere, pur vestendo casual (molto di lusso in qualche caso), la popolazione non è che se la passi male, anzi. Però la vita culturale è ridotta ai festival del cibo e alle celebrazioni dei morti (drammaturghi, artisti, cantanti, ecc.), aspetto che, considerate le amministrazioni destrorse attuali, riteniamo una gran fortuna, come quella che le bande musicali eseguano solo le vecchie marcette militari, quelle che più innocue non si può, e che il 25 Aprile si rifiutino di suonare Bella ciao.
In tutta la provincia si avverte il maleodorante puzzo di fritto, quello che la Suprema Corte ritiene un reato di vilipendio al gusto, ma la 'ggente (panem et circenses) gode e noi la lasciamo godere.
Stiamo parlando della provincia in cui viviamo, Ascoli Piceno, che l'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro su microdati Istat, pone all'ultimo posto della classifica sulle “retribuzioni nette medie mensili degli occupati alle dipendenze (15-64 anni): stipendio medio mensile, insomma, 925 euro, roba da fame nera.
Quello che ci ha colpito, è che province che credevamo molto più povere di noi, ci sopravanzano di diverse posizioni mentre le altre delle Marche, con Ancona in testa a 1324 euro, vanno dalla 39a posizione in giù
Le Marche, secondo questa statistica, non sono affatto una regione ricca eppure, da Porto Sant'Elpidio in su, di ricchezza ne abbiamo vista e ne abbiamo sentito l'odore. C'è una sorta di gap che non riusciamo a comprendere, fra quello che si percepisce e quello che si guadagna. Ci piacerebbe sapere, ad esempio, quanto in questo discorso incidano le cosiddette finanziarie e quanto il lavoro in nero, e il nero fuoribusta, siano parte integrante di un benessere che si vede ma non si spiega. Quello che sappiamo per certo, è che la nostra regione spicca per risparmio e che l'arpagonismo sia una delle malattie più diffuse. 
Il “braccetto corto”, la tirchieria, sembra facciano parte del nostro dna, eppure noi non siamo così, perché noi, alla fine, siamo e ci consideriamo cittadini del mondo.
C'è infine il discorso legato alle proprietà immobiliari. Sono tante, tantissime. Abbiamo sentito parlare di 30, 40 appartamenti posseduti da una sola persona e ci domandiamo se quella persona paghi o no le tasse. Già, le tasse. Un punto talmente dolente che in provincia abbondano i cosiddetti consulenti del lavoro o commercialisti che dir si voglia. Tutti sanno che guadagnano sul risparmio degli altri e qualcuno, ogni tanto, fugge con la cassa verso paradisi veri e non quelli fittizi che una vita di provincia vuota spesso produce e mostra con baldanzosa arroganza.

Al primo posto, dove gli stipendi hanno un loro perché pur essendo inferiori a quelli del resto d'Europa, è la provincia autonoma di Bolzano (1476 euro), e se Bolzano è autonoma e ricca, qualche domanda dobbiamo farcela. Come sempre è destinata a cadere nel vuoto, quello espanso che piace tanto a chi vende un gin in più e un libro in meno.

PS. Domani è il 1 Maggio e Cornetto&Cappuccino va in trasferta. Magari a Portella della Ginestra.


venerdì 28 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Il Tar del Lazio dà ragione a Massimo Decimo Meridio


Il Tar del Lazio dà ragione a Massimo Decimo Meridio

Il Gladiatore, interpretato da Russell Crowe, è stato un capolavoro. Oddio, fondamentalmente è una grande cazzata, ma se vi chiamaste Massimo e il Colosseo tutto, all'unisono, urlasse il vostro nome, con l'ego che inizia a strabordare lo riterreste anche voi un capolavoro. Ma il punto non è questo, a fare la guardia ai gladiatori e quindi anche all'Ispanico, chi c'era? I centurioni.
A Roma, i centurioni abbondano ancora oggi, li trovate dappertutto. “Aò, che t'haaa fai 'na foto co' mme? So' cinque euri”.
Sembra una boutade ma la Capitale d'Italia vive anche di questo, dei Centurioni che rappresentano il folklore di una città che sarà pure Eterna ma ha mille problemi. Con i capelli intrisi di gel, le corazze comprate a poco nei magazzini di Cinecittà o confezionate a notte fonda dalle mogli, le daghe di legno, i calzari fatti a mano dal calzolaio sotto casa, quello che ha la bottega sulla destra del pizzicagnolo, la cresta dell'elmo ricavata paro paro dalla scopa, tanto che se la moglie decide di acquistare un Mocho Vileda, il centurione si inalbera, i militi dell'antica Roma attirano frotte di turisti giapponesi manco fossero samurai.
È il fascino, neppure troppo discreto, della Storia con la esse maiuscola. Intere legioni romane conquistavano allora l'Europa e l'Africa NordOrientale e i turisti, che di storia romana sanno una mazza, credono di trovarsi in un film di Sergio Leone, anche se furono gli americani, Joseph L. Mankiewicz in testa, a girare i migliori.
Nel tempo i centurioni sono cresciuti a dismisura. Alemanno aveva pensato di assoldarli come guardie del corpo al posto di quelli di Casa Pound, ma non se ne fece nulla: i centurioni guadagnavano di più con le foto poi, un flirt con qualche turista poteva anche scapparci. Oggi sono davvero tanti, altro che una legione, messi insieme ne compongono almeno tre e fanno paura. Sembra che il tempo si sia fermato al 100 a.c., data di nascita di Giulio Cesare, eppure l'acqua del Biondo Tevere non ha mai smesso di scorrere e ai tanti sindaci DC e PCI che si sono succeduti, oggi sullo scranno più alto del Campidoglio siede una donna, Agrippina detta Virginia.
Agrippina, cioè Virginia, stanca di farsi ogni giorno le foto con i centurioni, a dicembre aveva deciso che no, questa cosa parecchio simile al burlesque doveva finire. Emanato l'editto imperiale, alias ordinanza sindacale, di allontanamento dei pretoriani dal Centro, non si aspettava di certo che le fedeli coorti si ribellassero. E si sono ribellate talmente tanto che hanno deciso di impugnare l'editto presso il Tar del Lazio che, esaminate le carte e constatata l'assenza di motivazioni valide da parte del Comune, ha revocato il divieto e concesso ai centurioni di riappropriarsi di quello che la Storia aveva dato loro.
La sindaca ha confermato in toto la sua ordinanza ma si sa, i FiveStars seguono una sola dottrina giurispudenziale, la loro.
L'unica cosa che non siamo riusciti a capire nelle manifestazioni di protesta dei centurioni, sono stati i cartelli inneggianti a Spartacus. Ma Kirk Douglas-Spartaco, che diavolo c'entra con i centurioni che lo hanno combattuto strenuamente fino alla fine?
A centurioni, ripassare un po' di Storia no, vero?


