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venerdì 31 agosto 2012

La macchina del fango contro il Quirinale e quel sordido affare chiamato digitale terrestre. Siamo sempre il popolo number one.


Panorama attacca, il Quirinale si difende. Stavolta l’armata berlusconiana punta decisamente in alto, dritta al Colle più alto della Repubblica. In attesa di parlarne meglio e più diffusamente, visto il nostro vezzo di approfondire le notizie prima di scriverne, la sensazione è che quanto pubblicato dal settimanale di casa Mondadori (succursale di Arcore), faccia il paio con il fatto di cui ci siamo occupati ieri: le elezioni anticipate a novembre, invocate da Silvio che ha una fifa blu della sentenza “Ruby”. Per arrivare ad elezioni anticipate occorre che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere, quale miglior mezzo per spingere a farlo di una bella vagonata di fango manovrata con il joistick e articoli puntuti? La Procura di Palermo, o meglio quello che viene definito il “pool Ingroia”, ha detto la sua: “Chi pubblica queste minchiate vuole tenere sotto scacco il Presidente”. E’ tanto difficile fare due più due?
Giù la maschera della migliore, più grande e bella televisione degli ultimi 150 anni: il digitale terrestre. Quella sorta di slot machine ricca di canali, di informazione, di film e di documentari, si sta rivelando per ciò che in parecchi osservatori avevano subodorato fin dalla sua introduzione obbligatoria: il più grande affare di Casa Berlusconi dopo il Big Bang. Canali (gratis) come piovesse, Canale5, Rete4 e Italia1 moltiplicati all’ennesima potenza, pubblicità a gogò, programmi vecchi, scadenti, stravisti e noiosissimi invadono quotidianamente le case di chi il digitale terrestre riesce a vederlo perché, se non lo sapete, non funziona mica dappertutto. Ci sono connazionali che non hanno potuto seguire neppure i campionati europei di calcio, men che meno le Olimpiadi. Il digitale terrestre si vede malissimo, i segnali vanno e vengono,  megapixel appaiono e scompaiono mentre il film è arrivato al culmine, il centravanti si appresta a segnare, Usain Bolt a ridicolizzare ancora una volta gli avversari. Non c’è uno straccio di novità se si escludono Rai4, Rai5 e Rai Storia, il resto è programmi demenziali locali, scadenti fiction dell’era berlusconiana, repliche come piovesse e schermi che scompaiono. In questi giorni poi, sembra che il caldo africano che ci opprime se la stia prendendo proprio con le reti del Nano Bifronte, inguardabili normalmente, da vomito con il caldo. Così, fra Mediaset Premium e la vendita di calcio e film (con Sky incazzata nera), si sta chiarendo definitivamente il perché della discesa in campo di Silvio: solo e per sempre pro domo sua che tradotto significa “per i cazzi suoi”. Ultimissima (anche questa da approfondire). Emilio Fede sta per lanciare il suo movimento di opinione. Sembra che al centro della proposta dell’ex Mister Leccalecca, ci siano le donne: “Non posso lasciare alla Santanchè questa prerogativa”, ha detto Emilio sfogliando book fotografici di giovin donzelle discinte. Danielona è avvertita, arriva Cyrano, nella versione del protagonista e non del ruffiano.

giovedì 30 agosto 2012

Silvio: “Al voto a novembre”. Incombe la sentenza del processo Ruby. Si salvi chi può.


Tutto inizia da una telefonata di Mavalà al Nano Bifronte sdraiato al sole della Sardegna. “Capo – dice Sir Biss Ghedini – qua c’è il rischio che la sentenza di primo grado del processo Ruby ci sia tra novembre e dicembre”. Mavalà non termina la telefonata che già Silvio ha convocato via telepensiero AlfanoVerdini, Bonaiuti e lo stesso Ghedini che un po’ barcolla. Appuntamento a Roma, a Palazzo Grazioli. Silvio arriva mentre una girl gli sta ancora togliendo la sabbia dai bermuda azzurro cielo-Forza Italia. “Signori – dice Nano Bifronte – la situazione è drammatica. Dobbiamo assolutamente approvare la nuova legge elettorale anche sottostando ai ricatti di quei mentecatti degli ex demo-comunisti morti di fame. Non abbiamo scelta, il 2013 è troppo lontano, le procure mi perseguitano, i giudici vogliono condannarmi prima della campagna elettorale”. All’improvviso, in mezzo alla tundra di plastica, la riproduzione in legno d’acanto della dacia di Putin e al modello scala 1:10.000 del Vesuvio in giardino, Silvio ha visto di fronte a sé la sconfitta ad opera di quella magistratura rossa che lo perseguita prima ancora che nascesse. Andare in campagna elettorale con una condanna in primo grado per istigazione alla prostituzione, pure minorile, non è cosa da poco. Certo, c’è sempre monsignor Fisichella pronto a contestualizzare, a dire che Silvio non si è trombato una minorenne pur procace, ma le ha semplicemente misurato la febbre come farebbe un papà coscienzioso alla figlioletta. Certo il Papa, stavolta senza accento, potrebbe pregare per lui, lo fa già per Formigoni, che problema ci sarebbe? Certo, le tivvù a reti unificate potrebbero sempre dire che Silvio non è stato condannato ma diversamente assolto però, alla fine, resterebbe l’ombra di una condanna che potrebbe pesare davvero tanto sulla popolarità dell’ex Conducator del Prosciutto Cotto Rovagnati e dell’efficacia quasi taumaturgica del Bilba di Cadey. Pensate se in America, dopo una condanna del genere, il colpevole si presentasse alla porta di qualsiasi casa, compresa quella del peggior ubriaco del peggior sexy bar del Greenwich, a chiedere il voto, secondo noi l'inquilino metterebbe mano alla Magnum 45 special e tirerebbe un colpo secco proprio lì, fra le palle. In Italia, invece, si potrebbe correre il rischio che Silvio venga accolto ancora una volta come un perseguitato, e tanto ci meriteremmo. Per farla breve, la prossima settimana la nuova legge elettorale dovrebbe passare, una qualsiasi, l’importante è che si vada al voto entro novembre. Il presidente Napolitano dovrebbe sciogliere le Camere, far finire qui l’esperienza del Professore e farci tornare alle urne sempre con lo stesso obiettivo, anche se leggermente modificato: prima ci si andava per salvaguardare i cazzi di Silvio, oggi per tutelare la sua fedina penale.

mercoledì 29 agosto 2012

Torna la romantica figura del “medico condotto” mentre tutto il centrodestra (Lega compresa) si scaglia contro la tassa sul Chinotto.

L’idea del ministro Balduzzi non è peregrina. Maxi ambulatori (parecchi esistono già) con dentro i medici di famiglia che, a turno, assicurino ai cittadini un’assistenza 24h, costituiscono un salto all’indietro nel tempo e nelle abitudini di un paese bisognoso di cure, come era quello uscito dalla guerra e che stava vivendo il boom economico. A noi ricorda la romantica figura del medico condotto che, in barba a tutte le condizioni atmosferiche, si alzava di notte, inforcava la motocicletta e andava in campagna a curare una colica, un’emicrania vomitosa, il raffreddore dei bambini e, giacché ci si trovava, anche la vacca e il mulo dopo aver lanciato un’occhiata al gallo e ai conigli. Niente più corse affannose al pronto soccorso quindi, niente più telefonate disperate al 118 né sgommate notturne con tanto di fazzoletto bianco tenuto fuori dal finestrino, in caso di bisogno si chiama l’ambulatorio e, anche se il medico di famiglia non c’è, ci saranno colleghi che potranno attingere alla banca dati del paziente spazientito dall’attesa. Non solo. Per i malati cronici, i medici dei maxi-ambulatori si trasformeranno in una specie di diario perpetuo, visto che si assumeranno l’onere di avvisarli quando dovranno effettuare controlli periodici o sottoporsi a visite previste dalle patologie. In questo modo il cittadino dovrebbe sentirsi più tutelato e, allo stesso tempo, i medici del pronto soccorso potranno finalmente terminare a Pasqua, quella partita a briscola che avevano iniziato giusto a Natale. C’è da dire che i medici di famiglia torneranno finalmente a sentirsi medici e soprattutto utili, visto che il loro compito attuale è quello di prescrivere ricette e indirizzare a visite specialistiche anche il malato di emorroidi o di otite paralizzante a causa della Tromba di Eustachio stonata. Potrebbe anche capitare di avere il gran culo di imbattersi in un medico di turno che individui a primo colpo una devastante follicolite e che non ci faccia spendere un patrimonio in pomate non solo inefficaci ma anche pericolosamente inadatte allo scopo.
Chissà perché a sollevarsi contro la tassa sul Chinotto è stato soprattutto il centrodestra, al quale la Lega ha fatto immediatamente da megafono accodandosi come sempre. Sembra quasi che l’alcol appartenga alla sola cultura di sinistra. In parte è anche vero. Soprattutto il vino rosso è un bel simbolo d’appartenenza, ma non ci sembra che i destrorsi siano tutti astemi o acqua tonica dipendenti. A meno che non si prenda in considerazione la vecchia teoria secondo la quale alla sinistra piace lo stato liquido mentre la destra propende decisamente per quello polveroso, specie se bianco neve. Tutti sanno che a Piergigi Bersani piace da matti la birra, ma possibile che non gli sia mai venuto in mente di assaggiare una folle “bicicletta”, quella bevanda che si ottiene aggiungendo alla birra la gazzosa in proporzione 1 a 3? Ma a quali feste dell’Unità ha partecipato il Segretario?

martedì 28 agosto 2012

Arriva la tassa sul Chinotto. Ragassi, questi son fuori di testa!

