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giovedì 30 gennaio 2014

Nasce il “Renzusconi”. Un accordo liquido tendente all'alcoolico

Di alcool ne sappiamo qualcosa, quindi ci permetterete di definire l'accordo sottoscritto ieri da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, come il risultato di una sbronza colossale. Eppure era partito bene, sobrio diciamo, quello stato di leggera ebrezza che spesso giova ai contatti e ai contratti sociali. Il presupposto era: “Mai più larghe intese. Chi vince prende tutto”, una regola che vige in quasi tutti i paesi del mondo, almeno in quelli dove si vota senza un kalashnikov puntato alla testa. Il presupposto resta, e infatti chi raggiunge il 37 per cento a prima botta o dopo il ballottaggio, governa. Poi, evidentemente, è subentrato lo stato di ubriachezza che è diventata molesta quando i due leader hanno raggiunto l'accordo sul salva-Lega. Incuranti dei richiami della Corte Costituzionale sulle preferenze, i più grandi statisti degli ultimi 152 anni, sono andati avanti per la loro strada in attesa che qualche cittadino avveduto ponga un'altra volta la questione davanti alla Corte. Perché questo è uno strano paese. Dopo otto anni nei quali tutti volevano abrogare il Porcellum ma nessuno lo faceva, ci hanno pensato due stimati cittadini qualsiasi a toglierlo di mezzo. Cuperlo non ha tutti i torti quando nel corso della direzione del Pd ha posto il problema, perché quello delle preferenze resta un problema. E a maggior ragione ora che, apprendiamo dal testo definitivo dell'accordo, sono state escluse anche le primarie seppur facoltative. Silvio, insomma, non ha nessuna intenzione di passare (o di far passare) lui o il suo delfino, sotto la tagliola delle consultazioni interne. L'Italia, come ormai tutti sanno, non è, costituzionalmente, il Paese delle grandi rivoluzioni. Da noi basta vincere un mondiale o un europeo che l'opposizione si acqueta. Però l'Italicum almeno un merito lo ha: scongiura gli inciucioni. Sempre se Massimo D'Alema non dovesse tornare alla segreteria del Pd, naturalmente.

mercoledì 29 gennaio 2014

Il record della famiglia Mastrapasqua: 29 incarichi pubblici in due (erano 45). Torna il fascista “boia” a Montecitorio

Antonio Mastrapasqua, presidente super indagato dell'Inps, è legato a filo doppio con Gianni Letta. L'ex direttore del Tempo, se qualcuno avesse perso la memoria, è stato per venti anni il manovratore occulto del berlusconismo. L'occulto, il nascosto, il lavoro sotto traccia, gli hanno consentito di rappresentare la faccia pulita dei forzaitalioti, tanto che in un eccesso sospetto di altruismo, Silvio lo candidò (invece di se stesso) al Quirinale. Ora, mettete un tecnico al servizio di un politico che lo ritiene affidabile, quindi fedele, e vi troverete a vivere il sogno dell'Antonio che, cooptato in quota Forza Italia nel consiglio di amministrazione dell'Inps, ne diventa il presidente e, da qui, inizia la carriera di collezionista di incarichi di Stato. Arriva a coprirne 25: nessuno come lui. Poi è bravissimo in quelli che lo mettono nelle condizioni di essere un controllato controllore di se stesso. Inarrivabile Antonio che come diminuivano i gettoni di presenza, lasciava il posto ad altri in possesso di fauci meno esigenti. Ieri sera a Ballarò, Crozza ha detto che se “Mastrapasqua lasciasse i suoi incarichi, l'Italia avrebbe risolto il problema della disoccupazione”. Era una battuta ma mica tanto. Nel frattempo è venuto fuori che la di lui consorte (dell'Antonio), di incarichi è arrivata a collezionarne addirittura 20, solo 5 in meno del record assoluto detenuto dal marito. La signora Maria Giovanna Basile infatti, è presente nei collegi sindacali della Rai, dell'Aci, dell'Acea, di aziende sanitarie fiorentine e romane, dell'impiantistica immobiliare, della consulenza aziendale e perfino di una merchant bank; per la serie “lo Zio me le ha date, guai a chi me le tocca”. Quello della famiglia Mastrapasqua, 45 incarichi pubblici e privati regolarmente retribuiti, è l'esempio classico della famiglia dell'era berlusconiana, un prototipo e un epigono di quanto Silvio abbia a cuore il concetto di famiglia, la sua e quelle dei suoi fedelissimi. E il problema della fedeltà, a una famiglia o a un'idea, si ripropone quotidianamente anche all'interno del variegato ed eterogeneo mondo dei 5S. È di ieri la battutaccia di Giorgio Sorial che, durante la conferenza stampa del gruppo dei 5S alla Camera, ha dato del “boia” a Giorgio Napolitano. Chi ci legge sa cosa pensiamo del presidente della repubblica e non vale la pena ricordarlo ancora. Quello che ci ha stupito, nel linguaggio del furioso Sorial, è che il ragazzotto che terminata l'esperienza di parlamentare tornerà a fare l'ultrà, abbia usato il termine “boia”, come fanno i fascisti e, appunto, gli ultras calcistici delle tifoserie di estrema destra. Non siamo ancora convinti che l'opera di alfabetizzazione dei grillini si sia compiuta, quello che è difficile tollerare, Napolitano o non Napolitano, è che la gergalità tipica dei fasci e dei leghisti, si riproponga ancora e con una ferocia sempre più pericolosa. Giorgio Sorial è di Brescia e deve essere uno dei baluba transfughi dal bossismo. Un bell'aquisto Beppe, notevole. Ma si sa, lo ius soli fa venire il mal di pancia ai potenziali elettori.

martedì 28 gennaio 2014

È sempre lui, Silvio I° da Arcore. No a tutti gli emendamenti e via al salva-Lega

Passano gli anni, i mesi e anche i minuti e ritrovarsi vecchio e un po' rintronato, non scalfisce il Cavaliere. Lui è sempre lo stesso. Si alza la mattina e ha una visione della vita e dell'esistenza versione “A”. Poi durante il giorno, come se venisse colto da attacchi irrefrenabili di delirium juvenilis, cambia idea e, a sera, spunta fuori la versione “B”. Ci dicono che ultimamente Silvio abbia preso l'abitudine di andare a letto presto, subito dopo le ultime scorreggine di Dudù, per cui raramente accade che le agenzie di stampa battano una versione “C”, come succedeva prima della convivenza con Francesca. Tiene botta, il Capataz, eccome! Il Parlamento deve discutere 318 emendamenti? Lui fa sapere, alle 9 del mattino, che l'innalzamento della soglia di maggioranza al 38 per cento gli sta bene e al quattro per la rappresentanza parlamentare pure. Invece, calcolatrice e sondaggi alla mano, durante il giorno si rende conto che il 38 per cento non è affatto facile da raggiungere. Si torna al 35 e basta, non si discute. E non finise qui. Niente 4 per cento come soglia minima di sbarramento, però via al salva-Lega, quella piccola norma pro-baluba che “valorizza” la rappresentanza regionale. E Matteo de' Medici ci sta anzi, invita Cuperlo a ritirare gli emendamenti proposti dalla minoranza del Pd “Sennò qua va tutto a puttane” e il Gianni, obbediente come un soldatino di piombo a cui un po' somiglia, li ritira. Renzi dice che "o la legge elettorale passa com'è, o il governo è a rischio". Scusa Matteo, ma chi vuole con tutte le sue forze (Italia), che il governo cada, il merlo maschio? Dal nuovo leader del Pd noi ci aspettavamo un'altra tempra. Ad esempio che fosse andato dal vecchio lenone (al quale è arrivato in soccorso anche il ministro degli esteri marocchino) e gli avesse detto: “Senti Silviuccio nostro, si sa che le pretese partono da mille per arrivare a cinquecento, perché tu non accorci il tuo capitone e io tolgo dieci chili alla mia lepre? Ce la facciamo a chiudere facendo finta che gli altri contino qualcosa?” Invece no. Matteo si è appiattito sulle posizioni di Silvio, e qualsiasi cosa l'Illusionista di Arcore dica, a lui sta bene. Ribadiamo un concetto espresso qualche post fa. O Matteo ci fa e ha pronto un piano “B” o ci è. "B" proprio nel senso di Berlusconi. E noi che volevamo ritrarlo alla Kim Jong Il...

