“Le
grandi menti hanno sempre avuto la violenta opposizione delle menti
mediocri”. Il riferimento è a Silvio, declinato al genio puro.
Scomodato pure Albert Einstein, ormai ai pidiel-forzaitalioti resta il Padreterno in persona, perché il di lui figlio è già stato
messo in mezzo. Non ci sono più aggettivi per definire in parole
comprensibili ai normodotati, lo stato in cui è arrivato l'Impero
silviesco. E così, com'è sempre accaduto alla fine delle grandi
potenze da che storia è storia, a Silvio sono rimaste le frattaglie,
resti di un popolo imbelle incapace di sviluppare un'idea,
figuriamoci un'azione degna di questo nome. Impreziosito di “perle”
frutto di una ignoranza abissale, l'impero di Silvio volge al termine
come nessuno si sarebbe mai aspettato, a parte qualcuno, a parte noi
che in epoca non sospetta abbiamo perfino teorizzato la pericolosità
dell'essenza dei “colpi di coda” di un animale ferito e morente.
Ormai preda del ridicolo universale che una gestione dissennata del
potere contraddistingue oggi la presenza italiana nel mondo, a offesa
si aggiunge offesa, a bestialità si aggiungono bestialità, alla
farsa si è sostituita la tragedia. Le parole di ieri, pronunciate da
Mara Carfagna in piena sindrome citazionista, sono la dimostrazione
che il QI dei pidiellini è sempre stato pari a 15 (Brunetta non
pervenuto), e che per un periodo che sembra un secolo, siamo stati
governati da personaggi che, al pari di Goebbels, sentita pronunciare
la parola cultura, mettevano mano alla pistola. Ignoranti come capre
tibetane in crisi iposodica, dissipatori di beni e patrimoni
pubblici, leccaculo oltre ogni umana ignominia, i pidiellini
rappresentano una vergogna nazionale alla quale mettere riparo con un
sano, e ormai non più differibile esilio alle Maldive. Ai new-forzaitalioti non vogliamo male, ci piacerebbe solo che stazionassero nell'habitat
che maggiormente gli si confà, a nutrirsi di cocktail di gamberetti
e aragoste al vapore con tanta maionese. Bondi e Bonaiuti in pareo
farebbero una figura della madonna, mentre Brunetta potrebbe sempre
dilettarsi a raccogliere le noci di cocco prima che qualcuna gli cada
in testa facendolo definitivamente scomparire dalla scena pubblica.
Neppure Ghedini starebbe male sotto la palma a bere mojito tutto il
giorno con una foglia di cannabis al posto di quella di menta. Ai
pidiellini non vogliamo male, anzi, per accelerare la loro dipartita
gli si potrebbe mettere a disposizione il tunnel che collega L'Aquila
con il Cern di Ginevra. A parte qualche neutrino in vena di scherzi che ogni tanto ci
viaggia al quadruplo della velocità della luce, di solito non ci
passa mai nessuno. L'ultima perla è d'O schiattamuort: “Sarò
diversamente berlusconiano”. Diversamente e basta, mai.
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lunedì 30 settembre 2013
domenica 29 settembre 2013
Siamo nelle mani di un pregiudicato. Prendiamone atto e cacciamolo, una volta per tutte
Non si discute. L'errore è stato fatto all'inizio. Tutta quest'ultima fase della nostra storia è piena zeppa di errori che pagheremo carissimi. Ha iniziato Piergigi Bersani con una campagna elettorale dissennata se non suicida. Ha continuato sempre Bersani permettendo ai 101 zozzoni di fucilare Romano Prodi alle spalle. E, per colmo di sfiga ed eccesso di consapevolezza, ha proseguito chiedendo i voti dei 5Stelle senza offrire loro un'assunzione di responsabilità in prima persona. Poi, non si può più parlare di errori ma di colossali abbagli. Non si sa per quale ragione, l'Innominabile si è sentito una sorta di Ufo Robot e, dopo essere stato rieletto, ha creduto di poter dettare le sue regole a un pregiudicato che nulla ha più da perdere. Il governo LettaLetta è stato un obbrobrio costituzionale, un assurdo in termini, una alleanza contro natura che non poteva durare a lungo. Per i suoi cazzi personali, come ha fatto per venti anni e senza contraddittorio, Silvio ha deciso di mandare all'aria il tavolo da gioco, insomma, si è ripreso il pallone. Sbeffeggiato da tutto il mondo civile, meno che dal suo amico e sodale in affari energetici, Vlady Putin, Silvio sta portando l'Italia sull'orlo di una stagione di tensioni politiche e sociali senza precedenti. La rabbia sta montando, e senza lavoro e senza soldi per pagare le tasse, il rischio che esploda in piazza c'è tutto. Il nervosismo si respira nell'aria di tutti i giorni, dal momento in cui l'italiano si alza senza una prospettiva, fino a quando torna a letto la sera dopo una giornata trascorsa alla ricerca di un senso da dare alla propria vita. Siamo sull'orlo del baratro e a questo punto basta un alito di vento per finire nel precipizio. Lo sanno tutti, compresi i falchi del Pdl che non si capisce fino in fondo cosa cazzo vogliono. Silvio sembra il nonno rimbambito in mano ai nipoti furbi, la penosa carcassa di un elefante al quale, per un po', hanno brillato le zanne della giovinezza. Non ci interessa che all'interno del Pdl si siano levate le prime voci di dissenso, perché dai senza palle non si può pretendere nulla se non un ruolo da figuranti in un dramma storico. A questo punto la Legge di Stabilità ce la confezionerà la UE, l'Iva aumenterà di un punto, a dicembre si pagherà la seconda rata dell'Imu. A Silvio, di tutto questo non frega una mazza anzi, sembra che stia ottenendo quello che vuole: l'impunità perenne. L'Innominabile sta infatti pensando di mettere mano all'amnistia. Alla fine vince sempre lui, Silvio, un incubo che non finirà mai.
sabato 28 settembre 2013
Silvio-LettaLetta. “Questo è il valzer dei moscerini... ullallà ullallà”
Ci
abbiamo messo il refrain, perché della zecchino-dorata canzone
rilanciata da Cristina D'Avena (la stessa interprete di mille anni fa), quel cazzo di ritornello ci torna
sempre in testa e lo fischiettiamo pure (demenza senile), anche
quando non dovremmo. Però, tanto per rimanere sulla terra
traballante chiamata Italia, gli ultimi fatti della politica ci
ricordano proprio quel refrain, solo che in questo caso i moscerini
sono due: per tenersi compagnia. Spieghiamo. Il risultato di questa
manfrina fatta di lacrime che scendono copiose sulle guance di tutti,
ma proprio tutti, è che il primo ottobre, mentre una volta si
tornava a scuola con il fiocchetto e il grembiulino, oggi aumenterà
l'Iva di un punto: dal 21 al 22 per cento; e questo è il primo
ullallà. Il secondo, per essere cantato, dovrà aspettare dicembre,
quando i cittadini italiani pagheranno l'Imu. È sì. Perché il
risultato del fallimentare tentativo di salvare un qualsiasi
pregiudicato, con sulle spalle anche la devastazione ventennale di una
nazione, sarà proprio questo. Però vedete, la storia è talmente
scontata che non possiamo esimerci dal supporre una grande recita,
uno psicodramma scritto a più mani per, da una parte recuperare quel
maledetto 0,1 per cento di sforamento del 3 per cento di deficit
consentito dalla UE, dall'altra per nascondere l'assoluta mancanza di
idee su come trovare i 3-4 miliardi che servono per l'Iva, l'Imu,
la Cig e la Cid. Belzebù ci ha insegnato che a pensar male si fa
peccato ma quasi sempre ci si azzecca, e stavolta ci sembra uno di
quei casi in cui pensare a un grande inciucio, per salvare la faccia
da una magra colossale, non comporti una lira di danno, al massimo
l'accusa di vaneggiamento fantapolitico. Chi continuerà a pagare il vezzo di Silvio
di considerarsi ancora un macho statista che da 55 giorni non dorme
perdendo 11 chili? Ma les italiens, porco boia. Contro la crisi si
sono schierati tutti: vescovi, imprese, Fondo Monetario
Internazionale e la stessa UE. Roba da non crederci, dopo venti anni
è la prima volta che i vescovi italiani non sono d'accordo con
Silvio. È vero che non l'hanno detto espressamente, ma il fatto di
essersi schierati contro una eventuale crisi di governo, sta a
testimoniare che stavolta cercheranno almeno di prendere le distanze
dal loro maggior benefattore. Continuano le dichiarazioni
farneticanti, tutte con lo sguardo fisso e un po' da matti nelle
telecamere, dei quacquaracquà pidiellini. Non ci credono manco loro
a quello che dichiarano, figuriamoci gli italiani.
venerdì 27 settembre 2013
C'è golpe e golpe, quello di Silvio e dei forzaitalioti lo è. Bianco ma lo è da venti anni
Basiti.
Ecco come restiamo quando ci capita di sentire le dichiarazioni
farneticanti dei pidiel-forzaitalioti. Ma anche sconcertati, perché
in un paese di evasori totali che si difendono dicendo di non aver
ammazzato nessuno, ma di aver solo evaso le tasse, si respira aria di
incosciente golpe strisciante. Soprattutto indignati, perché
incontriamo pensionati rincoglioniti che leggono per strada,
impunemente, il Giornale e ci diciamo che se dovessimo arrivare a
quella età, in quelle condizioni, meglio un purificatore suicidio.
Kafka ci andrebbe a nozze nell'Italia del 2013. Potrebbe sentirsi
quasi un profeta, visto che di Gregor Samsa in questa nazione ne
esistono a migliaia, non tutti però sanno che fine ha fatto Gregor
in Metamorfosi... Sono venti anni che Silvio golpeggia, e ieri sera
da Santoro (incanutito), gli italiani hanno potuto rendersi conto di
che pasta erano, e sono, gli uomini del Cavaliere. È bastato
ascoltare la storia penosa e inquietante (questa sì) dell'ex
senatore Sergio De Gregorio, per capire in che modo Silvio abbia
tenuto per le palle sessanta milioni di italiani investendo qualche
milione di euro e incassandone altrettanti moltiplicati per mille.
