senza parole
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martedì 31 dicembre 2013
lunedì 30 dicembre 2013
domenica 29 dicembre 2013
Renzi, alias il democristiano più intelligente, dice: "Io non sono come Letta e Alfano". Ci vuole poco
Maurizio Landini, il duro e puro della Fiom, gli ha aperto una linea di credito (come vedete sono in buona compagnia). Mario Monti ha appena dichiarato che Matteo Renzi è come lui (questo fatto, invece, ci preoccupa un po'). La linea di credito che gli abbiamo aperto noi scadrà fra 16 giorni. Vedremo. Quello che è certo, è che Matteo, a bocce ferme, è sicuramente il democristiano più intelligente presente sulla scena politica italiana in questo momento. Il governo dei bi-DC, LettaLetta e Angelino 'O Schiattamuort Alfano, è un soggetto politico inguardabile, un gruppo di gitanti della domenica che, ubriachi alla fine di un terrificante picnic, tornano a casa sbandando paurosamente in autostrada. Quella messa in piedi dal duo delle meraviglie figlie del nulla, è una nebulosa pericolosissima perché non sa neppure lei di quali gas è composta; un dato è certo, quei gas sono tossici. Incapaci di prendere una decisione coraggiosa, i PD esitanti e i berluscones inconcludenti, sembrano dilettanti allo sbaraglio, impegnati più a non stonare che a cantare fino alla fine una canzone. Inadatti a governare, in preda alla sindrome "del presidente", figli di una politica che non esiste più, i LettaLetta boys&girls, che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbero i protagonisti indiscussi dei giornali satirici, non ne hanno azzeccata, e non ne azzeccano, una. Il risultato è che non avendo soldi da impegnare, incapaci di reperirne se non con prospettive inesistenti e proiezioni economiche false, tolgono finanziamenti alla ricostruzione dell'Aquila per dirottarli a quella di Pompei. Di fronte a tanta scempiaggine, Matteo Renzi fa la parte del gigante, e non potrebbe essere altrimenti: è facile fare Davide quando i Golia sono giganti che non si reggono in piedi, fiaccati dalla loro stessa arroganza. Torniamo al meno peggio e noi, del meno peggio, ci siamo cordialmente stancati.
sabato 28 dicembre 2013
venerdì 27 dicembre 2013
giovedì 26 dicembre 2013
Il messaggio di Natale di Edward Snowden: “Siamo tutti spiati”. E 'sticazz!
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Snowden visto dalla Cia |
mercoledì 25 dicembre 2013
martedì 24 dicembre 2013
Auguri alla gente rock e a chi non mollerà mai
Auguri agli amici e ai nemici, a chi mi legge e a tutti coloro ai quali sto sulle... scatole. Auguri a chi non molla e non mollerà mai. Auguri a chi ha coraggio perché delle mezze seghe non sappiamo che farcene. Auguri di che e di cosa non si sa, però si usa così e non mi sottraggo alla tradizione. Dimenticavo... se non dovessimo vederci, auguri.
L'immagine è di Giuseppe Piscopo.