Uno legge la notizia e strabuzza gli occhi. Specie se la notizia lo riguarda direttamente stenta a crederci, muove freneticamente il mouse su e giù (che manco un cinque contro uno di quelli magistrali) ma la notizia non cambia. Il governo dei professori tassa le bevande analcoliche con zuccheri aggiunti ed edulcoranti. 7 euro e 16 centesimi per ogni 100 litri di acqua colorata e addizionata di anidride carbonica immessi sul mercato, sono una cifra mostruosa specie per chi, come noi, si approvvigiona di chinotto all’hard discount. E allora uno dice: e il vino? e i soft drink? e la birra? e rhum e pera? e varnelli e mirtilli? e vodka e ciclamino? Possibile che per una, diconsi una cazzo di bevanda che ancora ci è rimasta (perché l’acqua liscia ci ha sempre fatto un po’ schifo) occorrerà pagare una tassa aggiuntiva? Quanto diavolo verrà a costare quel litro e mezzo di chinotto che fino a ieri portavamo a casa a 42 centesimi? E poi, ma che diavolo c’entrano le bevande gassate e zuccherate con la salute di gente che convive quotidianamente con gli scarichi urbani e l’Ilva a quattro passi? Possibile che per colpire la Coca Cola si debbano colpire anche i semplici ed inermi consumatori di chinotto? Da quando in qua, i professori si battono contro le grandi multinazionali come fossero dei Che qualsiasi? Eppure dobbiamo farcene una ragione perché sembra proprio che i plurilaureati ministri della Repubblica Italiana, alla nostra salute ci tengano parecchio. E allora parliamo, ad esempio, dei soft drink, di quelle miscele incendiarie che le tasse di un governo che sta scalando rapidamente la classifica della demenzialità, non toccheranno facendone rimanere invariato il listino prezzi. Di quelle bevande che rappresentano la base di partenza di tutti gli alcolisti futuri, quelli che a 30 anni si ritroveranno con il fegato a pezzi, il cervello spappolato e praticamente impotenti. Parliamo degli ettolitri di birra ingurgitati in serate da sballo prima di passare a sostanze più pesanti o a quei vinelli apparentemente tanto leggeri (Champagne compreso) che scendono giù come un’aranciata salvo risalire e finire dritti in un cervello che non distinguerà più un albero da un’ombra e... crash. Insomma, ancora una volta sembra che il buon senso non abiti più qui, che la logica con cui si governa sia quella dei numeri e non delle coscienze, che si colpisce dove il mucchio selvaggio diventa folla e che valga sempre e comunque la regola della quantità. Aranciate, limonate, gassose, cedrate, coche e pepsi, red bull e imitazioni varie, acqua tonica e schweppes dry formula originale (il nostro personalissimo champagnino agricolo) saranno quindi vessate da tasse senza senso alcuno, proprio come l’aria delle Dolomiti che, essendo senza gas aggiunti, pulviscolo e percentuale d’ossigeno superiore alla norma dovrebbe essere goduta solo dietro pagamento di un sostanzioso ticket. Proprio come il sole che, se dovesse superare i quaranta gradi di calore consentiti, dal quarantunesimo in poi passerebbe il vigile urbano a fare il biglietto, come al Cinema Paradiso per vedere Totò. Ma un individuo che l’acqua liscia non la sopporta cosa fa, si convenziona con le terme di Acquasanta perché lo zolfo è esentasse?

lunedì 27 agosto 2012

Fra Grillo e Bersani volano stracci. Alla faccia dello stile british, un vero e proprio eufemismo.

Premettiamo subito una cosa: il linguaggio della politica si è imbarbarito, giusto, no? Non ci sono più i fini dicitori di una volta, quelli che per darti dello stronzo impiegavano una mezzora buona durante la quale sembrava ti stessero facendo un sacco di complimenti. Le mezzeseghe di Berlusconia, frazione di Topolinia, hanno ridotto il linguaggio politico a turpiloquio, al resto, alla sceneggiata pura, ha pensato El Caprùn riscoprendo i rutti, gli sputi, le pernacchie, la funzione catartica del dito medio, il rito liberatorio del vaffanculo. Iniziò Lui (la elle maiuscola è d’obbligo), quando diede dei “coglioni” agli italiani che votavano a sinistra. È chiaro che, delineata la china, gli altri si sono adeguati. Bossi dice che un rutto “esemplifica la comunicazione”, figuriamoci una scoreggia dopo una bistecca d’orso cosa può combinare. E così, con l’offesa personale assurta a “facilitazione di messaggi altrimenti complessi”, siamo arrivati agli scambi fraterni fra Beppe Grillo e Piergigi Bersani. Nelle ultime ore ne sono volate di cotte e di crude. Alle accuse di “fascismo”, si sono risposti “zombi”, “piduisti”, “azzannatori di carotidi”, “affamatori di popolo inerme”. Le dichiarazioni anti-Grillo a cura dei portavoce del Pd, recitano così. Migliavacca: “Quelle di Grillo sono dichiarazioni deliranti. Se non è un fascista la smetta di utilizzare e far girare un linguaggio fascistoide. Se poi Grillo vuole continuare a insultare faccia pure. Il Pd vuole pensare ai problemi degli italiani e quindi a battere la destra populista che ha in Berlusconi il suo punto di forza”. Boccia: “La verità è sotto gli occhi di tutti. Grillo fa quello che hanno fatto i più grandi populisti... è un milionario in pantofole che, dall'alto della sua villa, dà ordini a persone che oggi non credono nella capacità della politica di risolvere i problemi di ogni giorno”. A parte il fatto che tutti ‘sti politici in grado di risolvere i problemi della gente non ne vediamo in giro molti, forse nessuno, ma quelli del Pd continuano a picchiare violentemente sempre sugli stessi tasti, quelli del “milionario in pantofole”, senza considerare che forse è meglio un milionario in pantofole piuttosto che uno che soffre di satiriasi e ha distrutto in un ventennio questo paese. E la risposta di Grillo è (pur nell’uso spregiudicato del linguaggio) esemplare. Dice il “comico”: “A Bersani non mi sognerei mai di dare del fascista, gli imputo invece di aver agito in accordo con ex fascisti e piduisti per un ventennio, spartendo insieme a loro anche le ossa della Nazione”. Giudicate pure il metodo, ma il merito?

domenica 26 agosto 2012

Botta e risposta fra il cardinale Sepe e De Magistris sulla Napoli a luci rosse. Detto fra noi è solo un problema di “case”.

Brevemente la storia. Luigi De Magistris sta pensando seriamente alla individuazione di un quartiere da dedicare alla prostituzione e di un parco dell’amore in cui recarsi sentendosi quasi tranquilli nell'espletare alcune fondamentali funzioni dell'indole umana. Si può discutere a lungo sulla proposta del sindaco di Napoli, sulla sua opportunità, necessità, modernità, attuabilità ma, quello che non si sopporta più, è l’interventismo capriccioso di una chiesa cattolica che contestualizza le bestemmie pur di santificare Silvio e demonizza tutto ciò che viene dall’altra parte. Il sindaco ha chiesto una riflessione civile sull’argomento e c’è chi gli ha risposto con un sì o con un no motivando entrambe le posizioni. Lidia Ravera, ad esempio, ha detto che è un provvedimento da centrodestra, e non abbiamo difficoltà a darle ragione. Resta comunque un modo di contribuire a una discussione aperta esprimendo semplicemente la propria opinione. C’è chi invece, come il cardinale Crescenzio Sepe, l’ha messa giù dura non criticando ma demonizzando tout-court. Eppure sul parco dell’amore, un cattolico illuminato potrebbe discutere tranquillamente, invece il cardinale ha scelto il muro contro muro affermando: “Capisco che non essendoci idee e proposte concrete rispetto ad argomenti seri e di interesse generale, si ricorre a temi a effetto come è avvenuto con l'ipotesi di realizzare case a luci rosse e un parco dell'amore. Mi domando - ha proseguito - è questo il principale e ultimo problema da risolvere a Napoli? O forse si vuole offrire un diversivo e una distrazione alle migliaia di giovani che non vedono alcuno spazio e che sono costretti a considerare il lavoro un miraggio?”. Ovvio che l’attacco non è stato né morale né di costume ma politico e “politicamente” ha risposto, a stretto giro di comunicato stampa, Luigi De Magistris: “Lei Cardinale dice che l'amministrazione vuole tornare alle case chiuse? Giammai Cardinale! Ma dove lo ha letto? E poi Lei che si è occupato di ben altre case quando era a Roma, sa bene che noi vogliamo case aperte, trasparenti”. Se il cardinale Sepe non fosse rimasto coinvolto nell’inchiesta di Perugia sugli immobili di Propaganda Fide, la sua intemerata avrebbe avuto un senso, ma non essendo così, è chiaro che il sindaco usa gli argomenti che ha, e quello che ha usato sta a testimoniare che il cardinale di tutto può parlare meno che di case. Sbaglieremo ma la nostra convinzione è che la connivenza pluriennale e reiterata con il “sistema Berlusconi”, continuerà a tenere la chiesa in una posizione di eterno stand-by. Quando manca la coerenza tutto diventa maledettamente difficile.

sabato 25 agosto 2012

Anders Breivik. Se lo Stato accetta una sfida di civiltà sapendo di vincerla.