domenica 26 gennaio 2014

La Shoah senza fine. Barzellette, teste di maiale e falsi storici

Uno pensa che un fatto storicamente accertato, si sia aperto e chiuso. Che ogni tentativo di ripercorrerlo modificandone i contenuti o addirittura di "rivederne" la veridicità, sia un esercizio inutile di stile negazionista. Poi accade che ogni anno, all'approssimarsi della giornata che ne ricorda il dramma, si risveglino rigurgiti violenti e antistorici. La sottovalutazione, il tentativo di attenuarne l'impatto nella memoria collettiva, la voglia di infangarne il contenuto vanno di pari passo, in Italia, con la cancellazione di quella parte della Storia che non ci fa comodo, che potrebbe inficiare la stessa esistenza di un certo tipo di politica e condannarne i capi al ludibrio perenne. Rifanno la comparsa le teste di maiale nelle sinagoghe e, al binario 21 della stazione di Milano si raccontano le barzellette su quanto fosse bello, avvincente e ameno il viaggio verso i forni crematori di Aushwitz. Ogni anno, insomma, dobbiamo fare i conti con l'aberrazione che accompagna la sete di potere. Ogni anno, come ogni anno.

sabato 25 gennaio 2014

È l'Italia che va: tenta di avvelenare la moglie perché ascolta Radio Maria. I magistrati archiviano: “Ha usato poco acido”

È accaduto a Dalmine, in provincia di Bergamo. Un ex falegname di 67 anni di nome Eliseo, ignaro della tossicità (a grandi quantità letali) dell'acido muriatico, ha tentato di avvelenare la moglie perché: “Ma signor maresciallo – ha detto Eliseo ai carabinieri – sta sempre ad ascoltare Radio Maria e poi organizza un pellegrinaggio dopo l'altro. Non ce la faccio più”. È accaduto che la moglie di Eliseo si sia insospettita per il gran numero di fialette di acido che aveva rinvenuto nel secchio dell'immondizia. Convinto il figlio a piazzare una telecamera nascosta nella sveglia di casa, la signora ha ripreso il marito mentre, con fare niente affatto sospetto, con il contagocce le serviva in un bicchiere d'acqua la dose giornaliera di acido muriatico. Filmato l'atto, la signora accompagnata dal figlio, è andata dai carabinieri a denunciare il marito per tentato omicidio. Prontamente arrestato, Eliseo ha reso ai militi dell'Arma la dichiarazione di cui abbiamo già scritto. La colpa di tutto, insomma, era nei rosari 24hours che la signora ascoltava fregandosene della idiosincrasia del marito nei confronti della ritualità cattolica. In più c'era il fatto che la signora non si limitava all'ascolto delle giaculatorie, ma sembra che avesse trasformato la sua casa in una sorta di agenzia di viaggi specializzata in pellegrinaggi. Così, fra un tour a Loreto-San Giovanni Rotondo-Civitavecchia e un altro a Lourdes-Fatima-Santiago di Compostela, il marito deve aver perso la trebisonda, fatto che lo ha spinto all'atto cruento dell'avvelenamento. Caso risolto dunque. Trovato il colpevole, il movente, le armi del delitto. Se non ché, portato l'incartamento davanti al magistrato, il signor Eliseo si è visto prosciogliere. “Con l'acido muriatico presente nell'acqua – ha scritto il magistrato – al massimo la signora sarebbe stata purgata, sicuramente non uccisa”. La moglie di Eliseo si è riappacificata con il marito promettendogli di ascoltare Radio Maria solo 12 ore al giorno e di ridurre drasticamente a uno all'anno i pellegrinaggi in giro per l'Europa. Eliseo si era intanto giustificato dicendo: “Ma io non volevo ucciderla, solo farle un po' male”. Radio Maria è tossica, lo abbiamo sempre detto, Eliseo ce lo ha confermato. A lui, e a tutte le vittime dell'integralismo, va la nostra totale e sentita solidarietà. 

venerdì 24 gennaio 2014

Letta scende in campo: “Ora la legge sul conflitto di interessi”. Coccoloni ad Arcore, Dudù trema

Questa notte ci siamo messi per un momento nei panni di LettaLetta (ognuno ha le sue perversioni). Il premier aveva appena provato a dire che lui gradirebbe il ritorno alle preferenze, che è partito in quarta Matteuccio vostro e gli ha posto l'ennesimo out out: “O questa legge elettorale passa com'è o a rischio non è la legge elettorale ma lo stesso esecutivo”. Pensiamoci un po', pocch'il monti di abatantuoniana memoria, da quando è diventato primo ministro lo hanno strattonato tutti, perfino gli uscieri della Camera e quelli del Senato. Non passava un'ora che Silvio non tuonasse: “Via l'Imu o cade il governo”. E con il diktat sull'Imu, Silvio nascondeva i suoi guai giudiziari. Poi gli alleati del NCD che non gliene lasciano passare una senza minacce di ogni ordine e grado. Non crediamo sia mai esistito nella storia repubblicana, un presidente del consiglio tanto ricattato come Enrichetto (sempre vostro perché nostro non lo è mai stato). Ma lui, democristiano di lunghissima ed efficacissima navigazione, non molla, non fa una smorfia, non tentenna, non sbanda, non gli si impiaccica la lingua, non strabuzza gli occhi insomma, come la sua giacca, non fa una piega anzi, attacca. E tanto per capire che fa sul serio, mette sul piatto della bilancia del trattatuni con Silvio la legge sul conflitto di interessi. Lo fa come avrebbe fatto Andreotti, quasi con una battuta buttata là per caso, con un filo di voce, l'occhio destro fisso nella telecamera e il sinistro in quelli di Lilly Gruber in segno di sfida. “Ma sapete che c'è – ha detto Enrichetto – credo che i tempi siano maturi per fare una bella legge sul conflitto di interessi. Ne abbiamo parlato per tanto tempo, mi sembra sia arrivato il momento di farla”. Quando Verdini lo ha interrotto durante il bagnetto a Dudù, riportandogli quello che LettaLetta aveva appena detto a Lilly, Silvio ha fatto un salto e stretto i pugni, facendo rimettere una paura della madonna al barboncino che ha temuto uno strangolamento e abbaiato in cerca di mamma Francesca. Questa, per il momento, è la mossa vincente di Enrichetto che dopo venti anni di galleggiamento dalemian-veltronian-prodiano, si è ricordato che questo paese non ha una legge sul conflitto d'interessi che si possa definire tale. Ma mica lo ha detto per farla sul serio, da DC Doc (che non è un vino ma la sublimazione del paraculismo), ha ricattato a sua volta sia Silvio sia Matteo del quale, ormai, non ne può più. La mossa del premier ha spiazzato Matteuccio il quale, ora, dovrà fare i conti con la brace lettiana che cova sotto la cenere di un apparente immobilismo politico. Intanto, a Milano, parte il Ruby Ter, quella parte del processo ricco di mignotte e profittatrici, che vede Silvio e i suoi legali Longo e Ghedini, accusati di corruzione di testimoni. I forzaitalioti sono già intervenuti. Alla notizia data dal Procuratore Capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, hanno gridato all'ennesimo attacco giudiziario a orologeria. Ma ormai ci siamo abituati. E tanto per rimanere nell'ambito dei forzaitalioti indagati, è di queste ore la notizia che il governatore dell'Abruzzo, il “celeste” Gianni Chiodi, è indagato per corruzione e peculato insieme ad altri 23 fra consiglieri e assessori. I nodi vengono sempre al pettine, anche sulla testa dei calvi.

