Mi
piacerebbe trattare l'argomento “stampa”, ma occorrerebbe un
saggio di almeno 836 pagine. Non ne ho né voglia né tempo anche se,
quanto accaduto nei confronti del sindaco Ignazio Marino, merita
almeno una riflessione. Parto da lontano. La situazione in Italia,
stando ai numeri di RSF, ci pone al 73° posto nella statistica sulla
libertà di stampa. Reporter sans frontieres sottolinea però come,
in questo ulteriore crollo della stampa libera nel nostro Paese, le
figure della criminalità organizzata da una parte, e le querele
temerarie dei politici dall'altra facciano la loro porca parte. Le
querele temerarie, come sicuramente si sa, sono quelle intimidatorie.
Insomma, se dai una notizia suffragata dai fatti, il politico o
l'industriale di turno ti querelano non perché smentiscono la prova,
ma il giornalista che se ne è servito per compiere il sacrosanto
diritto di informare. Nessun giudice darà mai ragione al politico o
all'industriale, ma intanto la faccia è salva solo pronunciando la
parola miracolosa, “querela”, che fa tanto figo davanti
all'opinione pubblica. Tutto ciò nel momento in cui l'Ocse ci pone
al primo posto della classifica sugli analfabeti funzionali (47 per
cento), additandoci al pubblico, mondiale ludibrio, fra coloro che
non capiscono il senso di un articolo di giornale e si fermano al
titolo. Facile immaginare come un buon titolista (oggi si chiama
copywriter) faccia la differenza. Infatti, assistiamo sempre più
spesso all'assunzione del ruolo di titolatore da parte del direttore
del giornale (Travaglio ha fatto un corso full immersion prima di
assumere la direzione del Fatto), unico vero depositario della linea
dettata da un editore che ha mille interessi meno che quello di fare
un giornale veramente indipendente. L'Ordine dei Giornalisti ci
chiama alla frequenza dei percorsi formativi, obbligatori per legge,
e ci impartiscono sacrosantemente lezioni di deontologia. Ma,
diciamolo, a me? E Ezio Mauro, Maurizio Belpietro, Alessandro
Sallusti e Luciano Fontana, tanto per fare i nomi dei big, sanno cosa
c'è scritto all'articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine?
Prendiamo dunque atto che, se da una parte esistono i
giornalisti-bersaglio della camorra, della mafia e della ndrangheta,
dall'altra esistono giornalisti che lavorano con l'unico scopo di
distruggere il competitore politico del loro editore. Due più due fa
73, il posto che ci meritiamo nella classifica mondiale sulla libertà
di stampa. E veniamo a Ignazio Marino, il sindaco eletto
democraticamente dai romani, che ha iniziato a togliere appalti,
ruotato dirigenti, tolto piccoli e grandi privilegi ai vigili urbani,
tentato di mettere in riga i tassisti, licenziato alcuni parenti di
Alemanno, celebrato nozze gay quando era in corso il Sinodo dei
vescovi sulla famiglia, e chi più ne ha ne metta. Marino è stato
eletto a dispetto del PD che non lo voleva, e vincere le primarie a
volte porta sfiga. Ebbene, l'accanimento nei suoi confronti degli
organi di informazione, rispondenti alle logiche più diverse, è
stato devastante. Nessuno avrebbe potuto seraficamente sopportare gli
attacchi ripetuti dei Cinque Stelle, ansiosi di governare una grande
città, dei fascisti orfani del nullatenente Alemanno, dei
forzaitalioti ormai ridotti al ruolo di cornacchie, di Sel che, in
attesa di Pippo Civati, non sa più che pesci prendere (o forse sì)
e infine dello stesso Oltretevere al quale Marino, che pure è
cattolico, sta cordialmente sulle stole. Risibile la posizione del
commissario del PD romano, Matteo Orfini, il quale, cinicamente, ha fatto
sempre finta di difenderlo mentre lo stava democristianamente
segando. Marino qualche cazzata l'ha fatta, ma parliamo di cazzate,
stile quella di starsene in ferie mentre si svolgevano i funerali di
Casamonica, ma nessuno potrà mai accusarlo di concussione o di
peculato. Le persone libere danno fastidio e, questa volta uso il
plurale, noi ne sappiamo qualcosa.
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