Povero Belpietro! Non sapendo che pesci pigliare si è rifatto ai
metodi brunettiani della sovrapposizione vocale, con poca resa visto
che De Gregorio nei panni della vittima pentita, ha intenerito un
popolo di piagnoni ad libitum. Perché nessuno, come gli italiani, sa
piangere non avendo nulla su cui farlo. Siamo un popolo di guitti e
di teatranti, di Arlecchini e Pulcinelle, di buffoni senza palle e di
uomini (e donne purtroppo) senza spina dorsale. Blateriamo. Quanto ci
piace farlo! Perché onestamente ci riesce difficile argomentare un
pensiero compiuto. Qualcuno dirà che Silvio è riuscito a realizzare
almeno una parte del Piano di rinascita per l'Italia, e noi siamo
d'accordo: ha rimbambito in modo irreversibile una intera nazione,
anche se con qualche isola di sana rivolta. E questi, i
pidiel-forzaitalioti, continuano a gridare ancora al golpe dopo che
il loro capo, per fottere Prodi, mise in piedi addirittura il piano
Libertà per l'Italia, sulla scia di quello “Solo” per combattere
i comunisti. Ma di questi fatti, che i vecchi del Pd conoscono
benissimo, nessuno parla e poi non potrebbero, visto che Prodi lo
hanno silurato anche loro. Povero Professore! Lui ci provò a farci
vivere in modo normale, ma il “Piano Solo” non poteva essere
fermato e Licio Gelli telefonava, mandava messaggi, lettere accorate
ogni giorno, e Silvio non poteva esimersi dall'essergli fedele. I
giudici piduisti gli avevano salvato il culo già parecchie volte.
Idem, gli ufficiali della Guardia di Finanza che quando non erano
corrotti erano massoni infedeli. Quello che ci consola è il leggere,
e sentire, sempre di più, giorno dopo giorno, che il fronte dei
falchi forzaitalioti non è così compatto. Ieri, il parlamentare
Naccarato del Gal, ha dichiarato che c'è il pericolo di una
maggioranza silenziosa al Senato. Delle dimissioni di Quagliariello e
di Lupi, ad esempio, non si ha traccia così come preoccupa (Silvio)
il silenzio di Roberto Formigoni la cui fine, senza l'ombrello
parlamentare, potrebbe essere drammatica. Questo è l'unico momento
della nostra storia nel quale una maggioranza silenziosa avrebbe
anche la nostra (inutile) benedizione. Tutto pur di rendere un po'
più respirabile l'aria parlamentare. Poi, per far fuori anche i 101
zozzoni c'è tempo.
giovedì 26 settembre 2013
I forzaitalioti lasceranno il Parlamento. Dio, fa che sia vero!
Sono
55 notti che non dorme. Non è vero, perché se lo fosse
stramazzerebbe a terra “come corpo morto cade” e non
strabuzzerebbe gli occhi iniettati di sangue e rabbia come Rocky
Balboa. Ha detto di aver perso 11 chili, eppure il Caraceni gli tira
ancora un po'. Ci ricorda la sceneggiata di un personaggio, che
abbiano conosciuto personalmente, che parecchi anni fa vinse un
congresso dicendo: “Per i pochi giorni che mi restano” e fece
finta di sentirsi male subito soccorso dal medico personale.
Ovviamente è ancora vivo e non sappiamo se la demenza senile lo
abbia colpito: speriamo di sì. La silviesca fottutissima paura,
trasformatasi nel frattempo in terrore, è che lo arrestino. Se il 5
ottobre la commissione per le elezioni dovesse votare la sua
decadenza, un minuto dopo tutti i parlamentari del Pdl-Forza Italia
rassegnerebbero le dimissioni che, comunque, sono già nelle mani di
Brunetta e Schifani. Fulgido esempio di correttezza istituzionale (ma
d'altronde...) le dimissioni, che dovrebbero essere rassegnate nelle
mani dei presidenti dei due rami del lago di Com... cioè del
Parlamento, sono state affidate a Brunetta (che ne è rimasto
sommerso) e a Schifani, che ha stentato non poco a capire cosa
diavolo fossero tutti quei fogli di carta, scambiati per avvisi di
garanzia. Silvio sta impazzendo. Non riesce ancora a capire che lui è
un cittadino come tutti gli altri, solo un po' più ricco, sottoposto
alle leggi e ai regolamenti di questo stato. E non sopporta che ormai
tutti lo considerino quello che è: un pregiudicato. L'ultima non
gliel'ha mandata a dire Magistratura Democratica. A domanda “Cosa
dice MD delle parole furiose di Berlusconi contro i giudici?”
risposta “Non si risponde ai pregiudicati”. L'ultimatum da colpo
di stato (questo sì, questo vero), arriva due giorni dopo che 'O
Schiattamuort è salito al Colle per assicurare l'Innominabile che
“... presidente, il governo reggerà”. Quanto conti Angelino lo
sapevamo, ma non credevamo fosse possibile passare in questo modo
sulla propria dignità... e che cazzo! Noi pensiamo però a un
Parlamento senza Brunetta, Cicchitto, la Santanché, Gasparri,
Formigoni, la Biancofiore, Capezzone, Bondi, Ghedini. E pensiamo a un
parlamento senza “je me facc li cazz miè”-Totonno Razzi e senza
“testa di minchia”-Scilipoti e senza gli inguardabili delle
Autonomie, che sembrano tutti “picciotti” in crisi di astinenza
da lupara. E vediamo un Parlamento se non altro più educato, certo,
compresi i 5S che saranno pure un po' così, ma sono giovani e pieni
di buona volontà. E ci piace pensare a un Parlamento in cui tutti si
diano del “lei” perché darsi del “tu”, in questo paese, dà
il senso dell'inciucio perenne. Non è un segno di imborghesimento,
ma di rispetto per chi ha votato una parte politica piuttosto che
un'altra e non ama che queste fraternizzino. Certo, il siluro di
Silvio a LettaLetta arriva nel momento meno opportuno. Memore
dell'avviso di garanzia che lo raggiunse a Napoli durante il G8,
Silvio ha pensato di rendere pan per focaccia a Enrichetto, e gli ha
indirizzato il suo ultimatum mentre il Nipote cercava di convincere i
possibili investitori americani a scommettere sulla stabilità
dell'Italia. Uno sgarbo di proporzioni colossali, ma Silvio è così,
un uomo capace di forti passioni è capace anche di odi ciechi e
profondi, questione di componenti caratteriali. Continuiamo però a
pensare a un Parlamento senza i pidiel-forzaitalioti e chissà
perché, il mondo ci sembra migliore anche se LettaLetta, per
consolarsi, va a cena con Marchionne.
mercoledì 25 settembre 2013
SvendItalia
Lasciamo
stare i nazionalismi, perché pronunciata da noi, la parola
“nazionalismo” farebbe ridere anche Franco Battiato. Non ci
interessa che Telecom sia finita agli spagnoli che, ingiustamente e
fino a ieri notte, avevamo considerato i nostri parenti poveri e,
diciamolo, un po' fessi. Per non parlare di Alitalia, il vanto del
nostro trasporto aeronautico, riconosciuto anche a livello mondiale,
che finirà ai francesi. La nostra industria alimentare è già stata
venduta da un pezzo, iniziò tanto tempo fa con la vendita della
“Martini” alla cubana Bacardi ed è proseguita con Buitoni, Parmalat,
Barilla, Cinzano, Pernigotti, i Baci Perugina e molti vitigni del Brunello di
Montalcino. Rumors dicono che perfino Finmeccanica sia in vendita e
questo fatto ci colpisce un po' di più perché la “partecipata”,
per la sua qualità, fa gola a mezzo mondo. Bernard Arnault si è
accattato quasi tutta la moda italiana e nessuno si è messo a
piangere, però ci restano le sartorie artigiane, una gran bella
consolazione. Diciamo che quello che ci interessa in questo momento è
capire perché l'Italia, in questi anni di follia totale, non abbia
mai pensato di dotarsi di un piano industriale nazionale serio,
invece di offrire agli amici, e agli amici degli amici, i gioielli di
famiglia. Possiamo tranquillamente affermare che, la fretta di
privatizzare domineddio, ha comportato la dismissione di beni e
strutture che avrebbero avuto bisogno di tutt'altra attenzione. Siamo
stati travolti, come spesso è accaduto in questo paese, da uno
slogan, “meno Stato più mercato” che ci ha portato a buttare il
bambino con l'acqua sporca. La storia è vecchia, vecchissima, e
risale addirittura (nel caso Telecom) a Massimo D'Alema il quale
consentì la già allora sciagurata operazione (“ma il ministro del
tesoro era Ciampi”, dice oggi il Lider Maximo) della fusione di
Telecom con la decotta Olivetti di Carlo De Benedetti, il manager che
dissanguò le casse di monsignor Bettazzi grazie al vezzo di tagliare
teste soprattutto operaie (cosa che continua a fare da editore con
Repubblica). Poi è arrivato quell'altro genio delle gomme che si
chiama Tronchetti Provera, il cui unico, grande risultato fu quello
di togliere due scudetti alla Juventus e di regalarli all'Inter
(della quale era azionista), sfruttando alla grande le
intercettazioni telefoniche di Luciano Moggi. Tronchetti Provera,
oggi sotto processo, era presidente Telecom pure durante il periodo
aureo del “c'abbiamo una banca?” di fassiniana memoria. Se due
più due fa quattro... Meno Stato più mercato è stato lo slogan di
Silvio Berlusconi, l'incipit per il suo modo di intendere il
liberismo. Novello Tatcher però, ha iniziato da subito a fare passi
indietro quando si è accorto che il liberismo era sì il suo credo,
ma non fino al punto di rappresentare un pericolo per le sue imprese.
È partita allora, quindici anni fa, la politica del passo indietro,
la non definizione di un piano industriale che avrebbe messo limiti e
paletti a una impostazione dissennata e “creativa” dell'economia,
nonché alle regalie di autostrade, ferrovie, concessioni demaniali,
beni artistici e culturali agli amici e agli amici degli amici, sua
vera e profonda base elettorale insieme ai pensionati rincoglioniti
da Beautifull e dal bromuro di Villa Sorriso. Dopo il passaggio di
Telecom agli spagnoli, fatto che non ci inorridisce per niente, i
nostri politici hanno iniziato a piangere lacrime di coccodrillo,
cosa che non è accaduta quando in molti (Beppe Grillo compreso,
protagonista di un vero e proprio show durante l'assemblea di
Telecom), denunciarono i 40 miliardi di euro di deficit del gigante
delle telecomunicazioni. A questo punto cosa diavolo hanno creduto
che facessero Mediobanca, Unicredit e Generali (azionisti di Telco),
che continuassero a pagare milioni di euro all'anno per coprire gli
interessi passivi? Al primo che si è presentato, Telefonica, hanno
ceduto una gatta già pelata. Resta il problema della proprietà
della “rete” che nessuno vorrebbe passasse in mani “straniere”.