giovedì 23 gennaio 2014

Non siamo evasori fiscali, solo bastian contrari inveterati. Il ritorno a casa di Casini, e Silvio esulta

1243 case per le quali non versava un cent. La signora Angiola Armellini, erede di una prestigiosa famiglia di palazzinari romani, mogia mogia quatta quatta, aveva intestato il suo patrimonio immobiliare a società fantasma con sedi in mezzo mondo ma non in Italia. L'ammontare dell'evasione fiscale della suddetta “signora” è pari a 5 miliardi di euro, una mezza legge di stabilità. Sono usciti i dati della Guardia di Finanza sull'attività 2013. Ebbene, l'Italia è ancora il paese europeo nel quale si evade di più: 60 miliardi, quasi 10 leggi di stabilità. Completano i dati della GdF, altri numeri: gli evasori totali sono 8mila; 15 miliardi di redditi non dichiarati sul fronte internazionale; 5 miliardi di Iva non versata e, dulcis in fundo, 27mila lavoratori irregolari, tradotto, in nero. Quello dell'evasione fiscale italiana è uno scenario da guerra, e se si aggiungesse il fatturato della criminalità organizzata, saremmo in grado di pagare il nostro debito pubblico in un'unica soluzione, e fanculo i tecnocrati di Bruxelles e di Strasburgo. Ma perché si evade così tanto? Perché continuiamo a considerare le tasse balzelli inutili mentre rappresentano la ricchezza vera di una nazione? Perché, insomma, ci incazziamo se non ci sono asili nido, scuole a norma, infrastrutture, una sanità che ci cura invece di ammazzarci, una tutela seria del patrimonio culturale e dell'ambiente se poi non paghiamo quanto previsto dal nostro reddito? Forse perché non siamo sicuri che se tutti pagassero le tasse ne pagheremmo di meno? Forse perché indignati delle mazzette e del malaffare politico? Forse perché siamo stanchi degli sprechi e dei soldi pubblici spesi a cazzo di cane? Macché, il problema sta tutto nel fatto che siamo un popolo di inguaribili (a volte inguardabili) bastian contrari. Diciamo no anche se avremmo voluto dire sì, solo perché dire no ci viene di un facile della madonna. E, anche se non siamo affatto convinti di dirlo, ci affascina il suono che procura quella sillaba passandoci fra le labbra. Abbiamo conosciuto individui che del dire “no” ne hanno fatto una ragione di vita, salvo ritrovarsi con un pugno di mosche in mano a rimpiangere un “sì” che avrebbe rimediato a situazioni irrimediabili. Così, se LettaLetta dice: “Italiani pagate le tasse”, al di là della scarsa credibilità di cui gode, la voglia di rispondere “no”, puntando i piedi e arricciando il naso, è superiore a qualsiasi soglia di buon senso. Grillo è uno che dice “no” a prescindere, prima ancora che la domanda gli venga posta, e come lui la pensano quelle migliaia di italiani chiamati evasori totali: “Perché non paghi le tasse?”, “Perché no, porca puttana, e che cazzo!”, come dicono frignando i bambini stupidi. E proprio come il Pierfy (Casini), che torna all'onore delle cronache per la dichiarazione d'amore che ha fatto ieri a Silvio Berlusconi, reuccio suo da sempre. Casini, democristiano di lungo corso, si è fatto quattro conti. Se la soglia di sbarramento per entrare nell'unica Camera che resterà sarà fissata al 5 per cento, sa che dovrà dire addio al suo scranno di Montecitorio. Non avendo né arte né parte, non saprebbe cosa fare e, quindi, ecco giustificato il ritorno di fiamma silviesco. Il fatto è che se l'Italicum dovesse rimanere così come è stato depositato, con Forza Italia andrebbero anche la Lega e i Popolari di Mario Mauro, con Fratelli d'Italia e il Nuovo Centro Destra, le chance di portare a casa un governo di semi-sinistra da parte di Matteo Renzi, sarebbero zero. Altri venti anni di destra xenofoba, omofoba, razzista e sfascista, per favore no! Però. C'è un però. Il ragionamento che abbiamo fatto noi dovrebbe averlo fatto anche il Sindaco che, in fatto di politica, è sicuramente (vista la scuola) più preparato di noi. E se continua ad andare avanti sulla stessa strada, le questioni sono due: o è un furbo di quattro cotte e sa cosa sta facendo o è la brutta copia di Fonzie: “ehi”! 

mercoledì 22 gennaio 2014

I verginelli candidi del Pd. Per tacere di quelli di FI, di SC, del NCD. O ci fanno o si sono sottoposti alla chirurgia ricostruttiva

Questi del Pd ci fanno impazzire. Cuperlo poi... Il fatto è che il più sano ha la rogna da permanenza in Parlamento, mentre gli altri amano dissertare sì sui settimi cieli, ma tenendo i piedi ben saldi sulla terra. Questi signori, specie i parlamentari, dovrebbero avere il buon senso di dimettersi in blocco. E siccome non si conoscono i nomi dei 101 zozzoni di prodiana memoria, tutti a casa e non se ne parli più. Invece, dopo un intervento di chirurgia ricostruttiva di imeni, sono ancora lì a fare la paternale, i candidi, i democratici a senso unico, i depositari dell'idea socialdemoratica che, in fondo, siamo tutti uguali, con uguali diritti e doveri: ma quando mai? A chi ha corteggiato per venti anni Silvio cercando di carpirne (senza riuscirci) i segreti del successo, non si può chiedere nulla, tanto meno la coerenza. La fame di potere li ha accecati, e gli scandali legati alle banche di famiglia ancora gridano vendetta. Ci siamo chiesti, in questi anni, dove fosse la sinistra, che fine avesse fatto oltre frequentare salotti buoni e gli studi del TG4. C'è voluto il genio e la sfrontatezza di Nanni Moretti per dire a D'Alema prima e a Fassino, Rutelli e Veltroni poi: “Ma ce lo dite qualcosa di sinistra?” E affermare in piazza “Con questa classe dirigente non vinceremo mai”, e via con i Girotondi. Che fine hanno fatto, appunto, i girotondini? E il Popolo Viola? E il Santoro di “Anno Zero” a Bologna in diretta streaming? E quella sollevazione popolare al femminile al grido di “Se non ora quando”? Ci siamo illusi, ma solo per un po', che il vento si potesse chiamare Di Pietro, poi Grillo e poi ci siamo arresi. Dopo i 101 zozzoni, all'improvviso ci sono mancate le forze, soprattutto quando abbiamo saputo che Massimo D'Alema (lo dice Achille Occhetto nella sua autobiografia), c'era rimasto tanto male quando Prodi non lo aveva interpellato per il Quirinale. Massimo D'Alema, già. Ma li avete visti i pidini della minoranza fieri della loro nuova verginità? Sono uno sballo, davvero uno sballo. Da Rosy Bindi alla Finocchiaro, è tutto uno sbattere di ciglia in attesa del passaporto per l'Europa. Ma non funziona così. Non più. E li avete visti i forzatalioti ringalluzziti e tornati vergini? Porca puttana (con il sacro rispetto per un mestiere nobile e antico), sembrano altre persone. Vanno in tv e fanno gli angioletti, non insultano più, non interrompono e anzi, se qualuno glielo chiedesse, pulirebbero anche le sedie (con il fazzoletto di cotone makò) e reggerebbero i cartelli dei titoli di coda: gobbi, insomma. Abbiamo visto la Prestigiacomo che sembrava paro paro la Madonna di Civitavecchia, la Gelmini che tende alle lacrime e una pletora di sgallettate senza arte né parte che dovrebbero essere il nuovo della New Forza Italia che avanza. Ma il più vergine di tutti è Gaetano Quagliariello, quello dei lodi. In tv ha detto: “Renzi fa la legge elettorale con Verdini. Una delle ragioni per le quali me ne sono andato da Forza Italia, è proprio Verdini”. Ma Gaetano, dopo venti anni scopri l'incompatibilità di carattere? Questo divorzio non te lo concederebbe neppure la Sacra Rota pagando (ovviamente). Ipocriti!

martedì 21 gennaio 2014

Lo psicodramma della direzione Pd. Lo psicodramma dello psiconano. Lo psicodramma degli psicochip. Ma uno sano di mente in Italia, c'è?

