massimoconsortiblog: Silvio e i gay: storia di una folgorazione. Manco San Paolo a Damasco

lunedì 30 giugno 2014

Silvio e i gay: storia di una folgorazione. Manco San Paolo a Damasco

Novembre 2010. Intervenendo sul caso Ruby, Berlusconi dichiara: " Meglio appassionarsi alle belle ragazze che essere gay".
2005, Berlusconi dichiara: "In Italia sono santificati solo i comunisti e i gay".
2008, Berlusconi commenta: "Meglio occuparci di infrastrutture e trasporti che di omosessualità".
2009, dopo il terremoto dell'Aquila, Berlusconi dichiara: "Ragazzi, se tutto va bene mi sa che veramente ve le porto le veline, le minorenni, altrimenti ci prendono tutti per gay". E ancora: "Mi hanno detto di tutto, manca solo che mi dicano che sia gay".

2014, dopo l'iscrizione all'Arcigay di Francesca Pascale e Vittorio Feltri, Berlusconi dichiara: "Quella per i diritti civili degli omosessuali è una battaglia che in un paese davvero moderno e democratico dovrebbe essere un impegno di tutti". Soprattutto se gli omosessuali portano un milione e mezzo di voti.

3 commenti:

Anonimo30 giugno 2014 alle ore 14:58
fra un po' lo vedremo sfilare in un "pride" al grido di di "anche io sono sempre stato frocio"con una bandana arcobaleno!!!!
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Panin1 luglio 2014 alle ore 08:15
Quindi, da tutto ciò risulta che un tipo come l' ex "cavalier pompetta", è la persona meno credibile al mondo. DICE E POI NEGA CIO' CHE HA DETTO.
Eppure vedendo quanta gente gli gira intorno applaudendolo viene da pensare che costoro ci stanno solo per egoistico interesse.
Questo è una rappresentazione del popolo italiano
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Panin1 luglio 2014 alle ore 08:22
Eppure c' é molta gente che gli da credito, nonostante la falsità di un personaggio simile.
Costui rappresenta ed ha rappresentato il popolo italiano per lungo tempo e ogni volta gli ridevano dietro.
Che figura!
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27 gennaio 2013. Colonnella.Giornata della memoria. Cinema e shoa.

Sono stato invitato e vado, come si fa quando si parla di cose serie. La shoa (hanno smesso finalmente di chiamarla "olocausto"), è stata raccontata dal cinema in tutte le salse. Bene o male, attendibili o meno, le fonti storiche sono state sempre le stesse, quelle che partono dal 27 gennaio 1945, giorno della liberazione di Auschwitz. Il titolo del mio intervento potrebbe essere "Dal negazionismo a Train de Vie. La lunga strada della libertà". Con me: lo storico Costantino Di Sante, la scrittrice Antonietta Langiu e l'editore Rocco Marcozzi. Tutto ciò all'ex Cinema Flaiano, con inizio alle 15.30. A sera, ore 21.30, teatro con Vincenzo Di Bonaventura ("Gerstein", liberamente tratto da "Il vicario" di Rolf Hochhuth), e Paolo Di Giosia, fotografo (Salmo Uintitled A-13166 Il posto delle betulle).

In uscita a ottobre: "Due passi", due racconti per AOPocket. La prefazione di Michela Matani.