La sentenza della Norvegia contro Anders Behring Breivik, il massacratore dell’isola di Utoya, ha scandalizzato mezzo mondo per la “mitezza” della pena: solo 21 anni di carcere, il massimo previsto nell’ordinamento di uno Stato che sa di poter vincere ogni possibile sfida di civiltà. Per affibbiargli una condanna maggiore, la Norvegia avrebbe dovuto cambiare il suo codice penale o, in alternativa, dichiararlo “pazzo”, chiuderlo in manicomio e buttare la chiave. Il paese scandinavo non ha fatto niente di tutto ciò. La corte presieduta dal giudice Arne Lyngln, ha comminato semplicemente il massimo della pena dopo aver dichiarato lo stragista “sano di mente”, riconoscendogli di fatto un ruolo politico. In altre parti del mondo lo avrebbero prima torturato e poi fucilato, gasato, sedia elettrizzato. Gli unici paesi al mondo dove sarebbe stato considerato un eroe, forse, potevano essere il Cile di Pinochet, l’Iran di Komeini, la Siria di Assad e il Texas di G.W.Bush, gli altri lo avrebbero inviato direttamente in un manicomio criminale. I norvegesi no. Loro hanno un senso della giustizia e del “recupero” sociale di un criminale che va al di là di qualsiasi umana comprensione: nessun sovraffollamento, celle confortevoli, “case-lavoro” e soprattutto impegno produttivo a tempo pieno. Il risultato è che solo il 12 per cento dei condannati (fra i quali criminali veri) torna a delinquere, l’altro 88 torna a svolgere compiti socialmente utili e da liberi. Cos’è accaduto dunque a Oslo? E’ successo che Breivik è stato considerato un criminale qualsiasi e, pertanto, non degno di nessuna “stretta” giudiziaria. Subirà esattamente la stessa sorte di altri condannati a 21 anni, verrà ospitato in una cella confortevole e, per la prima volta in vita sua, lavorerà. La Norvegia gli ha riconosciuto un ruolo politico ed ha accettato la sfida non cambiando nulla di se stessa né ricorrendo a misure straordinarie. L’unico momento di stizza del giudice Liyngln c’è stato quando Breivik, dopo la lettura della sentenza, ha dichiarato di averne uccisi pochi e ha chiesto scusa al suo gruppo integralista per essere stato troppo mite. Ma un gesto di stizza non toglie nulla al senso di un provvedimento emanato da un tribunale di una nazione che sa che la violenza non si combatte con la violenza, né fisica né psicologica. Bella lezione di civiltà per altre "culle" di civiltà ben più antiche di quella norvegese o semplicemente più famose. 

venerdì 24 agosto 2012

Con la cultura si mangia eccome. Il risultato dell’indagine di Unioncamere dimostra che è l’unico settore che tira.

Insieme alla buona notizia che il caldo sta finendo, accompagnato dall’ennesima (e speriamo ultima) estate di merda della nostra vita, una indagine di Unioncamere (l'altra buona notizia) dimostra inequivocabilmente che con la cultura si mangia, eccome. Ma ve le ricordate quelle mezzeseghe di macellai disadattati, ignoranti cronici, pressappochisti e arraffoni ministri del governo del Nano Bifronte? Per loro qualsiasi cosa che andasse al di là del Ballo del Qua Qua e della Salsa di fine anno, ritmata sculettando uno dietro l’altro a formare il mitico, fantozziano trenino, era una perdita di tempo. Ma ve lo ricordate lo scomparso superministro dell’economia, quello che blaterava sul non senso della cultura, tanto che Corrado Guzzanti fu costretto a farne una superlativa imitazione nella quale definiva Mimì una “baldvacca tisica” e dava il numero verde del ministero per dire che la baldvacca, alla fine, moriva sempre di tisi? Il tutto serviva a dimostrare che la lirica era inutile. Ebbene le stesse mezze seghe che continuano a negare ogni loro coinvolgimento nella sfacelo italiano, leggendo il risultato della ricerca avranno avuto sicuramente un sobbalzo, sempre che la sappiano leggere, una statistica. Tanto per iniziare, nel 2012 nel settore cultura sono previste 32.250 assunzioni (di cui 28.800 stabili e 9370 stagionali). Il trend in crescita dell’intero settore è pari allo 0,8 per cento annuo mentre la media nazionale degli altri si attesta intorno allo 0,4. Tra il 2007 e il 2011, mentre Tremonti e Quattromari affermava che con la cultura non si mangia, il settore assicurava il posto di lavoro a 55mila nuove unità. È vero, molte stagionali, ma in grado di sopperire alle basilari esigenze economiche di una persona per l’intero anno. Di più. Il comparto cultura è alla ricerca di una duplice professionalità. Da una parte laureati in ingegneria, economia e delle facoltà tecniche altamente specializzate, dall’altra sembra che sia l’unico settore nel quale l’esperienza diretta sul campo rappresenti in qualche modo un aspetto premiante in barba all’età e ai requisiti fisici. Il 30 per cento del personale richiesto riguarda laureati, mentre il restante si basa appunto sull’esperienza maturata. Dalla ricerca di Unioncamere emerge in maniera inequivocabile che tutto il settore cultura è destinato a crescere vertiginosamente nei prossimi anni e se ne stanno accorgendo tutti meno, ovviamente, i governanti, sempre più Goebbels sempre meno accorti, figuriamoci profeti. Il piatto servito è ricchissimo. Basterebbe crederci e non dare per scontato che Mimì è destinata a morire per sempre di tisi.

giovedì 23 agosto 2012

Il tonitruante Formigoni: “Il Papa prega per me”. Questi ciellini, senza raccomandazioni non muovono un passo.

Ieri è stato il suo giorno. Ingresso trionfale dalla porta più lontana, come i divi, come le star. Cento metri percorsi a piedi per ricevere l’abbraccio dei suoi fans e prima di raggiungere il palco da dove, invece di parlare della Lombardia, Il Governatore “a fiori” Formigoni ha parlato dei cazzi suoi. Invettive contro tutti, maledizioni e, trattandosi di un’arena cattolica, perfino anatemi contro i complottisti giornalisti di Repubblica. Il giornale di Ezio Mauro è diventato il centro dei suoi incubi peggiori, un cartaceo Freddy Krueger pronto a colpirlo al primo sonno e senza la possibilità di nessun risveglio. La Repubblica è la Spectre, la Stasi, il Kgb e meno male che non ha citato l’Ovra altrimenti ci saremmo fatti quattro risate. E allora, via al pianto: “Da Repubblica è partita la parola d’ordine per abbattere la Regione Lombardia. C’è una evidente ragione politica per quanto è successo: dopo che l’11 novembre è caduto Berlusconi, dal quotidiano è partita la parola d’ordine di abbattere il presidio più saldo e importante del centrodestra che ha anche altri difetti, per loro, perché retto da un cattolico ciellino”. Dopo aver cantato la solita canzone della “via giudiziaria” per risolvere i conflitti politici, il Celeste Governatore ha fatto anche un timido mea culpa: “Ho sbagliato e chiedo scusa, ma l’ho fatto perché non potevo permettere che contro l’esperienza della Regione Lombardia e quella che mi ha generato, fossero scaricate ingiustamente tonnellate di fango”. Fra le lacrime, Formigoni ha aggiunto: “Non rifarei le vacanze ai Caraibi, di questo mi rammarico, ma so che nulla di ciò che ho fatto è contrario alla legge”. Strana, l’idea di legge che hanno i politici. Per loro la legge è tutto ciò che non è reato, semplicistica definizione per non essere accusati di crimini contro la decenza, il buon gusto, la violenza psicologica, il ricatto mai manifesto ma sempre strisciante. Perfino a Silvio non si possono muovere accuse per le feste a luci rosse di Arcore, almeno fino a quando non si scopre che c’erano anche minorenni non propriamente aduse a frequentare la castità. Perché fare sesso con le minorenni è reato, indurre a farlo ancora di più. Ma, cari amici, Formigoni gode di simpatie molto in alto, altrimenti che Celeste sarebbe. Perfino il Papa, nell’ultima visita a Milano, incontrandolo gli ha detto in un orecchio: “Bob non preoccuparti, io prego per te”. E Bob ha pianto, calde lacrime sono scivolate lungo le guance e la camicia a fiori, inondando il sagrato del Duomo e la sede della presidenza al Pirellone. Milano è stata letteralmente invasa dalle lacrime di Formigoni, disperato e commosso, contrito e sollevato da cotanto perdono. È vero, anche i futuri santi piangono, in jeans rossi e hawaiana meglio.
Ultimissima sul versante gay. Maurizio Lupi ha dichiarato: “Se c’è un problema di accesso ai diritti va affrontato. Ma sono contrario al matrimonio”. Lupi, ovviamente, si trova a Milano. Fosse stato a Rimini non avrebbe certamente contribuito allo “svilimento della razza”.

mercoledì 22 agosto 2012

Famiglia Cristiana contro Comunione e Liberazione. Lecca, lecca alla fine resta il bastoncino.