Qualcuno ha tirato fuori la “privacy” e la manipolazione di “dati
sensibili” da parte di estranei, come se la privacy, dopo Marrazzo,
Moggi, Consorte e lo stesso Berlusconi (ma quella di Silvio si può
considerare una nemesi storica), rappresenti più un valore assoluto,
dopo che gli smartphone consentono alla NSA di sapere anche quando
usufruiamo della toilette e, fra poco, anche perché ci siamo andati
(app cattura-odori in fase di avanzata messa a punto). È il destino
dell'Italia vittima delle invasioni di quasi tutte le popolazioni del
nord e del sud Europa e poi, diciamola tutta, un po' mignotte siamo e gli
spagnoli, che già ci avevano occupato, lo sanno benissimo: 362
milioni di euro e il gioco è fatto.
martedì 24 settembre 2013
Maroni vs Formigoni. La Regione Lombardia parte lesa nella causa contro il Celeste. E Telecom la comprano gli spagnoli: già iniziati gli investimenti esteri in Italia
Insomma
la storia è questa. Da Governatore dell'”eccellenza Lombardia”,
il Celeste Roberto, insieme con una ristretta cerchia di fan, ha
combinato parecchi casini. Uno, però, ha attirato particolarmente
l'interesse dei soliti magistrati spaccapalle che, non potendo notoriamente farsi i cazzi loro, prima hanno indagato e poi rinviato
a giudizio Roberto Formigoni, attuale presidente della Commissione
Agricoltura della Camera. Il fatto è che qualcosa come 220 milioni
di euro sarebbero stati dirottati dalle casse della tesoreria
longobarda a quelle fameliche della Fondazione Maugeri, titolare di un centro di riabilitazione nel pavese. Ma la Fondazione, grata, ha
pensato di doversi in qualche modo sdebitare. Così, tramite due
prestanome, Pierangelo Daccò e Antonio Simone, ha creduto opportuno (e più sicuro) non
restituire in “mazzette” parte del denaro (70 milioni, più del
30 per cento, esoso il “Celeste”!) al loro benefattore, ma di
trasformare i suddetti 'euri' in ville in Sardegna, viaggi
extra-lusso, finanziamento di campagne elettorali, carte di credito
illimitate, cilici, fruste, incensi, ceri, abbigliamento casual
colorato, camice hawaiane, modellini del Duomo di Milano, crocifissi,
icone ortodosse importate illegalmente, Rolex, cotonature in centri
benessere, massaggi thailandesi e uso perpetuo e gratuito di barche,
barchette e yacht. A gentile richiesta dei magistrati, il Governatore
Eccellente non è stato in grado di mostrare uno straccio di ricevuta
degli acquisti fatti né dei soggiorni nei resort né del noleggio
degli yacht né dell'acquisto dei beni laici e religiosi di cui
sopra. Anzi, all'osservazione “Ma Governatore, almeno uno scontrino
del bar della Regione per il cappuccino del mattino ce l'ha?”, il
Celeste ha risposto che non poteva certo macchiarsi i pantaloni
gialli con l'inchiostro degli scontrini del bar. Per un po' si è
detto che Formigoni non pagasse manco la colazione, e tant'è. Ma la
notizia non è questa. È che parte lesa in tutto questo ambaradan, è
sicuramente la Regione Lombardia, intesa come Ente. 220 milioni di
euro non sono bruscolini, neanche per l'eccellenza delle eccellenze
di tutta la Mittle Europa e di qualche stato depresso degli Usa, il
Delaware ad esempio. Così, dopo aver restituito i diamanti di
Belsito al popolo leghista (invece che all'erario), Bobo Blues Maroni
si è dichiarato “parte lesa” nel procedimento contro Roberto
Formigoni che inizierà lunedì della prossima settimana, presso il
tribunale del Komintern di Milano, dove il Celeste sarà accolto da una folla
ubriaca di vodka con il colbacco in testa, al suono delle balalaike.
Finisce qui l'amicizia ventennale tra Formigoni e Maroni. Finisce qui
la solidarietà speciosa che in tutti questi anni ha contraddistinto
una delle alleanze politiche più contronatura della storia della
repubblica (quella tra il Pdl-Forza Italia e il Pd, considerati gli uomini del Pd,
non fa testo).
Ohi ragassi, porco boia. LettaLetta si fa un giro in
Canada e negli Stati Uniti per trovare investitori vogliosi di
spendere qualche dollaro in Italia, e l'Italia ha gli investitori a
due passi. La spagnola Telefonica ha comprato Telecom. L'unica a
sottoscrivere l'aumento di capitale, attraverso i buoni uffici di
Mediobanca, Banca Intesa e Generali (che si stanno cordialmente
defilando dalla compagnia nazionale delle telecomunicazioni), la
società spagnola è arrivata al 70 per cento delle azioni di Telco, la
holding che fino a ieri controllava Telecom. Per un grazioso patto di
sindacato, però, i voti di Telefonica nell'assemblea generale della
società saranno sempre riconducibili al 46,2 per cento. Dopo
l'acquisizione delle altre società di telecomunicazioni da parte di
investitori stranieri, finisce l'era italiana in un settore
strategico per la nostra economia e per la nostra società. Siamo un
paese in svendita visto che anche i patrioti che si erano assunti
l'onere e l'onore di salvare Alitalia, se la stanno dando a gambe
levate. Sapete chi aspetta quatta quatta dietro l'angolo la messa in
liquidazione della compagnia aerea di bandiera? I francesi di Air
France i quali, se Silvio non fosse stato colto da uno dei suoi rari
attacchi di italianite, si sarebbero accollati l'Alitalia già da
qualche anno e pagandone i debiti. Il grande manager Berlusconi
insomma, è grande solo quando deve farsi i cazzi suoi. Ma neanche su
questo abbiamo mai avuto dubbi.
lunedì 23 settembre 2013
Proposta-shock di Forza Italia: “In caso di divorzio, decida il giudice a chi affidare gli animali”. Risolti i problemi della disoccupazione giovanile e dell'omofobia
Se poi
uno s'incazza, si arma di una bomboletta spray di vernica rossa e
scrive “coglioni” sui muri della nuova sede di Forza Italia,
nessuno, e diciamo nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di
protestare. Il problema vero della nuova Forza Italia, sollevato con
piglio partenopeo da Francesca Pascale pensando all'amato Dudù, è chi fra i
coniugi divorziandi debba tenere con sé l'amata bestia. Ebbene, lo
deciderà il giudice con un'atto unilaterale che, con ogni
probabilità, lascerà nello scoramento più totale il coniuge rimasto
orfano di cotanta compagnia. Basta poco per capire di che pasta sono
fatti i politici berluschini, anzi pochissimo, una proposta di legge
come quella avanzata dalle onorevoli Maria Vittoria Brambilla e
Giuseppina Castiello, (note animaliste convinte che da anni convivono
con deputati cani - con tutto il doveroso, sacrosanto rispetto per
gli amici dell'uomo) e il gioco è fatto, chiarito lo spessore
politico. È inutile che Papa Francesco, in Sardegna, si renda
testimone e rivendichi il lavoro come fonte unica di dignità umana.
È inutile pensare che stanno finendo i fondi per la cassa
integrazione e che continuano a chiudere 500 negozi al giorno,
l'impegno delle donne di Forza Italia, così sensibili agli equilibri
psicologici post-divorzio, è: “Chi terrà l'amore della mia vita?”
che non è il marito e/o la moglie, ma il cane e/o gatto e/o topo e/o
pitone e/o criceto e/o condor e/o elefante e/o coniglietto d'angora.
C'è da dire però, che l'ispiratore della proposta di legge shock,
colui che ha tramato nell'ombra non volendo/potendo apparire in prima
persona, sembra essere l'onorevole Renato Brunetta che, affezionato
fino all'amore totale del suo cercopiteco, teme come la peste che la
moglie, in caso di divorzio, glielo freghi. Buone nuove, come sempre,
anche dalle parti del Pd/Ulivo/Unione. Dopo che l'assemblea nazionale
del partito si è conclusa con un nulla di fatto (leggi pesci in
faccia), Matteo Renzi ha rilasciato (anche lui) una dichiarazione
shock: “C'è una parte del gruppo dirigente – ha detto il Sindaco
(maiuscola d'obbligo) – che non ha capito di aver perso le
elezioni. Noi candidati, io, Cuperlo, abbiamo parlato dei problemi
del paese, poi c'è un gruppo dirigente rancoroso che ha tentato di
buttare tutto in caciara. Quando hanno sfogato tutti i loro rancori
ci facciano un colpo di telefono e ci dicano 'venite a votare'”.
Stavolta Renzi ha ragione, non è possibile che la tattica del
“temporeggiare” investa così pesantemente anche il Pd: basta il
governo.
Ultima
notizia. Preso atto del clima di revival che si respira nell'aria rarefatta di un paese incapace di crescere,
Umberto Bossi ha deciso di ricandidarsi a segretario confederale
della Lega Nord. Non c'è limite né ci sono cure per patologie tanto
invasive. Ce lo diceva uno psichiatra incontrato tanto tempo fa: "Dalle malattie mentali non si guarisce. Però si può vivere meglio". Appunto Umberto, ritirati.
sabato 21 settembre 2013
La teoria dello squallore
Domanda:
- Berlusconi non s'è fatto più sentire? Nessuna notizia recente?
Risposta:
- Non lo so e non mi interessa. Più gli stiamo lontano e meglio è.
Anche se involontariamente, Berlusconi distrugge le persone che gli
sono vicine.
Questo
è solo un passaggio, una domanda/risposta dell'intervista che
Antonio Massari del “Fatto Quotidiano”, ha realizzato con Angela
“Nicla” Devenuto, la moglie di Gianpi Tarantini. Quello che
emerge è il quadro fosco e putrido di un regno, quello di Silvio
Berlusconi, che avrà anche arricchito ragazze in cerca di celebrità
ma che, nel volgere di qualche anno, ha travolto tutte le mezze
figure di un'opera che se se non fosse stata un dramma, si sarebbe
potuta inserire fra quelle “buffe” di Dario Fo. Tutta
l'intervista è il ritratto quanto mai nitido di un periodo, di un
modo di vivere, di un contesto nel quale lenoni e papponi, clown e
danzatrici del ventre, ragazze procaci trattate da sguattere hanno
imperversato sulla scena della politica italiana quando, al massimo,
avrebbero potuto fare la loro porca figura in un bordello. Poi, come
tutti sanno (ma fanno finta di non sapere), il bersaglio di tutto
questo colare sporcizia è la magistratura politicizzata della nostra
repubblica delle banane, uno stranissimo monolite nel quale anche i
giudici pazienti e quelli meno, osano dire al presidente del loro
consesso: “Noi siamo responsabili, sono gli altri che ci
insultano”. È successa l'ra diddio perché non solo i magistrati
rompono le palle con le loro indagini, ma si permettono anche di
rivoltarsi contro il loro capo, anzi re. Più passa il tempo e più
le indagini, le intercettazioni, i volumi di verbali, le
dichiarazioni spontanee e quelle che tanto spontanee non sono, stanno
travolgendo i resti di un impero che avrà pure cambiato nome ma non
cambierà mai la sostanza. Questione di dna. Se nasci furbo è
difficile che tu possa diventare un pollo. Così, mentre la
moglie di Gianpi Tarantini racconta gli affronti subiti, carcere
compreso, altre signore siedono tranquillamente in parlamento se non
sugli scranni ministeriali. È la nemesi di Bocca di rosa. Nulla più
di una sciocca nemesi. Nel frattempo, tanto per non perdere
l'abitudine, i Pd litigano. Indecisi, visti i tempi di revival in cui
ci troviamo coattamente a vivere, se riprendere anche loro il vecchio
nome di “Ulivo”, si stanno scannando sulle regole del congresso,
sulla data di svolgimento, sui dati del tesseramento, sulla location,
sull'inno e sulla madrina incaricata di reggere il cartello con il
numero delle riprese. Ma magari fosse la boxe! È solo l'ennesimo,
squallido teatrino di chi, delle sorti del paese, dei disoccupati,
dei cittadini che non si curano più perché i soldi non bastano per
la pasta, il pane e il latte, se ne sbatte altamente le palle. Ma
dopo che sei diventato segretario del Pd, dove cazzo vuoi andare aggratis oltre che sui treni, sugli aerei e sulle navi, su
Marte?
