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mercoledì 31 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Bauman e la vita a episodi


Bauman e la vita a episodi


Lo pensiamo da sempre, ora abbiamo la certificazione di qualità d'intuizione, il bollino blu addirittura di Zygmunt Bauman, un uomo che di sociologia ne capiva parecchio. Che la vita fosse una sit-com divisa in puntate ce ne siamo accorti tanto tempo fa, quando alcuni episodi hanno pesantemente condizionato la nostra esistenza costringendoci a repentini cambi di prospettiva. L'occasionalità, o come li chiamerebbero in molti, gli imprevisti, sono parte integrante del nostro essere cittadini pensanti di un mondo che si è stancato di pensare. Consapevoli che il fato (non il fatalismo) esiste, ci siamo convinti che agitarsi troppo in alcuni momenti, sarebbe stato fare il gioco del nemico. Non stiamo parlando di rassegnazione ma di consapevolezza, battersi sì ma non contro i “mulini a vento”, combattere ma non contro chi di combattere non ha nessuna intenzione. D'altronde, la vita è piena di sorprese e se non accadono ci chiediamo che minchia di vita è. Ma Bauman, in una intervista rilasciata nel 2007 a Sabina Guzzanti e uscita postuma in questi giorni, conclude il suo pensiero dicendo: “... (siccome la vita si divide in episodi) non siamo incoraggiati a pensare a lungo termine”. Ora, volendo sgombrare il campo da qualsiasi esperienza personale, possiamo dire di aver capito perché, ad esempio, questo è un Paese che non ha neppure un abbozzo di progettualità, che non riesce a pensare al futuro e che si accontenta di vivere il presente cercando di trarne il maggior beneficio possibile. Sembra quasi che la presa d'atto della brevità della vita, costringa i nostri politici a guardare dritto e a non avere neppure quel pizzico di curiosità che spinge i normodotati a sbirciare un po' a destra e un po' a sinistra. Per anni si sono costuiti edifici con il cemento armato, tutti sapevano che il cemento armato ha una data di scadenza come uno yogurt qualsiasi e che soprattutto ha bisogno di manutenzione. Siccome però il concetto di manutenzione implica quello di progettualità a lungo termine, una volta tagliato il nastro inaugurale di un viadotto si pensa che duri per sempre, come l'amore vero cantato dai romantici. Quando poi ponti e viadotti crollano miseramente, ci si rende conto che di eterno non c'è proprio nulla (amore compreso). Siamo diventati tutti miopi, non riusciamo a guardare oltre il confine di noi stessi e questo comporta che i giovani, un giorno lontano, non avranno uno straccio di pensione con la quale vivere. Così sopravviviamo, scoprendo un gratta&vinci, un miliardario, un turista per sempre, sperando che un episodio ci cambi la vita non avendo la forza e il coraggio di cambiarla mettendoci la faccia. Facciamo finta di incazzarci con gli altri quando dovremmo farlo solo con noi, inebetiti dallo scarico di un Suv, storditi dalle movide, abbagliati dallo scintillio di un rolex, rincoglioniti dalla tv del pianto e dall'animalismo elettorale di politici poveri di idee ma ricchi di supponenza. È vero, “non siamo incoraggiati a pensare a lungo termine”, ma a sparare un solenne vaffa, sì.


martedì 30 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. I suffragi e i preti tarocchi


I suffragi e i preti tarocchi

Ormai uomini di mondo, noi che non abbiamo fatto il militare a Cuneo ma a Bracciano, avevamo la sana convinzione di averle viste (e fatte) tutte. Purtroppo non ci rendevamo conto che la fantasia, nell'epoca del virtuale spinto, supera sempre la realtà. È su questo concetto che si basano le fakenews, sulla discrezionalità con la quale un fatto (vero) può essere travisato fino a mostrarlo sotto un'altra luce, una versione opposta, e farlo apparire altrettanto vero. Se fosse un mockumentary saremmo in presenza di una visione artistica ma siccome non lo è, possiamo permetterci di parlare di mondo taroccato, come quei Rolex che durano il tempo strettamente necessario per fare bella figura con la bonazza di turno. Non ci si può e deve meravigliare, quindi, se anche nel mondo delle arti e dei mestieri i tarocchi di turno prendono il posto degli artisti, degli artigiani e dei preti veri. Perché proprio di un prete sui generis stiamo parlando. Lo ricordate don Orlando Amendola, il pretacchione del Campo X del cimitero di Milano, noto celebratore di fasci vivi e defunti? Ne abbiamo parlato qualche giorno fa e da allora, la giustizia ha compiuto i passi che le erano stati richiesti. Don Orlando, insieme agli altri presenti alla cerimonia funebre postuma del “camerata” Umberto Vivirito, è stato denunciato per “apologia del fascismo”, reato grave previsto sia dalla Costituzione che dal Codice Penale. Ovviamente, dopo il diffondersi della notizia, tutti si sono chiesti chi diavolo fosse il don Orlando nero che più nero non si può. È venuto fuori che né la Diocesi di Milano né il Vaticano sanno chi sia il Din-Don e poffarbacco anche Dan. Insomma, per le gerarchie cattoliche don Orlando non è un "don", non appartiene alla Chiesa, non è un fruitore dell'8 per mille e non ha fatto voti di castità né di astinenza dalla politica. Però un prete lo è davvero, dei Vetero Cattolici, un ordine non riconosciuto dalla Diocesi di Milano né da Roma. Ma non contento, don Orlando, lo scrive sul suo profilo Facebook, è entrato a far parte della Chiesa Cattolica Nazionale di Polonia che, a sua volta, si è staccata dai Vetero Cattolici. Insomma, per chi non lo avesse capito, nella Chiesa è subentrata la sindrome dei cespugli della sinistra italiana, per la serie: più siamo, meglio siamo, meno contiamo se non per i reduci.



lunedì 29 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. La solitudine della numero uno


