Totò
Riina e i tarallucci. In Italia di certo c'è solo il vino
Qui
non si tratta di vendetta né è possibile tirare in ballo l'umana pietà. Stiamo parlando di
“certezza della pena”, un concetto che spesso sfugge anche ai
supremi magistrati della Cassazione. L'umanità è un concetto
elementare, non implica grandi trattazioni psicoanalitiche né
approfonditi studi di antropologia, si tratta di applicare, sempre,
criteri di buon senso legati al nostro essere viaggiatori temporanei
di questa terra. Uno di questi criteri è quello di assicurare a
tutti un contesto civile, quel modo di vivere che permette di non
trasformare la nostra quotidianità in un far west senza regole
condivise. Infatti, se si investe un pedone e poi si fugge, il codice
regolamentare dice che si è passibili di un duplice reato: omissione
di soccorso e omicidio stradale se le cose dovessero andare
malissimo. Così, se si fa saltare un'autostrada o si scioglie un
bambino nell'acido, il regolamento dice che sei passibile di
ergastolo, anzi due, quei “senza fine pena mai” che servono a togliere
di mezzo persone che rendono la nostra vita un pericoloso sistema di
relazioni sbagliate. In Italia, se condannano qualcuno all'ergastolo,
a meno che non sia un poveraccio non in grado di assicurarsi un
avvocato decente, dopo qualche anno lo liberano “diversificando”
la pena. Arresti domiciliari, ricovero in clinica, affidamento ai
servizi sociali. Nel nostro Paese, insomma, pagano come sempre gli
sfigati e pagano fino alla fine. Però, se ti chiami Totò Riina
detto “Totò u curtu”, hai ucciso (il numero esatto non si saprà
mai) decine di persone, commesso stragi infamanti, attentato ai beni
dello Stato, eliminato donne e bambini stravolgendo perfino il codice
d'onore mafioso, ebbene, se ti chiami Totò Riina e stai male,
qualcuno ritiene che dovresti essere scarcerato per assicurarti una
fine dignitosa. Lo ha detto la Cassazione, accogliendo per la prima
volta il ricorso contro la detenzione al 41bis dell'avvocato di
Riina, un ricorso che l'avvocato sta inoltrando praticamente dal
1993, anno della cattura del boss dei boss. A decidere sarà il
Tribunale di Sorveglianza di Bologna ma intanto, le proteste sono
scoppiate e il tono è stato alto e forte. Le belve di solito non si
scarcerano e, proprio perché viviamo (o dovremmo vivere) in un Paese
civile, al mostro dobbiamo però assicurare tutte le cure possibili.
U' curtu ha bisogno di un'ora d'aria in più? Gliela concedano, anzi,
gliene concedano quattro, ma sempre al 41bis. Franco Roberti, il Procuratore nazionale antimafia, è stato chiarissimo: “Riina è
ancora il capo di Cosa Nostra che è apparentemente governata da
Matteo Messina Denaro che di Riina è il pupillo. Curatelo ma
lasciatelo al 41bis”. Parliamoci chiaro, a Hitler gli arresti
domiciliari non li avrebbero mai concessi.
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