lunedì 23 dicembre 2013
domenica 22 dicembre 2013
sabato 21 dicembre 2013
Quella irrefrenabile, incontenibile, inconfessabile voglia di “pilu” dei destri [rigorosamente a pagamento]
Di
Silvio si sa tutto. Lui e 'o pilu sono culo e camicia. Fedele
all'assunto maschile (ma ora anche femminile) che più aumenta l'età
più il desiderio di partner giovani si fa morboso, il Capataz non si
è certo fatto mancare nulla, fino a finire nei noti guai per le
frequentazioni pericolose con le minorenni. Che durante i suoi viaggi
all'estero Silvio usasse frequentare assiduamente letti e boudoir,
era cosa risaputa (Natasha lo aspetta sempre fremente nella dacia di
Vlady), ma che addirittura si lasciasse andare a orge sfrenate con
più di una escort, ha quasi, considerata l'età, del miracoloso. A
testimoniare le avventure galanti a pagamento (proprio come quelle di
Giacomo Casanova, solito pagare in denaro, in natura o in gioielli e
abiti sfarzosi le sue conquiste), di Silvio lontano dalle Olgettine,
sembra esserci un filmato girato di nascosto da quel galantuomo che
risponde al nome di Valter Lavitola, massacratore delle storica
testata socialista dell'Avanti, a Panama. A raccontarlo ai magistrati
è stato l'imprenditore Angelo Capriotti, il quale ha fatto mettere a
verbale che Lavitola era solito filmare le imprese sessuali
dell'allora presidente del consiglio, dovunque si trovassero ad
alloggiare per missioni “diplomatiche”, principalmente però a Panama e
in Brasile, paesi in cui il faccendiere aveva grandi entrature nel
mondo d'o pilu. Daltronde per fare felice Silvio bastava poco, invece
dei regali di rappresentanza, gli si riempiva la camera da letto di
mignotte, al resto pensavano le punturine e le Scapagnini Pill's. Ma
cotanto esempio poteva restare senza che emuli un po' pezzenti e un
po' sfigati, lo seguissero acriticamente e per il solo gusto di
dimostrare di avere potere? Proprio no, e la dimostrazione è venuta
(ma è solo uno dei mille racconti di ordinaria coglioneria macha dei
destrorsi) dalle carte scoperte dagli inquirenti che indagano sulle
pezzentaggini dell'assessore abruzzese alla cultura, Luigi De Fanis.
Ve lo ricordate, no? Quello che a Torino, durante il Salone del
Libro, pagava lo champagne con la carta di credito della Regione.
Ebbene, mister De Fanis non solo con i soldi della Regione ci pagava
lo champagne, ma anche gli straordinari della sua segretaria
particolare Lucia Zingariello, la procace 32enne di un piccolo paese
del chietino la quale, oltre ai 1.200 euro mensili di stipendio,
arrotondava le entrate con 36mila euro l'anno che l'assessore le
concedeva per
quattro rapporti sessuali settimanali. Il tutto, ovviamente,
contrattualizzato. Le diceva De Fanis: “Vai
a timbrare, poi esci e vai a farti bella… poi ritorni e timbri.
Basta che fai quattr’ore… Chi ti conta la jurnata… capit?” Si
sa, il dialetto in certe occasioni funge da afrodisiaco, evoca gli
afrori della stalla e il profumo dell'erba tagliata, ispira
sentimenti niente affatto casti e spinge a qualche perversione
erotica. Così, nonostante la signorina Zingariello abbia tentato di
far sparire il contratto con l'assessore alla cultura (sic!), quei
birichini dei carabinieri lo hanno ritrovato stracciato nel cestino e hanno spedito i pezzettini al Ris che lo ha fatto tornare nuovo. Ora,
l'assessore e la segretaria stanno cercando di far passare quel
contratto come una schermaglia amorosa, un gioco per amanti un po'
cretini, ma gli inquirenti non ci credono e i reati aumentano. E per
fare ancora più effetto sulla sua amante, De Fanis, al culmine
del rapporto, le cantava “'ret'a la capanna, sotto a chella
fratta”, motivetto reso famoso in tutto il mondo da Massimo, lo
spasimante deluso di Jennifer Lopez in The
Wedding Planner.