giovedì 27 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Italia. Sempre più vecchi, sempre meno laureati. Nel 2065 il tonfo


Italia. Sempre più vecchi, sempre meno laureati. Nel 2065 il tonfo

Che non fossimo un paese per giovani lo sapevamo. Ed è chiaro che non essendo un paese per giovani, dobbiamo esserlo per forza per vecchi. Seguendo quello che si sta dimostrando ormai un trend inarrestabile, nel 2045 non ci saranno più soldi, ad esempio, per pagare le pensioni.
Le previsioni demografiche dell'Istat sono chiare. A pagare lo scotto più alto dell'invecchiamento progressivo del Paese sarà soprattutto il Sud che, dato il picco massimo nel 2065, perderà 1,1 milione di residenti giovani. Diversa ma decisamente non ottimistica, la previsione per il Centro-Nord destinato, sempre secondo l'Istat, a un leggero incremento della popolazione grazie alle migrazioni interne ed esterne.
Insomma, gli italiani che oggi sono poco più di 60 milioni, saranno 58,6 milioni nel 2025 e 53,7 nel 2065. Pur in presenza di una leggera ripresa della natalità (lo zero virgola qualcosa), il nostro destino sembra dunque essere segnato. I farmaci e una più accurata politica alimentare, ci consentiranno di arrivare a una media di età di 86,1 anni per gli uomini, e di 90,2 per le donne.
Ma di cosa vivranno e dove vivranno gli ultraottantenni italici? Ah, saperlo!
Probabilmente l'Italia è destinata a floridizzarsi, ci saranno isole per anziani, quartieri per anziani, intere città per anziani, cinema per anziani dove daranno in loop “Via col vento” e “Catene”, discoteche per anziani con Raoul Casadei e Edoardo Vianello che la faranno da padroni, centinaia di McDonald (tanto per ricordare la giovinezza), che a bordo tavolo avranno il secchio d'acqua per il risciacquo delle dentiere. Il Viagra sarà mutuabile e gli intrugli chimici per combattere colesterolo, trigliceridi e glicemia verranno venduti senza ticket e anzi, spediti direttamente a casa senza passare per la farmacia. La “teoria della vena varicosa” avrà il suo perché e le rughe inizieranno a comparire (con la cellulite in bella evidenza) sui manifesti pubblicitari delle creme abbellenti e idratanti.

Non solo. Un'altra ricerca, questa volta di Eurostat, ci dice che gli anziani di cui sopra saranno anche ignoranti e dunque, vecchi e ignoranti. I giovani italiani che riescono a raggiungere uno straccio di laurea sono sempre meno, nel 2016, il 26,2 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo i romeni (25,6 per cento), numeri molto inferiori rispetto al 40 per cento previsto in Europa per assicurare una istruzione decente a tutti. In Italia si laurea un giovane ogni 26 abitanti mentre in Lituania, uno e mezzo su due (che diavolo significhi quel “mezzo” stiamo ancora a domandarcelo). Tutti migliorano e noi peggioriamo, così come va decisamente male l'abbandono scolastico con lo zoccolo duro in crescita dei né-né
A studiare, a laurearsi e a occupare posti di sempre maggiore responsabilità sono le donne e non poteva essere altrimenti. Saranno loro la spina dorsale del Paese, saranno loro a portare lo stipendio a casa, saranno loro a decidere su tutto. Guai a quell'uomo che non saprà cuocersi neppure un uovo sodo, per lui si prospettano tempi bui e grami. Meno male che non ci saranno figli in giro altrimenti, per l'ex sesso forte, si prospetterebbero vecchiaie comatose.


mercoledì 26 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Se amore è. La storia di Jon e Marci


Se amore è. La storia di Jon e Marci

Una coppia normale, una figlia, Mackenna, che adora i genitori che, con tutta evidenza, per lei sono un esempio. La vita scivola via giorno dopo giorno. Il lavoro, la casa, la scuola, il mutuo che qualche pensiero lo dà, la macchina ormai in stato comatoso che deve essere cambiata, il giardino con l'erba da tagliare, il barbecue con gli amici nei fine settimana. Tutto rientra nella quotidianità di una famiglia come tante, nulla di straordinario se non l'amore che dopo molti anni, continua a essere presente nella vita di Jon e Marci. E questo, di per sé, un piccolo miracolo lo è.
Ma, come avviene spesso nella vita delle persone quando questa sembra essersi indirizzata verso un'esistenza tranquilla e un lieto fine, arriva il cancro, quella parola che, quando ci si imbatte, in molti rifiutano perfino di pronunciare. 
Il cancro è il babau, il mostro, l'orco delle favole, il nemico nascosto e subdolo che quando si presenta alla porta di casa come un venditore di spazzole per capelli, ha il dono di creare il panico.
Tocca a Marci, tocca alla sua tiroide che improvvisamente smette di funzionare. Qualche segno premonitore ma nulla di serio. La forza delle donne è anche quella di non chiamare la mamma per 37,1 di febbre, quella di partorire e quella di affrontare la vita con un piglio che i maschi neppure immaginano. Il sesso debole, o presunto tale, tanto debole alla fine non lo è.
Marci, per combattere la sua malattia deve sottoporsi a un ciclo di radioterapia da effettuare in assoluto isolamento. Certo, trovarsi sola a curare il male non deve essere facile e allora torna in mente il Paolo Conte di "neanche un prete per chiacchierar".
E' in quel momento, che più buio non si può, che Jon trova la forza per stare vicino alla moglie come meglio crede e può. Si piazza fuori la stanza dove Marci subisce il bombardamento della radioterapia, s'attrezza un piccolo tavolino, ci mette sopra un libro e una birra e, a distanza, parla con la moglie quando Marci se la sente, il resto del tempo lo passa a leggere il libro che ha con sé e a bere la birra che per un po' gli bagna la gola riarsa dalla tensione e a fuoco per il terrore di perderla.
Un giorno segue un altro e Jon è sempre lì, a quattro passi dalla moglie ma impossibilitato a stringerla, a baciarla, ad accarezzarla.
Mackenna allora, come i giovani della sua età, pensa di postare su Twitter la foto del padre che assiste la madre. E' un gesto pieno d'amore, quello di Mackenna, che non vuole tenere per sé quanto sta accadendo in casa ma vuole renderlo pubblico, socializzarlo per dare un segnale agli altri che l'amore c'è, esiste, e se qualcuno lo vuole basta aprire un po' il cuore.
La foto, postata e con una brevissima spiegazione, diventa in poche ore "topic". Migliaia di persone la vedono e la condividono, forse le stesse che fino a quel momento, hanno postato centinaia di foto di cani che vegliano sul padrone.
Jon e Marci però, non sono cani ma persone. Oggi si direbbe che rappresentano il prototipo di una coppia atipica, ma tant'è. 
Per una volta, una rarissima volta, anche gli utilizzatori finali dei social si rendono conto che l'amore non è una scatola di cioccolatini o un mazzo di fiori regalati per l'occasione, ma qualcosa di più profondo. In fondo, una donna da curare, un libro e una lattina di birra.