La solitudine della numero uno


È finita come doveva. America First ha vinto su tutta la linea e la vecchia Europa è stata costretta ad abbassare toni e pretese. Niente di nuovo sotto il bellissimo sole di Taormina e di Giardini Naxos, niente di nuovo nella politica isolazionista e autodifensivista del Trump “russia-inciucione”. Pieno di guai in patria, Donald Duck rivolge all'esterno le sue attenzioni, esattamente come sono stati usi a fare i presidenti americani per risolvere le controversie interne. Quando qualcuno aveva problemi a casa sua, si inventava una guerra esportatrice di democrazia all'estero e il gioco era fatto, e l'arma di distrazione di massa innescata come la vecchia baionetta della fanteria. All'America di Trump, di noi poveri europei non frega una mazza, anzi. Negli USA si vendono troppe Mercedes, e Ferrari e Alfa Romeo rappresentano ancora un mito. E le Mustang? Evidentemente agli americani la Ford sta stretta. Non parliamo poi del vino, del parmigiano, della moda, dello champagne, dei gioielli, dell'arte e della cultura perché altrimenti The Donald ci manda un paio di bombardieri. A lui del clima interessa come il frigorifero agli eschimesi e le stufe agli indigeni del Borneo, per cui gli accordi di Parigi non valgono manco una messa, solo una risata. È stato nel pomeriggio di sabato che Angela, che nella sua vita ne ha sentite di tutti i colori, è sbottata e con un bicchiere di Spaten in mano, si è rivolta ai suoi dicendo: “Ancora una volta abbiamo rimasti soli”, parafrasando un Don Backy del 1965, quando girava nuda, felice e spensierata sulla spiaggia del Mar Baltico ex DDR. Per poi aggiungere: “Noi europei dobbiamo davvero prendere il destino nelle nostre mani”. Questo significa che fino a Taormina, gli europei non erano padroni del proprio destino e che, quando ci incazzavamo per il concetto di autarchia rivolto agli altri, era sbagliato prendersela con lei e non con chi la telecomandava a distanza. La pacchia è finita, la Nato se ne sta andando, che inutile G 7 amore mio, abbiamo aspettato tanto per vederci, ma non è servito a niente.


venerdì 26 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Eia eia Qui Quo Qua


Eia eia Qui Quo Qua

Eppure “Eia eia... “con quel che segue e che non ci va di citare, aveva nobili origini. Era addirittura l'urlo di battaglia coniato da quel geniaccio sessuofobico di Gabriele D'Annunzio. Ma i fasci, la cui creatività è pari a quella di Conan il barbaro, se ne appropriarono rendendola praticamente una barzelletta, un grido soffocato nella vergogna di pseudo machi malati di egocentrismo frullato come un frappè. Per evitare che espressioni di stupidità si ripetessero dopo il disastro del ventennio, lo stato italiano, il 10 giugno 1952, promulgò una legge che rendeva definitiva la XII disposizione transitoria della nostra Costituzione sulla riorganizzazione del Partito Fascista. La legge, numero 645/1952, vietava (e vieta) ogni manifestazione apologetica di un fenomeno che fu, compresa tutta l'attrezzaglia che lo rendeva drammaticamente comico, un disastro storico. Oggi questa legge è sistematicamente violata da personaggi che non sappiamo ancora come definire, accontentiamoci di “figli della Lupa”, così nessuno si offende.
A Milano, nella civilissima Milano che non è Roma, e quindi resta Milano, le manifestazioni di nostalgici del fascio si susseguono a ritmi ininterrotti. E si portano appresso tutto l'antico armamentario gestuale figlio dell'Impero d'Eritrea, di Etiopia, di Abissinia e di Albania, compresi il saluto romano, l'urlo di battaglia e Faccetta nera. Se a farli è un gruppo di ragazzotti rasati con la svastica e “Dux” che spicca un po' dappertutto tatuato su corporature ridicole, la questione resta relegata nell'ambito della pura ignoranza. Ma se a compierli è un prete, la faccenda si fa improvvisamente seria e degna non del tribunale ecclesiastico che non prevede il reato di “apologia del fascismo”, ma di quello italiano che una legge ce l'ha e dovrebbe applicarla.
Don Orlando Amendola, è il cappellano del Campo X del cimitero di Milano, il luogo in cui sono sepolti i combattenti e reduci della Repubblica Sociale. Evidentemente, vivere ogni giorno a contatto con i fascisti della RSI, pure se morti, deve aver condizionato il prete che, da vero capopopolo, ha benedetto la cerimonia in ricordo di Salvatore Umberto Vivirito, militante di Avanguardia Nazionale, rapinatore e omicida, morto durante uno scontro a fuoco con la polizia il 21 maggio del 1977. Per il camerata Umberto Vivirito… presente! Per il camerata Umberto Vivirito… presente!” Ha urlato due volte il prete e, come se non bastasse, ha teso in avanti il braccio destro con la pugna dello squadrista perfetto. Onestamente, detto fra noi, non sappiamo se piangere o ridere, se incazzarci con chi non compie il proprio dovere ammanettando immediatamente il nostalgico, o con la Chiesa che tollera l'intollerabile. Sappiamo solo che se qualcuno ci urlasse in faccia “Eia eia”, noi gli risponderemmo, ridendo, “Qui Quo Qua”.



giovedì 25 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. ♪♪ Che gelida manina, se la lasci riscaldar. No!


♪♪ Che gelida manina, se la lasci riscaldar. No!


E son due. Una mano negata è peggio di uno schiaffo. Di solito la si dà in segno d'affetto, diremmo quasi d'amore. Ma quanta tenerezza fanno le coppie anziane che si tengono per mano? Tanta, tantissima, forse di più. Poi, diciamolo. Il contatto diretto con la donna che si ama, quella mano che si aggrappa all'altra quasi a trarne linfa vitale, è una immagine che ci fa sciogliere e che ci riporta indietro nel tempo, quando la mano era sicura e sapeva esattamente quello che voleva. Melania con il suo Donald, qualche problema lo ha. E non si tratta dell'abito di Armani regalato un giorno qualsiasi o del diamante da 25mila carati che rende quella mano malferma e pesante. E neppure del resort a Miami o dei rubinetti dorati della Trump Tower. Fosse per queste sciocchezze, Melania la terrebbe stretta, la manina di Donald. Invece non lo fa. 
Appena arrivato all'aeroporto di Riyad, dopo essere sceso dalla scaletta dell'aereo e appena messo piede sul red carpet, Donald ha provato a prendere la mano di Melania. Cos'ha fatto lei? Gliel'ha negata facendo scatenare i social in una ridda di ironie di bassa lega. La stessa scena si è ripetuta a Tel Aviv. Idem a Roma. Insomma, il Presidente degli Stati Uniti d'America è stato trattato dall'ennesima moglie come un ragazzino delle scuole medie infoiato.
Noi un'idea ce la siamo fatta. Con quella mano, Donald avrebbe firmato di lì a poco, un contratto di fornitura di armi agli sceicchi di 100 miliardi di dollari. Siccome le armi non sono coriandoli che si tirano a Carnevale, Melania deve aver pensato che continuando di questo passo, il mondo sarà un posto invivibile e che suo marito, forse, qualche responsabilità l'avrà. E infatti, Donald aveva appena firmato il contratto che a Manchester...


mercoledì 24 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Quando finisce la speranza


Quando finisce la speranza

C'è qualcuno che vuole che la nostra vita non sia più la stessa. Colpiscono la normalità, non l'eccezionalità, colpiscono dove e quando nessuno se lo aspetta. La mostruosità è questa, il resto è guerra. Conviviamo con il terrorismo sperando che non tocchi a noi esplodere insieme alla bomba o essere travolti da un camion fatto impazzire da mani esperte. Speriamo che tutto questo accada a chilometri di distanza perché vicino ci farebbe male. Un attentato è come un terno al lotto, imprevedibile ma, al contrario del terno non ci porta soldi, solo un terribile senso di impotenza.
Quando gli obiettivi sono militari, sembra quasi che ce se ne faccia una ragione, ma non c'è nulla di più sbagliato e lo sappiamo benissimo. Questa volta, un attentatore (martire lo definiscono), ha deciso di colpire il futuro, quelli che dovrebbero essere i dirigenti di domani anche se per una sera vanno ad ascoltare una popstar qualsiasi, Ariana Grande. Ragazzine e ragazzini, bambine e bambini a Manchester per una festa, per cantare insieme le canzoni del loro mito, quella cantante americana con il cerchietto in testa che sembra Minnie. I genitori li accompagnano e li andranno a riprendere poi, sono tutti piccoli, gli spettatori dello show, non c'è nulla di cui preoccuparsi.