venerdì 20 dicembre 2013
giovedì 19 dicembre 2013
Il flop dei fasci-forconi. E Danilo Calvani, un po' 'Nduccio un po' Er Piotta, dice: “Ora godiamoci Natale”
Dovevano
essere 15mila, erano appena tremila, scarsi, ieri a Roma, i
fasci-forconi. Dopo essere stato pizzicato prima a bordo di una
Jaguar fiammante, poi di una Mercedes d'annata, Danilo Calvani, un
po' 'Nduccio un po' Er Piotta, leader dei forconi laziali che i
forconi veri hanno rinnegato, ha dato in Piazza del Popolo, su un
podio montato alla bell'e meglio, l'esempio della sua fulgida e alata
oratoria, iniziando il discorso con: “'rreta a la capanna sott a
chella fratta”. E tutti in coro “Italia, Italia, Italia”. Più
che una manifestazione di incazzati sembrava la fine del raduno
nazionale degli alpini quando, dopo ettolitri di vino rosso e grappa a
gogò, si canta “Quel mazzolin di fiori” e “Valsugana”. In
Italia, sarà l'aria di Natale, sarà che non riusciamo mai a
prenderci sul serio, le manifestazioni, i picchetti, i boicottaggi,
gli scioperi bianchi finiscono sempre a tarallucci e vino, più vino
che tarallucci ma fa lo stesso. Nati con l'intenzione di rompere le
palle, “Ci scusiamo per il disagio”, disse qualche giorno fa
Mariano Ferro parafrasando i cartelli dell'Anas sull'autostrada, le
proteste sacrosante dei forconi si sono trasformate in una sorta di
grande happening collettivo, un helzapoppin mal riuscito, un flash
mob di danzatori zoppi. Andando in auto per le strade di una città,
abbiamo assistito a una di queste manifestazioni volanti. A un
semaforo c'era un gruppo di cittadini attraversavano la strada quando
il semaforo era verde e restavano fermi quando diventava rosso. Molto
educati e per niente disposti a disturbare gli automobilisti
impegnati nello shopping natalizio, avevano piantato un cartello con
su scritto: “Se condividete la nostra protesta, suonate il
clacson”. Mai sentito tanto silenzio in un'arteria sempre
congestionata come quella che stavamo attraversando. Ovviamente,
siccome sventolavano tutti il tricolore, i manifestanti dovevano
essere quelli dello 'Nduccio di Latina visto che davano appuntamento
ai cittadini sensibili per ieri a Roma, per la grande adunata del
Movimento 9 dicembre, così si chiamano i forconi di Calvani.
Scommettiamo che nessuno di loro si è preso la briga di andare nella
Capitale, anche perché tremila persone, alla fine, non rappresentano
che un decimo della popolazione di una piccola borgata romana. Però
i fasci-forconi c'erano tutti, ma proprio tutti. Quando Calvani ha
fatto l'appello, si è accorto che c'era perfino qualche imbucato e
che qualcuno aveva sbagliato piazza e manifestazione, altrimenti
sarebbero stati meno. Inutile riportare gli sproloqui del Piotta
latinense e gli slogan dei casapoundini, figli del vin brulè che
sora Cesira aveva preparato con amorevole cura nella cantina dei
Cesaroni alla Garbatella. L'appuntamento è per dopo Natale quando,
digeriti i fritti, i fasci-forconi si ritroveranno in piazza per il
fantozziano rutto libero post bottiglia di birra Peroni ghiacciata.
mercoledì 18 dicembre 2013
Matteo, Silvio, Beppe, Enrico e l'Innominabile sullo sfondo. Iniziate le manovre invernali in vista della “campale” di maggio
Mettiamola
così: Renzi è giovane, fonziano, più paninaro che freak,
decisamente post-sessantottino, però non è affatto sprovveduto e
questo, onestamente, ci spaventa un po' perché vorremmo capire chi
sono i suoi veri maestri. Stiamo alle cronache. L'Innominabile dice,
ricattando un po', che la riforma elettorale va fatta partendo dalla
maggioranza che c'è, da quella che regge le sorti di questo governo.
Renzi gli risponde che la nuova legge elettorale e le riforme
costituzionali vanno fatte con chi ci sta. Quindi inizia a sondare il
terreno. Zitto zitto, quatto quatto, manda il fido Nardella a parlare
con Brunetta per capire quali sono le intenzioni di Silvio.
Al
contrario di quanto avveniva con i suoi predecessori pidini, il
Sindaco prende l'iniziativa, dà la sensazione di avere la forza per
dare agli altri il cerino in mano, e non per tenerlo costantemente tra
le dita in attesa di bruciarsi.