Daniele il sognatore e Michele nel mare e vento. Una diade non nelle intenzioni forse, ma nel risultato; dal momento che traccia un percorso di scrittura ed esistenza. Non lineare, ma cerchio imperfetto, se da un sogno parte e all'insegna di un altro differente sogno si conclude. Se inizia con Daniele, un uomo a un momento di svolta, che sceglie la vita e si scuote dall'abbruttimento squallido di anni di alcol, e di perverso trascinarsi e sprofondare compiaciuto nel lutto non elaborato di un amore. E approda in Michele (verosimilmente, un Daniele anziano), sceso a patti con la vita di cui è tratteggiata una giornata copia di tante altre, uguali, assuefatte a una salvifica routine – porto-prigione sicuro, riparo da emozioni e desideri –, coi suoi gesti ripetuti e gli incontri scontati ma attesi, i ricordi – di vite, propria e altrui –, e soprattutto la memoria divenuta sogno (dell'unica donna amata e perduta) nel quale tuffarsi e annegare; unico respiro pieno di una senilità che ha bisogno di nutrirsi della pace del distacco, più rassegnato e voluto che serenamente maturato. Per entrambi, alla radice, l'irrequietudine profonda scaturita dal coesistere per nulla antinomico del bisogno intenso di un'inondazione dei sensi, di un'assolutezza emotiva, di tumulti prepotenti; e della consapevolezza amara che la vita non regala e non concede nulla che si sia sognato. Un'inquietudine che, di certo non urlata né apertamente dichiarata, informa pure la scrittura. Nel primo racconto, piuttosto ruvida, e veloce nel suo mai pausato presentare scene che trascinano il lettore così come Daniele è ri-trascinato alla vita da un'urgenza di esserci che ordina di essere ascoltata; ed è frenata brusca e decisa allo sprofondamento certo fatale, e pronta spinta reattiva, ostinata al riemergere. Nel secondo, onda lunga, morbida e distesa, pacata, disciolta nel lirismo dell'assenza e della nostalgia. Irrequietudine di cui parla anche la struttura della narrazione, che inneggia alla vita nel momento in cui la nega in quanto fonte di appagamento. I racconti concentrati delle vite di Daniele e Michele sono ininterrottamente mossi da flashback che sono finestre illuminanti su un passato che è parte integrante del presente; ed ambiguamente sospesi, se è vero che, in explicit, lo scatto vitale di Daniele al nuovo inizio non porta ad un addio o ad una tregua – se non pace – col passato, e che lo scorrere lento e protetto del giorno di Michele conduce all'unico piacere autoconcesso che è l'ennesimo sogno dello stesso ricordo. La ricerca inesausta e l'amore per la vita si intrecciano e saldano a passati non domati o a fughe necessarie negli universi memoriale e onirico. Vita che è come il mare, presenza ubiqua in questi racconti; luogo di viaggi, naufragio e violenza, ma anche di corse fantastiche verso l'unica possibile pienezza: quella autogenerata dall'immaginazione; nonostante, anzi grazie ad una formidabile e pervasiva malinconia.Vita che non può che chiedere di farsi parola infine - la scrittura necessario sbocco a esprimere tensioni implacate a una felicità sempre solo fuggevolmente assaporata, mai afferrata saldamente e appieno posseduta. E sia. Ma, nella scrittura di storie, la scommessa di vita di Daniele (e del narratore) è vinta.

Si ricomincia.

Se qualche dubbio sul mollare o meno, dopo il furto della mia identità, mi era venuto, la lettura dei giornali, le cronache televisive e il futuro non molto lontano di questo paese in mano a professoroni spesso più quacquaracquà degli studenti, mi hanno convinto a non lasciare, a tenere duro, a continuare a dire la mia. Se qualcuno pensava di intimidirmi non ha, come si poteva comunque immaginare, raggiunto l’obiettivo anzi, se possibile mi ha incattivito ancora più di quanto già non lo fossi. Come sempre, come sono solito fare, non mi ammanto di nessuna veste né toga né doppipetto Caraceni né adotto il look casual-chic dei tromboni de noantri, semplicemente continuo a fare il mio lavoro, a dispetto di chi non lo capisce (perché spesso non capisce l’italiano), di chi ama i dispettucci da mezzasega disperata, di chi pur di aver ragione venderebbe l’anima (e non solo) al primo diavolo incontrato per strada. A “Il blog di Massimo Consorti” ho pregato il mio amico Francesco di aggiungere “La vendetta”, tanto per chiarire da subito quale sarà il mio atteggiamento. Io avrei voluto un carattere più sanguinolento, alla “Profondo rosso”, ma poi Francesco mi ha fatto notare che di macerie, di morte e di distruzione ce n’erano già abbastanza nell’immagine della testata. Ha deciso quindi per un elegantissimo corsivo e, visto il risultato finale, va bene così. E se fino a ieri non c’è stata trippa per gatti, da oggi non ci saranno manco le lische di pesce, le pappette vitaminiche, i sorci in crisi di fiato, le barrette temperadenti, i vestitini di cachemire né quelli sintetici made in China. Niente sconti per nessuno perché l’aria che tira dice che è ora di smettere di giocare e di iniziare a prendere in mano il destino di un Paese destinato altrimenti al trapasso. Riparto da “80”. Alla fine 80 visualizzazioni non sono mica da buttar via per tre giorni di presenza in rete. Continuate a seguirmi, magari ci potremmo anche divertire.

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