Invece, come accade negli incubi, la storia non va come avrebbero voluto. Arriva Salman Abedi e si fa espoldere, ha 23 anni, è libico e non si capisce perché debba far fuori ragazzi più piccoli di lui. I morti, per il momento, sono 22. Ci sono bambini vittime di quella violenza cieca e ingiustificata che sta insanguinando il mondo. 22 bambini, la speranza.


martedì 23 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Il silenzio


Oggi, dopo 25 anni, sono ancora senza parole. Basta una foto per non fare sempre il "maestro di vita". Il nostro mondo è pieno di maestri.

lunedì 22 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Il partito di Dudù


 Il partito di Dudù

Fra chi si definisce il novello San Francesco e chi vorrebbe farla alzando la zampetta, la politica italiana si sta velocemente, e pericolosamente, incanalando lungo il sentiero del mondo a parte. Gli scandali ormai rientrano nel nostro costume, nessuno si indigna più e la maggior parte s'incazza e basta per poi votare a pene di segugio. Allora via verso la fantasy pura e i paragoni arditi come le risalite di Lucio Battisti. Lasciamo stare il sacro concetto di francescanesimo del Grillo, subito bocciato a scuola di catechismo dai vescovi, quello che ci diverte di più è la nuova vena animalista di Silvio, una svolta iniziata a Pasqua abbracciando un agnellino. Silvio è tornato alla grande ma, invece delle barzellette sconce, racconta lo stesso stupidaggini basandosi però, questa volta, sulla realtà. Prima ha detto di Macron che si faceva accompagnare dalla nonna (e lui di differenze di età se ne intende), poi ha ridicolizzato i mariti italiani affermando che le mogli preferiscono i cani. Che, fra i due, Francesca scelga Dudù crediamo sia un dato di fatto, ma che per vincere il senso di frustrazione che lo ha investito da qualche tempo debba trattare gli uomini come fossero zerbini, ce ne passa. L'occasione è stata il battesimo del Partito Animalista di Michela Vittoria Brambilla, Silvio dal palco ha tuonato: “Abbiamo fatto un sondaggio che ci ha detto, avvalendosi dell'anonimato, che tra marito e cane le signore scelgono per il 73 per cento, il cane”. Silvio (e il Grillo), al quale i cani hanno sempre dato fastidio preferendo una specie ittica molto simile alla sogliola, ci ha fatto capire ancora una volta che per vincere le elezioni si ricorre a tutto. Sarà dura però prendere i voti dei mariti e, questa volta, anche delle nonne che, ossequiosamente, ringraziano. 


venerdì 19 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Finalmente la legge contro il cyberbullismo


Finalmente la legge contro il cyberbullismo

Ci volevano suicidi e folle di ragazzi in cura dagli psichiatri perché la Camera dei Deputati le desse il via. Ci volevano pagine di giornale e trasmissioni televisive per far capire di che pasta sono fatti molti dei nostri figli. Insomma, ci voleva, e finalmente c'è, una legge che permettesse agli stessi ragazzi di denunciare e far rimuovere dal web quelle che per anni sono state vigliaccate allo stato puro. Per molti idioti, il web ha rappresentato l'arma di alienazione di massa, la sublimazione dell'ignoranza, della cattiveria, delle spacconate fatte in branco, della volontà assoluta di sottomettere un coetaneo solo perché più fragile o con qualche difetto fisico-comportamentale. La scuola, fonte di vita sociale, avrebbe dovuto essere il baluardo contro il dilagare di un fenomeno tribale, invece, molti insegnanti, stanchi, depressi e demotivati, hanno permesso, sottovalutandone la portata, che tutto ciò diventasse la riedizione reale della serie di Nightmare, l'incubo peggiore.
Oggi a un ragazzo o a una ragazza che hanno compiuto 14 anni, è consentito di rivolgersi alle forze dell'ordine per denunciare e far rimuovere quei contenuti che ritengono lesivi del loro sacrosanto diritto alla privacy. Possono dunque denunciare tutti quei casi di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, manipolazione, acquisizione o trattamento illecito di dati personali realizzata sul web contro minori. È una svolta storica perché la possibilità di denunciare, fino a prima dell'introduzione della legge, era data solo ai maggiorenni. Le cose ora cambiano e quel senso di vergogna che spesso contraddistingue il rapporto fra genitori e figli e che spinge a nascondere piuttosto che a rivelare fatti di una gravità estrema, oggi non ha più alcuna ragione di esistere.
La relatrice della legge, la senatrice Elena Ferrara del PD, ha lottato perché passasse nei due rami del Parlamento, e diventasse quella che è diventata, una proposta approvata all'unanimità. Commovente il fatto che la senatrice Ferrara fosse stata l'insegnante di musica di Caterina Picchio, la ragazza quattordicenne di Novara che tutti indicano come la prima vittima accertata del cyberbullismo. Caterina aveva subito una violenza sessuale da parte del branco che aveva pensato, come logica conclusione della bravata, di postare il filmato sui social. La ragazza, divenuta immediatamente oggetto di scherno da parte di amici e coetanei, disperata, nel gennaio 2013 si suicidò.