Don Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana


Ci risiamo. Quelli di Famiglia Cristiana sono sempre gli stessi, nonostante i commissariamenti vaticani a gogò, nonostante il settimanale edito dai padri Paolini sia inviso ormai da tempo alle alte gerarchie ecclesiastiche, nonostante le continue minacce di chiusura e di ridimensionamento. FC è un settimanale scomodo pur non essendolo sempre stato, anzi. È che a loro di baciare le pile o di leccare fino al bastoncino non è mai piaciuto, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’editoriale attacca: “Sembra che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione”. Bello, no? Soprattutto chiaro, vivaddio (e non sembri una battuta). E mica finisce qui. L’editoriale prosegue: “Un lungo applauso dei ciellini ha accolto il Premier. Una prassi. Tutti gli ospiti del Meeting, a ogni edizione, sono stati sempre accolti così: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi. Qualunque cosa dicessero. Poco importava se il paese, intanto, si avviava sull’orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare”. Dell’editoriale colpisce soprattutto la punteggiatura quasi priva di virgole o punti e virgola. Tutti punti, solo punti, quasi a voler rafforzare il senso di un ragionamento durissimo. L’attacco finale a Cl (perché per il Professore ce n’è ancora), è lapidario: “Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione. Quell’omologazione da cui dovrebbe rifuggere ogni giovane. E che rischia di trasformare il Meeting di Rimini in una vetrina: attraente, ma pur sempre referenziale”. A Mario Monti, invece, Famiglia Cristiana sciorina cifre e numeri, segnali inequivocabili di un fallimento totale, soprattutto sul fronte dell’equità: “Il paese è stremato – chiosa il settimanale – dieci milioni di famiglie tirano la cinghia. La disoccupazione è al 10,8 per cento. Solo un italiano su tre ha un posto regolare a tempo indeterminato”. Lo diciamo da sempre, se s’incazzano i frati non ce n’è per nessuno. 
Un piccolo ricordo personale. Nel 1989 tenevo una rubrica di cazzeggiamenti su un settimanale dell’Aquila
Il titolo della rubrica era “Pinzillacchere&Frattaglie” e mi divertivo come un matto, già allora, a bastonare Silvio, Giuliano Ferrara, Marcello Dell’Utri e soprattutto, quello che era diventato il tormentone della mia rubrica che terminava sempre allo stesso modo: “Tranquilli, se ce l’ha fatta Calderoli ce la farete anche voi”. Ad agosto di quell’anno mi capitò di criticare pesantemente il Meeting di Rimini che già faceva danni. Non lo avessi mai fatto! Dalle sette del mattino fino al tardo pomeriggio (prima del vespro), mi telefonavano frati incazzati neri con me ché, da signor nessuno, mi ero permesso di criticare gli astri nascenti di Cl. I frati ragionavano di teologia, io di politica, due mondi che solo apparentemente sembrano contrapposti. Non potendo spuntarla in nessun modo, i frati (non dico di quale ordine per pudore), finivano sempre le loro telefonate dicendomi: “D’altronde, su una rubrica che si chiama ‘Pinzillacchere&Frattaglie' cosa si può mai leggere?”. È vero, sono così da sempre. D’altronde, su un blog che si chiama massimoconsortiblog.blogspot.com, cosa diavolo volete trovarci, l’annuario di Diabolik?
Un mio PS doveroso in "commenti".

martedì 21 agosto 2012

Dagli Usa a Rimini è tutto un rigurgito di “neocon”. Stavolta però a farne le spese non sono i comunisti ma Casini. C’è proprio qualcosa che non va.

Todd Akin è uno stupidino deputato neocon che sta cercando con tutte le sue forze di essere eletto al Senato degli Stati Uniti d’America. È talmente stupidino che pur di accaparrarsi un po’ di voti degli ultrà cattolici americani, non esita a sparar cazzate sugli stupri, il diritto delle donne di abortire dopo esserne state vittime e puttanate cantando. Prima ha “statisticamente” negato che le donne stuprate possano rimanere incinte: “I medici mi dicono che è una eventualità decisamente rara”, e poi ha concluso la sua intervista dicendo: “Nel caso remoto in cui si dovessero verificare queste gravidanze, le conseguenze dovrebbero essere per lo stupratore, non per il feto”. Apriti cielo. Le donne made in Usa si sono incazzate ferocemente, tanto che i vertici del Partito Repubblicano, già in grossa crisi con l’elettorato femminile, gli hanno consigliato vivamente di dimettersi. Ma lui niente, resta al suo posto. Si è scusato ma poi ha detto che la pensa così. Cosa diavolo si sia scusato a fare è un mistero che solo i neocon, a diretto contatto con il padreterno, ci potrebbero svelare. Todd Akin, oltretutto, è il braccio destro di Paul Ryan che, nel caso di una non auspicabile vittoria di Romney, diventerebbe il vice presidente degli Stati Uniti. Capita l’aria che tira da quelle parti? E comunque non è che a Rimini se ne respiri una migliore. La timida apertura di Pierfy Casini nei confronti delle problematiche gay, ha scatenato i neocon italiani, sì, insomma, i bianco fiore simbolo d’amore con i conti correnti in Svizzera. I ciellini, noti in tutto il mondo per la loro tolleranza, umanità, disponibilità, hanno definito le unioni gay: “Un male per l’umanità. Un rischio per l’avanzamento della specie. Un’assurdità”. Ci vuole un bel coraggio a parlare di specie, soprattutto da parte dei candidi fautori dell’illibatezza e delle scelte pro-castità, resta però il fatto che Casini è stato pesantemente insultato e definito: “Un cattolico senza chiesa a caccia di voti”. Ai ciellini i voti non servono. Alla loro elezione concorrono  e pensano le liste truccate e, naturalmente, la Provvidenza.  

lunedì 20 agosto 2012

Monti al Meeting di Cl: “Vedo la fine della crisi”. Chi la fine l’ha vista sul serio è Angelo Di Carlo, suicida per disperazione.

Mario Monti sparge ottimismo a piene mani. Sembra Silvio del periodo rosa shocking, quello di: “Abbiamo tre telefonini a testa, cazzo volete di più?”. Va al Meeting di Cl e spiega ai cattolici che l’uscita dal tunnel è vicina, come se a gente che dalla loro ha nientemeno che la provvidenza, importi qualcosa. Si potrebbe anche dire che la Provvidenza ciellina non è quell’entità astratta che tutti pensano, l’alito di vento benefico che investe i disperati e in un amen li salvifica. La Provvidenza di Roberto&Co., ha piuttosto le sembianze degli appalti, delle commesse, della rete capillare delle assunzioni, delle mille e mille attività no-profit che sono bravissimi a trasformare in profit, dell’occupazione dei posti che contano perché la loro potenza di fuoco elettorale è quasi simile a quella dei Comitati Civici di Gedda: bianco fiore simbolo d’amore e pedalare. Ci piace l’ottimismo di Mario Monti, anche se resta la sensazione che forse avrebbe dovuto spargerlo non a Rimini ma a Termini Imerese, a Taranto, nel Sulcis, in Val di Susa e anche a Piazza Montecitorio, magari indirizzandolo a una sola persona, Angelo Di Carlo, che forse avrebbe rinunciato a darsi fuoco. Quando accadono fatti del genere sono tutti lì a piangere, a invocare il destino cinico e baro, a prendersela con il mondo intero meno che con se stessi, perché prendercela con noi per l’immobilismo, il qualunquismo, il pressappochismo che ormai hanno invaso le nostre esistenze, un po’ di fatica la comporta. Da quando c’è il Professore, i suicidi sono aumentati in maniera esponenziale. Dagli imprenditori agli operai, dagli artigiani ai commercianti ai cassintegrati e ai disoccupati fissi, sembra che il suicidio sia rimasto l’unico modo per fuggire dall’impossibilità di vivere con dignità. Ci siamo soffermati a guardare un momento gli sponsor del Meeting e abbiamo pensato a Angelo Di Carlo. Maledizione, c’è qualcosa che non funziona più.

domenica 19 agosto 2012

Oggi il Meeting, il più grande palcoscenico dei cattolici impegnati negli... affari.

Il punto di partenza del Meeting di Cl di quest’anno è la lettera che monsignor Julián Carròn, successore di don Giussani alla guida spirituale del Movimento, scrisse a laRepubblica lo scorso mese di maggio. Scriveva Carròn: “Se Comunione e Liberazione è continuamente identificata con l'attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”. Il nucleo del discorso è proprio questo. Che Cl targata Formigoni, Lupi & Co. non fosse solo un club di altruisti benefattori e mecenati, se n’erano accorti tutti, ma che la confusione fra spirito ed euri fosse tale da ingenerare sospetti non sempre benevoli e da spingere Carròn al passo “Repubblica”, non era neppure ipotizzabile, quasi quanto la distanza fra l'essere e l'apparire, l’Orsa Maggiore e Cassiopea. E così, anche se a malincuore, il martello pneumatico ciellino da quando il Meeting esiste, ovvero il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, è stato costretto a fare un passo indietro. Lui l’ha presa da sportivo qual è: “Ne approfitterò per fare qualche giorno di vacanza a Rimini”, ha dichiarato a chi gli chiedeva della sua presenza defilata, e confermando che di pagarsi le vacanze di tasca propria, lui non ci pensa nemmeno. Pertanto, anche se la sua presenza è annunciata solo per una tavola rotonda su “Lombardia fra presente e futuro”, un mezzo pomeriggio di impegno, il vezzo di scroccare vacanze è evidentemente parte inalienabile e imprescindibile del suo dna. Passato direttamente da Andreotti a Berlusconi, il Meeting va anche quest’anno alla ricerca del suo prossimo, futuro faro illuminante il pensiero tutto economico affaristico che pervade Cl. Sembra che lo abbiano trovato. Si chiama Mario Monti e fa il presidente del consiglio pro tempore. Che volpini ‘sti ciellini.

sabato 18 agosto 2012

Free Pussy Riot. È l’impero del Putin del “niet”.