martedì 25 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Morire d'amore e di pregiudizi. Emmanuel e Brigitte


Morire d'amore e di pregiudizi. Emmanuel e Brigitte

Era il 1971 quando Annie Girardot portò sullo schermo la storia vera di Daniele Guenot, professoressa che si innamora di un suo alunno e per questo perseguitata dalla giustizia conformista e da una opinione pubblica bacchettona. Anche allora ci si divise, anche allora un rapporto d'amore venne scambiato per perversione pura e i giudizi sulla povera Guenot, divennero offese infamanti e stregheschi roghi.
Alzi la mano chi di noi non si è mai innamorato della maestra o della professoressa, non si sa perché quasi sempre di Lettere. Alzi la mano chi di noi maschietti, con fiocco azzurro e grembiulino nero o l'elastico ai libri e i jeans, non abbia mani sognato di dare un bacio vero a quella che ci sembrava l'unica donna al mondo. A parte le insegnanti di Pierino-Alvaro Vitali, sempre procaci, scosciate e provocanti, noi ne avevamo una bella come il sole che non faceva nulla per nascondere la sua dirompente femminilità. Purtroppo era una supplente e quei sogni niente affatto casti, vissero una vita breve. Resterà per sempre un fulmine e quelle gambe, nonostante il trascorrere inesorabile del tempo, fanno ancora capolino nei nostri rari sogni a sfondo erotico.
Sono passati quasi cinquant'anni ma i pregiudizi e i giudizi senza appello di molti maschi, sono rimasti gli stessi. Soprattutto su Facebook abbiamo letto di “turbe psichiche”, di psicologismo d'accatto e senza basi scientifiche, di caccia alle streghe e a quella che perfino le donne definiscono una mignotta.
Eppure l'amore fra Emmanuel Macron e Brigitte Trogneux, 39 anni lui, 64 lei, ai giorni nostri, e nel 2017, si porta ancora dietro quell'aura di peccato che credevamo fosse scomparsa insieme al perbenismo bieco e fasullo di chi ha fatto carriera inginocchiandosi davanti al capufficio.
Il bello è che la differenza di età fra il candidato presidente della repubblica francese e sua moglie (non la sua amante), è la stessa che passa fra Donald Trump e la moglie Melania. Nessuno ha mai accusato Trump di essere un pedofilo (gli mancherebbe solo questo), mentre la povera Brigitte, ora che è sotto i riflettori, se ne sente dire ogni giorno di tutti i colori. 
Abbiamo l'impressione che il detto popolare e (ipocritamente) privo di scalette sociali, “l'amore non ha età”, sia riferito più agli uomini vecchi e decrepiti con giovani e sgallettate fighette che non a signore di una certa età, con una solida reputazione, che vivono una storia d'amore vero e non il solito calesse sgangherato.
È vero che in America vanno di moda i toy-boy (chiedere a Demi Moore), però non è detto che l'amore fra Emmanuel e Brigitte debba tingersi per forza degli stessi toni. Siamo abituati a dare giudizi sommari su tutto e tutti, a tagliare a fette la vita degli altri, a insultare senza ritegno e soprattutto senza prove e questo accade molto spesso per non parlare di noi stessi.
D'altronde si sa, guardare in casa altrui è meno faticoso che farlo nella propria. E che diavolo c'entra Freud con l'amore? Quando prende, l'amore non solo non ha età, ma è irrimediabilmente cieco.

Ma quanto è bello vivere di cecità quando si ha accanto qualcuno che ti prenda per mano!


lunedì 24 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. UT ovvero, quando una rivista vive a dispetto dell'indifferenza

