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giovedì 15 giugno 2017

Cornetto&Cappuccino. Phubbing. E muori di solitudine


Phubbing. E muori di solitudine


Questo è un fenomeno serio anzi, serissimo. Talmente serio che gli analisti hanno iniziato a studiarlo dal 2013, quando l'uso smodato dello smartphone è deflagrato in tutta la sua pericolosità sociale. Gli hanno dato anche un nome, Phubbing che, come tutte le parole che finiscono in “ing” denota una quasi sindrome. Si tratta dell'atteggiamento “poco cortese di trascurare l'interlocutore con cui si è impegnati in una qualsiasi situazione, dall'ufficio alla camera da letto, per controllare compulsivamente lo smartphone ogni cinque minuti” (quando va di lusso). Che questa sorta di rivoluzione sociale fosse pericolosa, ce ne siamo accorti quando investimenti in mezzo alla strada di donne e uomini impegnati in un like o un emoticon, hanno iniziato a essere frequenti, i giornali hanno iniziato a riportarli con sempre più evidenza, i rapporti affettivi si disfacevano come la tela di Penelope. Perché parliamoci chiaro, impegnati in una discussione qualsiasi, che può riguardare la politica, il condominio, l'auto da riparare, i figli da crescere, la suocera da tenere a bada, lo sguardo intimidente di Gasparri, l'ultimo fanculo di Grillo, la boccuccia a culo di gallina di Renzi, accorgersi che la persona con la quale stai discutendo ride dell'ultima battutaccia colorata letta su Facebook, ti fa girare letteralmente le pale, tanto che il numero degli elicotteri in volo è in crescita esponenziale. Capita sempre più spesso di incontrare persone che girano con lo smartphone in mano e ridono, piangono, sbarrano gli occhi, digitano sulla tastiera come se fossero scrittori a cui sta scappando l'ispirazione, incuranti di quelli che gli passano accanto, dei figli nel passeggino, dell'amica che gli ha posto una domanda, dell'amante che la sta palpeggiando. Il contatto con lo smartphone sembra che anestetizzi, che renda tutto il virtuale reale e il reale virtuale, che in qualche modo ci scolleghi dalla vita di tutti i giorni per proiettarci in una dimensione che non è la nostra né riguarda i nostri pensieri profondi, ma un mondo che vorremmo fosse così, senza palpiti né sentimenti, emozioni e sussulti. Appena sentiamo il cinguettio della notifica, dovunque siamo, qualsiasi cosa stiamo facendo, il bisogno di prendere lo smartphone e vedere cos'è arrivato supera qualsiasi altra necessità, comprese quelle di bere, mangiare, fare l'amore, lavarci, dormire. Si dorme con un solo occhio perché con l'altro dobbiamo vedere se la spia diventa intermittente perché se lo diventa, si aprono entrambi e dobbiamo leggere per forza quello che sta accadendo ai nostri amici virtuali. Ma il top lo si raggiunge a letto quando, e succede sempre più spesso, impegnato nell'ultimo, sovrumano sforzo per il raggiungimento di un piacere fugace, l'uomo si sente dire: “Ops, scusa, una notifica. Puoi aspettare un momentino”? Già il “momentino” ti rende idrofobo, ma è il “puoi aspettare” che scatena le reazioni peggiori e mestamente, come un adolescente brufoloso, incurante delle minacce di cecità del parroco, ti ritiri in bagno e godi con un cinque contro uno da leggenda.


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