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mercoledì 21 giugno 2017

Cornetto&Cappuccino. L'affare del [quasi] caro estinto


L'affare del [quasi] caro estinto

L'economia creativa è sempre stata una prerogativa del nostro Paese, una nazione nella quale ogni mezzo è buono per portare la pagnotta a casa e imbandire in qualche modo il desco familiare. Gli italiani, fantasiosi come pochi, si sono inventati di tutto. Dalla vendita del Colosseo all'allocco turista americano a quella dell'aria di Napoli in bomboletta spray, dalla lunga treccia di Giulietta alla segatura dentro la stecca di Marlboro fino alle reliquie tarocche di tutti i santi del calendario, e qualcuno inventato di sana pianta, siamo sempre stati una sintesi perfetta di fantasia e paraculaggine. Abbiamo ogni volta trovato, insomma, una possibile soluzione ai nostri guai economici e all'endemica povertà che in molte zone del paese continua ad albergare. La storia di oggi però, ha un non so che di film horror, di soluzione al limite del vilipendio, di un preoccupante segnale di mancanza di rispetto per la vita e per la morte quindi, delle due fonti principali di gioia e di tristezza che accompagnano la nostra esistenza terrena. Lo scenario è quello di Catania o, meglio, di Biancavilla in provincia di Catania. La vicenda ruota intorno a un ospedale che non poteva avere un nome diverso, il “Santa Maria Addolorata”. Mentre in tante altre parti d'Italia il malato in fin di vita viene lasciato in ospedale e poi, abbandonata l'anima a Dio trasferito in obitorio, in alcune resiste ancora la tradizione che la persona in agonia viene trasportata a casa per farla morire nel suo letto, tra gli affetti più cari. Ed è proprio durante questo brevissimo tragitto che la tragedia si compie e l'economia creativa trova la sua sublimazione. Per prime “Le Iene” poi, via via, quasi tutti i giornali, ci dicono che i barellieri incaricati di trasportare la quasi salma, ne accelerano, come dire, la dipartita iniettando nelle vene del futuro defunto una bolla d'aria che trasforma un corpo in cadavere. Uno potrebbe dire: “lo fanno per non far soffrire più un essere umano”, ventilando l'ipotesi della “pietas”. Ma in questo caso non c'è nessuna pietas, solo l'esigenza di guadagnare 300 euro dell'agenzia di pompe funebri che, solo per caso, si trova già a casa del defunto. Sembra che dalle indagini avviate dalla Procura di Catania, i casi siano stati decine se non centinaia, inutile, quindi, tirare le somme dei guadagni illeciti, basta aggiungere gli zeri. Ormai la vita e la morte si confondono, si intersecano dando vita a un groviglio di emozioni che non intaccano però il duro cuore di chi dovrebbe assisterci fino alla fine. Una morte vale 300 euro e al di là di qualsiasi considerazione possibile, resta una domanda di fondo alla quale ci piacerebbe dare una risposta: “Se una morte vale 300 euro, una vita quanto vale?”



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