Questa volta parlo di me, con ciò voglio dire “noi” perché UT siamo noi.
Siamo nati 10 anni fa seguendo una sola intuizione, dimostrare che dietro una parola si nascondono mille significati e che nulla è come appare. Eravamo in piena epoca silviesca e i cervelli erano sistematicamente smerigliati da una società malata di protagonismo a ogni costo. La pubblicità (le pubblicità) era martellante e per vivere seguendone le regole, si ammazzavano i genitori per rubarrne l'eredità. Che qualcosa occorresse farla era parte integrante della vita di tre persone, Pier Giorgio Camaioni, creativo, Francesco Del Zompo, grafico e il sottoscritto, giornalista dalla tastiera inquieta. Eravamo consapevoli che occorrresse lanciare un messaggio ma, non avendo dalla nostra parte nessun editore quattrinoso, per alcuni mesi abbiamo pensato come sopperire a una mancanza strategico-economica fondamentale. La decisione fu: vivremo di noi stessi. E lo facemmo.
Dal primo numero, presentato un pomeriggio di marzo del 2007 all'Auditorium Lesca” di San Benedetto del Tronto, sono passati dieci lunghissimi anni e UT ha sempre tenuto, nonostante le difficoltà e i sensi di abbandono che ci hanno segnato l'esistenza, il ritmo della bimestralità. Dieci anni avrebbero dovuto editare 60 numeri e sessanta numeri, a giugno con il “Profumo”, saranno.
All'inizio facevamo a meno della redazione, decidevamo tutto noi. La media di età dei collaboratori era di 60/70 anni, scesa negli ultimi numeri a 30/40. Abbiamo scoperto moltissimi giovani dandogli la possibilità del primo contatto con il pubblico. Qualcuno è diventato famoso, ha scritto libri e sceneggiature, intrapreso la carriera di giornalista e di saggista. Altri si sono persi per strada, segno inequivocabile che per affrontare qualsiasi mestiere, oltre alla bravura serve la passione.
In questi anni abbiamo avuto redattori che sono entrati e usciti, a nessuno abbiamo puntato la pistola alla tempia, dando a tutti la possibilità di decidere se starci o no. Oggi abbiamo trovato una ideale quadratura del cerchio e la “squadra” di UT è solida, stabile, animata da quella voglia di fare che o c'è o non c'è.
Enrica Loggi, la fantastica poetessa Enrica Loggi, è con noi dall'inizio. Ha creduto nel nostro progetto mettendoci a disposizione i suoi versi e la capacità di giudicare gli altri, non a caso è il nostro punto di riferimento per la poesia. Giampietro De Angelis, responsabile con Rosita Spinozzi della sezione prosa, è un nostro coetaneo amante della “parola” e dell'uso che ne si fa. Ha sempre scritto ma, con UT, è cresciuto in maniera esponenziale. Rosita Spinozzi è una giornalista impegnata soprattutto nella cultura e nello spettacolo, e del giornalista ha i vezzi e le manie, i pregi e il difetto (senza il quale non sarebbe una giornalista) di andare sempre a fondo delle cose, non lasciando mai nulla al caso. E c'è Salvo Lo Presti, attore, poeta, scrittore, fine dicitore, creativo a tutto tondo nell'immenso mondo culturale. Ultimo entrato, Salvo è un valore aggiunto che ci ha dato quel passo in più che ci era indispensabile. Il gruppo organizzazione/eventi è composto da Michaela Menestrina che coordina il nostro lavoro da Verona (in tempo di Internet è possibile) e da Roberto Tamburrini che si è offerto di ricoprire il ruolo del jolli, dove serve lui c'è sempre. E Sabatino Polce, amico di UT e valente collaboratore di ogni presentazione. E Dante Marcos Spurio, fotografo eccezionale che cura la rubrica dedicata alla fotografia. Alceo Lucidi, l'unico saggista ad avere il suo spazio fisso in UT. Per ultimo, ma non ultimo in ordine di importanza, Giuseppe Piscopo, illustratore, scrittore, vignettista di Napoli che ci segue da quando eravamo in fasce e ci regala, numero dopo numero, gli elzeviri che sono ormai entrati nella storia della nostra rivista.
Pier Giorgio Camaioni, che come a tutti i “giovani” settantenni piace cambiare, ci prende e ci lascia come fossimo amanti disperati. Quando non c'è ci manca, quando c'è dobbiamo richiamarlo a più miti consigli. Francesco Del Zompo e io siamo gli stessi dall'inizio, con qualche gioia in più ma anche con parecchie ferite che il tempo (vedremo se è davvero galantuomo), provvederà a sanare. Ne abbiamo viste e passate tante ma forse, proprio grazie a Francesco e me, oggi UT può festeggiare i suoi dieci anni di vita. Infine ci siete voi, i nostri lettori, gli unici che ci hanno permesso di resistere alle tempeste, gli unici per i quali vale la pena di continuare a esistere.
Se ho dimenticato qualcuno chiedo scusa, purtroppo anch'io comincio ad avere una certa...





venerdì 21 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. L'anticorruzione e l'italica sindrome di Tafazzi


L'anticorruzione e l'italica sindrome di Tafazzi

Questo è il Paese in cui durante il consiglio dei ministri, una mano ignota, che resterà per sempre il segreto dei segreti, aggiunge e toglie righe e commi di leggi. Un atto destinato a far incazzare il 90 per cento degli italiani che, diciamolo, un po' si sono stancati.
Righe e commi di legge scompaiono non si sa come né per colpa di chi. Se non fosse che ci torna in mente una canzone di Zucchero, perderemmo l'aplomb che solitamente ci contraddistingue, per iniziare a bestemmiare come un vecchio camallo all'ombra della genovese Lanterna.
C'è la volontà del PD, come se le scissioni e i sondaggi catastrofici non bastassero, di farsi male a prescindere. Ma davvero stiamo parlando del PD di Prodi e Veltroni, o piuttosto di una banda di dilettanti allo sbaraglio che non vede l'ora di darsi martellate sulle palle? Di solito così ci si comporta per fare un dispetto alla moglie, di solito. Il PD invece lo fa per la voglia innata che ha di perdere, sta bene a loro sta bene a tutti.
È successo che in consiglio dei ministri, qualcuno ha cancellato la norma fortemente voluta dopo gli scandali di Mafia Capitale e dell'Expo, quella che riguardava i poteri dati all'Anac di Raffaele Cantone di sovrintendere e bloccare appalti sospetti e in odore di mammasantissima. Una norma, è bene precisarlo, fortemente voluta da Matteo Renzi
Oggi assistiamo sgomenti al fatto che gli stessi cloni del governo Renzi, hanno cancellato una legge che loro stessi avevano redatto e approvato.
Se non fosse perché la schizofrenia regna sovrana, potremmo dare la colpa di quanto accaduto agli sgherri di Alfano, la famosa Angeluzzo's Band. Ma il sospetto è quello che tutto ciò sia scaturito dalle conventicole inchiodate nelle segrete stanze del PD.
Ora parliamo di logica elettorale. Dopo questa bella pensata, secondo i voi, i voti al PD aumenteranno o diminuiranno? Possibile che nessuno fra loro, neppure quelli che fanno finta una volta alla settimana di curare il proprio collegio elettorale, abbia avuto un sussulto degno di essere verbalizzato? Possibile che nessuno si sia alzato e abbia urlato: “Ma ...zzo state facendo?”.
È possibile, gente, è possibile. Poi non ci si venga a dire che la sera delle elezioni, dopo una batosta che più solenne non si potrà, nessuno si alzerà a dire: “Ma che ...zzo avete fatto?”



giovedì 20 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Chi tocca Report muore. Peccato che...


Chi tocca Report muore. Peccato che...