In tribuna, per la votazione finale della legge, era presente Paolo Picchio, il padre di Caterina, che ricorderà per sempre le ultime righe scritte dalla figlia: “Le parole fan più male delle botte”.


mercoledì 17 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Ma quanti bei segreti, Madama Dorè

Il governo Trump

Ma quanti bei segreti, Madama Dorè

In Italia i segreti e i complotti sono esistiti da sempre (e non hanno nessuna intenzione di morire). Le stanze vaticane, così come i palazzi della politica, hanno rappresentato la summa del vizio nostrano di nascondere la polvere sotto il tappeto, per la gioia infinita degli acari e la disperazione delle allergie. Sembra quasi che noi italiani non possiamo fare a meno dei complotti e quando non ci sono, li inventiamo di sana pianta. Pensiamo per un attimo a due figure “colossali” della nostra Repubblica, a due giganti della politica italiana, a due padri della patria, insomma, a Titti e Gatto Silvestro: Giulio Andreotti e Francesco Kossiga. Eccoli gli esempi insani di chi, avuto un segreto svelato (o creato di persona personalmente) lo porta con sé fin dentro la tomba. Pensiamo, sempre per un attimo, ai rapporti di Andreotti con la massoneria di Licio Gelli e con la mafia, con Salvo Lima, con i cugini Salvo, con Vito Ciancimino, con Totò “u curtu” e ricordiamo la sfinge che era durante il processo di Palermo. Insomma, un vero uomo di tutto rispetto, un senatore tutto d'un pezzo che piuttosto che parlare, preferiva essere bruciato sul rogo. E Francesco Kossiga, depositario e teorico della strategia della tensione in Italia, fedele custode dei segreti di tutti gli attentati terroristici, abile a inserire nelle pagine di storia sia il terrorismo nero che quello rosso, il creatore di Gladio e il negazionista del forte senso eversivo che Gladio aveva nella sua struttura. Sono morti senza che una parola trapelasse, che un documento secretato venisse fuori, che l'affaire Moro venisse finalmente chiarito nelle sue pieghe più nascoste. Ecco, l'Italia ha avuto due grandi teorici dell'omertà mentre gli Stati Uniti, gli esportatori armati della democrazia nel mondo, hanno Donald Trump.
Succede che Mr. President, saputo dall'intelligence israeliana dei possibili attentati in volo grazie all'uso dei notebook e degli Ipad, alla prima occasione utile lo abbia raccontato all'ambasciatore di un paese che della democrazia non è propriamente depositario, la Russia. Il ministro degli esteri Lavrov stentava a crederci. Il presidente della più grande potenza mondiale, gli stava rivelando un dato segreto e sensibile, una notizia che, rivelata, avrebbe messo in allarme l'Isis e bruciato l'eventuale talpa che aveva fornito la notizia a Israele. Dicono che lo abbia fatto per la sua immensa vanagloria, per far capire a Lavrov che era in possesso di notizie che lui (e Putin) non poteva neppure immaginare. Resta il fatto che mezzo mondo, Europa in testa, sta decidendo in queste ore se condividere con gli Usa dati sensibili sul terrorismo oppure, visto il colabrodo con cui hanno a che fare, tacere. Non solo, essendo ignorante come una capra, all'indomani del siluramento del capo dell'FBI, James Corney, lo minacciò di non rendere pubbliche le registrazioni dei loro colloqui, avvalorando l'ipotesi che Trump abbia tentato fine alla fine, di bloccare l'indagine sul Russiagate.
Questo presidente, che sarà pure stato eletto dal popolo ma il popolo non sempre ci azzecca, si sta dimostrando uno sprovveduto senza confini, un personaggio che fa di tutto per abolire l'Obamacare salvo poi ammettere che la sanità è un grandissimo problema. Trump è l'uomo del tutto e del suo contrario, se non fosse che nella sua vita ha letto solo Topolino, ci sarebbe da chiedersi se non abbia mutuato da Silvio il suo modo di fare politica. Ma il Silvio nostro, almeno Erasmo da Rotterdam lo ha letto, anche se un solo testo e a puntate, come le sue fiction.



martedì 16 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Lucrare sugli ultimi

Leonardo Sacco (al centro)
Lucrare sugli ultimi

Questo è davvero uno strano Paese. Se poco poco ti ritrovi sull'orlo di un burrone, l'amico si avvicina e invece di darti una mano ti butta giù dandoti la spinta definitiva. È dal 1994 che questo Paese si è perso, ma forse no, quel periodo è stato utilissimo per far venir fuori il peggio degli italiani. Siamo diventati insensibili a tal punto che pensiamo di sciacquarci la coscienza offrendo due euro ai terremotati, un sms e il Paradiso dovrebbe essere pronto ad accoglierci a braccia aperte. Abbiamo scambiato i sacri concetti della mutualità operaia e della solidarietà cristiana con l'elemosina, l'obolo domenicale durante la messa, il resto della settimana brighiamo per far soldi, possibilmente tanti.
Già da Mafia Capitale venne fuori che i soldi veri stavano nei campi rom (e anche sinti) e nei Cara, i famigerati centri di accoglienza. Già da allora, gli italiani che avevano voglia di farlo, capirono che avendo dimenticato quello che significa solidarietà, molti delinquenti matricolati esponenti delle cosche, lucravano come i maiali che si rotolano nel fango sulla pelle degli immigrati.
Non ci sconvolga quindi il fatto che in Calabria, l'indagine condotta in prima persona dal Procuratore Gratteri, abbia fatto emergere lo scandalo del Cara di Isola Capo Rizzuto, retto dalla ndrangheta grazie alla figura di Leonardo Sacco, Governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto e vice governatore generale della benemerita associazione toscana.
Mr. Misericordia, come lo chiamano nell'ambiente, è un potentissimo colletto bianco della cosca degli Arena, i galantuomini che in dieci anni hanno rubato allo Stato e alla UE, 36 dei 103 milioni di euro che l'Europa ha dato all'Italia e che lo Stato ha girato al centro richiedenti asilo di Crotone.
Leonardo Sacco, onnipresente nelle fotografie che lo ritraggono con Matteo Renzi, Angelino Alfano, Aldo Grasso e, udite udite, Matteo Salvini, aveva amicizie in alto loco. Però, siccome le amicizie terrene non gli bastavano, ha foraggiato per anni anche un prete, don Edoardo Scordio, che per le sue consulenze "spirituali", si è messo in tasca la bellezza di 3,5 milioni di euro. Fino al momento dell'ingaggio del prete, fatto nella speranza che intercedesse ancora più in alto, Mr. Misericordia era famoso per essere molto vicino alla famiglia dell'attuale Ministro degli Esteri, Angelino Alfano. Qualche anno fa, indicò il cognato del fratello di Angelino (madonna maremma... le parentele del Sud), come direttore del Centro di Lampedusa. Essendo un incapace, il signor Lorenzo Montano, fino a quel momento impiegato dell'Agenzia delle Entrate, durò qualche mese, il tempo necessario per essere subissato dalle polemiche e andarsene.
Se la ndrangheta piange, sicuramente l'Italia non ride, anche perché da sganasciarsi non c'è un amato piffero.





lunedì 15 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Pagare le tasse o non pagarle? Questo è il dilemma