L'Innominabile e la teoria dell'equilibrismo
L'equilibrio,
si sa, è “senso della misura, capacità di valutare
obiettivamente”. In Italia invece, spesso riassume il significato
originario, quello legato alla dinamica, insomma, andare in
bicicletta senza cadere o camminare su una corda tesa sulle Cascate
del Niagara per battere il record mondiale di equilibrismo. Paese di
giochi, circhi e circensi annessi, i nostri ciclisti della domenica
si dimostrano abilissimi nel restare in sella sempre, anche sui
percorsi più accidentati, anche nei tracciati più sconnessi
destinati al ciclocross. Campioni indiscussi, storicamente
certificati di un altro tipo di equilibrismo, quello politico, erano
i democratico-cristiani. Perfino durante un terremoto sussultorio di
un quarto d'ora, i balenotteri bianchi erano capaci di restare in
piedi comportandosi esattamente come se si trovassero a saltare su un
tappeto elastico. Inarrivabili, i vecchi DC. Rotti a tutte le
tempeste, riuscivano a tenere dritta la barra anche col mare forza 9. Una volta scesi a terra, erano freschi come una rosa e non avevano neppure i segni di un conato di vomito, figuriamoci la faccia stravolta. Poi
arriva Silvio e gli equilibri li rompe. Decide di spaccare in due
l'Italia perché sa perfettamente che con il dividi et impera si
governa anni, magari secoli. E nonostante il disegno di Silvio sia
chiarissimo fin dall'inizio, dall'altra parte, dallo schieramento di
chi dovrebbe imbracciare il forcone e farlo tornare ad Arcore, si
levano, già nel 1994, i primi queruli tentativi di pacificazione.
Soprattutto due soggetti di quella che sarà la peggiore opposizione
in epoca repubblicana, si ergono a paladini di una pacificazione che
Silvio trasformerà immediatamente prima in revisionismo, poi in
negazionismo. I due soggetti di cui sopra, si chiamano Luciano
Violante, che ciceroneggia alla Camera dei Deputati, e Giorgio
Napolitano (il Migliorista) che gli rende la pariglia al Senato. Il
primo fa piangere Mirko Tremaglia, assatanato repubblichino che
Silvio trasformerà in statista, il secondo spinge addirittura
Berlusconi in persona personalmente, a scendere dal suo scranno di
presidente del consiglio per andare a dargli la mano dopo un discorso
“alto e forte”, nel quale riconosce la vittoria del Capataz e ne
auspica la collaborazione. Passano gli anni, i mesi e se li conti
anche i minuti e, invece di ritrovarci con una opposizione che fa
onestamente il suo lavoro, inizia la grande epoca degli inciuci
(traduzione: accordi sottobanco vergognosi). Non si capisce più, a
un certo punto, chi è contro chi e chi è a favore di chi; una
specie di grande circo di periferia nel quale il clown è anche il
trapezista, il domatore e il lanciatore di coltelli. Cambiano le
cavallerizze ma quelle, ormai è assodato, si sostituiscono con
l'invecchiamento come le hostess dell'Alitalia. E dopo anni di
inciuci, di bicamerali abortite, di aum aum e di birra e salsicce che
cazzo pretendete, che qualcuno si faccia avanti e dica a Silvio: “ma
te ne vai!”. Anzi, giustificano in qualche modo gli attacchi furibondi contro le toghe rosse. Così, mogio mogio quatto quatto, arriva il giorno del
grande discorso istituzionale, del cerchiobottismo come quello del
peggior Corriere della Sera, del riconoscimento delle responsabilità
(tante) e dei meriti (nessuno) della magistratura. Inutile ciurlare
nel manico, il discorso dell'Innominabile alla Luiss è stato il più
sottile (e feroce) attacco alla magistratura che un capo dello stato
abbia mai fatto a un organo indipendente che, fra l'altro, presiede. Dopo aver richiamato genericamente i politici a essere
meno severi con i magistrati (sic!) ha affondato decisamente il
coltello nel corpo martoriato dei giudici che fanno solo il loro dovere e quindi indagano, per dire: “I magistrati devono avere
un'attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto al discorso
sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno da tempo e che
sono pienamente collocabili nel quadro dei principi della
costituzione repubblicana”. Ergo. 'Cari magistrati, siete troppo
politicizzati e poco silenziosi, parlate troppo, troppe interviste.
Facciamo una bella riforma della giustizia (fortemente voluta dai
forzaitalioti) e non se ne parli più'. In molti hanno applaudito il
discorso dell'Innominabile, primi in ordine di dichiarazioni alla
stampa, Daniela Santanchè e Renato Brunetta. Ma tutto ciò non vi
dice nulla?
venerdì 20 settembre 2013
Putin: “Se Silvio fosse gay... “. Se la nonna avesse le pale... Se LettaLetta non fosse Jo Condor... Se...
“Con
i se e con i ma non si fanno le frittelle”, diceva nostra nonna che
se avesse avuto le pale sarebbe stato un elicottero. Invece la nostra
civiltà italica è piena proprio di se e di ma, una continua
indecisione, un continuo condizionale spesso usato al posto del
congiuntivo (il presente invece lo usiamo sempre, incapaci di
declinare correttamente l'imperfetto o il passato remoto). Noi non
sappiamo cosa diavolo i gay abbiano mai potuto combinare a Putin,
perché l'odio che lo Zar ha nei confronti degli omosessuali è pari,
se non superiore, a quello che prova nei confronti dei giornalisti
indipendenti. Però, siccome in Russia i gay sono sicuramente più
numerosi dei giornalisti liberi in una libera stampa, applicare il
metodo “Politkovskaja” è improponibile, e non sempre un colpo di
pistola in faccia risolve i problemi. Allora si mette mano alla legge
e si proibisce domineddio ricalcando le orme dei texani che nel loro
codice penale hanno ancora il reato di “sodomia”. In effetti le
offese storiche, dai tempi del potere temporale erano: “sodomiti”
e “ebrei”. Un sodomita-ebreo poi, era il massimo dell'abiezione
tanto che Hitler si inventò le camere a gas e alla fine ne
approfittò per fumizzare anche gli etero. Ma torniamo a Vlady.
“Silvio – ha detto – è attaccato da tutte le parti perché non
è gay, se lo fosse nessuno lo toccherebbe”. Non abbiamo capito se
la battuta da macho vero, da campione di arti marziali sterminatore
di ceceni, fosse riferita al fatto che la lobby gay è “intoccabile”
perché potente ed economicamente molto forte o se, com'è più
facile immaginare, toccare un gay porta con sé una naturale
repulsione. Resta il fatto che, qualunque sia l'intendimento dello Zar, parlare di diritti civili in Russia e come parlare di adozione
di un bambino nero da parte di un socio emerito del KKK: un assurdo
in termini. Ma lo avete visto ieri Silvio all'inaugurazione del suo
mausoleo romano-nuova sede di Forza Italia? Pensate, quegli stessi
loculi sono stati per anni il regno di Giulio Andreotti, la sede dei
maneggi più cool della repubblica, il luogo degli incontri al
vertice con Salvo Lima, Franco Evangelisti (“a fra' che te
serve?”), Cirino Pomicino, qualche cardinale e un pugno di
giornalisti compiacenti tutti pronti ad applaudire le inarrivabili
battute del divo Giulio. Ci chiediamo cosa sia cambiato da allora, e
ci rendiamo conto che la differenza era una sola, Giulio si
circondava di uomini, da misogino qual era le presenze femminili lo
inibivano. Silvio è il perfetto contrario, fosse per lui gli uomini
del suo partito li terrebbe volentieri nello scantinato. LettaLetta
non è Jo Condor e, per dirla tutta, nessuno lo ha mai creduto. Il
fatto è che il premier, dopo il Fonzie riscoperto da Matteo Renzi,
si sente in dovere di inseguire il suo rivale sul versante del
vintage, un pizzico di mordernariato per non ammettere spudoratamente
di essere un fan sfegatato del punk melodico dei Blink 182, troppo giovanile porco
boia, il ceto medio moderato potrebbe avere un sussulto di esistenza
in vita. Allora si lascia andare ai ricordi della sua infanzia che, a
questo punto, dobbiamo presumere l'abbia trascorsa sui libri e
guardando la Tv dei Ragazzi dopo i compiti. D'altronde, con un cotanto zio!
giovedì 19 settembre 2013
Silvio eversore? No, solo un patetico signore fiaccato dal potere
Bello sapere che l'Italia ha intrapreso giudiziariamente la via al
socialismo. Magari! Purtroppo però non è così, perché anche senza
Silvio e la sua querula Forza Italia, governerebbero i LettaLetta che
col socialismo non c'entrano una mazza. Silvio continua a combattere
mediaticamente contro un nemico che non c'è, essendo i comunisti
simili ai mulini a vento di donchisciottesca memoria o di dalemiana
presenza, praticamente evanescenti (meno che nel segreto dell'urna e
quando si deve votare contro Prodi). Che volete che diciamo del video
messaggio di Silvio di ieri... Tutto previsto, tutto uguale, tutto
scontato location compresa. Le stesse foto di allora, gli stessi
libri (finti come quelli dell'Ikea), lo stesso uso ossessivo del
plurale majestatis, non giornalistico alla Montanelli ma politico,
papale quasi. La “nostra” democrazia, la “nostra” libertà,
la “nostra” famiglia, la “nostra” Italia che hanno
trasformato un significativo, singolare, “mia” in un collettivo
“noi” di dubbia efficacia e di pessima resa. Insomma, “Silvio
Rewind” come titola ilManifesto, però venti anni dopo, che è
come vedere Mick Jagger sul palcoscenico dimenare come un ossesso il
bacino simulando orgasmi impossibili. Appesantito, stranamente con
qualche capello in più, una imbarazzante fissità nello sguardo
semi-commosso (ha provato per tutta la durata della ripresa del video
a farsi scendere una lacrima, ma non c'è riuscito), Silvio,
ingrassato e imbolsito, ancora con i peli di Dudù sul Caraceni, ha
puntato decisamente sulle pensionate e sui pensionati di Beautifull.