Viste così sembrano tre ragazzine che stanno vivendo una storia più grande di loro. Se non fosse per quello sguardo che dà vagamente sul furbo tendente al malizioso, potrebbero essere tre teenager pizzicate in un centro commerciale a rubare slip e rossetti, magari una matita morbida per gli occhi. Invece sono pericolosissime criminali, suppergiù tre killer seriali in gonnella, che hanno attentato al sacro sentimento religioso permettendosi di cantare una canzonetta (punk) dall’altare di una chiesa ortodossa. Il patriarca ortodosso Kirill, ha definito un “sacrilegio” le quattro note che sono risuonate stanche lungo la navata della chiesa, mentre gli ortodossi più ortodossi che chiameremo per brevità “ortodossoni”, hanno tirato in ballo perfino il reato di “blasfemia”, quello che insieme alla stregoneria condannava al rogo povere sventurate fino a qualche secolo fa. Ovviamente le tre Pussy Riot ce l’avevano con Vlady che, da quando non frequenta più assiduamente Silvio, sembra aver perso lo smalto dei giorni migliori e l’ironia tutta made in Kgb, che gli permettevano di risolvere i problemi con gli oppositori semplicemente tirando un colpo di pistola in faccia ai rompicoglioni di turno. Che poi fossero donne, come Anna Politkovskaya, non gl'importava una cippa, l'obiettivo era tornare al silenzio. A favore delle Pussy Riot si è mobilitato mezzo mondo. I due anni di prigione comminati alle tre ragazzine da un giudice donna, Marina Syrova, hanno scatenato un putiferio che è partito da Madonna per arrivare a Bjork fino a Paul McCartney che sicuramente non l’ha mandata a dire né a Vlady né agli integralisti ortodossi. C’è da dire che, farisei come sono, i popi hanno invocato clemenza a favore delle tre sventurate senza Dio e la stessa cosa ha fatto Putin mettendo mano alla Smith&Wesson che teneva nella fondina. Eccezionali le ragazze. Alla Novaya Gazeta, il giornale per il quale lavorava Anna Politkovskaya, hanno dichiarato: “Abbiamo già vinto. Abbiamo imparato ad arrabbiarci con le autorità e a parlare ad alta voce di politica”. Pentite manco pe’ niente, le Pussy Riot, tramite quella che sembra essere la portavoce, Nadezhda Tolokonnikova, hanno detto: “Non crediamo in una sentenza come questa. Questo non è un processo: è un'illusione. Davvero non ci aspettavamo un processo - hanno aggiunto - perché non abbiamo mai commesso alcun reato. Non sospettavamo neanche che le autorità sarebbero state così stupide da perseguire delle femministe punk anti-Putin, dandoci legittimità nello spazio sociale”. C’è da dire che fra gli arrestati presenti davanti al tribunale in attesa della sentenza, c’era anche l’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov che, a quanto sembra, è stato pure malmenato. Si sa, Vlady è un vero e proprio campione dei diritti umani. In Cecenia ancora se lo ricordano.

venerdì 17 agosto 2012

Dal Maghreb a Capriata d’Orba. Arriva la nuova ondata d’afa oltre 40°. Si chiama Umberto e viene da lontano.

Ve lo ricordate l’Umberto di qualche estate fa? Era l’unico politico in circolazione ad agosto e i giornalisti lo inseguivano sapendo che avrebbe avuto una parola per tutti. La tattica del Senatur era consolidata. Mentre gli altri colleghi parlamentari si godevano le meritate ferie all’ombra di palme lussureggianti e gonfie di datteri lui, ciabatte ai piedi, pantaloni di cotone kaki, canottiera da muratore con spalline strettissime, si aggirava per Ponte di Legno facendo intendere che era disponibile anche per un intervista al Corriere di Vigata. Le chiacchierate di Bossi con i giornalisti erano memorabili. Un po’ perché non ruttava, non affanculava, non alzava il medio in segno di saluto padano, non spernacchiava con quel fare un po’ volgare che l’ictus gli ha addirittura peggiorato (oggi si assiste ad una pericolosa fuoriuscita di saliva a pallini), l’Umberto era quasi simpatico. È vero, i temi erano sempre gli stessi, consolidati anche loro: Padania libera, le baionette bergamasche, i camionisti bresciani, gli allevatori di mucche al pascolo che sforavano le quote latte, Roma ladrona, magna magna, gratta gratta, i negher più negher del negher, gli albanesi violenti, i rumeni acchiappa rame, la lotta senza quartiere ai vu’ cumprà e ai taroccatori cinesi, l’invidia sempre meno celabile del “pene” di Berlusconi, però Bossi dettava le sue regole, i suoi tempi, le sue prerogative, le sue priorità che, arrivati a settembre, nessuno ricordava più, men che meno lui. Dopo lo scandalo che ha travolto la familistica gestione della Lega e la pesante estromissione dalla segreteria, Bossi sembra un mastino assetato di vendetta tanto che, ne siamo sicuri, se potesse addentare il polpaccio di Bobo Blues Maroni lo farebbe volentieri. Ormai fa comizi in paesini che una volta non avrebbe neppure sfiorato con la sua auto blu, accompagnato da Calderoli a bordo della liana truccata 3000cc. Si è ridotto un po’ come Mal che porta nelle feste di frazioni e borgate ancora e per sempre “Furia cavallo del West”. Ma a Capriata d’Orba, in provincia di Alessandria, Bossi ha avuto ieri la sua ora di bagno popolare. Ha esordito dicendo: “La prossima settimana prendo possesso del mio ufficio di Presidente e saranno cazzi padani per tutti”. Sulle espulsioni che ci sono state nel frattempo, Umberto non ci sta e afferma con impeto: “Valuterò se ci sono state espulsioni ingiuste, e ce ne sono, e vedrò se qualcuno è stato ingiustamente declassato da sostenitore a militante... non è perché qualcuno sbaglia dopo aver a lungo combattuto con noi che lo si può cacciare via”. Sulla base di cosa Bossi potrebbe intervenire non si sa, quello che è certo è che il congresso leghista ha dato al presidente gli stessi poteri che ha Alfano nel Pdl o Bersani nel Pd: nessuno. Ma il meglio del suo repertorio viene fuori quando Bossi parla di Roma. Diciamolo, la pajata non gli è piaciuta granché, lui preferisce le bistecche d’orso slavo, per cui: “Per Roma ladrona è finita, adesso c'è l'Euroregione alpina. Lo Stato centralista ha finito di schiacciarci... Monti incarna la solita Roma che gratta, gratta, gratta. Ma questa volta è finita e tra non molto ci troveremo in tutte le piazze a festeggiare la libertà della Padania”. E pensare che l’ondata di caldo maghrebino è fermo ancora a Pantelleria.

giovedì 16 agosto 2012

Vuoi un’intervista in tv? Paga. Cosa non si fa per un quarto d’ora di celebrità.

È inutile che Beppe Grillo s’incazza. Lui c’è abituato a farsi pagare per rilasciare interviste, ma non sono mica tutti come lui e, soprattutto, non tutti hanno lo stesso appeal mediatico. Regola fissa nelle tivvù commerciali, stipulare contratti per interviste programmate e a scadenza fissa, è sicuramente una delle maggiori fonti di guadagno, con la pubblicità, delle ex televisioni libere, quelle che “libere” davvero, in fondo, non lo sono mai state. Quello che è accaduto in Emilia-Romagna fa scandalo solo perché, in questo gran puttanaio dell’informazione dopata, è incappato un esponente importante del M5S, Giovanni Favia il quale, lontano da ogni parvenza di pentimento, ha detto testualmente al suo capo che lo aveva bacchettato via web: “Il contratto con la televisione ce l’ho, ho pagato, non ho nessuna intenzione di rinunciare”. E ha così concluso: “L’informazione non è libera”. Ma che ti venga un bene! A noi queste scoperte traumatizzano. Le televisioni “incriminate” (virgolettato perché non è stato commesso nessun crimine), sono Rete7 e ètv. Nulla da dire sulla prima, fa il suo lavoro, ti propone un pacchetto commerciale, arriva il giornalista, ti domanda quello che vuoi ti domandi, dai la risposta che desideri. Il gioco è fatto, il contratto rispettato. Diverso, invece, il discorso che riguarda ètv che non solo è una emittente dei vescovi ma che fino a ieri ha decisamente negato ogni tipo di “marchetta” strutturata. Le Loro Eccellenze non hanno però potuto negare l’evidenza, com’è nel loro costume e nella loro indole cattolica, perché i rappresentanti della Lega, dell’Udc, del Pdl e perfino di Sel hanno mostrato pubblicamente i contratti. L’Ordine dei Giornalisti (al quale apparteniamo, per cui è anche il nostro), ha deciso di vederci chiaro perché, pur non essendoci, lo ripetiamo a scanso di equivoci, nessun reato e nessuna legge violata, quella che viene messa pesantemente in discussione è la deontologia di un lavoro nato per non fare sconti a nessuno mentre si scopre che, dopo quattro interviste, una è gratis. L’Ordine, insomma, sta mettendo in discussione la professionalità di persone che si fanno pagare per quello che dovrebbe essere un fondamento del nostro mestiere: “Intervistare per capire”, mentre qui si intervista per mangiare. Che gli organi di informazione si facciano pagare le notizie non lo scopriamo sicuramente noi. Ci sono giornali che realizzano pagine di pubblicità mascherate da servizi per poi farsi compensare con l’acquisto di decine se non di centinaia di copie. Abbiamo lavorato per testate locali, sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando. Le marchette, nel nostro mestiere, sono all’ordine del giorno per cui si assiste tranquillamente ai buoni pasti regalati a un collega per una serie di servizi su un ristorante. Una pagina pubblicitaria costerebbe molto di più, tanto vale rivolgersi al marchettaro di turno. Con l’avvento di Silvio questo tipo di “informazione” ha avuto uno scatto in avanti formidabile. Ti pago perché quel servizio non appaia, è diventato un tormentone che ha finito per evidenziare ricatti di ogni genere e natura, non solo politica. Questo è un mestiere maledettamente serio che bisognerebbe affrontare e vivere quasi con spirito di sacrificio. Dare notizie manipola in qualche modo l’opinione pubblica, darle false o drogate dovrebbe essere un reato: di circonvenzione di incapace.

mercoledì 15 agosto 2012

Risolto il problema del sudore alle ascelle. Mitt Romney adora i succhi di frutta alla pera e Napolitano, finalmente, è tornato da Timbuctù. Buon Ferragosto, popolo.