Pagare le tasse o non pagarle? Questo è il dilemma

Vogliamo tutto e anche di più. Uno smartphone non basta, ne serve un secondo e anche un terzo. Una volta per capire chi ti stava chiamando bastava mettere una suoneria diversa. Se a cercarti era la ragazza, Jovanotti cantava “Per te”, se era la banca suonava la “Marcia funebre” di Chopin, il telefono era lo stesso ma predisposto per ogni occasione. Oggi ne servono almeno due, così non si fa confusione. Lo si compra anche ai bambini che in questo modo possono giocarci al parco, lasciando la mamma e il papà liberi di leggere e commentare i messaggi degli amici e degli amanti su Facebook.
Insomma, sembra che il consumismo abbia intaccato anche i neuroni più nascosti, gli stessi che si risvegliano però, quando occorre predisporre il 730. In quel momento, intorno a maggio/giugno, con l'estate arriva anche il risveglio delle sinapsi. Tutti si attrezzano per non pagare le tasse e tutti pensano alle prossime vacanze senza intaccare il piccolo fondo che hanno a disposizione sul conto corrente. Evadere diventa la parola d'ordine e se poi mancano i servizi e il prelievo fiscale alla fonte è diventato quasi del 50 per cento, il problema non si pone “evadono tutti, evado anche io”.
Il Corriere della Sera ci dice che, statistiche alla mano, quasi trenta milioni (30 milioni) di italiani danno al fisco la miseria di 185 euro l'anno, praticamente le tasse non le pagano. E se si prova a sentire uno di loro, ci si sente rispondere che “non pago le tasse per non far mangiare i politici”.
In questo modo, qualunquismo ed evasione procedono di pari passo, e per le italiche tasche un lavoratore dipendente deve sgobbare fino a giugno. È la vecchia teoria del cane che si morde la coda, dello spaccapalle di Tafazzi, degli attributi tagliati per far dispetto alla moglie. Gli italiani, popolo di inarrivabili solisti misogini, pensano solo ai fatti loro e degli altri, come è sempre accaduto, se ne sbattono solennemente. Questa, che può essere considerata una tara nel nostro Dna, con il tempo è andata peggiorando. È diventato un “tarone”, una mostruosità biochimica, un atto di stupidità assoluta che nessuna ricerca potrà mai sanare. Però (in Italia un però c'è sempre), chi ci dice che pagando tutti le tasse pagheremo meno? Per dieci euro in meno sul canone Rai, hanno dovuto pagarlo 5 milioni di italiani in più. Se facessimo il conto della serva, i conti non riporterebbero comunque e il Tesoro intascherebbe un fottio di denaro senza alcun beneficio per l'utente. Allora uno si chiede: “Chi me lo fa fare?” Bella domanda, davvero una bella domanda.



venerdì 12 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. L'ignoranza e l'intelligenza. Il medico accogliente


L'ignoranza e l'intelligenza. Il medico accogliente

Sono sporchi, brutti, cattivi, neri, malati, infettivi e poi non parlano italiano e quando cucinano la puzza è insopportabile”. Nei confronti degli immigrati e dei rifugiati c'è una dietrologia da paura. Tutto il campionario possibile di cattiverie, emerge come fosse un iceberg che mantiene nascosta la base composta non da ghiaccio ma da pregiudizi razziali. Questo atteggiamento che non denota umanità ma pressappochismo colpevole e ignoranza abissale, oggi è talmente diffuso che rischia di trasformarsi in una vera e propria pandemia globale. 
La fregatura è che con tutta evidenza, dalle parti di Cuneo, da dove parte il Cornetto&Cappuccino di oggi, vedono solo Rete4 e Paolo Del Debbio e l'autoattentatore Maurizio Belpietro, agiscono da tortura cinese: trasmissione dopo trasmissione i cervelli, un po', li smerigliano.
La storia si svolge in due frazioni (e non è un plot cinematografico), Roata Canale e Spinetta che si trovano appunto in provincia di Cuneo. In quei luoghi ameni, dove le vigne rappresentano un patrimonio dell'umanità, tira una brutta aria di razzismo che non è possibile definire strisciante ma vero, reale, palpabile e soprattutto leggibile.
La Chiesa locale, seguace degli insegnamenti di Francesco, decide di mettere a disposizione di 24 migranti o richiedenti asilo, i locali della parrocchia. Si assiste però a una vera e propria sollevazione popolare e le solite mani ignote come il Milite di Roma, scrivono nottetempo cartelli con la scritta “Noi i negri non li vogliamo”. A quel punto interviene perfino il Vescovo che cerca, con una pubblica assemblea, di spiegare le ragioni di tale decisione. Per poco non viene preso a mattonate anche lui e quindi, dopo tre ore di vaneggiamento popolare, anche Sua Eccellenza è costretto a tornarsene in diocesi con le pive nel sacco. C'è chi, però, le pive nel sacco non vuole farsele mettere e non dovendo rispondere a Dio ma ai malati o presunti tali, decide di protestare a modo suo. 
Il dottor Corrado Lauro, il vecchio, caro medico condotto, posta su Facebook un avviso di questo tenore: “Agli abitanti della frazione cuneese che hanno esposto il cartello 'Noi i negri non li vogliamo', comunico che non intendo prestar loro alcun intervento sanitario se non in caso di immediato rischio di vita o qualora si configurassero le condizioni di una denuncia per il reato di omissione di soccorso. Siete pertanto pregati di rivolgervi a un altro più qualificato professionista. Comincia così la mia resistenza”.
A protestare rumorosamente contro la presa di posizione del dottor Lauro, è il comitato che sostiene la candidatura a sindaco di Giuseppe Menardi, centrodestra, il quale scrive (il comitato, sic!): “Il dottor Lauro ha violato il giuramento di Ippocrate, lo denunceremo”. Loro sì che sono fedeli a un giuramento, quello di Pontida.



giovedì 11 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Quando una molotov risolve il problema