Grillo continua a perdere occasioni sia per tacere che per agire. Purtroppo non ne ha azzeccata una e continua imperterrito l'opera di demolizione del suo movimento. Glielo ha detto perfino Marco Travaglio, che a riposizionamenti non è secondo a nessuno: “Caro Beppe, dovevi andare a vedere le carte di Renzi e accettare la sua proposta di smantellare l'apparato del Pd. Sai quanta gente avresti fatto piangere?” Ma Grillo pensa alle Europee, le elezioni di maggio sono diventate il suo incubo peggiore, specie ora che la Lega ha stretto il patto xenofobo con Marie Le Pen facendogli franare l'ideuzza euroscettica che accarezzava da tempo insieme con il suo teorico ispiratore-fondatore di Gaia. Chissà, magari ora si dirà favorevole allo ius soli. Ma veniamo al caso del giorno, la direzione del Pd. Approvata la riforma elettorale proposta da Renzi. La figuraccia, perché nel Pd si usa così, stavolta l'ha rimediata Gianni Cuperlo che ha attaccato Matteo sull'unico punto sul quale avrebbe fatto meglio a tacere. Insomma, Cuperlo campione dei listini bloccati (con D'Alema, con Bersani, sempre), si è scagliato proprio contro la proposta dei listini bloccati (da far precedere però dalle parlamentarie) e, rimbeccato, se n'è andato portandosi appresso una scia di Armani pour Homme che ha fatto svenire Rosy Bindi. Su questa trattativa assurda (ma alla luce dei riflettori) fra Renzi e il pregiudicato, si esprimerà la Storia o meglio, le prossime elezioni politiche. Quello che ci è dato di capire, e di vedere, è il fatto che per la prima volta da 20 anni, qualcuno è riuscito a rubare la scena al Capataz, e ne sanno qualcosa anche i nemici più feroci di Silvio, quelli che si sono ritrovati con la sedia spolverata e una figuraccia da peracottari. Non è granché, ma un passo avanti sì. Se uno non muore a colpi di bazooka, magari crepa dopo uno sgambetto. Mah... chissà... va beh, sì beh...

domenica 19 gennaio 2014

Oggi è il Martin Luther King Day. I have a dream... non solo tu, Martin


Ogni terzo lunedì di gennaio, il mondo che se lo può permettere (quello libero), ricorda Martin Luther King (Atlanta, 15 gennaio 1929 - Memphis, 4 aprile 1968). Il suo "I have a dream" è diventato lo slogan dei pacifisti e la colonna sonora vocale di chi lotta per i diritti umani e civili. Sognatori di tutto il mondo, uniamoci. 

Silvio e Matteo: incontro al vertice con suspence


senza parole

sabato 18 gennaio 2014

Ecco l'incontro del secolo. Matteo e Silvio si vedranno sotto il ritratto del Che, alla luce dei riflettori

Una volta, tanto tempo fa da sembrare un'eternità, un incontro simile si sarebbe tenuto nelle Grotte di Frasassi, in una baita trentina raggiungibile solo con il gatto delle nevi, in un eremo dei Monti Sibillini, nella canonica del convento dei benedettini a Racalmuto o a casa di Gianni Letta davanti a un bicchierino di zibibbo e una fetta di crostata di visciole. Oggi, i tempi sono davvero cambiati, l'incontro fra Matteo de' Medici e Silvio Berlusconi detto il Capataz per la comune altezza con Renato Rascel, si terrà nella sede del Partito Democratico e, come dice il Segretario, sotto il ritratto di Che Guevara. Ce lo vedete Silviuccio vostro disperato e servizi sociali condannato, fotografato sotto il ritratto del Che? I tempi cambiano, e quello che solo ieri sarebbe sembrato un assurdo in termini, si è trasformato in realtà. Diciamola tutto, questo governo deve andare a casa. Non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era prefissato ma non solo, come stanno urlando i grillini (usando tutti i toni possibili) in questi giorni, sta arrivando a svendere la Banca d'Italia a Unicredit e Banca Intesa, due banche che faranno un realizzo miliardario mentre i cittadini ne pagheranno le conseguenze. Ed è stato talmente bravo questo governo, che perfino con il ricalcolo del Pil su base americana, a fronte di un aumento medio del 2,5 per cento degli altri stati europei, l'Italia si ritroverà all'1/1,5 per cento, segnando la ripresa più lenta dell'intero Vecchio Continente. Si deve votare a maggio, non se ne può fare a meno. Occorre un governo stabile, una politica seria, maggiore lucidità, più fantasia. Non si può continuare ad andare avanti con Alfano, Cicchitto, Giovanardi, la De Girolamo, la Lorenzin, Quagliariello e tutto l'attrezzume berlusconiano pronto a tornare agli ordini del Capo con una legge elettorale che ridia il via al Centrodestra. Per forza che Alfano è in fibrillazione, per forza che Formigoni ha messo mano al cilicio, per loro l'accordo sulla legge elettorale (e non su possibili forme di co-governo), fra il Pd e Forza Italia suona come l'ultima campana a morto della torre del Duomo di Adro. E non saranno solo loro a tornare a casa senza arte né parte e a rischio povertà, ma anche la Lega xenofoba e sfascista, Scelta Civica, i Nuovi Popolari, gli Udc di Casini, mentre Sel se ne andrà con Renzi per un possibile e non più rinviabile governo riformista. Lo aveva chiesto perfino Curzio Maltese sulle colonne di Repubblica: “Purché questo incontro avvenga alla luce del sole”. Altro che luce del sole, ci saranno i mezzi di illuminazione che si confanno di più sia a Berlusconi che a Renzi: i riflettori.

venerdì 17 gennaio 2014

Renzi, Silvio e il patto della ribollita

Bizzarro l'atteggiamento dei democrat pseudo-sinistrorsi. Inciuciano per 20 anni con Silvio, lo riesumano per ben tre volte grazie anche alla fame di banche, trombano Prodi, ci fanno un governo poi, come pizzicati dalla mosca tse-tse, lo chiamano “pregiudicato”. Noi possiamo permetterci di chiamarlo con il nome che ha dopo la sentenza della Cassazione, loro no, e non si permettano. Massimo D'Alema, l'uomo dei lunghi asti e degli odii sempiterni, uscendo dalla direzione del Pd ha detto: “Siamo alle comiche”. Come definire allora il patto della crostata a casa Letta (lo zio) che, allo zibibbo parlava di accordo fatto e la mattina dopo, appena preso il caffè, si trasformò per il lider maximo in un incubo? Il fatto è che Renzi non può permettersi di perdere le Europee. Se dovesse avvenire, Baffetto gli direbbe: “Io dopo averle perse mi sono dimesso, tu che fai?” La segreteria di De' Medici, insomma, corre il rischio di essere la più breve della storia dei democratici, ancora più breve di quella di Epifani, il che è tutto dire. E come potrebbe perdere le elezioni europee Matteuccio-foglio excel? Per colpa dell'immobilismo di questo governo ultrademocristiano del quale il Pd è l'azionista di maggioranza. L'effetto primarie, insomma, potrebbe durare pochissimo se ser Matteo non mette qualche freccia nella sua faretra tenendosi pronto a scoccarla. E piuttosto che farsi defenestrare da un Fassina-chi? qualsiasi, preferisce andare a votare anche per le politiche, l'election-day di Berlusconi e Grillo, e giocarsi la partita in campo aperto, con una legge elettorale nuova di zecca che non lo faccia partire da perdente. In queste ore Matteo incontrerà Berlusconi. Più di un osservatore politico sottolinea come il fatto in sé, non rappresenti uno scandalo, purché tutto avvenga alla luce del sole, purché si adotti il metodo tedesco di consultazioni quasi pubbliche come quelle avvenute fra la Spd e il Cdu. L'aria è questa. L'incontro dovrebbe tenersi a Firenze davanti a una ribollita, più pesante della crostata ma sicuramente meno subdolamente raffinata. Poi c'è il Brunello di Montalcino, ma questo è un altro discorso.


