E
sempre allegri bisogna stare
che il
nostro piangere fa male al re
fa
male al ricco e al cardinale
diventan
tristi se noi piangiam!
Così
Dario Fo per Ci ragiono e canto, così Enzo Jannacci per Vengo
anch'io, non tu no!
Così si cantava allora, nel 1968, per prendere
in giro i potenti che non venivano mai definiti “ricchi” ma “re”
e “vescovi” (prima di diventare “cardinali”). Per evitare che
i potenti piangano, negli ultimi anni in Italia si sono compiute vere
e proprie nefandezze. Diciamo che al novanta per cento, ci siamo dati
una regolata per non far piangere i Papi (plurale di Papa), l'altro
dieci per cento lo abbiamo riservato ai potenti e soprattutto alle
loro grane giudiziarie da perseguitati cronici. Ma oggi, in piena
estate 2013, dobbiamo stare buoni per non far piangere un re molto
particolare, che re lo è davvero nonostante tutti lo chiamino 'Presidente'. Finite le lacrime dei Papi, visto che a Santa Marta ne
risiede uno che invece di piangere s'incazza, sono rimaste quelle del
Presidente della Repubblica al quale va, ora e sempre, il nostro vivo
e vibrante ringraziamento per i sacrifici estremi che sta compiendo
in nome dell'Italia o mia patria sì bella e perduta. Contrariamente a quanto accaduto ai suoi
predecessori, Giorgio Napolitano è uno che prende decisamente in
mano i destini del paese. E sempre in nome della “tenuta per
evitare guai peggiori”, è costretto ad addentrarsi in compromessi
che nulla hanno di storico ma molto di pragmatico. Così, dopo il
discorso di ieri alla cerimonia del “Ventaglio”, ci chiediamo
cosa ancora questa nazione tapina e parecchio derelitta, debba ancora
sopportare in nome della “tenuta”. Pensavamo di aver toccato il
fondo dopo le tre “B” (praticamente monnezza) di Standard&Poor's e invece si continua
a sprofondare con LettaLetta che continua a dire ma non a fare. Il re
ieri è stato chiaro: “Alfano non si tocca”. “I processi di
Silvio non devono influire sulla compagine governativa”. “La
deportazione di quella cazzo di kazaka (ci mancava pure lei), non
cambia nulla”. “Agli insulti di Calderoli occorre mettere un
freno”. E, rivolto direttamente a Matteo Renzi, senza citarlo, ha
detto: “Chi spera che facendo cadere LettaLetta si torni a votare
non ha capito una mazza. Decido io cosa si farà ma il ritorno alle
urne mai”. Matteo ha ascoltato, compreso e si è rassegnato a
restare ancora un po' a Palazzo Vecchio. Di fatto, questa è
diventata una nazione presidenziale. Il presidente del consiglio
conta come il due di coppe quando la briscola è bastoni perché alla
fine, chi detta l'agenda (e le regole) è Giorgio, che in alcuni
momenti ci sembra un Sisto V redivivo il giorno della sua elezione a
Papa: “Mi avete voluto? E ora sono cazzi vostri”. L'Onu ci
bacchetta sonoramente e Alfano resta al suo posto. Stucchevole,
Guglielmo Epifani: “Un ministro del Pd si sarebbe già dimesso”,
ma quando mai, segretario, quando mai! A meno di improvvidi giochi di
correnti, un ministro del Pd non si sarebbe mai dimesso, loro sono
gli zozzoni e qualcuno lo ha dimenticato in fretta. Ma sì, cantiamo.
♪ E
sempre allegri bisogna stare
che il
nostro piangere fa male al re
fa
male al ricco e al cardinale
diventan
tristi se noi piangiam! ♪