Destra, sinistra, boh!
Per
anni hanno tentato di spacciarci i “concetti” di destra e
sinistra come roba vecchia e sorpassata. La manovra neanche troppo
sotterranea di omologarci tutti, di renderci utenti/consumatori e non
cittadini consapevoli, di rimbecillirci mostrandoci il mondo
attraverso i filtri patinati dell'idiozia, in molti casi è riuscita,
in altri miseramente fallita. La destra e la sinistra, termini
coniati all'indomani della Rivoluzione francese, ci sono ancora e le
ultime elezioni amministrative lo hanno dimostrato. Che poi non
rispettino più i crismi del loro esistere è un altro discorso. In
Italia, e in buona parte dell'Europa, tutto è nato nel momento in
cui si è iniziato a parlare di post-ideologismo, come se
l'appartenenza a sensibilità diverse (esemplificando
nobiltà-borghesia da una parte, proletariato dall'altra),
rappresentasse un vulnus insanabile per il vivere moderno nell'epoca
della globalizzazione. E questo delirio di riposizionamento, ha
portato gli operai a votare per Berlusconi e i ricchi borghesi dei
Parioli per Renzi, un assurdo da psicanalista bravo che la Storia
seppellirà. Poi è arrivato il momento in cui, insieme, hanno scelto
di votare per i FiveStars e la frittatona dell'antipolitica si è
consumata. Ora, se volessimo tirare per i capelli i risultati delle
ultime amministrative, potremmo dire che la frittata si è liquefatta
trasformandosi in un immangiabile zabaione e che la sinistra e la
destra esistono ancora. I cosiddetti populisti, quelli cioè che
basano il loro modo di fare politica guardando più alla pancia che
alla testa dell'elettore, sono destinati a fare la fine di Nigel Farage,
l'idiota più inutile e dannoso della storia politica mondiale degli
ultimi dieci anni. Stesso discorso vale per i lepenisti in camicia
verde e croce celtica, i casapoundini fessacchiotti e gli attrezzi
arrugginiti della sinistra estrema, quelli che hanno ancora la foto di
Lenin sul comodino e festeggiano l'anniversario della Rivoluzione
d'Ottobre. Per quello che riguarda noi, che nonostante tutto abbiamo
ancora dalla nostra la sana passione per la politica, continueremo a
non votare fino a quando non incontreremo sulla nostra strada
qualcuno che il nostro voto lo meriti. Votare sempre conto è un
esercizio inutile, ansiogeno e dannoso per l'intelligenza. Ci
consola, ma è davvero una piccola consolazione, il dato in crescita
dei ragazzi che si iscrivono all'università. Nel 2016, in
controtendenza da quindici anni, si sono iscritti nei nostri atenei
12mila giovani in più. Chissà che un pizzico di cultura non riesca
a rendere più idonei al voto i giovani che, quando si ritrovano con
una scheda elettorale e una matita copiativa in mano, pensano di
essere tornati al paleolitico e cercano inutilmente il tasto "Invio".
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