PS. Se non lo avete ancora capito, abbiamo prorogato il tempo a disposizione di Matteo per tentare di convincerci.

giovedì 16 gennaio 2014

Bonanno fa il clown e Renzi incontrerà Silvio. Ma Matteo ci fa, ci è o è solo furbo?

Una volta, tanto tempo fa, i clown si tingevano la faccia di bianco ed era pallore e chiarore lunare proprio come quello del cuculo della canzone scout. Poi arrivò Al Jolson che se la tinse di nero per interpretare un cantante di Jazz, ma quello era un film anzi, il primo film sonoro della storia del cinema. Ieri, con tutt'altro piglio e scopo, l'attore-clown-fine dicitore-bifolk singer leghista, Gianluca Bonanno, ha pensato di rinverdire i fasti dei Pierrot all'incontrario, tingendosi durante il suo intervento alla Camera, la faccia di nero. “Se questo è l'unico modo – ha detto Bubu – di farsi ascoltare dallo Stato, ebbene signor presidente della Camera, eccomi qua”. Peccato che dei coulored, il povero Gianluca non abbia né il fisico né lo sprint, altrimenti sarebbe Speedy Gonzales. In compenso, il suo segretario federale, il padano vero Matteo Salvini, ha sottoscritto sempre ieri con la signora Marie Le Pen, un patto di ferro per introdurre la xenofobia in Europa cancellandone il reato. Si allungano così gli aggettivi distintivi del microcosmo telefonico della Lega: razzisti, xenofobi, estremisti, ultranazionalisti, nazionalsocialisti, negazionisti, antisemiti. Certo che di aggettivi i leghisti sono pieni, peato gli manchino i voti.
E parliamo di cose serie. Renzi lo aveva detto e lo farà, per la nuova legge elettorale sentirà tutti ma proprio tutti, quindi anche Silvio. C'è già stato l'incontro con il plenipotenziario Denis Verdini, da oggi a breve ogni momento è buono per lo splash down al vertice fra il leader del Pd e quello di Forza Italia. A una prima lettura, questa storia ci ha causato un conato di vomito ripensando, soprattutto, alla legittimazione che D'Alema dette a Silvio con la Bicamerale. Ma poi abbiamo pensato: possibile che Renzi, memore delle cazzate di Baffetto, faccia lo stesso errore? Cada nella stessa trappola? Se c'è caduto il politico più intelligente degli ultimi 151 anni, possibile che ci caschi pure il De' Medici di voialtri? Improvvisamente però, ci è venuto un flash. E se Matteo non fosse il politico più intelligente ma semplicemente il più furbo? C'è da dire che se il pregiudicato Berlusconi dovesse varcare la soglia della sede del Pd, a qualcuno potrebbe venire uno sturbo. Almeno D'Alema, oltre che a casa Letta (lo zio) per il patto della crostata, lo incontrava solo a Montecitorio.

mercoledì 15 gennaio 2014

La Lega a tutto campo contro Cecile Kyenge. È iniziata la campagna elettorale, al grido “dagli al negher”

Ogni tanto bisogna occuparsi anche dei prefissi telefonici, questo è quanto vale oggi la Lega che fu, una percentuale da teleselezione. Non è un bell'esercizio, né di analisi politica né (tanto meno) di scrittura. Il fatto è che quando i valligiani dal palato fine, che si nutrono con i “güster” di funarian/guzzantiana memoria e di bistecche d'orso con rutto finale la fanno fuori dal vasetto, non è possibile far finta che non esistono: ci sono e vanno presi in considerazione. Così, come i giornali americani dello Iowa pubblicano gli indirizzi dei pedofili per tenere i bambini lontani dalle loro case, la Padania ha deciso di pubblicare tutti gli appuntamenti della ministra Cecile Kyenge nelle contee del nord. Lo scopo? Aizzare i celti, i vichinghi (con annesse corna sull'elmo) e gli adoratori di Odino non praticanti, a contestarne non solo la politica ma soprattutto la presenza fisica. Di “negri”, a meno che non siano destinati alle fabrichètte dei cummenda, al pascolo delle vacche padane, all'edilizia del Nord-Est, alla raccolta del riso (le mondine sono scomparse sostituite da ex danzatrici del ventre di dubbia provenienza), allo smaltimento dei rifiuti organici dei culoni degli allevatori di latte con multe della UE annesse, e alla campagna intesa proprio come campagna, agricoltura insomma, del Trota novello Menenio Agrippa, sono solo clandestini senza patria da rinchiudere nei centri di accoglienza in attesa di rimpatriarli. Tutta l'umanità e l'accoglienza dei leghisti è sintetizzabile in una frase: “fœra dai ball”. Poi c'è il duo di piadina, Matteo Salvini e Bobo Blues Maroni, che, novelli Starski e Hutch, stanno giocando al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. Salvini scende in piazza con la felpa padanizzata insultando domineddio, Maroni in completo fumo di Londra, ma con cravatta verde d'ordinanza, fa lo statista nel suo ufficio al Pirellone. Allora a noi viene in mente Amoo Hadji, un ottantenne del villaggio di Dezhgah, distretto di Deharm, provincia di Fars in Iran il quale, non lavandosi da sessantanni (è il detentore del record mondiale di sporcizia), ha preso le sembianze di un africano di Ouagadougou pur essendo di colorito bianco-latte dalla nascita. Ma non è che Borghezio è bianco solo perché si lava?

martedì 14 gennaio 2014

La base dei 5S sconfessa il Duo: questione di testa non di pancia. Perché la De Girolamo sì e la Cancellieri no?

Due considerazioni. La prima. Se Beppe Grillo avesse consultato la base anche sul “trattatuni” con Piergigi Bersani, probabilmente oggi lo scenario politico sarebbe diverso. Dalla consultazione on line sull'abolizione della Bossi-Fini, è venuto fuori sì un mal di pancia, ma quello della base dei 5S che evidentemente si sono rotti le palle di essere rappresentati da due tagliateste di cui uno tanto virtuale quanto subliminale. Siamo curiosi di sapere cosa accadrà ora che la base del Movimento li ha pubblicamente svergognati, cliccando in modo tale da prendere una posizione che, secondo il leader maximo, li avrebbe ridotti a prefisso telefonico. Da prenderli a schiaffi, i duri e puri, quelli che fino a ieri hanno detto che la democrazia della rete era l'unica possibile, e che oggi, alla luce del risultato della consultazione, hanno affermato “La politica non si può ridurre a un clic”. Ma che vi venga un bene, per diventare deputati e senatori vi sta bene, per prendere decisioni no? La base, e una buona parte dei cittadini parlamentari, contesta violentemente la gestione verticistica del Movimento, dei “vaffa” senza costrutto non ne possono più, e devono essersi stancati anche delle sirene e dei chip sottocutanei. Casaleggio forse non è Orwell e dare del Messia a Beppe sta sembrando a qualcuno un assurdo in termini. Diciamo che questo voto virtuale ha spiazzato i capi 5S, e qualcuno si è spinto ad accusare Casaleggio di usare il blog di Grillo come un'arma. I dissidenti o i critici, però, devono stare attenti. Nel sonno potrebbero anche essere colpiti dal raggio laser di Jeeg Ufo Robot.
La seconda. È da ieri l'altro che ci chiediamo per quale motivo Nunzia De Girolamo si dovrebbe dimettere e Anna Maria Cancellieri sia rimasta invece al suo posto. Ci chiediamo se non sia più grave che il ministro della giustizia dia dell' “ingiusto” a un provvedimento dei giudici, che un “vaffanculo” o un “mi avete rotto le palle”, detti fra le mura di casa da un deputato del Pdl, abituato a sentirne di peggiori dai suoi colleghi. E se da un lato il carattere sanguigno della De Girolamo potrebbe perfino giustificare parole non degne di una signora, ma entrate prepotentemente nel lessico contemporaneo grazie anche al berlusconismo dei cinepanettoni, dall'altro ci riesce difficile comprendere il motivo per il quale chi distingue gli italiani fra cittadini di serie a e di serie b e non chiede scusa per le sue amicizie pericolose, non solo continui a sedere in Parlamento ma sia anche un ministro della repubblica. Grillo con i vaffanculo ci si è costruito una carriera, la De Girolamo rischia di giocarsela. Non è giusto... non è giusto. 

