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venerdì 16 ottobre 2015

Io, me e Un posto al sole. Perché cambio canale

Ebbene sì, lo confesso. Anch'io ho le mie piccole debolezze televisive, anche se, alla fine, non mi picco di vantarmi di seguire Rai Storia o Focus mentre, nella solitudine della mia stanza, mi sparo ogni mercoledì Squadra Antimafia o, il sabato, Tu sì que vales! Il rapporto che ho con la televisione è quello dello zappingman compulsivo che poi ora, con il digitale, è diventato ancora più frenetico. Osservo, guardo immagini, capto pensieri senza senso, ascolto commenti politici da quinta elementare, evito come la peste Bruno Vespa e Nicola Porro, stanco delle macchine del fango; non ho mai visto una puntata di Paolo Del Debbio né della cronaca a pagamento di Barbara D'Urso, però, per affetto-solo-per-affetto, seguo da anni “Un posto al sole”, soap che ho smesso di guardare da due settimane. Non creando dipendenza, la visione di Un posto al sole può essere interrotta in qualsiasi momento, e non perché come in Beautiful non succede mai niente e se perdi una puntata non ti sei perso nulla, semplicemente perché la trovo una soap diseducativa: in poche parole non paga mai nessuno per le colpe commesse. Vantandosi di essere una serie televisiva a sfondo sociale, allo stato attuale delle cose Un posto al sole si sta dimostrando invece una macchina da ascolti in grado di fagocitare tematiche apparentemente complesse. Ligia alla pubblicizzazione delle campagne contro domineddio (la sclerosi multipla, telethon, i pirati della strada, la camorra e piaghe sociali in genere), si dimostra meno sensibile per ciò che concerne la vita di tutti i giorni, i delitti spietati che avvengono all'interno delle diverse trame degli sceneggiatori, i colpi bassi che contraddistinguono alcune storie, le cattiverie a gogò che restano tutte, e dico tutte, impunite. Due casi su tutti, tralasciando per amor di patria quelli di contorno: Marina Giordano e Roberto Ferri. La prima ha ammazzato il marito, facendolo cremare per eliminare le prove del delitto. Oggi è una affermata imprenditrice, incensurata, straricca grazie all'eredità del marito defunto. Il secondo, cinico imprenditore al quale è impossibile dire di no altrimenti ti fa fuori, ha tentato addirittura di ammazzare la suocera grazie all'aiuto di un figlio che non vuole riconoscere. Il risultato? Indagini? Sospetti? Niente di niente, continua a mettere tutti nel sacco con mezzi e artifici da gangster della Magliana. E che dire di Elena, figlia di Marina, che tenta di appropriarsi delle imprese della madre avvelenandola, ma non ci riesce? Insomma, nessuno, in Un posto al sole, si è fatto mai un giorno di galera. Forse uno, Franco Boschi, giustiziere della notte 14 la vendetta. Allora, due settimane fa mi sono chiesto: ma è mai possibile che in una società civile nessuno paga mai per le colpe commesse? Questo che cos'è, un escamotage narrativo o lo specchio fedele dell'attuale contesto? In attesa che qualcuno mi spieghi perché pagano solo e sempre gli sfigati, Un posto al sole non lo guarderò più. 

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