Colui-che-siede-sulla-poltrona-più-alta-del-Colle-più-alto non la
prende bene, e fa sapere per vie traverse, un parlare a nuora perché
suocera intenda, che è sempre pronto a fare il passo solenne (che
aspetta a dimettersi non si sa, nda). Renzi tratta, insomma, a tutto
campo non facendosi fagocitare dalla presenza sempre ingombrante di
Silvio sulla scena politica e sapendo che la crisi economica ha
spuntato al Cavaliere l'arma che lo ha reso forte in questi anni:
dare agli italiani l'illusione che andava tutto bene, che i
ristoranti erano pieni e che possedevamo almeno due cellulari a
testa, una casa al mare, il pied-a-terre e l'amante. Renzi sa che con
tutte le armi ormai scariche, a Silvio non resta che l'antieuropeismo
e l'essere anti-Napolitano, che però è un fatto più personale che
politico. Facendo in questo modo, assumendo queste posizioni, Silvio
crede di riportare a casa i voti della sua gente che Grillo ha
acchiappato alle ultime elezioni, ma sbaglia i conti, quei voti non
torneranno mai soprattutto perché Renzi ha iniziato a cavalcare tre
punti forti del programma dei 5S: il non considerarsi “casta”
(rifiutandosi di partecipare al buffet presidenziale), la rinuncia
all'auto blu (è andato al Quirinale a piedi), il taglio delle spese della politica (abolizione delle province e dei rimborsi elettorali).
Il Sindaco sta posizionando le sue truppe e non è affatto detto che
da questa battaglia, a uscire con le ossa rotte, sia lui. Intanto
anche LettaLetta (di Enrico invece conosciamo tutto, maestri
compresi), ha iniziato a prendere posizione in vista delle prossime
elezioni europee. Ha chiamato Fabrizio Saccomanni e gli ha detto:
“Muovi quel culo da boiardo e batti un colpo”. Il ministro
tecnico ex Bankitalia, il culo lo ha mosso davvero. Ha preso carta e
penna e scritto una lettera di fuoco ai suoi colleghi europei,
accusando apertamente la Germania di non volere l'unità bancaria. E tutto per
non far scoppiare lo scandalo planetario delle Casse di Risparmio (e
degli aiuti di stato mascherati da prestiti e fideiussioni bancarie
alle imprese tedesche), che hanno rappresentato, e rappresentano, la
vera forza del boom teutonico. La Germania questo lo sa ma fa orecchie
da mercante e continua a porre il veto nonostante i movimenti
antieuropeisti rischino di fare il pieno alle elezioni di maggio.
Situazione in assoluta e costante evoluzione, fatto che in tutti
questi anni di berlusconismo anestetizzante, non era mai accaduto.
martedì 17 dicembre 2013
Matteo Renzi al Quirinale: due ore di ordinaria ripiccheria italica
Premessa.
Qualche amico non abituato alle nostre tiepide aperture di credito,
ci ha detto, scritto e fatto sapere di non gradire la nostra “svolta
renziana”. A meno che la demenza senile non abbia iniziato a fare
la sua comparsa a nostra insaputa, quello di immaginarci alla corte
del Sindaco è un atto di estrema superficialità. Non siamo
renziani, non lo saremo mai né ci sogneremmo mai di entrare nel
club esclusivo degli scrittori creativi (che è un assurdo in
termini). Semplicemente, e lo confermiamo, proviamo una istintiva e
innata simpatia per chi propone un sogno, ha una prospettiva a lunga
scadenza, non disdegna di viaggiare dalle parti dell'utopia. Sapete,
nonostante le primavere, siamo rimasti legati al sogno guevariano di
una dignità umana non calpestabile né acquistabile, a una idea di
libertà senza se né ma, al valore ineguagliabile di una giustizia
sociale giusta, tutto qui, e Matteo, uno sguardo al futuro almeno ha
tentato di darlo. Punto. E quanto Renzi ci abbia azzeccato nel
formulare le sue teorie per un'Italia diversa, lo si è capito ieri.