Sudatori ascellari di tutto il mondo unitevi, non avete da perdere che le vostre ghiandole. Si realizza, insomma, il sogno di tutti quegli uomini e quelle donne abituati a vedersi formare improvvisamente sotto le ascelle, quelle antiestetiche macchie rotonde che spesso emanano anche un odore che, definire nauseabondo, significa fare un torto al Pino Silvestre Vidal. Un’azienda californiana, un posto dove le macchie causate dalla iperidrosi si vedono tutto l’anno, ha infatti messo a punto una specie di apparecchio a microonde che cancella in un amen, e in anestesia locale, nientepopodimeno che le ghiandole ascellari. Qualcuno potrebbe dire “Ohibò e io senza le mie ghiandole come faccio?”. Niente paura, l’effetto dura solo dodici mesi. Il costo, per non impregnare più di sudore magliette e camicie, è di 3mila dollari, praticamente un regalo di quei filantropi dei californici che una ne pensano e cento ne fanno. Il Midwest è in crisi nera? La “Jack Daniels” non riesce più a trovare la torba con la quale profumare il suo elisir? Marchionne vuole licenziare 10 operai della Chrysler di Detroit che, anche se non hanno combinato una mazza, devono comunque rappresentare per tutti un esempio di quello che significa essere un manager con le palle? Niente di tutto questo, il cruccio made in USA del Terzo Millennio, è il sudore sotto le ascelle. Eppure gli americani hanno altri problemi, come quello del gaffeur Romney che ieri ne ha combinata un’altra delle sue. Il caro Mitt, in viaggio a Miami per la campagna elettorale presidenziale, ha pensato che un salto presso la comunità degli anticastristi espatriati cubani, fosse quanto di meglio fare per tentare di recuperare quel 7 per cento che lo separa da Barack Obama. Fin qui nulla di strano se non che, colto come sempre dalla sua incontenibile, proverbiale voglia di combinarne una più del diavolo, ha scelto il locale più alla moda di Miami, El Palacio de los Jugos, di proprietà del señor Reinaldo Bermudez detto il “Guajiro”, conosciuto dalle patrie galere come spacciatore di droga. Mitt Romney (che iddio lo preservi ma lo tenga lontano dalla Casa Bianca), non si è minimamente chiesto il perché del successo dei succhi di frutta del “Guajiro”. A lui, la pera, piace moltissimo. A prescindere. Dopo il semaforo verde allo spending review, è sceso in campo il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano ha detto: “Che i prossimi tagli siano equi e socialmente sostenibili”. Ci sorge spontanea una domanda: “Ma signor Presidente, con tutto il rispetto, negli ultimi dodici mesi lei dov’è stato, in visita protocollar-diplomatica a Timbuctù?”.

martedì 14 agosto 2012

Fini vs. Belpietro e la storia infinita fra Marchionne e la Fiom. Manco a Ferragosto è possibile parlare di minchiate.

Il fatto è che se dalle parti dei berluscones stai sulle palle a qualcuno, non ti mollano mica tanto facilmente! È come se Maroni avesse smesso di rosicchiare il polpaccio del poliziotto addentato durante la famosa perquisizione (1996) nella sede della Lega Nord: innaturale. È quello che deve aver pensato Gianfranco Fini leggendo l’attacco di Libero ai suoi presunti privilegi di Presidente della Camera. Aver costretto il loro capo ad elemosinare un misero voto a Scilipoti (“testina di minchia”, lo chiama la mamma da quando Mimmuzzo non si vede più in tivvù), a Razzi e a quel veltroniano di ferro di Massimo Calearo, per loro deve essere stata un’onta da lavare a sangue e gossip perché oltre, onestamente, non sanno andare. Sull’ennesimo “caso Fini” è dovuta intervenire addirittura la ministra capa del Viminale, tal signora Cancellieri che, addirittura supportata dal capo della polizia in persona Manganelli (un nome, un destino), ha riaffermato che la sicurezza del Presidente della Camera non è una fisima personale di Gianfry ma risponde a un protocollo di Stato. Incassata la dichiarazione dei due big della sicurezza nazionale, Gianfranco Fini ha dato mandato ai suoi legali di rimettere querela alla vittima dei più ridicoli attentati terroristici degli ultimi 150 anni, Maurizio Belpietro che di mestiere, dicono, fa purtroppo il giornalista. Se dovessero incontrarsi di persona personalmente in un’aula di tribunale, fra i due se ne dovrebbero vedere delle belle perché, diciamolo, si odiano a tal punto che odiarsi di più sarebbe amore. Volendo però lasciare da parte il ridicolo, non possiamo non prendere atto che alla Fiat e a quel gran pezzo di manager che risponde al nome di Sergio Marchionne, la legge italiana non ne lascia passare una. L’ultima è di ieri. La Corte d’appello di Roma ha respinto il ricorso della Fiat contro il pronunciamento dello stesso Tribunale di Roma che aveva sancito l’immediata riammissibilità dei 145 operai Fiom che la newco Fabbrica Italia Pomigliano, aveva deciso di lasciare a casa. Questa ennesima decisione “contro” da parte di un tribunale italiano, dovrebbe far capire a Marchionne che non sempre può fare quel che diavolo gli pare, nonostante Chiamparino lo consideri un semidio e Fassino il cittadino più illustre di Torino, città nella quale va ogni tanto a lavorare in elicottero per fuggire quanto prima la sera e tornarsene a dormire in Svizzera, questione di silenzio. Da Torino fanno sapere che la decisione della Corte d’Appello di Roma è solo un “fatto tecnico” e che loro non hanno alcuna intenzione di far rientrare in fabbrica gente che va ancora in giro con la bandiera rossa, fischietta l’Internazionale, sputa per terra, non si lava i piedi, puzza terribilmente di vodka e rhum cubano e, abiezione delle abiezioni, va in giro con la tuta bianca sulla quale spicca una macchietta di pomodoro. Ma siamo sicuri, monsieur Sergiò, che si tratti di pomodoro e non di sangue operaio?

lunedì 13 agosto 2012

Martin Schulz a Sant’Anna: “Silvio? Uno smemorato”.

Secondo noi, non standoci né un casino né un casinò, dove diavolo si trovi Sant’Anna di Stazzema, Silvio neppure lo sa. Il fatto è che dopo essere stato costretto a sdoganare i fascisti per governare, Nano Bifronte ha pensato di revisionare un po’ la storia patria proprio come se fosse la sua monovolume. Per cui, Mussolini è diventato un grande statista, il fascismo il periodo storico di maggior prestigio internazionale dell’Italia, le leggi razziali una svista politica, gli esili degli antifascisti vacanze in località turistiche più o meno amene. Inoltre. Matteotti andò a sbattere accidentalmente contro la balaustra del Lungotevere Romano, Antonio Gramsci morì a causa della puntura di una zanzara anofele in incognito, Piero Gobetti si imbattè per caso in un gruppo di teppisti in camicia nera che lo pestarono perché stavano loro sul cazzo gli occhiali che portava; i repubblichini erano degli eroi morti per un ideale, proprio come quei comunisti e anarchici dei partigiani. Ancora, le foibe uguali alle Fosse Ardeatine e alle esecuzioni sommarie dei rivoltosi che cercavano di cacciare i nazisti dall’Italia. I danni che la politica revisionista di Silvio ha causato, li vedremo fra un po’, quando i nuovi testi di storia patria avranno fatto presa nella mente dei nuovi giovani Balilla, per il momento possiamo solo prendere atto che questo signore in Caraceni ha tentato, inutilmente, di cambiare la storia del Paese solo, e ancora una volta, per potersi fare i cazzi suoi con l’aiuto di nostalgici del rango di Gianfry Fini, Gnazio La Russa e Maurizio Caspar Gasparri: fior di statisti. Ma torniamo a Sant’Anna di Stazzema. Lì, in piena campagna lucchese, il 12 agosto 1944, i nazisti uccisero 560 (non è un refuso) persone: vecchi, donne, bambini e qualche imboscato indeciso se andare in montagna o fermarsi in paese. Non li bombardarono mica, li fucilarono, guardandoli uno per uno (560) negli occhi come si fa con i maiali prima di sparargli dietro la testa. Più che un regolamento di conti fu un eccidio gratuito, una violenza inutile messa in atto da un esercito che, prima che dagli Alleati, era stato sconfitto dalla Storia. A commemorarli, ieri, è arrivato direttamente dal Parlamento Europeo che presiede, Martin Schulz, il politico tedesco che Silvio invitò in Italia offrendogli la parte del kapò in un film sui campi di concentramento. Se qualcuno ricorda la scena penosa della performance di Silvio a Strasburgo, non potrà non prendere atto definitivamente di che pezzo di presidente del consiglio ha governato questo Paese negli ultimi (quasi) 20 anni. A Schulz quell’uscita di Nano Bifronte non andò proprio giù e ogni volta che gli capita di parlare di Silvio o, semplicemente, di accennare alla sua politica, non perde occasione per tirargli schiaffi direttamente in faccia. Ieri, riferendosi proprio a Silvio, ha detto: “Sono sempre molto impressionato da quei politici che sono stati al governo per 10 anni e se poi stanno fuori dal governo per 8 mesi, fanno finta di non aver niente a che fare con quei 10 anni precedenti”. A Sant’Anna è volato un brivido, magari è lo stesso di chi ancora tenta di definire le morti di quel periodo tutte uguali. Nessuna morte sarà mai uguale all’altra, men che meno quella di un republichino messo a confronto con un partigiano. E non sarà il revisionista Silvio a farci cambiare idea, perché la Storia idea non la cambia mai, lei si fa forte dei fatti.  

sabato 11 agosto 2012

Dall’Italia fuggono tutti, capitali compresi. Anche nascosti nella biancheria intima.

