L'affare
del [quasi] caro estinto
L'economia
creativa è sempre stata una prerogativa del nostro Paese, una
nazione nella quale ogni mezzo è buono per portare la pagnotta a
casa e imbandire in qualche modo il desco familiare. Gli italiani,
fantasiosi come pochi, si sono inventati di tutto. Dalla vendita del
Colosseo all'allocco turista americano a quella dell'aria di
Napoli in bomboletta spray, dalla lunga treccia di Giulietta alla
segatura dentro la stecca di Marlboro fino alle reliquie tarocche di
tutti i santi del calendario, e qualcuno inventato di sana pianta,
siamo sempre stati una sintesi perfetta di fantasia e paraculaggine.
Abbiamo ogni volta trovato, insomma, una possibile soluzione ai
nostri guai economici e all'endemica povertà che in molte zone del
paese continua ad albergare. La storia di oggi però, ha un non so
che di film horror, di soluzione al limite del vilipendio, di un
preoccupante segnale di mancanza di rispetto per la vita e per la
morte quindi, delle due fonti principali di gioia e di tristezza che
accompagnano la nostra esistenza terrena. Lo scenario è quello di
Catania o, meglio, di Biancavilla in provincia di Catania. La vicenda
ruota intorno a un ospedale che non poteva avere un nome diverso, il
“Santa Maria Addolorata”. Mentre in tante altre parti d'Italia il
malato in fin di vita viene lasciato in ospedale e poi, abbandonata
l'anima a Dio trasferito in obitorio, in alcune resiste ancora la
tradizione che la persona in agonia viene trasportata a casa per
farla morire nel suo letto, tra gli affetti più cari. Ed è proprio
durante questo brevissimo tragitto che la tragedia si compie e
l'economia creativa trova la sua sublimazione. Per prime “Le Iene” poi, via via, quasi tutti i giornali, ci dicono che i
barellieri incaricati di trasportare la quasi salma, ne accelerano,
come dire, la dipartita iniettando nelle vene del futuro defunto una
bolla d'aria che trasforma un corpo in cadavere. Uno potrebbe dire:
“lo fanno per non far soffrire più un essere umano”, ventilando
l'ipotesi della “pietas”. Ma in questo caso non c'è nessuna
pietas, solo l'esigenza di guadagnare 300 euro dell'agenzia di pompe
funebri che, solo per caso, si trova già a casa del defunto. Sembra
che dalle indagini avviate dalla Procura di Catania, i casi siano
stati decine se non centinaia, inutile, quindi, tirare le somme dei
guadagni illeciti, basta aggiungere gli zeri. Ormai la vita e la
morte si confondono, si intersecano dando vita a un groviglio di
emozioni che non intaccano però il duro cuore di chi dovrebbe
assisterci fino alla fine. Una morte vale 300 euro e al di là di
qualsiasi considerazione possibile, resta una domanda di fondo alla
quale ci piacerebbe dare una risposta: “Se una morte vale 300 euro,
una vita quanto vale?”
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