Tale a quale a Ronn Moss (ma con la mascella volitiva cascante),
Silvio è stato l'immagine stessa della sua politica dopo venti anni.
Basterebbe mettere a confronto le due riprese per rendersene conto. E se nella
prima, quella del 1994, c'era un guerriero dall'occhio di tigre,
nella seconda abbiamo visto solo un vecchio fiaccato dalla decadenza
fisica e dalle ripetute, ossessive esibizioni di una virilità
artefatta e costruita a suon di Scapagnini Pill's. Silvio è
patetico. Un personaggio da romanzo d'appendice, uno stanco e sfatto
Casanova nella mirabile versione sutherlandiana di Federico Fellini, il regista che
accusò Berlusconi di “interrompere le emozioni”. E quello del
video sarebbe il “cielo splendente di Forza Italia” che 'O
Schiattamuort ha così magnificamente descritto in quel pollaio che è
Porta a Porta? Al massimo, il video di Silvio potrebbe essere
paragonato a Rocky VII: un pugile suonato che guarda con rimpianto e
malinconia la sua statua al centro del salotto della residenza di Arcore. In
Albania gli hanno intitolato una via. In Italia lo si fa con i morti.
Il secretaire Epifani ha subito gridato all'eversione. Per la verità
sono venti anni che Silvio fa l'eversore. Dov'erano i pidini nel
frattempo? A pranzo ad Arcore con famiglia al seguito...
mercoledì 18 settembre 2013
E due. Silvio scippò la Mondadori alla Cir di De Benedetti. Lo ha detto la Cassazione. E i forzaitalioti strepitano
Accanimento,
accanimento. Persecuzione. Persecuzione. Giustizia ad personam e chi
più ne ha ne Metta (mica è colpa nostra se l'amico di Previti,
giudice corrotto, si chiama così!). Dunque. Silvio è un elusore
fiscale. Non ci sono dubbi, lo ha certificato con tanto di
motivazioni depositate, la Corte di Cassazione, cioè il terzo e
ultimo grado di giudizio previsto dal nostro ordinamento. Silvio è
un corruttore. Non ci sono dubbi. Anche in questo caso, la Corte di
Cassazione ha messo la parola fine a un processo (quello
Cir-Mondadori) che dura da venti anni, da quando Berlusconi non era
ancora sceso in politica: accanimento giudiziario anche allora? La
fregatura, per Silvio vostro, è che la prima sentenza comporta la
decadenza da senatore e la perdita dello stipendio di parlamentare.
E, anche se per Silvio non è un problema rinunciare a pochi
spiccioli e qualche gettone di presenza, dover pagare le farfalline
pakistane di tasca sua gli fa girare terribilmente i marroni. La
seconda, invece, è un po' più gravosa anche se la Cassazione gli ha
fatto uno sconto. Invece dei 562 milioni di euro previsti in sede
d'Appello, la Suprema Corte ha stabilito, in un impeto di solidale
generosità, che la Mondadori dovrà pagare alla Cir la miseria di
500 milioni di euro, roba da cassa integrazione in deroga a Paolo Del
Debbio e Barbara D'Urso e qualche libro di Bruno Vespa non pubblicato. Ovvio, Silvio è un perseguitato. Un uomo di
successo odiato e invidiato per la sua enorme fortuna venuta dal
nulla. Un self made man inarrivabile che però non ha ancora chiarito
da dove gli sono piovuti i miliardi per dare inizio alla sua
principesca avventura imprenditoriale. Qualcuno dice che la zia suora
abbia fatto la sua parte, dopo continue richieste alla divina
provvidenza, manna trasformata in lire sonanti sembra sia scesa dal
cielo di Arcore direttamente sul conto corrente di Silvio. Ma di
questi maneggi celesti e miracolosi venuti dall'alto, non si hanno prove certe.
Quasi certe, invece, sarebbero quelle che farebbero partire (via Ferry Boat) dalla Sicilia
tutto quel ben di dio, ma chi sapeva non parla e chi potrebbe parlare non può più farlo. Cosa manca ancora? Ah, sì, il processo Ruby: concussione e
favoreggiamento della prostituzione (anche minorile) con pesante
condanna penale in primo grado. Ma per questo processo la strada è
ancora lunga. E dire che qualcuno accusò Andreotti di aver causato
le Guerre Puniche! A fronte di questa sequela di condanne passate in
giudicato (prescrizione ad personam, invece, per il processo Cir-Mondadori), i
forzaitalioti hanno ripreso la canea di insulti contro la
magistratura. Tanti bau, tanti miao, tanti grrr, ma la sensazione è
sempre la stessa: disperati allo sbando. Gioisce 'O Schiattamuort
che, trombato violentemente da Silvio, dalla Pitonessa e da Denis
McVerdins, dal solito, inguaribile Bruno Vespa ha detto del video di Berlusconi di
prossima uscita a reti unificate: “Visto il video, devo dire che il
cielo azzurro risplenderà di Forza Italia”. Ma che ti venga un
bene...
martedì 17 settembre 2013
E Forza Italia. Rinasce oggi il grande imbroglio. Intanto Silvio fa secco Alfano, mentre Occhetto dice di D'Alema...
È
questione di ore e il marchio industriale di Forza Italia tornerà a
brillare nel firmamento del mercato politico italiano. Dell'house
party di Silvio, di come e perché è nato, di quello che ha
significato per questo povero paese di teledipendenti, abbiamo scritto
fiumi di parole. E, tanto per dimostrare quel minimo di coerenza che
non guasta mai, altrettanti fiumi di parole avevamo scritto sul Silvio
imprenditore, sulla sua idea di televisione, sullo scempio che stava
facendo della cultura. Parole, com'è facile dedurre, rimaste lettere
morte. Però, da parte nostra ci abbiamo provato, non ci siamo
riusciti visto che l'interregno è durato venti anni, ma nessuno
potrà mai accusarci di connivenze sospette. Sapete, c'è chi dice
che la coerenza sia una gran puttana, ovviamente con tutto il
rispetto per le puttane, eppure siamo convinti (questione d'età?)
che rappresenti ancora un valore assoluto, oggi più di ieri e così
nei secoli dei secoli. Amen. Finito il pistolotto clerico-politico,
torniamo a noi. Il ritorno di Forza Italia ha già fatto una vittima
illustre. 'O Schiattamuort è stato infatti esautorato dai suoi
incarichi all'interno del Pdl, in poche parole non è più il
segretario di un partito morto. Tutto questo è avvenuto, come nella
migliore tradizione dei partiti padronali, senza uno straccio di
congresso, senza che nessun delegato abbia revocato le deleghe a
Angelino, senza che nessun collegio dei probiviri ne abbia dichiarato
la decadenza. Lo aveva anticipato Danielona, alla quale Angelino sta
simpatico come la fame allo stomaco, lo ha certificato Silvio il
quale, motu proprio, ha assegnato le deleghe che furono dell'ex
segretario, al grande manovratore degli affari sporchi e vero deus ex
machina dell'onorevole-mercato: Denis Verdini. E la stessa fine di
Alfano, tolti dalle palle senza se e senza ma, corrono il rischio di
farla i ministri favorevoli alla continuazione della grosse
koalition, mentre apprendiamo dagli organi stampa che cinque di loro
hanno già rimesso il mandato direttamente nelle mani di Silvio: non
in quelle di LettaLetta che li ha proposti né in quelle
dell'Innominabile che li ha nominati. In sfregio a qualsiasi dettato
costituzionale (continua il silviesco scempio della Carta), i
pidiellini continuano a comportarsi come se il Capo fosse un illibato
educando, il tutto in nome di una fedeltà talmente sospetta da far
nascere il dubbio che sotto sotto ci siano fior di ricatti e
scheletri negli armadi a gogò. Se come ormai tutti prevedono, questa
sera la Giunta per le elezioni voterà a favore della decadenza di
Silvio, si scopriranno le carte del gioco. L'impressione che abbiamo
è quella riportata su questo blog una decina di giorni fa, il
governo LettaLetta non cadrà, Silvio andrà ai servizi sociali e
tornerà fra nove mesi pronto alla pugna. A meno che, la Corte
d'Appello di Milano non decida altrimenti.
Sul
FattoQuotidiano di ieri erano riportati alcuni stralci
dell'autobiografia di Achille Occhetto, uscita da poco. Occhetto
scrive di Massimo D'Alema e, diciamolo, non ne da un giudizio
lusinghiero, anzi. Il fatto è che le storie che racconta l'ex
segretario del Pds sono note, come note sono le conseguenze della
devastante politica del leader maximo, traducibile nello sfascio
totale della sinistra italiana e nell'ammirazione perpetua di Silvio
Berlusconi. Occhetto, a un certo punto, fa riferimento ai 101
traditori del partito, quelli che hanno silurato Prodi. E, pur senza
ammetterlo esplicitamente, fa capire che dietro la manovraccia ci sia
proprio lui (ovviamente non da solo), Massimo D'Alema, il leader che
ha fregato di brutto tutti coloro che a sinistra hanno provato a
contrastarlo, rimediando però legnate clamorose da tutti quelli di
destra che non solo lo hanno contrastato ma anche sonoramente
battuto. Gli arroganti, furbi come volpi ma ignoranti e ciechi come
talpe, combinano disastri. Combinarli però solo contro la propria
parte politica, ha un non so che di perverso. Di diabolico. Insomma,
non ci sorprenderebbe affatto che un giorno, gli spagnoli dedicassero
anche a Massimo D'Alema una statua al Parco del Buen Retiro, magari
sulla stessa diagonale di quella a Lucifero.
lunedì 16 settembre 2013
Sondaggi: Pd al 28, Pdl 26, M5S 21. E Renzi, neo assunto Anas, “asfalta” tutti. Continua la storia del giaguaro. Toh, chi si rivede: l'Idv!
Mentre
con un occhio seguiamo in diretta il raddrizzamento (hihihi) della
Costa Concordia, la nave del comandante più coraggioso della storia
della navigazione mondiale, dallo scoglio dell'Isola del Giglio, con
l'altra scorriamo i sondaggi della Demos che danno il Pd al 28 per
cento, il Pdl al 26 e i 5S al 21. Non è difficile capire che se si
andasse alle elezioni con questa legge, la amata-odiata Porcellum,
non ci sarebbe ancora una maggioranza in grado di guidare il Paese.
