Diceva
Oscar Wilde che “la bellezza è una forma del Genio, anzi, è più
alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei
grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il
riflesso nell'acqua scura di quella conchiglia d'argento che
chiamiamo luna”. Non conosciamo un solo artista che non punti nel
suo lavoro alla bellezza e, anche se non c'è un ideale “assoluto”
di bellezza, resistono ancora canoni che ne determinano l'esistenza o
l'illusione. In fondo, l'arte è l'unica disciplina dell'intelligenza
umana destinata a restare nel tempo e una volta che la bellezza viene
impressa sulla tela o su qualsiasi altro supporto materiale, rimarrà
lì a dispetto del tempo, delle mode, degli stili, delle
concettualizzazioni. L'artista in fondo è un testimone privilegiato.
Dal suo lavoro emerge sempre la realtà vissuta e, anche se filtrata
dalla sua sensibilità e dal suo “genio”, il sapore che si porta
appresso è quello di un mondo altro ma solo in apparenza. Quello che
ci chiediamo, a prescindere dall'ammirazione senza condizioni che
abbiamo nei confronti degli artisti, è come facciano oggi, in un
contesto di analfabetismo funzionale imperante e perciò dilaniante,
a continuare ad essere protagonisti e testimoni di una realtà che il
bello lo rifiuta scambiandolo per merce di consumo o di sterile
piacere. Ci domandiamo fino a che punto siano dei martiri e qual è
il momento di rottura che li rende eroi di una Resistenza che
combatte il brutto, il volgare, il pressappochismo, la disonestà
intellettuale, l'arrivismo e ogni possibile forma di ambizione fine a
se stessa. Gli artisti sono fondamentalmente dei generosi che
continuano a offrire, e a offrirsi, come portatori del bello, del
buono, dell'imperfezione creativa a dispetto di chi li vorrebbe
relegati nel ghetto dei drop-out perché dell'arte “si può anche
fare a meno”. C'è poi un distinguo tutto interno al mondo degli
artisti, si chiama “coerenza” e rende una possibile discussione
sul mondo dell'arte un artificio tutto da esplorare. La base di
partenza di qualche tempo fa, soprattutto negli artisti giovani, era
il senso profondo della ricerca di nuove vie e di nuove “prospettive”
in arte. E fin quando durava questa ricerca, il coinvolgimento
emotivo, l'ispirazione, il “menar pennellate” e rendere le tele
solo una base di espressione, rappresentavano quella che tutto
sommato era una lotta con se stessi spesso violenta, dura, senza
appello. Finito il tempo delle sperimentazioni e trovata la propria
strada, l'artista tendeva per sua natura a incardinarsi, a giocare
con il già visto, a cristallizzare il suo stile e vivere di rendita.
Fortunatamente oggi i tempi sono cambiati. Vivere solo d'arte è
diventata un'impresa e forse per questo la base di partenza delle
nuove generazioni è tutta “ideale” e niente affatto pragmatica.
Oggi, così come avveniva un secolo fa, dell'artista restano le
caratteristiche classiche e storiche: la ricerca della bellezza, la
bontà, la generosità perché un artista che non si dà è un
sepolcro imbiancato o una mummia da esporre.
Disse Pablo Picasso in una
controversa intervista-dialogo con Giovanni Papini: “Oggi, come
sapete, sono celebre e sono ricco. Ma quando sono solo con me stesso,
non ho il coraggio di considerarmi come un artista nel senso grande e
antico della parola. Sono stati grandi Giotto, il Tiziano, Rembrandt,
Goya. Io sono soltanto un tipo che diverte il pubblico, che ha capito
il proprio tempo e ha sfruttato il più possibile l'imbecillità, la
vanità, la cupidigia dei contemporanei. La mia è una confessione
amara, più dolorosa di quanto può sembrare, ma ha il merito di
essere sincera”. E proprio perché Picasso, più di qualsiasi altro
protagonista del suo tempo, conosceva il mondo e se stesso, è stato
uno degli artisti più generosi che la storia dell'arte moderna e
contemporanea abbia mai avuto. Sempre Pablo Picasso tratteggiò così
il suo contesto: “Nell'arte
il popolo non cerca più consolazione ed esaltazione. Ma i raffinati,
i ricchi, gli sfaccendati, i distillatori di quintessenza cercano il
nuovo, lo strano, l'originale, lo stravagante, lo scandaloso. E io
stesso, dopo il cubismo e anche da prima, ho accontentato questi
maestri e questi critici con tutte le bizzarrie cangianti che mi sono
passate per la testa, e meno mi capivano più mi ammiravano. A forza
di divertirmi con questi giochi, con tutti questi rompicapi, rebus e
arabeschi, sono diventato celebre e rapidamente”.
Non sappiamo quanti
giovani oggi siano disposti a ripercorrere le strade del pittore di
Malaga, una sorta di prostituzione intellettuale messa in opera solo
per raggiungere fama e ricchezza, ciò di cui siamo certi è che
vediamo la strada del compromesso più lontana e che il cuore gioca
ancora un ruolo fondamentale in una partita aperta a ogni possibile
risultato.
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