Contro chi minaccia la libertà di stampa abbiamo sempre scritto e detto parole di fuoco. D'altronde chi meglio di un giornalista può sapere quanto sia indispensabile per il proprio lavoro averla? Tralasciamo, per amor di professione, quelli che... ad esempio i calzini turchesi, ad esempio le presunte frequentazioni omosessuali, ad esempio le cene galanti, ad esempio le ripicche e le piccole vendette, ad esempio lo scrivere su ordinazione, ma la possibilità di analizzare un fatto e riportarne fedelmente la cronistoria, è fattore indispensabile per ogni giornalista che voglia definirsi tale.
I buoni maestri ci hanno sempre insegnato che prima di scrivere una riga di una qualsiasi notizia, è necessario documentarsi, avere prove, riscontri, riferimenti inattaccabili, testimonianze possibilmente di tutte le parti in causa. Piero Ottone era uno dei buoni maestri, forse per questo amava e si ispirava alla stampa anglosassone. In Italia di stampa british c'è davvero poco, ma quel poco che c'è, dovremmo cercare di tenercelo stretto.
Accade così che all'indomani della messa in onda dell'ultima puntata di Report, quella sui vaccini, le polemiche siano scoppiate immediatamente e con una violenza totalmente ingiustificata. Diciamo che la trasmissione che fu della Gabanelli, ha peccato proprio per non aver dato voce alle diverse sensibilità ed esperienze scientifiche, dall'altra parte però, dalla parte del presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, il FiveStars Roberto Fico, c'è stato un fuoco di sbarramento degno di un meritorio tutore estremo della libertà di stampa. Vorremmo chiedergli che fine ha fatto la lista di proscrizione di Di Maio e gli insulti a Mario Orfeo, direttore del TG1, ma non perdiamoci in chiacchiere.
Roberto Fico, sul Blog di Grillo (che non è di Grillo ma di Emanuele Bottaro di Modena), ha scritto: “Italiani, se sospendono Report non pagate il canone”. Fico ha tutte le ragioni del mondo, la libertà di stampa è sacra e inviolabile e toccare un organo di informazione equivale a lederla in maniera irreversibile. Però, nel caso dei FiveStars un però c'è sempre, in Rai nessuno ha mai pensato di chiudere Report o di mettergli dei paletti, lo ha confermato la stessa Monica Maggioni in Commissione di Vigilanza.
Poi, come si fa a non pagare il canone che non arriva più con il bollettino postale ma direttamente sulla bolletta della luce? A meno che uno non voglia scongelare tutti gli alimenti che ha nel frigo e vivere al lume di una candela (romantico ma scomodo), il canone bisogna pagarlo per forza.
Ecco, vorremmo che anche per i politici, prima di parlare, valessero le regole auree del giornalista: documentarsi, avere prove, riscontri, riferimenti inattaccabili, testimonianze possibilmente di tutte le parti in causa.
Amen.



mercoledì 19 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Corea del Nord, il paese dove osano le bombe (atomiche)



 Corea del Nord, il paese dove osano le bombe (atomiche)


Così come in Italia chiamare i figli maschi Benito portava bene, e qualche soldo, in Corea del Nord (ma solo per paura) chiamano tutti Kim, altrimenti il leader s'incazza. Fateci caso, la progenie è lunga, anzi lunghissima e il velo di follia allo stato puro che si intravede negli occhi del dittatorello attuale, è retaggio antico e figlio di nonni, bisnonni, trisavoli.
C'è da dire che, non essendo la Corea del Nord un paese propriamente orgoglioso della sua libertà di stampa, le notizie in merito sono frammentarie. Oddio, qualche parente oppositore mandato a marcire (letteralmente) in galera c'è stato. Un fratello morto suicida di fucilazione pure. Cugini un po' troppo pretenziosi e regolarmente avvelenati anche all'estero è sotto gli occhi di tutti, ma passare alle armi uno zio che forse non ti dà sempre ragione, sarebbe sembrato troppo pure ad Adolf. Per non parlare poi di quel povero ministro che, stanco di sentire le solite frasi di Cicciobello con gli occhi a mandorla, ha provato a farsi una pennica durante un consiglio dei ministri. Ebbene, una tale mancanza di rispetto è stata punita con la pena di morte, così i funzionari dello stato imparano ad andare a letto subito dopo il Carosello coreano.
Kim jong-un ha oltretutto una fissa morbosa per le bombe atomiche, si racconta che ne nasconda una baby anche sotto il letto (per questo la moglie non dorme più e non riesce ad avere figli). È vero, è disinnescata, ma la goduria che prova nel sapere di averne una a completa disposizione, lo conduce puntualmente all'orgasmo. Lui gode così, tanto che parecchi analisti occidentali sono convinti che, oltre il resto, sia un fallocratico della Maremma. Sarebbe impossibile, altrimenti, spiegare il numero di missili sempre più grandi e minacciosi che esibisce nelle sfilate mostra-forza del regime totalitario più pazzo del mondo.
Dall'altra parte dell'emisfero però, c'è un tizio al quale le esibizioni di forza altrui danno parecchio fastidio. Investito dal divin volere di governare il mondo a modo suo, il Boccoloso Mister President non le manda certo a dire e quindi, le twitta. I due non si insultano solo perché hanno terminato il loro già povero vocabolario, altrimenti ne sentiremmo delle belle. Fra “ce l'ho più lungo io”, “ma che dici, il mio è molto più lungo del tuo”, parliamo dei missili naturalmente, ormai ai competitors in follia non resta che sfidarsi in un pubblico agone a chi la fa più lontano. Probabilmente Kim arriverebbe in Giappone, mentre il Boccoloso potrebbe raggiungere il Messico, muro e prostata permettendo.


martedì 18 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Don Mario e la messa sospesa per mancanza di fedeli. Se il carciofo tira più dello spirito


Don Mario e la messa sospesa per mancanza di fedeli. 
Se il carciofo tira più dello spirito

I continui sold-out di Piazza San Pietro quando parla Papa Francesco, le folle oceaniche che lo accolgono in tutto il mondo, devono aver creato una specie di sindrome da solitudine in molti dei parroci italiani. Sembra quasi che il messaggio destinato anche al più povero di noi, abbia bisogno, considerata la premessa, di pubblico, di spettatori possibilmente paganti, di tante persone disposte ad ascoltarlo per poter essere efficace e penetrare nelle pieghe più nascoste del nostro desiderio di credere.
Una volta, tanto tempo fa, mi divertivo (oddio mica tanto) a fare il cineoperatore nella sala parrocchiale del mio paese. La domenica sera era un terno al lotto, potevano starci dieci persone o una, lo spettacolo doveva continuare e non importava che il giorno dopo dovessi andare a scuola. Addio alla Domenica Sportiva, un saluto cordiale a Sandokan e via nella neve a fare il mio dovere di dispensatore di immagini. La fregatura era che il maresciallo della caserma dei carabinieri, insensibile agli sceneggiati e allo sport, veniva al cinema solo la domenica sera e come potevo fare a cacciare il maresciallo? Capitava così che fossimo in tre, il maresciallo, la maschera e io.
Evidentemente però, nella chiesa di don Mario Sgorlon, parroco di Sant'Erasmo, davanti al Lido di Venezia, la domenica non va neppure il maresciallo dei carabinieri tanto che, stanco di ritrovarsi da solo a celebrare la messa, ha affisso un cartello sul quale ha scritto: “Messa sospesa per mancanza di fedeli”. Ovviamente il cartello ha fatto il giro d'Italia e gli organi di informazione, più o meno ironicamente, lo hanno commentato.
Don Mario, intervistato, ha in un primo momento dato la colpa agli esigui abitanti della parrocchia (circa 40 se sono tutti in salute), poi alla secolarizzazione in atto da tempo, ancora alla pasquetta e alla gita fuoriporta e infine, dulcis in fundo, ai carciofi gustati in tutti i modi di cui la sua zona è ricca e famosa. Insomma, le parrocchiane in questi giorni sono impegnate a cucinare i carciofi, e i bisogni dello stomaco, si sa, a volte diventano più pressanti di quelli dell'anima. L'immortale Totò avrebbe detto: “All'anima dei carciofi”.