Quando una molotov risolve il problema

Qualcuno a Centocelle ha detto: “Hanno fatto bene”. Indipendentemente dal mandante e dal movente di questa atrocità, restano tutte le considerazioni fatte nel Cornetto&Cappuccino di questa mattina.
In confronto a questi pezzenti, Adolf era un galantuomo, almeno lui gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e gli handicappati prima di bruciarli li gasava. Quella che era ferocia allo stato puro, oggi passa quasi per un gesto di umana pietà, almeno nei forni crematoi si andava da morti. L'intolleranza, alimentata soprattutto dai messaggi farneticanti di alcuni pseudo leader politici, oggi domina incontrastata e, badate bene, non solo nei confronti dei cosiddetti diversi, ma anche di compaesani, corregionali e connazionali che hanno la colpa di essere dissimili dal sentire comune la normalità. Si sono sprecati, e si sprecano, fiumi di inchiostro e ore di dibattiti televisivi inutili. Si cercano le ragioni del malessere profondo di chi brucia vivo un clochard, mentre nessuno tira in ballo la comunicazione, le parole che si dicono e quelle non dette, la riluttanza con la quale si stringe una mano di diverso colore dal nostro davanti alla telecamera, le parole gracchianti dette a microfoni aperti nelle radio razziste, i proclami di sgomberi a forza con i bulldozer e l'uso terapeutico della vanga. Gli animi si eccitano e poi ci sono sempre quelli con il Dux tatuato che pensano a fare il lavoro sporco.
Roma. Tre ragazzine di 20, 8 e 4 anni sono state bruciate vive nel camper dove dormivano. Soprattutto le due bambine trascorrevano le giornate giocando, come fanno i bambini di tutto il mondo, nello spazio antistante il centro commerciale dove è avvenuto il fattaccio. Evidentemente le ragazzine sono state notate da qualcuno che mal tollera i rom e l'idea di bruciarle vive è nata spontanea, quasi fosse Edison mentre inventava la lampadina. Ma a questi (o questo) bombarolo ante litteram, la lampadina si è spenta da un pezzo come la minima parvenza di umanità. La Questura di Roma ha fatto sapere di essere in possesso di un video nel quale si vede un uomo che lancia la molotov sul davanti del camper e poi, da vero coraggioso, darsela a gambe. A dare al filmato il valore di prova probante, il ritrovamento del tappo della bottiglia incendiaria e dell'accendino.

Sarebbe interessante approfondire le responsabilità. Sarebbe da paese civile punire un reato del genere con l'aggravante dell'infanticidio (ergastolo). Sarebbe infine da uomini denunciare pubblicamente le malefatte di chi, il tuo messaggio, lo ha capito perfettamente e non solo, lo applica. Ma da questo orecchio, abbiamo la sensazione che la storia non si senta, d'altronde, non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire.


mercoledì 10 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Tutti querelano tutti



Tutti querelano tutti

In tempi bui e soprattutto magri, tutti i mezzi sono buoni per portare un po' di pane e companatico a casa. Così, dalle rapine a mano armata agli scippi, dai furti in casa con i proprietari pronti a sparare pure alla zanzara tigre, ai furtarelli al supermercato fino allo scasso della cassetta delle elemosine, in Italia ci stiamo abituando a prendere quello che appartiene agli altri pur di soddisfare le nostre piccole esigenze quotidiane. Ma con il passare degli anni, uno degli affari più redditizi in circolazione, e l'Ordine degli avvocati ringrazia, è la querela, quella che prevede, se si trova un giudice disposto a dar ragione, anche sostanziosi risarcimenti. Tutto, ma proprio tutto, fuorché lavorare.
Ai tempi di Silvio, la querela era il mezzo per tacitare gli avversari, soprattutto i giornalisti che si permettevano di scrivere che quelle cene eleganti non erano poi così eleganti. Silvio, con Sir Biss-Ghedini, querelava a ritmi impressionanti, bastava battere un ciglio e l'avvocato depositava la querela in tribunale. E anche se l'atto giudiziario non era suffragato da fatti, già il minacciarla rappresentava comunque un deterrente. Nacquero così le querele temerarie, quei procedimenti che non avrebbero portato a nulla, men che meno a risarcimenti, ma che rappresentavano comunque un modo per far dire agli italiani “se ha querelato vuol dire che ha ragione”.
La lezione di Silvio, purtroppo, è stata recepita da molti se non da tutti. Uno che querelava a ogni piè sospinto era Maurizio Gasparri, ma non ci risulta che abbia vinto una causa che fosse una.
In questi giorni, lo sport della querela temeraria è andato avanti, è progredito al punto tale che basta dire una cosa che non va giù all'avversario politico e la querela parte (o almeno si minaccia).
Il governatore del Lazio dice che Roma è sporca? Il Comune querela nonostante centinaia di foto di comuni cittadini dimostrino il contrario. Il candidato sindaco dei FiveStars a Palermo, Ugo Forello, lucrava sui fondi destinati alle vittime del pizzo? E lui querela, nonostante registrazioni vocali testimonino che in effetti, qualcosa di poco pulito c'era.
L'ultima è di ieri. È uscita un'anticipazione del prossimo libro di Ferruccio De Bortoli nel quale l'ex direttore del Corriere della Sera afferma che Maria Elena Boschi intercesse presso Unicredit per farle acquistare Banca Etruria, la famosa banca del papà vicepresidente. Apriti cielo, i FiveStars hanno già chiesto le sue dimissioni e cavalcato alla grande lo scoop, mentre Maria Elena Boschi, rispondendo a stretto giro di comunicato stampa, ha detto che li querelerà. Sì, vabbé, ma perché querelare i FiveStars e non Ferruccio De Bortoli che quelle cose le ha scritte? Onestamente, De Bortoli fautore di fakenews ci sembra un azzardo, di solito l'ex direttore prima di scrivere ci pensa quattro volte, magari, però, questa volta si è sbagliato (sic!).
Ora aspettiamo querele a pioggia da parte dei commercianti. Sono usciti gli Studi di settore del Dipartimento delle Finanze nei quali si dice (conti e statistiche alla mano), che i contribuenti più poveri in assoluto sono appunto i commercianti, 22.500 euro di reddito medio a fronte dei 44.300 dei professionisti. Siccome sono già iniziati i risolini e la gente per strada si dà gomitate complici e lancia occhiatine ammiccanti, i commercianti hanno annunciato querela nei confronti di chi prova a ridere e a tirarsi gomitate.
Così, tanto per dissuasione. D'altronde è meglio prevenire che essere accusati di evasione fiscale.


martedì 9 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. L'affaire monnezza


