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venerdì 26 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Eia eia Qui Quo Qua


Eia eia Qui Quo Qua

Eppure “Eia eia... “con quel che segue e che non ci va di citare, aveva nobili origini. Era addirittura l'urlo di battaglia coniato da quel geniaccio sessuofobico di Gabriele D'Annunzio. Ma i fasci, la cui creatività è pari a quella di Conan il barbaro, se ne appropriarono rendendola praticamente una barzelletta, un grido soffocato nella vergogna di pseudo machi malati di egocentrismo frullato come un frappè. Per evitare che espressioni di stupidità si ripetessero dopo il disastro del ventennio, lo stato italiano, il 10 giugno 1952, promulgò una legge che rendeva definitiva la XII disposizione transitoria della nostra Costituzione sulla riorganizzazione del Partito Fascista. La legge, numero 645/1952, vietava (e vieta) ogni manifestazione apologetica di un fenomeno che fu, compresa tutta l'attrezzaglia che lo rendeva drammaticamente comico, un disastro storico. Oggi questa legge è sistematicamente violata da personaggi che non sappiamo ancora come definire, accontentiamoci di “figli della Lupa”, così nessuno si offende.
A Milano, nella civilissima Milano che non è Roma, e quindi resta Milano, le manifestazioni di nostalgici del fascio si susseguono a ritmi ininterrotti. E si portano appresso tutto l'antico armamentario gestuale figlio dell'Impero d'Eritrea, di Etiopia, di Abissinia e di Albania, compresi il saluto romano, l'urlo di battaglia e Faccetta nera. Se a farli è un gruppo di ragazzotti rasati con la svastica e “Dux” che spicca un po' dappertutto tatuato su corporature ridicole, la questione resta relegata nell'ambito della pura ignoranza. Ma se a compierli è un prete, la faccenda si fa improvvisamente seria e degna non del tribunale ecclesiastico che non prevede il reato di “apologia del fascismo”, ma di quello italiano che una legge ce l'ha e dovrebbe applicarla.
Don Orlando Amendola, è il cappellano del Campo X del cimitero di Milano, il luogo in cui sono sepolti i combattenti e reduci della Repubblica Sociale. Evidentemente, vivere ogni giorno a contatto con i fascisti della RSI, pure se morti, deve aver condizionato il prete che, da vero capopopolo, ha benedetto la cerimonia in ricordo di Salvatore Umberto Vivirito, militante di Avanguardia Nazionale, rapinatore e omicida, morto durante uno scontro a fuoco con la polizia il 21 maggio del 1977. Per il camerata Umberto Vivirito… presente! Per il camerata Umberto Vivirito… presente!” Ha urlato due volte il prete e, come se non bastasse, ha teso in avanti il braccio destro con la pugna dello squadrista perfetto. Onestamente, detto fra noi, non sappiamo se piangere o ridere, se incazzarci con chi non compie il proprio dovere ammanettando immediatamente il nostalgico, o con la Chiesa che tollera l'intollerabile. Sappiamo solo che se qualcuno ci urlasse in faccia “Eia eia”, noi gli risponderemmo, ridendo, “Qui Quo Qua”.



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