giovedì 13 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Una via di fuga chiamata alcol. Tra i giovani trionfa il bingedrinking


Una via di fuga chiamata alcol. Tra i giovani trionfa il bingedrinking

Sono tantissime le ragioni per le quali uno inizia a bere, e non è detto che lo faccia perché l'alcol è la droga meno costosa. Spesso si inizia per puro piacere e si finisce in coma epatico all'ospedale. Apparentemente sembra che l'alcol, con il suo effetto stordente, contribuisca a far dimenticare guai e tristezze, quotidianità invivibili e altrettante frustrazioni. Il bicchiere di vino a pasto diventa un fuori pasto e controllarne la quantità diventa sempre più difficile. Aumentano di pari passo tristezze e bicchieri, così, uno dopo l'altro, la sbronza diventa inevitabile, come le diverse sfumature che si porta dietro. C'è chi infatti diventa allegro e loquace e chi silenzioso e violento, in mezzo alle due tipologie classiche della sbronza non esistono sfumature grigie né nere, non esistono proprio.
Escono le statistiche, e se da una parte ci consola il fatto che l'alcolismo è in tendenza discendente, dall'altra è preoccupante l'età d'inizio di un fenomeno che porta all'autodistruzione: 11 anni.
Inutile sottolineare come la precocità sia legata alle abitudini familiari. Genitori che bevono tanto rappresentano infatti lo start, l'inizio di una abitudine che presto, anzi prestissimo, si trasforma in vizio. E questa pessima tendenza arriva fino ai 24 anni quando, per forza o per scelta, o si passa a sostanze più pericolose dell'alcol o si smette. E che si smetta è un dato di fatto.
Anni fa, inascoltati, affrontammo con piglio da combattenti dell'Esercito della Salvezza, il problema dei softdrink per i giovani. L'alcol mischiato ai succhi di frutti era la bevanda per i minorenni sia nelle discoteche che nei bar del paesello. Lo Stato ovviamente non fece nulla e continuò (e continua) a venderli tranquillamente senza prescrizioni che ne vietino espressamente la distribuzione ai minori. E non era un alibi la bassa gradazione visto che se ne beveva a litri, né rappresentava un deterrente la pericolosità insita in quel mix di zucchero e alcol che devastava fegati giovanissimi. Oggi, a regnare incontrastato è il bingedrinking, ovvero l'abbuffata alcolica che ha sostituito i softdrink
I ragazzi bevono compulsivamente liquori di diversa gradazione e composizione, non sorseggiano ma trangugiano, non assaporano e non gustano ma hanno un diverso scopo che è poi quello che l'alcol passa dalla bocca per arrivare direttamente al cervello.
Le conseguenze sono disastrose, la sbronza è assicurata a una velocità altrimenti impossibile, le sinapsi vanno in pappa e l'impotenza è dietro l'angolo. Come accade spesso, nessuno fa nulla e la pubblicità dell'alcol è ancora lì, in tv, a dirci che bere si può.
Totalmente diverso è il ragionamento sull'altra fascia di età a rischio, gli ultrasessantaquattrenni. Arrivati alla pensione nonostante la Fornero, gli uomini e le donne ritengono di non avere più nulla da dire né da fare. Invece di spendere i loro risparmi in viagra e succedanei erotici, preferiscono dilapidare pensioni acquistando l'alcol (o grattaevinci) che diventa un amico fedele, quello che non ti abbandona mai e che nel momento del bisogno c'è. 
Sembra, insomma, che superata una certa età la vita non possa più regalarti nulla e che il suicidio a lungo termine sia l'arma migliore di rispondere alla noia.

Cari amici e quasi coetanei, non è vero. Che un bicchiere di vino possa aiutare a vincere la timidezza potrebbe anche essere vero, ma che una damigiana distrugga lo è altrettanto. Vince, secondo noi e come sempre, la “teoria della vena varicosa”. Ma questo è davvero un altro discorso, destinato soprattutto a chi è fermamente convinto che la vita non finisca con gli ...anta.


mercoledì 12 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Il giustizialismo e il pirandelliano senso della vita. Così è, se vi pare!


Il giustizialismo e il pirandelliano senso della vita. Così è, se vi pare!

La goduria che a volte un abbaglio ci procura, è tale e quale al potere orgasmatico dell'assolo di Billy Preston in Isn't it a Pity di George Harrison.
Lo stavamo ascoltando ieri durante un'assolata passeggiata in riva al mare e, per quegli strani giochi della mente che spesso avvengono nel cervello, il pensiero ci è andato dritto dritto a chi non ci vuole stare, a tutti coloro che fattasi un'opinione, la mantengono a dispetto di dio e dei santi. Poi, come in un incubo ci è riapparso Enzo Tortora, ma questa è un'altra storia.
C'è chi, per assoluta ignoranza, crede di avere la verità in mano. Ma ci sono anche quelli che, emanazione diretta dell'arroganza, vedono complotti dovunque e li spiegano con tanto di microchip sottopelle e la CIA dietro l'angolo. 
Alle categorie sopraddette, si aggiungono coloro che giocano sulla pelle degli altri come fosse un Risiko Blues di una notte di mezza estate, e linciano senza ritegno facendosi forti delle pagine di un giornale o di un servizio in tv.
Infine, ciliegine sulla torta della convenienza, ci sono i giustizialisti, quelli che se le manette non tintinnano e le chiavi delle celle non vengono gettate nella indifferenziata, non raggiungono l'orgasmo. Questi passano la loro vita accusando gli altri, spulciando nelle esistenze come se fossero diari aperti, insultando e infangando come fosse lo sport preferito dai frustrati cronici che non hanno un rapporto sessuale da tempi immemorabili.
Basta un soffio di vento che un sentito dire si trasforma in calunnia, e sulle calunnie basano il loro distorto diritto a informare a senso unico, perché la doppia circolazione è bandita dalle loro prerogative professionali.
I giustizialisti sono quelli che anche se i fatti vengono smentiti (a volte clamorosamente) non fanno un passo indietro manco se li spingi.
Restano sempre fermi nelle loro convinzioni e, anzi, contrattaccano furiosamente come un animale ferito quando vengono smentiti.
Hanno la verità in tasca, quando tutti sanno che la verità universale con esiste, perché se ci sarà sempre la tua verità è anche vero che la mia è di tutto rispetto. È come Trump che sposta l'attenzione sulle problematiche internazionali per nascondere il fallimento di quelle interne, è il guardare in casa altrui perché nella nostra avvengono cose inenarrabili, è dare la colpa agli altri perché l'autocritica un po' ci frustra.
È il pirandelliano senso del “così è, se vi pare”. L'ipocrisia allo stato puro che si traduce in sistema strutturato di vita e di politica. 