Come si usa, avvicinandosi il Natale, il presidente della repubblica
è solito fare gli auguri alle alte cariche dello Stato, per cui le
riunisce tutte nel salone delle feste del Quirinale e indirizza loro
il suo messaggio. Di buon'ora, il neoeletto segretario del Pd, si
avvia al Colle in compagnia del ministro Del Rio, renziano conclamato. Prima sorpresa, il corazziere di guardia al portone chiede
cortesemente al Sindaco di mostrargli l'invito. Non avendolo, Matteo
deve farsi garantire dal ministro Del Rio il quale, come si usa per
gli imbucati alle feste, dice. “Il signore è con me”. Matteo
capisce subito l'aria che tira e ne ha conferma non appena mette
piede all'interno del palazzo presidenziale: non se lo fila nessuno.
Incontra la Cancellieri: zero. Gelo. Però saluta il suo amico
Enrico. Siede in nona fila solo grazie a un posto riservato lasciato
libero, visto che il cartellino con su scritto “Renzi” non c'è.
Incrocia lo sguardo con la Camusso: zero. Gelo. E pensa: “I
sindacalisti fra le alte cariche dello Stato, boh!”. Poi. “Toh,
ci sono anche i giornalisti. Ma che c'azzeccano loro con le alte
cariche dello Stato? Boh!” Parte il discorso dell'Innominabile e si
rende conto di essersi seduto appena dietro Elio Vito e Daniele
Capezzone e davanti a Cesa dell'Udc. “Magari c'ho le traveggole”,
dice Matteo fra sé e sé. Poco prima aveva scambiato quattro
chiacchiere con Fabrizio Saccomanni e salutato affettuosamente Cecile
Kyenge, l'unico saluto affettuoso della mattinata. Ascolta
attentamente il discorso del presidente poi, invece di accomodarsi al
ricco buffet, prende la via d'uscita e se ne va passando dal
guardaroba dove incontra, indovinate chi? Angelino Alfano. “So che
lei parla solo con Letta”, gli dice Matteo, e il ghiaccio polare
dell'incontro, per un momento, si scioglie. Un solo commento finale.
Il sindaco di Firenze non rientra (ancora?) nell'elenco dei boiardi
di Stato. Se questa non è una buona notizia, almeno ci si avvicina.
lunedì 16 dicembre 2013
L'Italia delle battute sta finendo. La fame blocca il “pierinismo”
Le due
facce dei “forconi” sono venute fuori. Era inevitabile. Da una
parte l'ala movimentista e protestataria pura, quella di Ferro e
Chiavegato, che non sarà a Roma mercoledì prossimo. Dall'altra
quella fascista e sfascista di Calvani (che ha optato per una
Mercedes da sfasciacarrozze dopo la fiammante Jaguar di Torino) e
Baldarelli che hanno fatto sapere che loro a Roma ci saranno, con i
casapoundini e i gentleman di Forza Nuova. “Temiamo infiltrati”,
ha detto Mariano Ferro, pur sapendo che gli infiltrati fascisti ci
sono stati fin dal primo momento e che non erano propriamente
infiltrati ma manifestanti a tutti gli effetti. L'arresto di Stefano
Di Simone poi, il vicepresidente di Casa Pound fermato durante un
blitz nella sede della rappresentanza della UE a Roma, ha complicato
ancora di più le cose, visto che i fasci si stanno già mobilitando
(a modo loro e con i manganelli) per chiederne la liberazione. Così,
mentre da una parte i neo-nazisti si ritrovano stanati e rifiutati
dalla maggioranza delle sigle che compongono il Movimento dei
forconi, dall'altra i politici continuano a fare i politici, a
prendere tempo, a discutere sulle unioni civili e sullo ius soli. E
veniamo a Matteo Renzi. Ieri mattina abbiamo seguito molto
attentamente il suo discorso di insediamento e, non possiamo
nasconderlo, in molti passaggi della sua ora di monologo, abbiamo
ritrovato parecchie idee di una socialdemocrazia europea,
progressista e riformista, che non sentivamo dai tempi di Jaques
Delors. Nessuna intenzione di paragonare il sindaco di Firenze
all'ultimo statista che la Francia ha avuto (non sta messa meglio di
noi!), ma almeno qualche spunto un po' di sinistra, poco poco, piano
piano, Matteo lo ha tirato fuori. Non è infatti un caso che da Lucia
Annunziata, un rinfrancato Alfano lo abbia detto a chiare lettere:
“Temevamo che Renzi potesse erodere una parte dell'elettorato di