domenica 12 gennaio 2014

Cose di casa nostra (Cota, Di Girolamo, Cialente) e di altre case (Sharon). Chi si dimette, chi non si dimette, chi muore, chi vive, chi vivacchia

Contrariamente a quanto accade per altri personaggi che hanno fatto la storia dell'umanità, per Ariel Sharon, il Leone di Dio e lo Sciacallo dei palestinesi, non occorrerà attendere il giudizio dei posteri. Il passeggiatore domenicale della Spianata delle moschee, è stato un guerrafondaio responsabile di massacri e di occupazioni tout court, di stragi e di invasioni feroci e disumane. Inutile dire che in Israele lo stanno ricordando per i passi (corti, cortissimi) fatti per il processo di pace e tutti sottolineano il ritiro dei sionisti dalla Striscia di Gaza. Non c'era stato nessun pentimento nella sua decisione di fare un passo indietro, solo una grande pressione statunitense. Resta stampata nei libri di storia, la risposta che diede a un giornalista americano: “Cosa intende fare, lei, Ariel Sharon, con Arafat?” “Arafat deve essere ucciso”, rispose colui che, post mortem, qualcuno sta cercando di far passare per un pacifista.
Si è dimesso il sindaco dell'Aquila. Massimo Cialente ha detto: “È impossibile resistere alla macchina del fango”. Il sindaco, non indagato, ha preferito rispondere con le dimissioni alle non-dichiarazioni del governo e all'aria di sostanziale sfiducia che si respirava intorno alla sua giunta dopo l'avviso di garanzia al vicesindaco. E così, mentre escono fuori le intercettazioni telefoniche degli sciacalli autoctoni, L'Aquila si ritroverà senza amministrazione fino a maggio, quando i cittadini decideranno come farsi governare da Forza Italia, che poi è il partito dell'ideologo delle New Town. Così andrà a finire, e torneranno in auge i vecchi tromboni delle passate, disastrose, amministrazioni Berlusconian-casiniane.
Chi di intercettazioni ferisce, di intercettazioni perisce. I centrodestrorsi, che con le intercettazioni telefoniche ci vincono le elezioni, stavolta devono rispondere di pressioni e ricatti fatti ai manager della asl di Benevento su gare d'appalto ad escludendum. Ditte e professionisti sgraditi (sembra) al clan dell'allora deputata, oggi ministro, Nunzia De Girolamo, sono stati fatti fuori dai bandi pubblici per una questione di 118. La De Girolamo è attesa in parlamento per far firmare la giustificazione dal preside LettaLetta, ma tira aria di rimpasto e Renzi non è affatto contento di sporcarsi le mani in questo momento e con questo governo.
Cota sta dando di matto. Lo avete sentito in tivvù, spalleggiato da Salvini e Borghezio, mentre parla di golpe, di sovvertimento degli organi dello stato, di complotto comunista e di magistratura politicizzata? Inarrivabile, soprattutto se si pensa che sotto i pantaloni indossa le mutande verdi acquistate in America con i soldi dei contribuenti. In vista delle prossime elezioni europee, i partiti neofascisti e una parte di grillini, stanno affilando le armi razziste. A Brescia, militanti di Forza Italia, della Lega e di Fratelli d'Italia, tutti insieme appassionatamente, hanno contestato ferocemente la ministra Kyenge. Ma mica perché vuole lo ius soli e l'integrazione non di facciata, solo perché è nera. Alla vergogna, come al razzismo specioso, non c'è limite.

sabato 11 gennaio 2014

Silvio: “Lo psichiatra mi ha detto che ho una fortissima componente lesbica”. Fosse solo quello...

Mentre in Piemonte il Tar annulla le elezioni leghiste e Cota dà di matto, Silvio torna a fare “il Silvio” e, durante una riunione con i coordinatori regionali di Forza Italia, e animatori principi dei Cloeub (come dice lui) “Forza Silvio”, dà un po' di matto pure lui. Ma Berlusconi non è Cota, il Capataz le mutande verdi le fa indossare, mica le indossa, e soprattutto gode di una potenza di fuoco mediatica che l'ex governatore del Piemonte si sogna. Non si sa se ancora preda di deliri notturni freudiani, o se per effettiva consapevolezza di quanto afferma, Silvio è convinto di fare il capolista in tutte le regioni italiane alle prossime elezioni europee. In che modo? “Grazie a una sospensiva dei tribunali europei alla quale stanno lavorando i miei avvocati internazionali”. In Europa, lo sanno cani e porci, le cancellerie dei tribunali si stanno ancora scompisciando dalle risate dopo aver letto le motivazioni dei ricorsi presentati dai legali internazionali di Silvio, ma a lui sembra non interessi nulla anche perché, da un po' di tempo, pare che lo stiano corteggiando ben quattro nazioni. Malta, la Bulgaria la Romania e (dicono) la Spagna, vorrebbero Silvio candidato nei loro collegi e, pur di avere lui e i suoi soldi, sarebbero disposte a fare carte false. Ma Silvio tentenna, lui vorrebbe essere candidato in Italia anche con il braccialetto elettronico al polso che non è più né una battuta né una possibilità remota. Ma nella riunione dei coordinatori regionali di cui sopra, oltre a quella sulla sua “fortissima componente lesbica” (una battuta che non facevamo neppure, affamati cronici, in caserma), Silvio è tornato a fare la parte di Re Mida. “Qualsiasi cosa tocco diventa famosa – ha detto l'ex psiconano grillesco – pensate a quello che è successo a Dudù e, tutto sommato, a Toti”. Certo che il direttore del TG4 si sentirà fiero di essere paragonato a un barboncino (con tutto il rispetto per il barboncino, ovviamente).

venerdì 10 gennaio 2014

Tutti rincorrono Matteo, inseguitori con il fiato corto e le gambe molli. Nel frattempo chiesti tre anni di reclusione per l'”inconsapevole di Imperia”

