Domandare “perché” è tipico
dei bambini, quasi un incedere in attesa di diventare grandi e dare
risposte invece di fare domande. Crescendo, chiedere “perché” è
sinonimo di curiosità, guai a non esserlo, guai a lasciarsi scorrere
il mondo addosso senza cercare di capire. “Domandare è lecito,
rispondere è cortesia”, dice un vecchio adagio. A noi ci capita
sempre più spesso di essere scortesi, di non rispondere perché non
c'è niente da dire. Ormai grazie a Internet siamo in grado di dare risposte a domande apparentemente di una complessità
mostruosa. Se non basta la Rete ci rivolgiamo agli scienziati,
madonna quanti ce ne sono, di tutte le razze e risme, qualcuno con il
bollino dop altri con quello blu di Chiquita: una risposta val bene
una banana. Poi ci sono domande alle quali non si può non
rispondere, ma per una ragione, perché sono capziose, settarie,
fuorvianti, da campagna elettorale 365 su 365 (giorni) e sinonimo di
presa per il culo colossale, quindi: intollerabili.
Domanda Daniela Santanché dopo
una breve introduzione: "Vergognosa la decisione del tribunale
di Milano. Dovrebbero spiegarci quali motivazioni inducono a negare
il permesso al leader del maggiore partito di centrodestra a recarsi
a Dublino il 5 e 6 marzo in occasione del congresso Ppe, con le
elezioni Europee alle porte. La mia è molto chiara: che certi
magistrati continuano a fare politica, calpestando l'ordinamento.
Dobbiamo reagire, anche per salvaguardare la tripartizione dei
poteri, prevista dalla nostra Costituzione". Onorevole
Santanchè, la risposta è semplicissima. Silvio Berlusconi è un
pregiudicato condannato in via definitiva, dopo tre gradi di giudizio,
dalla Corte di Cassazione. Un condannato che inizierà a scontare la
pena dopo tempi biblici dalla sentenza (alla faccia della
magistratura comunista), e al quale è stato intimato di riconsegnare
il passaporto, non può recarsi all'estero. Questo è uno di quei
casi in cui la legge è uguale per tutti, anche per il suo capo.
Risposta semplicissima, onorevole, non è la fisica dei Quanti.
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