L'affaire monnezza

Dipende da dove lo si guarda, dalla prospettiva direbbe qualcuno. Per molti la monnezza è un problema, per altri è un affare. La fregatura è che spesso le cose coincidono e chi ci rimane turlupinato è sempre il povero cittadino che non sa dove buttare i rifiuti organici e inorganici che la sua casa produce. Negli anni, da quando i monnezzari si chiamavano monnezzari e non operatori ecologici, c'era un carretto che passava casa per casa raccogliendo sacchetti. In città, le casalinghe erano diventate talmente brave che i rifiuti li lanciavano direttamente dalle finestre, senza scendere in strada, centrando esattamente il carretto. “Cara hai buttato la monnezza stamattina?” chiedeva il marito apprensivo alla moglie. E la donna non faceva altro che, perfino con le spalle voltate alla finestra, le lanciava con una precisione millimetrica. Lo smaltimento non era un problema. Si bruciava tutto e la diossina imperava sovrana causando qualche danno.
Poi sono arrivati i camion, i cassonetti spesso lontanissimi, i centri-smaltimento differenziati, le discariche abusive e non, la monnezza tossica che inquina domineddio comportandosi peggio di Attila e la mafia e la camorra che hanno capito per tempo (lungimiranti come sempre), che si facevano più soldi con i rifiuti che con lo spaccio. L'odore maleodorante della monnezza, insomma, è entrato prepotentemente negli uffici dei sindaci e degli assessori ma, essendosi trasformato in denaro cash, per dare ragione al vecchio adagio, non puzza.
A Roma, per carità, ultimamente di affari sporchi non si parla e forse per questo le strade (come i cassonetti), sono pieni di monnezza. I topi sono una popolazione in crescita, le infezioni pure, le malattie respiratorie idem ma, per il delegato alla nettezza urbana capitolina, non c'è una vera e propria emergenza rifiuti, solo un attacco scriteriato della solita stampa sfascista e disinformata.
E se il governatore della Regione Lazio prova a dire che i mega-progetti vanno benissimo ma che la quotidianità è un'altra cosa, si sente rispondere “lavora ché non fai un cazzo tutto il giorno”.
Il problema, diciamolo, non riguarda solo Roma ma tutta, o quasi tutta, l'Italia. Le città sono per la maggior parte sporche e, anche se lo sguardo si allarga sul David di Donatello, è probabile che affianco trovi un sacchetto azzurrino per carta-legno-ferro-alluminio-caccavelle e putipù.
La monnezza è, e resterà sempre, la monnezza, una fonte inesauribile di guadagno che entra nelle tasche di pochi a fronte dei molti che devono conviverci. Anni fa, quando a Napoli arrivò la rivoluzione bassoliniana, ci capitò di vedere i negozianti che armati di scopa e di paletta, spazzavano davanti ai loro negozi. Il risultato fu che essendo tutti in fila, sul marciapiede ci si poteva mangiare. L'idea stessa di contribuire di persona alla pulizia della città, diventò un progetto. A volte basterebbe tornare al vecchio, caro “senso civico”.



lunedì 8 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Vince Emmanuel Macron. Il pericolo è s-campato


Il 66 per cento e passa la paura. Emmanuel Macron, come largamente previsto, ha vinto la corsa alle presidenziali francesi battendo ancora una volta, un Le Pen. Che i Le Pen abbiano fatto il loro tempo, non se n'è accorto Salvini ma i francesi sì. Che l'antipolitica, intesa come mancanza di politica - visto che i politici attuali sono tutti uguali e ladri -, ormai abbia scassato i cabasisi è un dato di fatto che si traduce, percentualmente, in un 33 per cento della popolazione elettrice. Insomma in Europa, un terzo dei cittadini è orientato verso un populismo che se non fosse vuoto come un condom gonfio d'aria, potrebbe rappresentare una valida alternativa al nulla attuale.
La sensazione, dall'Austria alla Francia alla Germania, è che ci sia una mano nascosta e misteriosa che punti sulla paura per consentire a forze politiche che non hanno niente in comune, di governare insieme. La grosse coalition, con la sinistra a fare da tappetino da yoga-party, è ormai un concetto passato dappertutto e, se continua così, lo sarà anche in Italia.
Dovete sapere che gli italiani sono un popolo intelligentissimo, i più intelligenti del Novecento. Altro che Gramsci e Berlinguer, da noi c'è qualcuno che, dato al 2,3 per cento, pensa di poter influire sulla formazione del prossimo governo come il PSDI e il PRI negli Anni '70. Ed è talmente intelligente che afferma senza pudore che Macron e Le Pen sono uguali, che il banchiere è simile alla finta fascista. 
Ora, avete voglia di sentire quello che Andrea Orlando e Michele Emiliano hanno detto all'assemblea del PD, e cioè che non vogliono governare con Berlusconi preferendogli Bersani, la storia purtroppo sarà questa e invece di lottare contro un fascista finto, si ritroveranno a lottare contro un fascista vero. Se ne sono accorti ad Harvard ma non a Roma
Il giovane Macron ha sulle spalle un'impresa bestiale ma chissà perché (forse la saggezza della moglie?), lo vediamo più attrezzato di Matteo Renzi che ieri, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla, ha ricominciato esattamente da dove aveva lasciato: piglio sicuro e aria schifata non appena parla degli altri. Perché mentre parla di sé, la tromba d'aria è pronta a lanciarlo in gloria.




venerdì 5 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Se Salvini dà dell'ignorante a Di Maio


Se Salvini dà dell'ignorante a Di Maio

È una bella lotta. Se ci pensate è come se Mussolini avesse dato del birichino a Hitler dopo Auschwitz. Come se Zio Paperone avesse dato dell'avaro a Paperino. Il bue del cornuto all'asino. Un po' per celia e un po' perché di più non c'è n'è, i politici italiani di qualsiasi schieramento giocano a offendersi come se fosse l'esercizio ginnico perfetto per gli addominali. Solo che gli addominali sono i cervelli degli italiani, pieni di neuroni strafatti di birra e Coca Cola (al peggio di coca e basta) e smerigliati come gli ottoni della Amerigo Vespucci
I nostri politici sono talmente privi di qualsiasi contenuto che oltre le offese non vanno. E se come tutti dicono, il pesce puzza dalla testa, figuriamoci i militanti seguaci di cotanti leader (abbiamo scritto cotanti non contanti, che sarebbe più lineare e coerente).
Oltre a essere dei menzogneri di proporzioni inimmaginabili, qualcuno di loro, eletti o per volere del segretario di partito o del potere del letto o del Rousseau, a volte si diverte a sfruculiare un collega. Le elezioni politiche sono vicinissime, praticamente a ottobre prossimo, e quindi le armi vanno affilate e le uova (come in Francia) fatte accuratamente marcire, ne sa qualcosa la signora Le Pen che oltre alle uova, si è beccata anche la querela di Macron.
Il fatto è che Di Maio, il politico Di Maio in tournée ad Harvard dove lo hanno definito “leader populista di destra”, si è sentito dire da Matteo Salvini (sic!): “Lo stanno facendo girare come la madonna pellegrina, ma è di una pochezza e di una ignoranza difficilmente eguagliabili”. Personalmente, sentirmi dare dell'ignorante da Salvini, mi causerebbe un attacco di riso difficilmente contenibile. L'accusa mi scivolerebbe addosso come l'acqua piovana sull'impermeabile, come le accuse di donne malate di schizofrenia, come la cera sulla candela. Ma a Di Maio questa cosa non andrà giù perché si è sentito scoperto, punto nel vivo, sputtanato urbi et orbi da un epiteto che lo accompagna da sempre: ignorante.
Ma la sentite l'eco diffondersi nell'aere? Sentite le onde sonore sbattere violentemente contro le pareti del vostro cervello? Sentite i pochi neuroni rimasti ribellarsi? Sì? Ebbene, se avvertite tutto questo ritenetevi fortunati, siete persone mediocri ma normali. Chiedetelo ora a Salvini e sentirete la risposta: “terùnscimmiunbananunongzuccarotidifendoiochitoccazuccaromuore”. 
Questa è la classica eco di una parola di nessun senso a contatto con il nulla.