Nonostante gli strepiti, le urla e gli anatemi di Beppe Grillo (e le
gite fuori porta di Casaleggio fra banchieri e industriali), gli
italiani non hanno nessuna intenzione di dare ai Five Stars i voti
necessari per governare da soli, ergo, da qualche parte si deve
andare. La soluzione più semplice, per qualsiasi altra nazione che
non avesse dato i natali a Machiavelli (e a Giulio Andreotti), sarebbe
quella di riformare la legge elettorale e ridare ai cittadini la
libertà di scegliere i propri rappresentanti. Ma chissà come,
chissà perché, una legge che nessuno vuole sta ancora lì, da anni,
a combinare sconquassi. A volte ci sembra di trovarci di fronte allo
studio, e alla analisi, della teoria dei Quanti e invece non c'è
ragionamento più semplice e deduttivo di quello che porta a una
elementare equivalenza: Porcellum = ingovernabilità. Però in Italia
non si può. Da noi la linearità nei ragionamenti e nei
comportamenti non esiste, è un optional. Se non ci complichiamo la
vita non siamo soddisfatti. Siamo cervellotici e un po' pazzi al
tempo stesso, e questa è la ragione per la quale gli studi degli
avvocati e degli analisti sono sempre sold out e il salvacoda è
diventato uno strumento indispensabile, perché altrimenti la gente
si prenderebbe a randellate a ogni piè sospinto. Ci rendiamo
difficile la vita con la stessa facilità con la quale gli americani
bombardano mezzo mondo in nome della libertà. La nostra complessità
ci piace da matti perché è segno di intelligenza e di un'autostima
sì, ma da manuale psichiatrico. Vi siete mai chiesti per quale
motivo non esiste più la sinistra storica? Perché era composta da
persone che si reputavano intelligenti e in possesso di un'autostima
tale da prendersi a randellate a ogni piè sospinto. Così, la classe
operaia e i ceti deboli, orfani dei rappresentanti di sempre, quelli con la Bandiera Rossa che trionferà, a un
certo punto si sono visti rappresentati da Tonino Di Pietro il quale,
con la sinistra italiana, non c'entra (né c'è mai entrato) una
mazza. L'Idv, per chi non seguisse le cronache marginali di questo
paese impegnato a parlare di Matteo Renzi-Asfaltatore appena
assunto dall'Anas, è tornato in scena. A San Sepolcro, città che
vide la nascita del partito, Ignazio Messina, il primo segretario (Di
Pietro era il presidente) dell'Idv eletto con tanto di voti
congressuali e non per acclamazione, ha dettato le prossime linee
guida di un partito che oggi viene dato all'1 per cento. Come si fa a
dilapidare un patrimonio di voti (8 per cento) che l'Italia del
Valori aveva non si sa, o meglio, bisognerebbe chiederlo al Tonino
intervistato da Report. Ma oggi questa potrebbe sembrare una
osservazione retorica. I più maligni potrebbero dire che l'Idv è
rinato per non gettare alle ortiche il patrimonio che ha, ma a
Ignazio Messina, sindaco antimafia, qualcuno disposto a dare credito
c'è. Tolti di mezzo gli ex Udeur, i Margheritini baciapile e molto
furbi, i democristiani di antica data, i destrorsi giustizialisti
fino al plotone di esecuzione, i sindacalisti trombati e gli
intellettuali in avanzato stato di decomposizione cerebrale, qualcuno
un po' onesto e altrettanto idealista potrebbe anche esserci.
L'importante, secondo noi, sarebbe che Messina prendesse una lente
d'ingrandimento e iniziasse a studiare uno per uno i 1350
amministratori locali e i duemila dirigenti che l'Idv ha ancora
sparsi nel territorio. Pigliasse molto sul serio i duecentomila
iscritti alla community del partito che non sembrano voler gettare la
spugna, e qualche idealista un po' perso che, con Di Pietro, non ha
mai avuto spazio o, se lo ha avuto, lo ha sfruttato solo per i cazzi
suoi. Particolare non marginale, l'Idv dispone ancora di 12 milioni
di euro di rimborsi spese elettorali: 12 milioni di buone ragioni per
non mollare. Da parte nostra, quello con l'Idv è un discorso chiuso
da tempo. Una delusione così cocente difficilmente ci potrà
ricapitare, delusione che ne ha portate appresso altre e molto più stordenti. Mannaggia a te, Tonino...
domenica 15 settembre 2013
PD. Una squadra di fotografi per rendere palese il voto segreto
Sembra
veramente un film russo (con sottotitoli in giapponese) dei primi
anni '60 o, se preferite, lo Tsai Ming-Liang di Stray Dogs, una
storia talmente pallosa (per altro senza l'assunto artistico) che
alla fine della proiezione tirare su le palle è un'impresa da ottava
fatica erculea. Che i problemi di Silvio si riverberassero per intero
nel Pd era cosa risaputa, ma che i democrat rischiassero addirittura
di implodere sull'agibilità politica di Berlusconi rasenta la farsa,
e una di quelle peggiori. Perché vedete, la prima domanda che ci
poniamo, a prescindere da tutto e da ogni possibile considerazione di
natura politico-strategica, è che cazzo di opposizione abbiamo avuto
per venti anni. Eh sì, perché se il Partito Democratico rischia di
spaccarsi sulla fine del principale nemico, vuol dire che al suo
interno una buona parte dei dirigenti, sotto sotto, ha sempre fatto
il doppio gioco. Insomma, 101 antiberlusconiani per finta. Girando le
feste del partito però, gli stessi dirigenti hanno capito l'aria che
tira e soprattutto si sono resi conto che qualora nel segreto
dell'urna i loro capi dovessero ancora una volta salvare Silvio, i
forconi sarebbero l'unica soluzione. E di finire infilzati da un
popolo incazzato nero loro, i dirigenti, non ne hanno affatto voglia.
I militanti, gli iscritti e i simpatizzanti del Pd stanno aspettando
il giorno del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi, come il
momento del redde rationem, dell'atto finale, della catarsi e della
nemesi. I pidini vogliono vedere le carte del gioco dei personaggi
che hanno eletto, perché brucia ancora più di una ferita aperta
cosparsa di sale, quello che hanno combinato nella elezione di Prodi
alla presidenza della repubblica. È un assurdo in termini ma le cose
stanno proprio così. Milioni di votanti del Pd sono andati alle urne
convinti che il loro partito non avrebbe mai governato con Silvio, questo fatto non sta proprio nel dna del Partito Democratico
che non è nato per allearsi con i razzisti e i fascisti. Invece... e
allora resta una sola occasione, il voto dell'aula di Palazzo Madama. I dirigenti pidini lo hanno talmente capito che perfino un moderato
come Nicola Latorre ha iniziato a fare il fedayn mentre Miguel Gotor,
senatore ed ex spin doctor di Piergigi Bersani è andato oltre. “Il
clima nelle feste – ha detto il senatore – è brutto, davvero
brutto. Non possiamo permetterci passi falsi per cui, al momento del
voto su Berlusconi, dobbiamo mostrare l'indice sul pulsante a una
squadra di fotografi compiacenti e poi pubblicare le foto sul web”.
A questo punto il film cambia e si trasforma nei Tre giorni del
condor, la spy-story di Sydney Pollack. Dopo la promessa mai
mantenuta di Beppe Fioroni di mostrare ai giornalisti la foto fatta
al suo voto a favore di Romano Prodi, il popolo del Pd non crede più
a una sola parola dei dirigenti, così questa volta, ha pensato
Gotor, bisogna mostrare le prove, far vedere a tutti che il Pd,
almeno sulla cacciata di Berlusconi, è unito e compatto. E i
militanti, a maggior ragione, hanno capito l'aria che tira, da quando
il “gerente” Epifani ha avanzato dubbi sui 5S colpevoli, secondo
lui, di stare tramando di votare a favore di Silvio pur di far
ricadere la colpa sui senatori del suo partito. Ha messo, come si usa
dire, le mani avanti per proteggersi il culo. Se Silvio si dovesse
salvare la colpa sarebbe di Grillo che vuole spaccare il Pd. Tutti,
allora, meno il Pdl (che nei franchi tiratori ci sguazza come una
papera scema nel pantano di casa credendolo un laghetto), si
dichiarano a favore del voto palese quando il regolamento del Senato
non lo consente. Ma stiamo parlando di un fatto in itinere. Mercoledì
la Giunta voterà e da quel momento si apriranno le danze. Musica
maestro Verdini.
sabato 14 settembre 2013
Maria Stella Gelmini: “Una bimba di sei anni mi ha chiesto di dire a Silvio che gli vuole bene”. Pronto l'intervento di Telefono Azzurro
Sembra
che sia andata così. Maria Stella Gelmini si trovava all'aeroporto
di Fiumicino quando è stata avvicinata da una signora e dalla figlia
di sei anni, Benedetta. Convinta che le volessero sputare in faccia
per come ha ridotto la scuola pubblica, l'unica viaggiatrice del
tunnel L'Aquila-Cern di Ginevra, è rimasta sorpresa quando mamma e
figlia le hanno chiesto di esprimere al presidente Berlusconi,
“stima, affetto e solidarietà”. “L'altraItalia”, quella che
piace a lei e ai disperati del Pdl, ha prontamente twittato la ex
ministra. In questi tempi bui, i pidiellini si attaccano a
tutto pur di venir fuori dal pantano nel quale li ha fatti
precipitare il loro capo. Sono disposti a inventare balle spaziali
(cosa che fanno impunemente da venti anni) e vedere complotti
dovunque allo scopo di dimostrare al popolo bue che esiste una
sola vittima: si chiama Silvio di nome e Berlusconi di cognome. Il
giornale del ballista principe, ad esempio, quello che per un po' di
visibilità s'è inventato un attentatuni alla sua persona personalmente, oggi se n'è uscito con il
complottuni europeo contro Silvio: “Cacciato perché contro la
moneta unica”, è il titolo di apertura di Libero, e giù un
articolo farneticante che manco il peggior mockumentary. Altro che
farsa, questa è una tragedia in piena regola. Da Bruxelles ci fanno
sapere che il Vecchio Continente sta uscendo dalla crisi e che in
“quasi” tutti gli stati è iniziata la ripresa. “Meno che in un
pugno di Paesi”, dicono i portavoce della UE. Indovinate un po' chi
c'è in quel pugno? Domanda retorica, lo sappiamo. Stiamo vivendo un
delirio che non è solo mediatico ma di sostanza. La Gelmini
s'inventa berluschine di sei anni (le colpe dei genitori ricadranno
sempre sui figli, povera bambina che invece di giocare con le bambole
è costretta a difendersi già da piccola dal cacciatore di
Cappuccetto Rosso); Sandro Bondi prega tutto il giorno e s'immagina
in una cella intento a scrivere in rima le memorie del Capo, manco
fosse il Marco Polo del Milione; Renato Schifani continua a lanciare
avvertimenti che ormai non fanno più manco i capicosca della sua
terra d'origine; Angelino Alfano non sa più cosa dire per tenersi
stretto il posto di vicepremier da una parte e non scontentare il suo
mentore dall'altra. E poi c'è Gianfranco Rotondi che ha fatto la
proposta più lacrimevole e strappacore di tutti: “Se Silvio
dovesse andare ai servizi sociali, nel settore che sceglierà e per
l'intera durata del servizio io sarò con lui”, dimostrando
finalmente che con una fava si posso prendere due pregiud... ehm,
piccioni. E poi ci sono le berluschine maggiorenni, quelle che
invadono gli studi televisivi senza pudore e senza vergogna, mentono
sapendo di mentire. E fra loro la più berluschina di tutte, la
pitonessa, la regina della selva oscura del Pdl: Daniela Santanchè.