La notizia è ghiotta. Una signora cinese è stata fermata alla dogana di Ponte Chiasso con 450mila euro nascosti nella biancheria intima. Ora, dopo aver scoperto un altro cinese che aveva occultato 200mila euro nelle sigarette (in ogni sigaretta una banconota da 500 diligentemente arrotolata), non avremmo dovuto sorprenderci più di nulla invece, apprendere che nelle mutande è possibile nasconderne 450mila, una domanda ce la poniamo. Ma di che dimensioni è il deretano della signora cinese? Dove, cioè, in che punto preciso di quella parte del corpo umano che va dalle anche e termina all’attaccatura delle cosce, è stato celato il malloppo? A meno che la signora non indossasse le care, vecchie, mutandone di nonna, capire dove diavolo abbia potuto mettere tutta quella grana è complicatissimo, un vero e proprio rompicapo risolvibile solo con una ispezione accurata e totale dello spazio incriminato. Cosa della quale, immaginando le dimensioni, non possiamo occuparci per una naturale idiosincrasia per l’adipe abbondante e tracimante. Ma a parte considerazioni che lasciamo ai rotti a tutto funzionari delle dogane, resta il problema serissimo che, da un po’ di tempo a questa parte, ingenti quantitativi di denaro prendono la strada della Svizzera per non tornare mai più. Finito il tempo dell’evasione fiscale tollerata, chi i soldi li fa sul serio preferisce farli espatriare illegalmente, riscoprendo il vecchio mestiere dello spallone che, nonostante tutto, non si porta appresso nessun romanticismo. A proposito di evasione fiscale. Daniela Santanchè, la Danielona di cui si sentiva una mancanza da fiato mozzato, come per la ‘morosa, ha proposto per ottobre la riedizione della Marcia su Roma. Un milione di persone, sfamate a pane, mortadella, e annusatina delle parti anatomiche della signora cinese di cui sopra, che arriveranno nella Capitale per chiedere non si sa bene a chi, il ritorno di Silvio a Palazzo Chigi. Ora, non essendoci più quegli ignavi dei Savoia, pur comportandosi da sovrano, non vediamo il presidente Napolitano prestarsi a un giocaccio simile. La Santanchè non ha perso ovviamente l’occasione di parlare e, travolta dalla sindrome della statista che l’ha colta da quando è stata fulminata dal Nano Bifronte, ha detto: “Corrado Passera non sarà mai premier, è un evasore fiscale”. E Over the Topa chi è, Paolino Paperino?

Il cardinale Bagnasco: “Sui principi di fondo la Chiesa non mercanteggia”. Contestualizza.

L'immagine del cattolico in politica: prono e baciapile
Grande estate calda anche per Sua Eminenza. In cerca di una verginità da rifarsi al più presto, il Presidente Cardinale della Cei detta il vademecum del perfetto cattolico e della Chiesa che verrà, proprio come l’anno di Lucio Dalla.
Dice il Presidentissimo: “I cattolici in politica siano più presenti e informati”, che significa “occupare tutto l’occupabile e andiamo avanti con la lobby Oltretevere altrimenti addio scuole, asili e ospedali privati convenzionati, Imu e viaggi papali in the world pagati dai contribuenti italiani”. ”Informati” significa solo “evitare figure barbine come quelle che rimediano di solito i cattolici in politica a partire da Formigoni che, se si informasse di più sugli avvisi di garanzia che riceve con regolarità, non querelerebbe tutti a ogni piè sospinto”. Pur non facendo alcun riferimento specifico, Bagnasco ha tratteggiato i contorni di quella che tutti chiamano ormai “Cosa Bianca”, la magmatica visione della riunificazione di tutti i cattolici in una sola ed unica grande forza politica. Detta: “L'etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale... L'ansia dei lavoratori che sono in apprensione per l'occupazione, di tanti giovani che non riescono ad entrare nella società che produce, e dà loro voce senza populismi, con umiltà... I grandi statisti cattolici che l'Italia ricorda hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l'Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi... Hanno messo a servizio, non di se stessi ma del bene comune, un'alta caratura intellettuale, spirituale e dottrinale, formata alla luce del magistero sociale della Chiesa, senza reticenze o complessi, avendo ben chiara la fisionomia e la distinzione tra i diversi problemi e i diversi livelli”. Una volta accadeva anche questo. Per il ruolo dei cattolici in politica oggi, anno 2012, basta scorrere l’elenco degli sponsor del Meeting di Rimini. Di più non sappiamo e non vogliamo sapere. Fa caldo, Angelì...

venerdì 10 agosto 2012

Politici in vacanza. Per loro suolo patrio. Solo Veltroni va all’estero: in Africa? Macché, in Grecia.

Onestamente, di dove andranno in vacanza i politici italiani può fregarcene fino a un certo punto. Tutti (o quasi) a causa della crisi hanno scelto mete nazionali. Quando abbiamo letto che Vuolter Veltron sarebbe stato l’unico politico ad espatriare, abbiamo creduto che andasse in Africa per restarci, niente di più illusorio, lui va in Grecia: costa poco, è a quattro passi da Roma qualora Silvio lo chiamasse per un’altra Grosse Koalition e poi, in fondo, ripensare ad Anthony Quinn che balla il sirtaki, a un cinefilo come lui non può che far piacere. Gli altri se ne tornano a casa. Angelino (treno e ferry boat) torna in Sicilia. La Finocchiaro gli aveva chiesto un passaggio ma lui non ha voluto darglielo: la calunnia è un venticello che sullo Stretto di Messina sta spirando ormai da un po’. Pierfy Casini ha scelto la Puglia. Conoscendo Cocorito, quella della Puglia non è stata sicuramente una scelta a caso. Vuole fare quattro chiacchiere con Nichi Vendola e poi aspettare Maxim D’Alemà che però, prima di andare a casa, va a farsi un giro in Umbria. Silvio ha detto: “Resto ad Arcore”. Per lui niente hotel extralusso nel cuore di Mosca ma solo Villa San Martino che, specie in agosto, è un posto poco frequentato, soprattutto dai giornalisti e dai paparazzi. Poi andrà in Sardegna a Villa Certosa, che non riesce ancora a vendere, nella speranza che Zappadu gli faccia qualche foto formato Topolanek in tiro. Quella storia di Topolanek, Silvio non l’ha mandata giù e spera che il buon fotoreporter sardo lo immortali con gli stessi attributi al vento, magari preavvertendolo, giusto il tempo per un punturina. Piergigi Bersani è indeciso. Non si sa perché ma non vuole lasciare indizi. Forse per una naturale, quanto necessaria riservatezza, il leader del Pd non desidera dare informazioni sul luogo prescelto per rilassare le stanche membra (non è un refuso). Cesenatico? Cattolica? Rimini? Riccione? In un primo momento aveva pensato a una settimana di aria pura a Marzabotto. Non gli dispiaceva fare un salto indietro nella memoria storica del senso politico del suo partito, ma poi gli hanno detto che se va da quelle parti lo pigliano a bocciate in testa; il pallino lo hanno riservato a Matteo Renzi. Vacanze romane per Maurizio Gasparri, lo aspetta ancora l’ingrato compito di ritrovare il perduto Circolo del Polo all’Acqua Acetosa: impresa impossibile se non fosse che a lui Tom Cruise sta letteralmente sulle palle. Tonino Di Pietro va a Montenero di Bisaccia. Lo aspetta il trattore e poi deve fare quattro chiacchiere con il moscone verde che nel frattempo non rappresenta più la controfigura bucolica di Casini ma di Enrico Letta. I tempi cambiano anche in campagna e la politica evolve. Fini e Cicchitto andranno in vacanza nello stesso posto. Non sappiamo se si saluteranno, ma Ansedonia non è abbastanza grande per ospitarli entrambi, l’importante è che non volino secchielli, palette, compassi e tessere della P2, il resto, il sindaco dice che lo tollererà. Rosy (Bindi) va sulle Dolomiti, non avevamo dubbi. La montagna è la sua dimensione, il luogo dove il pensiero può volar leggero nonostante Letta e Fioroni, D’Alema e Veltroni, Bersani e Franceschini, Di Pietro e Grillo con una spruzzata di Nichi Vendola. Leghisti (tutti) in Sardegna. Molto amica degli indipendentisti isolani, la nouvelle vague del Carroccio ha deciso di rinsaldare legami che potrebbero tornare utili se al Nord dimostrassero che i fucili sanno anche adoperarli oltre che costruirli. Resta un piccolo problema che l’ex ministro dell’Interno dovrà risolvere. È in arretrato di quattro anni sul pagamento del suo posto barca. Il sindaco di Villaputzu gli ha fatto sapere, cartelle esattoriali alla mano, che la cifra che Maroni dovrebbe sborsare, si aggira intorno ai 20mila euro. Bobo Blues dice però che ha pagato sempre tutto, fino all’ultimo euro. Chi ha ragione? In ogni caso, è buffa la dichiarazione di Francesco Todde, presidente della società di gestione del porto di Marina di Porto Corallo, il quale afferma: “Il ministro Maroni è stato accolto come ospite illustre e non ha pagato solo per motivi di riservatezza”. A Fernando Codonesu, primo cittadino, però non frega una mazza e ribatte: “A me Maroni mi sta pure simpatico, ma non è un buon motivo per non pagare”. Questi, se potessero, non pagherebbero neppure il caffè al Bar dello Sport di Adro, figuriamoci un posto barca in Sardegna.

giovedì 9 agosto 2012

La ‘compagna’ Sora Elsa: “Rivalutare il ruolo della classe operaia”.