Iniziano gli insulti, i distinguo, le prese di distanza, i “niet” che non hanno né capo né coda. Un merito Renzi lo ha, sta facendo andare di corsa un paese abituato ai tempi democristiani dell'eternità per vocazione. Prendiamo l'ultimo caso Saccomanni-Carrozza, quello dei soldi degli insegnanti chiesti indietro dallo stato. La Carrozza sapeva tutto e ha taciuto. Saccomanni ha solo fatto il suo dovere di tagliatore di teste e di speranze. Burocrate dentro, Fabrizio si stava già fregando le mani quando da Firenze è arrivato l'altolà: “Se questa storia va avanti – ha detto Matteo – mi arrabbio sul serio”. Dietrofront del duo delle meraviglie e niente più restituzione.
Legge elettorale. In aula entro la prima settimana di febbraio. Hai voglia di starnazzare come sta facendo 'O Schiattamuort. I tempi sono stati fissati e se il NCD non ci dovesse stare, è pronto Silvio con i suoi giannizzeri. Sul modello da adottare, ampia libertà. Matteo ne ha proposti tre, lasciando il cerino nelle mani degli altri che ci si scotteranno.
Job Acts, la proposta sul lavoro che Renzi presenterà alla prima direzione del PD. Anche in questo caso distinguo e insulti. Renatino Brunetta si riscopre fustigatore e dà del dilettante a Matteo, proprio lui che sa di economia quanto noi di fisica dei Quanti quindi, praticamente nulla.
Questi della destra (il centro se lo sono giocato da un pezzo) sono fermi all'età della pietra. Mentre negli Stati Uniti la liberalizzazione delle droghe leggere avviene anche lì dove regnano i conservatori e contribuisce ad aumentare l'occupazione e il pil, in Italia è ancora una volta argomento tabù. Se un paese non adotta un provvedimento che diminuirebbe innanzitutto il potere delle narcomafie, voi cosa pensereste, minimo a connivenze, o no? Sempre 'O Schiattamuort, mai tanto chiacchierone come in questi tempi, segno che non fare più il Cocorito gli fa bene, attacca i matrimoni gay e dice che se Matteo dovesse far presentare la proposta di legge che li introduce, il suo partito scapperebbe di corsa. “Senza di noi il governo non 'è più”, ricatta Angelino. Ma qualcuno gli ha spiegato che se cade ora il governo il suo peso politico sarebbe lo stesso di Fini? Si ricatta tanto per ricattare, si fa la voce grossa per mettere le mani avanti ma alla fine, questi pesciacchioni del nulla, sanno di contare come il due di coppe quando la briscola è bastoni.
E chiudiamo con l'Inconsapevole di Imperia. Per l'ex ministro Claudio Scajola, alias il manganellatore del G8 di Genova (che memoria corta avete, italianucci cari!), il tribunale di Roma ha chiesto 3 anni di reclusione e 2 milioni di euro di multa. Il tutto inquadrabile nel contesto del regalo ricevuto da Anemone, quell'appartamentino fronte Colosseo che Scajola si era ritrovato nella disponibilità totale pur non avendolo acquistato di persona personalmente. Restano le “case Ligresti” a Roma, quelle popolate da politici, imprenditori, amici, amici degli amici. Ma questa è tutta un'altra vergognosa storia. La morale di questo post? Boh... 

giovedì 9 gennaio 2014

Il governo dei gamberoni. La parola d'ordine è: “Dietrofront”. Continua la vergogna di un esecutivo senza idee

Non se ne può più. Che questo fosse un governo democristiano “dentro” lo si sapeva. Che, come facevano i vecchi leader della Balena Bianca, ogni questione diventa prioritaria a seconda della platea a cui ci si rivolge, era lapalissiano. L'unica differenza consiste nel fatto che la vecchia DC non aveva così tanti ladri al suo interno, mangiavano meno di questi che non riescono a staccare la spina neppure degli altissimi affitti dei palazzi della politica. Che il governo avesse pianificato il taglio degli stipendi degli insegnanti della scuola pubblica, è un dato di fatto incontrovertibile. Il problema è che tutti hanno taciuto fino al momento in cui il recupero dei danè sarebbe dovuto diventare effettivo, cioè con lo stipendio di gennaio 2014. La conseguenza del “far finta di niente”, rispetto alla richiesta di rimborso delle somme indebitamente percepite, sarà quella che non ci saranno i corsi di recupero per studenti in difficoltà, i corsi di aggiornamento degli insegnanti, i progetti speciali che ogni scuola aveva programmato. Il ragionamento è semplice: la ministra Carrozza aveva progettato tutto questo ben di dio basandosi su cosa? Sul finanziamento extra del MEF? Siccome è improponibile pure pensarlo (un aumento del bilancio a disposizione del ministero della Scuola), significa che la ministra sapeva esattamente da dove le sarebbero arrivati i soldi. E allora, diciamo noi, perché ha fatto finta di non saperne nulla proprio come chi cade dal pero svegliandosi di soprassalto? I matrimoni d'interesse, o contronatura, sono destinati a durare pochissimo perché, prima o poi, uno dei coniugi o scappa o cornifica. Questi del LettaLetta, pur di continuare a governare, venderebbero la mamma, la nonna, la zia e fors'anche la moglie e le sorelle.
Chiudiamo con la notizia degli arresti e degli avvisi di garanzia agli amministratori aquilani per il lucro sul sisma del 6 aprile 2009. Fin quando a ridere del terremoto e dei morti erano personaggi estranei alla comunità locale, si poteva anche diabolicamente capire, ma sapere che cittadini dell'Aquila hanno approfittato di una situazione ad altissima drammaticità, ci indigna. Nei loro confronti, gli sciacalli sono canidi in smoking.

mercoledì 8 gennaio 2014

Se un governo nasce peracottaro non può diventare un club di statisti. Gli insegnanti dovranno restituire gli adeguamenti automatici dello stipendio del 2013

Retroattivamente, come si usa nei regimi totalitari, il governo LettaLetta, a novembre, decide che il blocco degli stipendi degli insegnanti sarà valido anche per il 2013, dunque con l'annualità in corso. “Mai più tagli alla cultura e alla scuola”, urlò Enrichetto appena nominato premier. Infatti, i soldi destinati alla ricostruzione del centro storico dell'Aquila li ha dirottati a Pompei, e dagli insegnanti della scuola, dopo gli 8 miliardi di tagli della scellerata gestione Gelmini (impegnati nella costruzione del tunnel Gran Sasso-Cern di Ginevra), pretende la restituzione delle somme percepite come adeguamento automatico degli stipendi previsto dal contratto nazionale di lavoro. Parliamoci chiaro, nessuna intenzione di intraprendere una battaglia a difesa dell'ennesima corporazione di questo paese, il fatto è che troviamo aberrante che lo Stato pretenda la restituzione di soldi che lo Stato ha dato rispettando un contratto che lo stesso Stato ha sottoscritto. Se non è schizofrenia questa, spiegateci voi cosa diavolo è la schizofrenia. Il paese, questo paese, è retto dalle fandonie e dalla disciplina imposta dai burocrati europei. Non si capisce più cosa ci si deve aspettare la mattina appena svegli, se le leggi che regolano la vita dei cittadini italiani siano o no le stesse con le quali si sono addormentati la sera. Questo governo è composto da una combriccola di giovincelli (solo d'età) rincretiniti che giocano alla politica come fosse il Sudoku: pur di far tornare i conti in orizzontale e in verticale, venderebbero la mamma. Il ministro Saccomanni, poi, ci ricorda il sagrestano della chiesa del nostro paese, il quale si incazzava come una iena se non si mettevano 100 lire nel bussolotto che faceva girare fra i fedeli con aria minacciosa e che, parafrasando il matto di Nuovo Cinema Paradiso, diceva “la moneta è mia, la moneta è mia”. Fosse per lui farebbe pagare le tasse anche a Berlusconi ma non può, i suoi calzini sono corti e pericolosamente verde pisello. Spread o non spread, i dilettanti, specie se massoni, non servono all'Italia, men che meno agli italiani che non stanno messi male come i greci ma che, nel frattempo, si stanno nutrendo di pane e tzatziki. Non si può sapere come andrà a finire.

martedì 7 gennaio 2014

Il mondo in pena per Schumacher, la Merkel e Piergigi. In Sardegna, invece, i 5S...