Probabilmente Danielona è riuscita a carpire a Padre Pio il dono
della bilocazione perché altrimenti spiegateci come diavolo fa a
essere contemporaneamente in tre studi televisivi. Uno dice “ma
sono trasmissioni registrate”. Eh no, diciamo noi, perché le
parole che dice e le offese che riserva a chiunque si metta sulla
strada di Silvio sono sempre le stesse, scandite allo stesso modo e
con gli stessi tempi. Sincronia? No, bilocazione. Però questi del
Pdl vincono facile. Abituati a fare “buh!” e vedere i pidini
darsela a gambe, oramai hanno capito che basta urlare un po' per
zittire un nemico che in fondo in fondo, un nemico vero non lo è mai
stato, tutt'al più un comprimario nel gioco delle parti. Le anime
del Pd sono troppe per tentare di convivere, di fare fronte comune
contro la vergogna, di essere finalmente un partito unito per il bene
supremo della nazione. È piuttosto la riedizione della peggiore
Democrazia Cristiana, ne abbiamo preso atto dopo che per anni lo
abbiamo detto prima di Forza Italia e poi del Pdl. Ci sentiamo, in
questa unica occasione, di convenire con Matteo Renzi il quale ha
detto: “Se Martin Luther King fosse iscritto al Pd direbbe 'io ho
un incubo'”. A fronte di mille puttanate giornaliere, alla fine
quella buona scappa anche a lui.
venerdì 13 settembre 2013
Silvio: caccia ai franchi tiratori. Servono 43 senatori per salvarsi, non è detto che non li trovi
In
questo momento, il voto segreto è l'incubo di Guglielmo Epifani e di
molti pidini. Il rischio che Silvio trovi in aula i fan che gli
permettano di restare a Palazzo Madama è altissimo. E non è solo
una questione di numeri ma di mal di pancia, di frustrazioni, di
patti segreti e segretissimi, di una consorteria innominabile (questa
sì) che tira i fili di questo paese di burattini da un ventennio
abbondante. Il ragionamento è semplice. Chi voleva il governo delle
grandi coalizioni ha fottuto Romano Prodi il quale, una volta eletto
Presidente della Repubblica a tutto avrebbe pensato meno che a un
governo con Silvio dentro, a costo di allearsi con Belzebù in
persona evidentemente ritenuto meno pericoloso. In 101 silurarono
nel segreto dell'urna il Professore, stavolta ne basterebbero meno
della metà per salvare Silvio. E Denis Verdini, il grande
manovratore degli affari più sporchi di Silvio, ne è convinto. Con
questo clima, mercoledì prossimo la Giunta per le elezioni si
riunirà per votare (o meno) la decadenza del pluripregiudicato
Silvio Berlusconi dalla carica di Senatore. Potrebbe anche votare a
favore ma poi, il passaggio successivo sarà quello dell'Aula e qui i
numeri conteranno davvero. E iniziano puntualmente i veleni. Di certo si sa che le manovre di Mario Mauro e di Pierfy Casini all'interno di
Scelta Civica sono già iniziate. Dalla loro potrebbero portare una
decina di senatori che comincerebbero a far scendere l'apparente
monolite di quelli che vogliono Silvio fuori dal Senato. Poi ci sono
i 5Stelle che, pur di dimostrare che viviamo in un Paese in cui
contano gli interessi di pochi e invocare il ritorno alle urne (si
dice), potrebbero dare una mano a Silvio, buttando così il bambino
insieme all'acqua sporca. Non tutti i 5Stelle, ovviamente, ma lo
zoccolo duro sì, quello dei fedelissimi di Beppe Grillo. D'altronde
sarebbe un film già visto: i Five Stars farebbero la parte che fu
della Lega e del Msi nell'affaire Craxi. Per finire, i 101 zozzoni
del Pd che né Bersani né Epifani né Rosy Bindi né Massimo D'Alema
né Vuolter Veltroni si sono mai sognati di smascherare e punire con
una sacrosanta espulsione dal partito. Matteo Renzi ci ha provato, ma è stata una finta. A questo punto la stabilità è un
alibi, una scusa, un deterrente, proprio come le bombe atomiche prima
di essere usate o i gas nervini che ammazzano bambini perché tanto
un po' di vittime innocenti fanno sempre scalpore. Con la scusa della
stabilità, un po' come avvenuto per il terrorismo, in questo paese
si sono compiute vere e proprie efferatezze giuridiche e
costituzionali, forzature mai viste, addirittura un cambio silenzioso
del ruolo del presidente della repubblica senza che nessuno abbia
mosso un dito. Non sorprenderebbe quindi più di tanto se Silvio
dovesse essere salvato dal voto dell'aula del Senato per quella che
si preannuncia come una solenne vittoria di Pirro: a ottobre scatta
l'interdizione dai pubblici uffici. E allora o un anno o tre,
affanculo, il Capataz se ne andrà.
giovedì 12 settembre 2013
Silvio: “Non mi dimetto. Sono il più grande. Siete solo invidiosi”. Tiè!
Eppure
potrebbe essere tutto molto semplice. Seguite questo ragionamento. I
pidini nella Giunta per le elezioni bocciano la relazione di Andrea
Augello. Prima del voto di decadenza, a questo punto scontato perché
il Pdl lo ha inserito nella stessa relazione introduttiva, Silvio si
dimette, se ne va da Palazzo Madama e sconta la pena restante di un
anno ai servizi sociali (dove, fra parentesi, potrebbe rifarsi, fra
dentiere e pannoloni, una verginità mediatica immensa). Nel
frattempo i figli chiedono la grazia all'Innominabile il quale, preso
atto della “buona volontà” del reo certificata dalle dimissioni, gliela concede senza colpo ferire e a stretto giro di decreto.
Scontata la pena e ricreatasi una reputazione (come le mignotte che
entrano nella Croce Rossa), Silvio potrebbe tornare a presentarsi
illibato alle prossime elezioni, dopo aver atteso il tempo necessario
che la Corte d'appello di Milano avrà stabilito con la nuova
sentenza sull'interdizione. Non è affatto scontato, viste le
condizioni venutesi a creare, che la Corte decida per l'interdizione
lunga, quella che la Cassazione ha previsto in tre anni. Potrebbe
essere “mite”: un anno. A questo punto resterebbero da verificare
solo le condizioni di salute del Capataz che, a quanto dicono, sono
ottime e simili a quelle di un ventenne fiaccato solo dall'eccessivo
uso del testosterone. Tutto cambierebbe, niente cambierebbe, come
avviene dall'unità d'Italia senza che nessuno abbia mai provato a
porre un argine al gattopardismo viscerale delle nostre genti. Così
sarebbero tutti contenti, un happy end memorabile: il Pd coerente; il
Pdl non perdente; Silvio preoccupato solo delle avance della nostra
amica casalinga pensionata di Abbiategrasso; l'Innominabile che ci ha
messo l'ennesima pezza; i mercati che non fibrillerebbero più, e
perfino Dudù che si è rotto le palle di portare ogni giorno il
Giornale al fidanzato attempato e un po' fuori di testa della
padrona. Il più felice di tutti? LettaLetta che potrebbe continuare
a sedersi su una poltrona che ha iniziato ad amare più della moglie.
Ma, come in quasi tutti i lieto-fine, una nuvola s'addensa
all'orizzonte. È un cirro con tanto di nome, cognome e incarico:
Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Matteo sta mordendo il freno. Non
ne può più di stare in panchina e, da quando il suo amico
Enrichetto ha fatto intendere che correrà anche lui per la
segreteria del Pd, non vede l'ora di sparigliare le carte. È
irrequieto, un po' nervoso, tende a stare sopra le righe e ha aperto,
di fatto, la corsa per la leadership del Pd. Iera sera, in quel
salotto che più bianco non si può di Bruno Vespa, ne ha avute per
tutti ad iniziare proprio dal Presidente del Consiglio, che ha
accusato senza mezzi termini di essere un amante delle poltrone,
peraltro immobile. Apparentemente critico sui contenuti dei
provvedimenti del governo, Matteo sta recitando la parte che fu di Valter Veltroni nella caduta del governo di Romano Prodi; eletto
segretario dell'appena nato Partito Democratico, Vuolter fece sapere
a Mastella e a Dini che alle elezioni avrebbe corso senza di
loro. Mastella, che ne sa una più del diavolo, gli rispose: “E
'sti cazzi?”, trasferendosi il giorno appresso tra le calde braccia
di Silvio che lo stava aspettando con ansia. Ma Vuolter fece di
peggio, distrusse con un colpo solo di Magnum 44 quello che rimaneva
della sinistra storica. Matteo a questo non potrebbe mai arrivare,
ma solo perché la Sinistra (non solo quella storica) non esiste più.
Intanto
è iniziata a girare una voce maligna, talmente maligna da rasentare
la perversione. Sembra che Silvio non voglia dimettersi perché
propenderebbe a far votare all'aula di Palazzo Madama la sua
decadenza. Mica fesso, il Capataz. Sà perfettamente che se il voto
dovesse essere segreto, ci sarebbero 101 zozzoni del Pd disposti a
salvargli il culo. Le vere mine vaganti di tutta questa sporca
storia, sono ancora gli “anonimi” 101 zozzoni che hanno affossato
Prodi per tutelare gli interessi dell'Italia dando vita alle larghe
intese. Una vergogna per un partito che ambisce a guidare la nazione
ma che, al massimo, potrebbe salire a bordo di una Topolino del 1936 e solo con la strada asciutta.
mercoledì 11 settembre 2013
L'Innominabile ordina i Bravi eseguono. Slitta il voto in Giunta. “Il matrimonio Pd-Pdl ha da continuare”
“...
altrimenti andremo tutti nella Valle di Giosafat, e sarà il giudizio universale”. Lo ha detto
chiaro e tondo, ieri, l'Innominabile, mentre i componenti della
Giunta per le elezioni andavano a riunirsi per l'ultimo saluto, dal
sapore dell'addio, a Silvio. Siamo in piena repubblica presidenziale
anche se la nostra Costituzione non la prevede come forma di regime
possibile, anche se fino all'altro ieri il Presidente della
Repubblica rappresentava poco più di un ufficiale dell'anagrafe. E
per tutto il suo primo mandato, l'Innominabile questo ha fatto,
limitandosi a mettere la firma sotto decreti che gridano ancora
vendetta al cospetto di dio e dell'umanità dolente. Lanciato il
monito, i guaglioni del Pd hanno ritenuto buono e giusto assecondare
il desiderio del nonno e, d'accordo con i pidiellini che avevano
completamente sbagliato l'approccio alla linea difensiva del Capataz,
hanno corretto le richieste in corsa e ottenuto un altro, salutare
rinvio (a giovedì). Il fatto è che in questa repubblica scalcinata
e scalcagnata (lo spread spagnolo intanto è tornato sopra a quello
italiano), tutto ciò che si discute pubblicamente non ha valore.