centrodestra, invece si è dimostrato il segretario di sinistra che a
noi fa un comodo della madonna”. Ma Alfano non ha capito che,
almeno a parole e con una energia insospettabile, Matteo Renzi ha
dato ieri una prospettiva all'Italia delle battute e delle
barzellette, delle tette e dei culi, delle riforme sempre annunciate
e mai attuate. Ha regalato, se così possiamo definirla, una visione,
ha dato un senso e un obiettivo all'impegno in politica, non ha
protestato ma proposto... scusate se è poco. Così, mentre su
Twitter Dudù spopola trascinato dalle Barbare d'Urso del momento, la
maggioranza degli italiani (almeno così speriamo), ha capito che nel
piatto non può continuare a trovarsi con una porzione di LiverDog ma
che occorre nutrirsi con qualcosa di più adatto all'uomo che non
provenga dalle meritorie mense della Caritas. E a fronte della
“visione” di Matteo, Grillo ha reagito malissimo con tweet e post
all'acido solforico, dimostrazione che spera ancora di risolvere i
problemi che abbiamo picchiandoci ancora dove i sondaggi gli dicono
di menare. E ha perso un'altra occasione, quella di vedere il PD non
toccare i soldi dei rimborsi delle spese elettorali. Ma quante
occasioni ha perso Beppe con le sue battute? Fra un po', come numero,
arriverà a quelle di Silvio con le barzellette su Mohammed Esposito
che non hanno mai fatto ridere nessuno: cane, Nero!
domenica 15 dicembre 2013
sabato 14 dicembre 2013
Oh signur! Si potrà detrarre dalle tasse l'acquisto dei libri. E che è successo?
L'”effetto
Renzi” è servito soprattutto a mettere un po' di pepe nel culo di
questo governo. Per la prima volta in mesi di latitanza e di
discussioni vuote, qualche piccola concretezza si materializza
improvvisamente. La legge elettorale passa dal Senato alla Camera,
dove i numeri sono diversi e il Pd conta sicuramente di più. Renzi
incassa il “parliamone” di Alfano e a nulla è servito l'ennesimo
diktat di Quagliarello che prima minaccia la crisi di governo, poi si
ritira in buon ordine e dice anche lui: “Parliamone”. Si tagliano
le accise sull'energia e si mette mano all'abolizione del
finanziamento pubblico ai partiti mascherato, fino al 2017, da
“rimborso spese elettorali”. Curioso che i manganellatori del
provvedimento siano i 5S (le cui ragioni sono indiscutibili) e
Maurizio Belpietro: che lo strano asse FI/5S sia una cosa più
concreta di un vocio popolare? Forse Grillo non lo sa, ma ogni volta
che Sallusti e Belpietro scrivono che il comico ha ragione, la
trappola che quel genio del male di Silvio gli sta preparando, prende
sempre di più forma e sostanza.
Ma
Sallusti e Belpietro, pronti a distruggere ogni provvedimento del
governo LettaLetta “a prescindere”, nulla hanno scritto sulla
defiscalizzazione del 19 per cento per l'acquisto dei libri. Convinti
come siamo che i due non siano propriamente il modello perfetto dei
lettori, dobbiamo pensare che il loro silenzio sul fatto specifico
sia dovuto dall'essere, il “padrone”, il più grande editore
italiano perché nulla ci vieta di dedurre che qualche milione di
euro in più entrerà sicuramente nelle casse della Mondadori e del
suo immenso impero editoriale. Ma non ce ne frega nulla, l'importante
è che quando acquisteremo un libro, cosa per noi diventata usuale
anche in tempi di crisi, potremmo detrarre dalle tasse il 19 cento
della spesa fino a un tetto massimo di 1000 euro (altri 1000 se
dovessimo acquistare testi universitari). La notizia ha sconvolto
parecchi commentatori e fra questi anche noi, visto che la linea di
tendenza emersa negli ultimi giorni era quella che i libri non si
comprano ma si bruciano. Ecco, se il governo desse la possibilità,
come avviene un po' dappertutto, di detrarre anche gli affitti,
l'acquisto dei generi di prima necessità, la benzina per
l'autotrasporto non solo degli agenti di commercio ma anche di chi
usa l'automobile per andare a lavorare, delle vacanze fatte in Italia
e del made in Italy non tarocco, forse qualche consumo potrebbe
tornare a essere fatto. Ma questa è un'altra Italia.
