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martedì 6 giugno 2017

Cornetto&Cappuccino. Totò Riina e i tarallucci. In Italia di certo c'è solo il vino


Totò Riina e i tarallucci. In Italia di certo c'è solo il vino


Qui non si tratta di vendetta né è possibile tirare in ballo l'umana pietà. Stiamo parlando di “certezza della pena”, un concetto che spesso sfugge anche ai supremi magistrati della Cassazione. L'umanità è un concetto elementare, non implica grandi trattazioni psicoanalitiche né approfonditi studi di antropologia, si tratta di applicare, sempre, criteri di buon senso legati al nostro essere viaggiatori temporanei di questa terra. Uno di questi criteri è quello di assicurare a tutti un contesto civile, quel modo di vivere che permette di non trasformare la nostra quotidianità in un far west senza regole condivise. Infatti, se si investe un pedone e poi si fugge, il codice regolamentare dice che si è passibili di un duplice reato: omissione di soccorso e omicidio stradale se le cose dovessero andare malissimo. Così, se si fa saltare un'autostrada o si scioglie un bambino nell'acido, il regolamento dice che sei passibile di ergastolo, anzi due, quei “senza fine pena mai” che servono a togliere di mezzo persone che rendono la nostra vita un pericoloso sistema di relazioni sbagliate. In Italia, se condannano qualcuno all'ergastolo, a meno che non sia un poveraccio non in grado di assicurarsi un avvocato decente, dopo qualche anno lo liberano “diversificando” la pena. Arresti domiciliari, ricovero in clinica, affidamento ai servizi sociali. Nel nostro Paese, insomma, pagano come sempre gli sfigati e pagano fino alla fine. Però, se ti chiami Totò Riina detto “Totò u curtu”, hai ucciso (il numero esatto non si saprà mai) decine di persone, commesso stragi infamanti, attentato ai beni dello Stato, eliminato donne e bambini stravolgendo perfino il codice d'onore mafioso, ebbene, se ti chiami Totò Riina e stai male, qualcuno ritiene che dovresti essere scarcerato per assicurarti una fine dignitosa. Lo ha detto la Cassazione, accogliendo per la prima volta il ricorso contro la detenzione al 41bis dell'avvocato di Riina, un ricorso che l'avvocato sta inoltrando praticamente dal 1993, anno della cattura del boss dei boss. A decidere sarà il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ma intanto, le proteste sono scoppiate e il tono è stato alto e forte. Le belve di solito non si scarcerano e, proprio perché viviamo (o dovremmo vivere) in un Paese civile, al mostro dobbiamo però assicurare tutte le cure possibili. U' curtu ha bisogno di un'ora d'aria in più? Gliela concedano, anzi, gliene concedano quattro, ma sempre al 41bis. Franco Roberti, il Procuratore nazionale antimafia, è stato chiarissimo: “Riina è ancora il capo di Cosa Nostra che è apparentemente governata da Matteo Messina Denaro che di Riina è il pupillo. Curatelo ma lasciatelo al 41bis”. Parliamoci chiaro, a Hitler gli arresti domiciliari non li avrebbero mai concessi.


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