Dopo venti anni di berlusconismo (che hanno praticamente svuotato e
fiaccato l'essenza stessa della rappresentatività parlamentare) in
cui le decisioni si prendevano ad Arcore o a Villa Certosa alla
presenza di un Topolanek perennemente infoiato, l'abitudine di
discutere le leggi e i provvedimenti nei luoghi deputati è diventata
un optional stanco. “In Parlamento si perde solo tempo”, amava
dire il più grande statista dell'epoca repubblicana, così, con i
soliti quattro, decideva le sorti della nazione standosene con i
piedi in ammollo nella piscina. Poi Fini lo ha lasciato e Silvio si è
reso conto che o in quel Parlamento c'erano i numeri che gli
permettevano i pediluvi o correva il rischio di tornarsene a casetta.
In quel momento ha capito che, nonostante i fan pidini, non poteva
sempre farsi i cazzi suoi. Purtroppo però, il “metodo Silvio”
era già entrato di forza nel cuore dello Stato e allora, all'alba di
un vecchio Quirinale, si è iniziato a seguirne gli esempi. Ecco
Monti. Ecco LettaLetta. Ecco le moral suation. Ecco i moniti e i
cazziatoni. Ecco il desiderio che si trasforma in volere. Ecco il
popolo dei Bravi pronto a seguire il Capo fino alla fine perché,
qualora non lo si fosse capito, questo matrimonio ha da continuare.
Il lavoro sottotraccia dei diplomatici, quasi si dovessero trovare
gli arsenali delle armi chimiche siriane, consiste nel convincere (con
l'aiuto dei figli) Berlusconi Silvio a dare le dimissioni. Il passo
successivo sarà quello della grazia che cancellerà la pena
definitiva ma non quella accessoria. Per cui, niente più elezioni
per il Capataz ma piena e totale agibilità politica. Insomma, Silvio sarà il
Beppe Grillo di Forza Italia. Ci riesce semplice capire come i
rinvii, che probabilmente si susseguiranno a oltranza, servono solo a
far capire a Silvio che è meglio percorrere la strada delle
dimissioni, perché un'altra maggioranza è pronta e non è detto
che, come quella attuale, voglia continuare a tutelare i suoi
interessi. La posta in gioco a questo punto, è solo la salvaguardia
delle sue imprese. Silvio dovrà prendere atto (i suoi figli lo hanno
fatto da un pezzo), che una crisi manderebbe a ramengo il suo impero
già fortemente penalizzato in borsa dopo i rumors del “muoia
Sansone...”. E poi diciamolo, al di là delle belle parole, i
pidini non hanno nessuna voglia di tornare a votare. Dopo venti anni
di totale asservimento, il fatto stesso di avere un democristiano di
sinistra (sic!) Capo del governo, li ha ringalluzziti. LettaLetta lo
ha detto: “Viviamo in un paese in cui la straordinarietà
solitamente diventa ordinarietà”. Il fatto è che non vogliono
pacificarci, solo normalizzarci. Buongiorno Italia...
martedì 10 settembre 2013
Caro Silvio, adda passa' 'a cuccagna...
Il
fatto è che per vent'anni ha tenuto tutti per le palle. Strizzandole
personalmente o facendole carezzare da altre come e quando gli
pareva, Silvio è stato il padrone assoluto della politica made in
Italy, disponendone da dittatore e ricorrendo a ricatti (e
“Montecitorio-compravendita”) quando si è trovato in difficoltà.
Non a caso, “l'ideatore della truffa allo Stato” (lo ha detto la
Corte di Cassazione, mica noi), è incazzato come un toro andaluso in
perenne astinenza sessuale con le nacchere che gli fracassano i
cabasisi pure di notte, perché sembra che non funzionino più né i ricatti né la
compravendita. Se è vero (purtroppo la nostra stima nei confronti
degli uomini e delle donne del Pd è in una fase di forte discesa)
che la Giunta per le Elezioni già stasera potrebbe votare sulle
pregiudiziali di costituzionalità della “Severino” e
sottoscrivere che no, non è una legge anticostituzionale, di fatto
Silvio decadrebbe. Date le premesse, dobbiamo assolutamente attendere
il tg della notte per sapere come andrà a finire, i 101 zozzoni
qualcosa ce l'hanno insegnata e poi, non dire quattro se non ce l'hai
nel sacco. Nonostante tutto, gli ultimi sondaggi danno ancora il Pdl
in testa, la dimostrazione più evidente che qualche milione di
italiani ritiene davvero Silvio un perseguitato politico come e più
del Pellico ormai perso nei libri di storia. La frase pronunciata
ieri a botta calda, dopo la decisione della Giunta di ritrovarsi
stasera per votare sulle “pregiudiziali”, rappresenta in qualche
modo la sintesi del berlusconismo traducibile in un solo verbo:
mentire (transitivo e intransitivo, ausiliare “avere”, III
coniugazione, modo infinito, tempo presente). Rileggiamola: “Sta
andando in scena un omicidio politico (tutt'al più un suicidio
visto che a eludere il fisco è stato lui). È una cosa
vergognosa che questi del Pd mi trattino come un delinquente comune
(non è il Pd che lo tratta da delinquente comune, lo ha
semplicemente sentenziato la Corte di Cassazione). Se mi fanno
fuori è un atto eversivo (l'unico vero atto eversivo compiuto in
questo Paese – a parte Gladio, la kossighiana strategia
della tensione, la compravendita di parlamentari, il negazionismo e
chi più ne ha ne 'Metta'), è stata l'elezione contra legem di
Silvio Berlusconi che, da titolare di licenze pubbliche, non avrebbe
potuto neppure presentarsi alle elezioni, figuriamoci diventare
presidente del consiglio)”. E se qualcuno prova a dire che per
venti anni è andato in scena il più grande conflitto d'interessi
che la storia patria ricordi, sapete cosa rispondono i berluscones?
“La colpa è del Pd che quando è stato al governo non ha fatto la
legge”. Con chi avrebbe dovuto farla la legge, il Pd, con Violante,
D'Alema e Veltroni? Di riffa o di raffa (come si dice in tutta
Italia), Silvio Berlusconi ha terminato il suo percorso politico. Lo
statista Berlusconi è finito e l'unico a non prenderne atto,
purtroppo, è lui (la Santanchè non fa testo). E tanto per tenere
viva la leggenda dei 101 zozzoni, RaiNews24 ha appena detto che il
voto sulle pregiudiziali “forse slitterà a domani”. Fioroni sta
festeggiando con un cappuccino doppia schiuma.
lunedì 9 settembre 2013
Silvio in ansia, oggi la Giunta. Attentatuni a Violante, quattro gocce d'acqua scambiate per Sarin
In
un'altra nazione, la riunione della Giunta delle Elezioni del Senato
si concluderebbe nel giro di pochi minuti. Dopo avergli ritirato il
passaporto, a Silvio verrebbe anche annullata la tessera di Parlamentare della repubblica e amen, föra
(versione corretta del termine secondo la Treccani) di ball. Invece
no! Fra ricorsi alla Corte di Giustizia, revisioni del processo e, in
subordine, domanda di grazia al Presidente della Repubblica, appello
motu proprio a Papa Francesco, protesta al Consiglio di Sicurezza
dell'Onu, supplica alla Presidenza Mondiale di Amnesty International
e istanza al WWF in qualità di unico sopravvissuto di una razza in
via di estinzione, Silvio è ancora sulla breccia. Lo ha detto anche
'O Schiattamuort: “I giochi non finiscono qui” e ha prontamente
candidato Roma alle Olimpiadi del 2024. Prima della decadenza
effettiva del Cavaliere da senatore della repubblica, occorrerà
attendere la metà di ottobre, questo il calcolo molto verosimile del
FattoQuotidiano di ieri. Nel frattempo LettaLetta tirerà avanti
annunciando riprese a ogni piè sospinto (Saccomanni ha parlato ieri
di fine 2014 per un segno “più” pieno), mentre tutto il resto o
non si muoverà perché, fateci caso, a fronte di annunci roboanti
nulla si muove o, se accadrà, l'andamento sarà quello della Ferrari
di Alonso di questi tempi: lento. Per saperne di più o, meglio, per
capire come andranno le cose da qui in avanti, basterà attendere la
fine della riunione di oggi pomeriggio della Giunta del Senato.
L'aspetta Silvio, l'aspetta LettaLetta, la aspettano in tanti meno
che gli italiani, i quali, a fronte dell'ennesimo attacco verso una
giustizia giusta, fanno spallucce, non si muovono, non protestano,
ancora rincoglioniti dal sole agostano di una estate da dimenticare.
E proprio per alleviare le calure di Luciano Violante, ieri alla
festa del Pd di Genova, un militante ha pensato di aspergerlo con un
po' d'acqua minerale. Saputa la notizia, ci siamo immaginati un
gavettone di proporzioni najesche, invece è stato solo un quarto di
bottiglietta rovesciato sulla testa del più grande giurista degli
ultimi 150 anni. E dire che, dopo aver sognato Palmiro che tentava di
falciargli le gambe e di dargli qualche martellata sulle palle, il
presidente Violante aveva fatto un parziale passo indietro
affermando: “Inutile perdere tempo, per il caso Berlusconi non c'è
niente da fare, deve mollare”. Evidentemente, la retromarcia è
stata tardiva e quello che doveva essere un gavettone, si è
trasformato in un semplice getto d'acqua under control. A proposito,
come saprete, sempre ieri, a Cernobbio c'è stato lo show di
Gianroberto Casaleggio. Fra un mare di ovvietà e una platea di
politici che prendevano appunti, Gianroberto ha preteso che
l'incontro avvenisse a porte chiuse (alla stampa naturalmente) per
illustrare ancora una volta il suo ideale di mondo gaiano. Se non ci
fosse stato l'americano Michael Slaby, “guru” della campagna
elettorale di Barack Obama a rispondergli colpo su colpo, ci mancava
poco che a Casaleggio il gruppo dei politici e dei banchieri in gita
domenicale, non tributasse una standing ovation. Ma non perché
condividessero il progetto casaleggiano di un mondo diverso, perché
sanno che con i “radicali” loro vanno a nozze. Lo stesso
trattamento lo avevano riservato a Bertinotti qualche anno fa, e
tutti sanno che fine ha fatto il 35ore-Fausto. Con i radicali
l'impresa è facile: basta lasciarli parlare, loro si riempiono di
parole fino a soffocare.
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