venerdì 13 dicembre 2013
Tira aria d'Alba dorata. Zunino, leader del Movimento 9 dicembre: “Italia schiava dei banchieri come Rotschild”
Mentre
i fan delle sirene e dei microchip sottocutanei del Movimento5Stelle
(manco il voto a Di Pietro ci aveva fatto vergognare tanto di noi
stessi), provano la “strana alleanza” con i reperti archeologici
di Forza Italia, che si manifesta in appoggi non richiesti (quanto
graditi) sugli emendamenti alla legge di stabilità, fuori, sulla
strada, in una sorta di perenne “on the road” inizia a tirare
aria di Alba Dorata. Il fatto è che da ex giallisti amanti di Agatha
Christie (ma anche di Ellery Queen), abbiamo adottato da tempo una
delle intuizioni più felici di Hercule Poirot, trasponendola paro
paro nella nostra vita di tutti i giorni: “Un indizio è un
indizio, due indizi fanno una prova”. Regola che vale per tutto e
non solo per omicidi, ricatti, estorsioni, tradimenti e molestie di
vario tipo e natura. Dunque, accanto (o parte integrante, come meglio
si crede) al Movimento 9 dicembre, sono scesi in piazza gli ultras di
alcune squadre di calcio, noti per le spiccate simpatie destrorse.
Ancora. I casapoundini e i forzanovisti sono lì, accanto agli
agricoltori, agli autotrasportatori, ai piccoli imprenditori falliti.
Ancora (2). Nelle piazze e nelle strade si inneggia a Benito
Mussolini (eh sì, sempre lui) del quale si mostrano
fieramente i tatuaggi sulle braccia. Poi la libreria di Savona, e
quella voglia parecchio goebbelsiana di dar fuoco alla cultura.
Infine, non poteva mancare, l'intervista a Vera Schiavazzi di
Repubblica di Andrea Zunino, il sessantenne agricoltore di
Biella/Vercelli, leader del Movimento, che dice: “Vogliamo
le dimissioni del governo. Vogliamo la sovranità dell’Italia, oggi
schiava dei banchieri, come i Rotschild: è curioso che 5 o 6 tra i
più ricchi del mondo siano ebrei, ma è una cosa che devo
approfondire. Con Grillo mi incontrerei, i 5Stelle sono persone
perbene. Con Berlusconi mai, anche se le porcate peggiori da noi le
ha fatte la sinistra”. E
a domanda: “Signor
Zunino, si rende conto che da questa stessa dichiarazione sulle
banche 'ebraiche' è nato il nazismo? Si rende conto di quel che
dice?”
“Non ho le prove - dice Zunino - ma penso che Hitler,
che probabilmente era pazzo, si sia vendicato con l’antisemitismo
del voltafaccia dei suoi iniziali finanziatori americani.
Personalmente non mi interessa”.
A
Zunino, ma va' in Jaguar, va'...
giovedì 12 dicembre 2013
I “forconi” bruciano i libri e viaggiano in Jaguar. Quando proteste sacrosante si trasformano in pagliacciate pericolose
Ci
risiamo. La storia è come la natura, non fa salti ma procede secondo
regole fisse e immutabili. Sembra che qualcuno, nel corso del tempo,
si sia divertito a definire nei minimi particolari il ruolo del
“capo-bastone”, di colui cioè che, basando la propria forza
sull'ignoranza degli altri, riesce a condurre una vita agiata e da
protagonista. Ieri pomeriggio, Savona, negozio della Ubik che non è
solo una libreria, ma luogo di discussione, di incontro, di cultura.