Mentre il mondo è in fibrillazione per le condizioni di salute di Schumacher, di Angela Merkel (anche lei caduta dagli sci, segnale inequivocabile che lo sport fa male) e di Piergigi Bersani che non vede l'ora di godersi Juventus-Roma 3 a 0, in Sardegna il M5S alza bandiera bianca e decide, nella piena autonomia di Beppe Grillo, di non prendere parte alle prossime regionali. Curioso il caso sardo. Alle ultime politiche il Movimento aveva preso più voti di tutti gli altri partiti, un 29,68 per cento alla Camera che non ha convinto il Capo Supremo a concedere il simbolo pentastelluto ai rappresentanti sardi della sua creatura. In queste ore si sono succedute dichiarazioni su dichiarazioni, spesso contraddittorie, in antetitesi le une con le altre. Le due fazioni dei 5S, insomma, non si sono messe d'accordo, accusandosi l'un l'altra di protagonismo, malpancismo, incoerenza e rifiutandosi di confrontarsi per arrivare a quell'unità di intenti che Grillo aveva messo come condizione indispensabile per correre alle regionali. Le posizioni si riassumono nelle dichiarazioni di due esponenti delle opposte fazioni. Emanuela Corda, deputata, dice: “Noi non presenteremo alcuna lista, perché non siamo ancora pronti per farlo. Quando avremo un metodo definito e regole certe condivise, arriverà il nostro momento. Ci sono ancora troppo livore, troppa incoscienza, troppo protagonismo nell'esternare ai quattro venti, un malessere che è figlio primariamente delle nostre stesse debolezze e delle nostre fragilità. Temo che alcuni abbiano scambiato il Movimento per uno sfogatoio dove poter fare il proprio comodo, senza curarsi del fatto che in certi contesti, occorra rispettare delle elementari regole di buona educazione”. Le risponde, piccatissima, un'altra deputata, Paola Pinna, che dice: “La Sardegna non era pronta? E chi mai è stato pronto? Sarebbe bastato poco per esaudire le richieste d'aiuto di vari attivisti e parlamentari. O non interessa la Sardegna, come non è mai interessata a nessuno se non per trascorrerci le vacanze, o è il periodo che è poco indicato (europee in vista)". Per quello che può valere il nostro giudizio, è buona la seconda. Evidentemente i sondaggi danno (anche in Sardegna) il M5S in caduta libera. E un fallimento, a pochi mesi dalle europee, non sarebbe un bel biglietto da visita dopo i flop rimediati in questi ultimi tempi. Lo sa Grillo, lo sa Casaleggio. Meglio passare, almeno per questa mano... di poker.

domenica 5 gennaio 2014

Fassina lascia per una battuta. Quando il “chi?'” è un'offesa

Quel “chi?”, detto in un certo modo, deve suonare alle orecchie di qualcuno peggio del famigerato “cornuto”. Per molti aspetti ciò può essere vero, il dolore per le corna dopo un po' passa. Una volta rientrate nel loro alveo naturale, quelle vergognose appendici finiscono per essere dimenticate. Ma la sindrome da anonimato che un semplice “chi” con il punto di domanda finale (pur essendo tutti i giorni in tv e sui giornali) deve portarsi appresso, al destinatario suona come, se non peggio, una infamia. È il caso di Stefano Fassina, ex viceministro dell'economia, che ha rassegnato irrevocabilmente le dimissioni dopo che il segretario del suo partito alla domanda: “Che ne pensa della proposta di rimpasto formulata dal sottosegretario Fassina?”, ha risposto con un “chi?” che ha fatto sganasciare dalle risate la folla dei giornalisti presenti alla conferenza stampa di Firenze. E dire che fino a ieri al povero Fassina ne avevano dette di tutti i colori. Da “ignorante” a “laureato per corrispondenza”, da “inconsistente” a “visionario della domenica” fino al terribile “analfabeta”, Fassina, da responsabile economico del Pd, è stato trattato malissimo a tutte le latitudini ma, stoicamente, è sempre rimasto al suo posto, fedele allo scopritore e mentore Piergigi Bersani, campione di assenteismo a Montecitorio, nonché responsabile smacchiatore di una delle più cocenti sconfitte elettorali dei democrat. È bastata però una battuta di Matteo, ché l'ultimo esponente della sinistra Pd nel governicchio LettaLetta, se ne andasse sbattendo la porta. Diciamolo, Fassina non aspettava altro. A lui questo governo non piace, questa alleanza poi, la aborre. Fine del viaggio, fine della spocchia, fine della resistenza. E il Pd è quel partito padronale di cui tutti temevano la svolta. Domanda. Ma in un partito che ha fucilato alle spalle il suo padre fondatore con 101 raffiche di vergogna, un po' di disciplina, alla fine, serve o no?

venerdì 3 gennaio 2014

Politici assenteisti: Verdini il vincitore, seguito da Ghedini. Marchionne li avrebbe già licenziati. Sorpresa, gli stakanovisti non sono i 5S

Il Sergio proprietario di FiatCrysler li avrebbe già licenziati in tronco. Al contrario del popolo italiano che non ha potere contrattuale, l'ad di Fiat il potere ce l'ha sul serio e ben lo sanno quelli della Fiom. È uscita la particolare classifica di Openpolis, quella che assegna le maglie nere ai politici che nell'ultimo anno di legislatura non hanno brillato per i servizi resi alla comunità. Al Senato al primo posto, vincitore assoluto, c'è Denis Verdini, il falco braccio destro di Berlusconi che ha totalizzato più assenze del suo stesso Capo. Lo segue Mavalà, evidentemente più impegnato nelle aule processuali a difendere Silvio che ad ergersi a paladino di leggi e riforme. Al terzo posto un'altra berluschina, Mariarosaria Rossi, che di Silvio è la badante storica. Spicca anche il nome di Tremonti, ma l'inventore della finanza creativa è troppo impegnato a non far pagare le tasse ai suoi clienti ricchi che a tutelare i bisogni degli italiani poveri. A Palazzo Madama non brillano neppure Mario Monti, Maurizio Sacconi, Renato Schifani e il Pd Marco Minniti. Alla Camera il risultato è lo stesso, segno inequivocabile che ai forzaitalioti l'aria di Montecitorio causa una fastidiosa allergia da aria chiusa. Maglia nera, e vincitore assoluto, è il deputato di FI Antonio Angelucci che ha partecipato a tre, diconsi tre, votazioni, su 2818. Poi ci sono le “televisive” Michela Brambilla e Daniela Santanché ma anche, udite udite, Umberto Bossi, Gianni Cuperlo e Piergigi Bersani. Ma i Pd sono in testa per presenze, sia al Senato che alla Camera. Federico Fornaro ha totalizzato il 100 per cento di presenze a Palazzo Madama, mentre a Montecitorio, in tre si piazzano al primo posto sempre con il 100 per cento di presenze, Cinzia Fontana, Giuseppe Guerini e Tino Iannuzzi. Primo dei 5S, al 27° posto, Francesco Cariello. C'è sempre qualcosa che non quadra, ma non fa niente. 

giovedì 2 gennaio 2014

È con viva e vibrante soddisfazione... Gli sfascisti non passano, e le provocazioni hanno le stesse gambe di Brunetta

Sarà che quando la “santa alleanza sfascista” tuona a noi viene da ridere, se l'asse maramaldo FI/5S/Lega ci invita a non seguire il discorso dell'Innominabile noi che facciamo? Lo seguiamo porco boia. E come noi la devono aver pensata 9 milioni e 800mila italiani che, in barba agli anatemi di Silvio, le grandguignolesche buffonerie di Grillo e le fregnacce di Salvini, si sono messi davanti alla tv e hanno ascoltato il Presidente rispondere colpo su colpo ai propagandisti del nulla. Quello che pensiamo di Colui-che-siede-sulla-poltrona-più-alta, lo sanno tutti ma, più che l'avversione per la politica regia di Giorgio, potè lo schifo per un'asse che puzza di paraculaggine e come un insulto alle intelligenze normali. Non ci vuole infatti un genio a capire che se Brunetta detta i tempi di assenza e presenza dei 5Stelle durante le votazioni nelle commissioni, c'è qualcosa che non va. Berlusconi è assatanato, astioso, trascinato dalla voglia perversa di vendetta. Grillo, sente l'elettorato che lo ha sostenuto disperdersi giorno dopo giorno nei mille rivoli della delusione. Salvini, vuole recuperare i leghisti che lo hanno mollato con l'estremismo di posizioni ultraxenofobe in grado di non farlo più essere un prefisso telefonico. L'invito a disertare il discorso di fine anno di Roi George non ha funzionato. Gli italiani, si sa, sono un po' pierini e tendono, per natura, a fare il contrario di quanto, sembra, gli venga imposto. Così, se Beppe dice che l'uomo dell'anno è l'interprete per i sordomuti dei funerali di Mandela, si becca una sequenza di fischi che metà basta. A questo punto, se a fanculo ci andasse lui insieme con i suoi soci, non farebbe una lira di danno. E Matteo? Dopo la sbronza delle feste... pensa. E intanto mancano dieci giorni.