È come se un industriale della carta, dopo aver distrutto gli ultimi 2000 ettari della Foresta Amazzonica, dicesse: “Senza politica ambientale non si va avanti”. Sora Elsa, che l’Onnipotente conservi a lei, al marito e alla figlia le rispettive cattedre universitarie, durante un’intervista a Radio anch’io, parlando della situazione dell’Ilva di Taranto, ha detto: “Alla classe operaia occorre ridare dignità. Sicurezza e salute fanno parte di questa dignità perché l'operaio non sia considerato un lavoratore di serie b”. Per Sora Elsa, insomma, investita durante un breafing, che seguiva un brainstorming sulla spending revew, dal maledetto Drago (non Draghi che è tutt’altra cosa e persona), in questo paese occorre tutelare il lavoro operaio perché fa parte del futuro. Ma va là, porco boia! A volte si resta stupiti, basiti direbbero i puristi, di fronte al cinismo di persone che fino all’altro ieri hanno considerato gli operai, i pensionati, i dipendenti pubblici solo numeri da decapitare per incamerare quattrini e far diminuire il fabbisogno dello Stato. Questi neo marxisti dell’ultima ora, sono coloro che hanno fatto a pezzi l’articolo 18 e stanno ancora discutendo se gli esodati siano 35mila o 65mila e che comunque, anche se fossero di più, lo Stato potrebbe tutelarne solo 65mila. Contestata dovunque mette piede praticamente da tutte le categorie professionali (farmacisti compresi che con lei non c’entrano una mazza), Sora Elsa ha ritrovato una vecchia copia del “Manifesto” (ed. Einaudi) di Karl Marx e, accortasi di essere arrivata appena a pagina 35, praticamente ha letto solo la prefazione, ha deciso di imbracciarlo come un fucile qualsiasi e di puntarlo dritto in mezzo agli occhi degli industriali. Perché, se è vero che sconvolgendo l’intelligenza degli operai che fanno le vacanze nella marrana sotto casa, Sora Elsa ha rivalutato l’economia da lavoro, è altrettanto vero che sta iniziando a fare le pulci agli industriali partendo proprio da Sergio Marchionne, al quale chiederà, non appena riusciranno a vedersi in questi giorni, che fine ha fatto il piano di investimenti strombazzato urbi et orbi e al quale hanno creduto solo Bonanni e Angeletti (che l’Onnipotente gli preservi i troni di segretari generali di Cisl e Uil e, soprattutto, la loro pensione). Ha detto la Compagna Sora Elsa sorseggiando una vodka: “Sull'industria dobbiamo e possiamo puntare perché la colpa della situazione attuale non è solo della politica ma anche del credito e degli imprenditori stessi che devono avere un atteggiamento più volto all'investimento e alle aggregazioni che fanno economia di scala". Sventolando la bandiera rossa e fischiettando l’Internazionale, Sora Elsa ha lasciato gli studi della Rai lasciando dietro di sé una scia di mughetto di steppa che ha fatto svenire Bruno Vespa che passava di lì per caso. Questo è un Paese folle...

mercoledì 8 agosto 2012

Mario, Silvio e il campanellino d'argento

Mario Monti: "Con Berlusconi al governo lo spread sarebbe a 1200". 
Silvio: "Col guanto o senza?".

Diario di una giornata da non dimenticare. La "nostra" Castelluccio.

Castelluccio è praticamente una frazione di Porretta Terme. Per arrivarci ci vuole un po’ di tempo, si passa per Marzabotto e s’incontra perfino il bivio per Zocca. Sono convinto che a qualcuno questo paese dirà cose molto più importanti di Marzabotto, e poi è risaputo che i civili innocenti massacrati dai nazisti non cantavano Vita spericolata, al momento del distacco. L’Appennino tosco-emiliano nasconde perle. Non ci vuole molto ad accorgersene. Basta guardarsi intorno. Quando dopo più di tre ore di viaggio arriviamo finalmente a Castelluccio, scendendo proprio davanti al Castello Manservisi, l’idea che io e Vittorio Amadio ci eravamo fatti di andare in un luogo un po’ magico e un po’ fiabesco prende forma in un amen. L’artista marchigiano, con il quale ho il piacere di collaborare da un po’, ha preparato una mostra di sue opere intitolata “I giorni dopo la notte”. Una serie di “impressioni” tutte in orizzontale che disegnano e narrano di orizzonti. Ci aspettiamo pareti bianche e invece ci troviamo in una sala interamente foderata di legno che, alla fine, renderà la mostra un gioiello ad alto tasso di emotività espositiva. Con Giovanni Corradetti, concittadino che ha organizzato le nostre performance artistico-letterarie da quelle parti, allestiamo la mostra e poi, seduti sotto il portico d’ingresso del maniero, panini con dentro una mortadella da sogno e un po’ di relax in attesa dell’inaugurazione. Io non devo preparare nulla per la presentazione della biografia di Carlo Delle Piane, non ho appunti da rileggere né note particolari da sottolineare, ho tutto in testa, come sempre, come mi si confà. Arriva gente ed è tanta. Vittorio Amadio smette gli “abiti da lavoro” e si mette in “tiro”: un artista è sempre un artista, un maestro resta un maestro sempre. Io non ho bisogno di “ritocchi”: ho l’elegantissima t-shirt di UT (marketing per una rivista che meriterebbe molto di più di quello che ha) e un gilet appartenuto a mio padre, roba di più di mezzo secolo fa, altri tessuti, altra resistenza, altra classe. Con grande sobrietà presento la mostra di Vittorio Amadio a gente che, nel frattempo, si è trasformata in pubblico (differenza sottile ma sostanziale): attenta, puntuale, curiosa, intellettualmente impegnata a comprendere il senso di un percorso che il Maestro ha creato volando oltre tutte le linee di tutti gli orizzonti possibili. Tante domande, applausi, strette di mano, congratulazioni alle quali Vittorio risponde con la gentilezza e la disponibilità che gli sono familiari e, quindi, congeniali. Io ho un bisogno maledetto di fumare. Il cortile del Castello ospita ancora gente, in attesa di trasformarsi in pubblico, per la presentazione della biografia. Rispettiamo da tedeschi (si fa per dire ovviamente), gli orari e, con appena qualche minuto di ritardo, iniziamo la seconda parte di un pomeriggio nato sotto i migliori auspici. Si deve sapere che non mi hanno chiamato a Castelluccio per caso (o per simpatia). La ragione è che 29 anni fa, proprio da queste parti e nello stesso Castello (che allora cadeva a pezzi), Pupi Avati girò Una gita scolastica. E se si pensa che mi hanno offerto di dormire nello stesso letto che ospitò Carlo Delle Piane, si può comprendere la ragione per la quale all’incontro ha preso parte un fottio di gente: alla fine solo posti in piedi e sotto gli stipiti delle porte. Il racconto è volato via leggero. Qualcuno mi ha ringraziato per averlo fatto emozionare, altri per sane risate provocate senza dover fare ricorso a parolacce e contumelie, altri ancora per avuto la possibilità di capire un po’ di più non solo il cinema di Carlo ma il cinema in generale, soprattutto quello italiano. E così mi sono ritrovato a firmare libri e a stringere mani come se fossi reduce da uno Strega qualsiasi, mentre invece... È durante il buffet in cui la voglia di un “prosecchino” si era fatta prepotente, che un signore ci ha detto che Pupi Avati e il fratello Antonio, erano ospiti del piccolo festival del noir di Montacuto, a un tiro di schioppo da Castelluccio. Abbiamo deciso di andare a trovarli anche perché, l’idea di organizzare a Castelluccio una grande festa per i 30 anni di Una gita scolastica, stava diventando più di un’idea: un vero e proprio incontenibile desiderio. Sia Antonio che Pupi si sono dichiarati entusiasti e, con ogni probabilità, il prossimo anno questa celebrazione si potrà organizzare con gli stessi protagonisti della giornata di sabato, con l’aggiunta di Pupi e Antonio Avati e soprattutto di Carlo Delle Piane che, da queste parti, ha lasciato un ricordo indelebile. Una nota piccola come la stanza del Castello nella quale Carlo ha dormito. Abbiamo incontrato persone incredibili, con un altissimo tasso di umanità. Con una gentilezza che ci ha commosso e uno sguardo pulito che ci ha quasi ubriacato. Un grazie, davvero, da parte mia e di Vittorio Amadio alle amiche e agli amici di Castelluccio. Al prossimo anno (speriamo).