martedì 11 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. Io Cassimatis, tu Cassimatis, egli Cassimatis


Io Cassimatis, tu Cassimatis, egli Cassimatis

A una certa età può succedere. Può accadere che, data l'alta visibilità sociale, si prendano decisioni più dettate da una pericolosa sindrome di delirio d'onnipotenza, che da ordinaria, anziana quotidianità. Se a tutto questo si aggiunge la inevitabile demenza senile, il risultato di una vita trascorsa ad accumulare soldi (preferibilmente in nero), è quello di sentirsi uno che vale molto di più di uno, e di seguire pedissequamente gli insegnamenti e le parole d'ordine del Marchese del Grillo. Perché proprio di grilli, animaletti simpaticissimi ma altrettanto fastidiosi, si parla.
I grilli, insetti ortotteri ensiferi, sono come le cicale, sempre insetti ma dell'ordine dei rhynchota, rompono e basta. Hai voglia a dire che simboleggiano l'estate, le assolate e canicolari giornate agostane, i torridi pomeriggi trascorsi con i piedi in ammollo, sono sempre insetti che, come le mosche ma più puliti, ti si infilano con i loro suoni nelle orecchie e non ti mollano più. Per cui, il rischio di dare di matto è quanto mai presente.
Per avere conferma di ciò, basterebbe chiedere alla ex candidata dei FiveStars a Genova, tale Marika Cassimatis, insegnante di geografia. Chiedete a lei cosa ne pensa dei grilli e delle cicale che spesso li circondano e ne sentirete delle belle, perché vi dirà che gli insetti padroni esistono e che nessuna cicala, per quanto rumorosa può opporvisi. Soprattutto se il grillo principe di cui sopra, è provvisto di una furbizia senza precedenti.
Lui, al contrario di Silvio vostro che non è nei cieli, non paga ma viene pagato. Lui, fondando un Movimento, ne trae utili che nessun essere umano potrà mai intascare, e, infatti, parliamo di insetti e non di esseri umani. Lui, a ogni click, pardon frinire, intasca, mentre l'altro, a ogni sorriso, è costretto a offrire sostanziosi rimborsi spese, 250/300 mila euro mensili dice il suo ragioniere.
Uno regna incontrastato sulle cicale che lo seguono ossessivamente e acriticamente fino ad annullarsi. Ma anche l'altro regna sulle cicale che però hanno il compito di amplificarne il frinire mentre una sola, Brunetta, zilla.
Siamo di fronte al sovvertimento totale delle regole del gioco democratico.
Se un grillo decide che le decisioni prese da un centinaio di cicale non valgono un cazzo, non ci sarà mai nulla da fare, forte del suo ruolo, agirà comunque secondo le proprie idee e convenienze.
Purtroppo a una certa età si torna bambini e se la partita di calcio prende il verso sbagliato, il proprietario del pallone, pardon del simbolo, lo prende e lo riporta a casa, lasciando gli altri a correre senza palla, che sarà anche uno schema di gioco, ma quanta fatica!


lunedì 10 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. A Milano aumenta la richiesta di porto d'armi. Per qualche pistola in più


A Milano aumenta la richiesta di porto d'armi. Per qualche pistola in più

Il lavaggio del cervello funziona, proprio come l'istigazione alla giustizia fai da te. Apparentemente sembra che la voglia di difendersi da soli abbia preso il sopravvento sulla delega sociale alle forze dell'ordine, pagate (male) per farlo al posto nostro. Ma quando si spara a un ladro alle spalle, il concetto di autodifesa subisce un brusco ridimensionamento, perché non si tratta più di difendersi ma di offendere. Il furto in casa, come lo scippo per strada, è intollerabile. La gente si sente violata nella propria intimità e questo porta conseguenze che spesso si curano con anni di analisi. Sentirsi derubati di una cosa tua, che magari hai acquistato sudando e lavorando come un pazzo, è una sensazione di impotenza che fa male, come tutto quello che viola la nostra esistenza quotidiana di corretti cittadini.
Così, le forze politiche che cavalcano quello che è diventato un vero disagio sociale, per qualche voto in più, peraltro lordato di sangue, non esitano ad allestire banchetti per la raccolta di firme che dovrebbero portare la popolazione ad armarsi come nella Kansas City dell'800.
Come dice Marcello Cardona, questore di Milano, il problema non è la sicurezza ma la “percezione di sicurezza” che il cittadino ha. Da quando è arrivato nella capitale lombarda, il questore non fa altro che opporre dinieghi alle richieste perché “immotivate”, e spesso nascoste sotto il pretesto di “porto d'armi per uso sportivo”. E per giustificare i tanti no, il questore cita numeri che dimostrano in maniera inequivocabile che i reati sono scesi, a volte di percentuali a due cifre.
Così come, per restare nell'ambito della prevenzione, gli interventi delle forze dell'ordine sono raddoppiati dallo scorso anno, e hanno portato, ad esempio, all'arresto dell'accoltellatore folle di Monza in pochi minuti, ultimo dei casi a fare scalpore anche perché la gente ne avrebbe voluto vedere scorrere il sangue.
Questi casi, se enfatizzati, creano una situazione insostenibile, contribuendo ad americanizzare una società che di tutto ha bisogno meno che di pistole.
Diverso il caso di Igor il Russo, una sorta di Rambo che non esita a uccidere con tutto quello che si trova in mano. Qualche anno fa, per sfuggire alla cattura, si tuffò in un canale e respirò grazie a una cannuccia, proprio come lo Sly Stallone che in molti hanno amato e, leghisti in testa, continuano ad amare svisceratamente. Dicono che si sia rifugiato nei boschi e nelle paludi, luoghi cari agli eredi dei Celti che però non stanno facendo nulla per prenderlo. In alcuni casi, i poliziotti e i carabinieri fanno ancora comodo.