giovedì 4 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Il dramma delle parolacce del pappagallo


Il dramma delle parolacce del pappagallo

Totò avrebbe detto “ogni limite ha la sua pazienza”, ma ci rendiamo conto che oggi di limiti (e di pazienze) non ce ne sono più. I pappagalli sono volatili ciarlieri, lo sappiamo tutti e ne abbiamo preso atto da sempre. Ne dicono di tutti i colori ma non perché siano cattivi, dipende dal padrone che più pirla è e più i Cocorito di turno sparano bestialità. Non solo, fischiettano pure motivetti che variano a seconda delle tendenze politiche dei padroni. Ne abbiamo ascoltato uno con le nostre orecchie, bravissimo a eseguire con piglio solenne l'Internazionale e altri, poverini loro, Faccetta nera
Per anni, il barbiere che aveva il negozio vicino la chiesa, faceva esibire il suo pappagallo in Bandiera rossa mentre il prete, meno spiritoso di Don Camillo, si faceva il segno della croce.
Le battaglie proletarie per il progresso e la democrazia, passavano anche attraverso il fischio dei pappagalli e ognuno combatteva la sua come poteva. Una volta, un prete che si era stancato di sentire Bandiera rossa, comprò un pappagallo e gli insegnò con una pazienza certosina “Ti salutiamo vergine colomba tutta pura”, l'effetto non era lo stesso ma la gente si divertiva tantissimo a sentire il canto e il controcanto dei pappagalli e tutto ciò fino a quando il sindaco, democristiano, non insegnò al suo “O bianco fiore simbolo d'amore con te la pace che sospira il cor”: in quel momento fu il delirio.
Purtroppo però, non tutti si dimostrano spiritosi, non tutti accettano che un uccello si rivolga loro con epiteti infamanti, non tutti hanno il coraggio di farsi una sana risata e andare avanti.
Probabilmente è quanto accaduto a Cagliari martedì scorso. Ignazio Frailis, un quarantaseienne innamorato degli animali (aveva dieci gatti e tre cani che accudiva personalmente), stanco delle parolacce che gli rivolgeva tutti i giorni il pappagallo della signora Maria Bonaria Contu, ha creduto di risolvere la faccenda uccidendo con un coltello seghettato da caccia la padrona. Non ha pensato, Ignazio, di far fuori il pappagallo magari avvelenandolo, si è rivolto direttamente alla signora colpevole di avergli insegnato fior di parolacce e pure qualche insulto.
La conclusione della faccenda, è che il signor Frailis è stato arrestato per omicidio volontario e rischia più di trent'anni di galera con l'aggravante della futilità.

Sappiamo che ormai tutti sono terribilmente incazzati con i politici, i preti, gli avvocati, i geometri e i farmacisti e si sfogano come possono, ma perché mettere in mezzo un povero pappagallo che, proprio perché pappagallo ripete solo ciò che sente e di suo ci mette nulla? E se è giusto l'arresto del signor Frailis per omicidio, ci sembrerebbe altrettanto giusto almeno multare gli eredi della signora Contu per circonvenzione di... volatile.


mercoledì 3 maggio 2017

Cornetto&Cappuccino. Il diritto di vivere e il diritto di morire


Il diritto di vivere e il diritto di morire

Se c'è un termine che si porta appresso una serie di considerazioni mai banali e mai scontate, è “dignità”. Vale in ogni campo, in ogni mestiere, in ogni atto della nostra quotidianità. La stiamo dimenticando, in molti hanno cominciato a considerarla un optional, un orpello, a volte un peso, altri non l'hanno mai presa in considerazione lasciando che la vita scorresse esattamente come fa, senza appesantirla con inutili arzigogoli morali. Infatti oggi si parla spesso di indegnità ma sempre meno di dignità, come se l'una non fosse la diretta conseguenza dell'altra.
L'indegnità, il comportamento non dignitoso, è motivo di esclusione dagli ordini professionali ma anche una delle ragioni per le quali si finisce in gattabuia. Ne sanno qualcosa i medici, gli avvocati, i notai, gli ingegneri, i giornalisti che quando vengono radiati dai rispettivi Albi, lo sono essenzialmente per “indegnità”, cioè l'essere andati contro i principi deontologici fondamentali della professione. Per un medico, uccidere un essere umano invece che salvarlo, è un atto indegno; per un giornalista, mentire lo è altrettanto. E qui potremmo aprire una discussione che si sa quando inizia ma difficilmente se ne vedrebbe la fine.
Anche noi, come molti, moltissimi abitanti di questo pianeta, abbiamo avuto in famiglia o fra gli amici, casi di malati terminali. Di persone che arrivate a un certo punto della loro esistenza, da esseri umani pensanti e brillanti, si sono trasformati in vegetali tenuti in vita da una flebo o da una macchina. 
Vorremmo chiedere ai fautori della “vita a ogni costo”, se si sono mai imbattuti nello sguardo del malato con ormai più nulla di umano, se hanno mai osservato attentamente la patina liquida che ne offuscava gli occhi e ne impediva qualsiasi visione altra. L'immobilità che contraddistingue i “morenti” è una cosa diversa da qualsiasi altra immobilità da gamba fratturata o da sonno profondo, perché è quella di un corpo che se ne sta andando nonostante il cuore continui a tenerlo in vita. Il resto non c'è più ma un battito, per quanto flebile, continua a tenere in moto una macchina che va a un cilindro e un cervello che smette di procurare emozioni e gioie ma che ha ben chiaro il concetto di dolore. In questi casi la religiosità di ciascuno di noi c'entra poco, mentre c'entra, fino a diventare un assunto lapalissiano, la dignità.
È quanto hanno deciso i pm del Tribunale di Milano pronunciandosi sull'autodenuncia di Marco Cappato per aver accompagnato DJ Fabo in Svizzera a morire.
Le pm Tiziana Siciliano e Sara Arduino nell'ordinanza di 15 pagine di archiviazione del caso, dopo aver ripercorso con una puntigliosità scientifica il cammino nel dolore di DJ Fabo dopo l'incidente, hanno concluso scrivendo: “Non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale, ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinonimo dell'umana dignità”. In poche parole, le pm hanno detto che il diritto alla vita va bilanciato con il diritto alla dignità. Questo è uno di quei casi, in cui la “dignità”, per quello che è, per il valore immenso che implica, trova il suo sbocco logico perché privare un essere umano della sua dignità è peggio che ucciderlo. Da sempre, anche se i fatti ci stanno dando torto, facciamo il tifo per l'intelligenza dell'uomo. Limitarne le scelte significa offenderlo e togliergli l'unico vero diritto rimasto, quello all'autodeterminazione.