venerdì 7 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. A Genova fu mattanza. L'Italia paga e tacita



A Genova fu mattanza. L'Italia paga e tacita

Il 21 e 22 luglio 2001 a Genova c'ero anche io. Sulla strada di casa feci in tempo ad apprendere dai giornali e dalla televisione quello che era successo alla Diaz e a Bolzaneto. In quei giorni, l'agenzia di stampa per la quale lavoravo nella mia vita precedente, mi aveva mandato a Genova per seguire i lavori dei governanti e non i fatti di cronaca che, nel frattempo, insanguinavano le strade.
Che l'aria fosse pesante, che i BlackBlock stessero combinando un gran casino lo sapevo ma, da un albergo, era impossibile seguirli da vicino, soprattutto se il mio compito era un altro. Che la polizia avesse steso una sorta di cordone sanitario in tutta la città, era chiaro. Che ci fossero manovre dall'alto che tendevano a drammatizzare qualsiasi fatto fosse successo (com'è successo), in quei giorni, lo si capiva, lo si respirava nell'aria. Ma da qui a una mattanza ce ne corre e ce ne correrà sempre.
I responsabili dei fatti del 21 e 22 luglio 2001 hanno nomi e cognomi e la Storia, che non è mai una puttana, li ha scolpiti nel marmo. I colpevoli sono, nell'ordine: Silvio Berlusconi, all'epoca Presidente del Consiglio, Claudio Scajola, Ministro dell'Interno e Gianfranco Fini, vice presidente del Consiglio, in quei giorni a Genova, chiuso in caserma, a dispensare ordini alle truppe cammellate della Polizia e dei Carabinieri.
Ho sempre avuto un sacro rispetto per i poliziotti e i carabinieri. Ne ho conosciuti e conosco tanti che fanno semplicemente il dovere di uomini dello Stato, pagati pochissimo e malissimo, addetti alla nostra protezione. A loro dobbiamo, considerati i tempi, il fatto di avere ancora una vita sociale e il ringraziamento, qualsiasi ringraziamento, potrebbe sembrare capzioso. 
Ma quelli che sono entrati alla Diaz e a Bolzaneto che uomini dello Stato erano? Perché inneggiavano a Hiltler al Duce e a Pinochet? Cosa avevano nel sangue quando manganellavano nel sonno, senza ritegno né pudore, giovani indifesi e felici di protestare pacificamente contro la globalizzazione? E la suora randellata per strada, che colpa aveva commesso?

Oggi, il Tribunale Europeo dei Diritti Umani, riconosce l'Italia colpevole di tortura e la costringe a pagare e rimborsare le spese ai torturati. Pagherà lo Stato e quindi noi, come se tutti il 21 e 22 luglio 2001 avessimo tenuto in mano un manganello. Personalmente, in mano tenevo solo una penna. Perché devo pagare anche io?


giovedì 6 aprile 2017

Cornetto&Cappuccino. M5S. Se sei nero ti tirano le pietre. E qualche insulto razzista


M5S. Se sei nero ti tirano le pietre. E qualche insulto razzista

Premessa indispensabile: non faccio parte dei “poteri forti”. Non ho un editore che mi paga, De Benedetti compreso. Sono un giornalista libero che, arrivato a un certo punto della sua vita, prende spunto dai fatti per esprimere una opinione personale cercando di ragionare. Non sono duttile né malleabile come l'oro, al più duro come il bronzo, faccia compresa.
Ho dovuto esprimere questi concetti elementari  perché sono abituato agli insulti di chi parla avendo la Bibbia (e la verità) in mano, chiarire, come prevenire, è meglio che curare.
Il fatto di oggi riguarda un signore che si chiama Alì Listi Maman. È originario del Niger e dopo anni di attività politica come presidente della fondazione Gange Onlus, è diventato il simbolo dell'accoglienza e dell'integrazione a Palermo, realtà difficilissima e cuore aperto sul Mediterraneo. Deciso a scendere nella politica attiva della città in cui vive, Alì aveva deciso di presentarsi con i FiveStars al consiglio comunale nelle prossime elezioni amministrative di primavera.
Portatore di esigenze (ma anche di soluzioni) maturate nella lunga esperienza di immigrato-non-per-scelta, Alì aveva pensato che le sue idee e il suo lavoro avessero potuto essere d'aiuto in quello che è, e resterà ancora per anni, un problema. Al momento della presentazione del programma però, delle sue proposte e delle sue sensibilità manco una riga, e non è stato neppure come parlare a suocera perché nuora intenda, non l'hanno proprio preso in considerazione. Fino a qui nulla da obiettare. I candidati 5S sanno dove e come colpire, l'armamentario è trito e ritrito e non c'è verso che il loro linguaggio possa evolversi in qualche modo e intraprendendo strade nuove e diverse; in poche parole, al di là dello sfanculamento, c'è poco o quasi nulla.
Difficile da commentare, invece, quello che è accaduto quando Alì ha deciso di rendere pubblico il suo ritiro denunciando: “Mi hanno emarginato”. Apriti cielo. Sono iniziati a piovere insulti che, presi da Repubblica.it, riportiamo: “Vai a combattere nel tuo paese e non rompere i cabasisi”, “Tornatene in Africa”, “Alì Babà”, “Ma vai a cagare e vatti a fare prendere in giro dal PD”.
Inutile dire che ad Alì sono arrivati messaggi di solidarietà da quasi tutte le forze politiche regionali (Lega e FI escluse ovviamente), invece è importante dire che il Movimento5Stelle siciliano ha preso le distanze dagli insulti con un comunicato nel quale ha scritto: “Esprimiamo piena e incondizionata solidarietà ad Ali Listì Maman per gli insulti a sfondo razzista ricevuti a mezzo social. Chiunque adoperi un linguaggio discriminatorio e violento non offende soltanto Alì, ma lede l’immagine stessa del Movimento5Stelle, che ha sempre fatto del rispetto della persona una sua bandiera”.
Che i FiveStars abbiano fatto del rispetto delle persone la loro bandiera, è un pensiero opinabile. Quindi torniamo a chiederci, oltre il turpiloquio cosa c'è?