Entra una squadraccia che agisce nell'ambito della protesta dei
forconi e invita gli impiegati a uscire perché “vogliamo dar fuoco
ai libri”. Così, invece di prendersela con i palazzi del potere,
le vetrine delle banche, i bancomat, le sedi della confindustria e
delle multinazionali (poche in verità, stanno scappando tutte), i
luoghi dello shopping di lusso e le Ferrari parcheggiate in strada,
loro, i forconi, vogliono bruciare i libri che, riflettiamoci un
attimo, sono gli oggetti più innocui (ma anche pericolosi, Fabio
Volo a parte) che si trovano in circolazione. Con tutta evidenza, la
presenza dei casapoundini nel “movimento” inizia a essere
particolarmente significativa. Chi, infatti, se non loro, orfani di quel
grande movimento di massa retto dal capobastone più tristemente
famoso nella storia dell'umanità, se la può prendere con i libri?
Chi, se non gli orfani del nazismo e protagonisti dei roghi che hanno
distrutto il sapere, può solo pensare che bruciando un libro si
risolve il problema degli autotrasportatori? L'ignoranza, ce lo ha
insegnato anche il berlusconismo, è la base indispensabile per
costruire il consenso. Basta un pincopallo qualsiasi in grado di
infiammare i cuori e le coscienze a sinapsi zero, che partono le
rivoluzioni e quel gregge multiforme di ovini pronti a battersi fino
alla fine per il montone di turno. Diverse, anzi diversissime, le
anime dei forconi. C'è chi afferma che la loro unica bandiera è il
tricolore e che non vogliono 5S, destra, sinistra, centro e chi
invece vorrebbe imbarcarli tutti in nome della più improbabile delle
rivoluzioni. Diciamolo, non c'è un Lenin nelle loro file, ma solo un
imprenditore agricolo che, come Masaniello che faceva il
pescivendolo, ha dato forma al coordinamento nazionale dei movimenti
dei forconi, discutendone in una cella frigorifera. La differenza è
che Masaniello non girava in Jaguar, non si sentiva un re e non aveva
manco il cavallo.
Ah beh
sì beh ah beh sì beh
Un re
che piangeva seduto sulla sella,
piangeva tante lacrime...
ma tante che
bagnava anche il cavallo
Povero re!
...e povero anche il cavallo!
ma tante che
bagnava anche il cavallo
Povero re!
...e povero anche il cavallo!
mercoledì 11 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
L'Italia dei forconi e i poliziotti buoni
L'unico
che avrebbe potuto commentare il gesto dei poliziotti di ieri,
sarebbe stato Pier Paolo Pasolini. Probabilmente si potrebbero anche
citarne testualmente le parole, ma sarebbe un esercizio inutile visto
che del pensiero del “profeta” Pier Paolo, a proposito e a
sproposito, se ne sono appropriati praticamente tutti. Arriva un
momento nella vita di una nazione in cui alcune priorità diventano
patrimonio comune, le necessità esigenze condivise, il senso di
impotenza travolgente. Da una parte il movimento più radicale nato
in questi anni: i “forconi”. Che col tempo sia diventato poi il
crocevia di idealità basate sulla rabbia e il luogo di incontro di
anarchici insurrezionalisti, casapoundini e agit prop del caos non è
che la conseguenza delle mancate risposte. Dall'altra i tutori
dell'ordine pubblico che, a seconda del governo del momento, usano
più o meno a sproposito i manganelli ed eseguono gli ordini
schizofrenici di capi infoiati da un'idea dell'”ordine” che viene
da molto lontano e non ne vuol sapere di abdicare. Ieri, a un certo
momento, è accaduto un fatto destinato a restare nella storia di
questo paese. Prima i poliziotti, poi gli agenti della Guardia di
Finanza si sono tolti i caschi che rappresentano gli oggetti più
visibili della divisa antisommossa. Il casco non è solo uno
strumento di protezione ma un vero e proprio simbolo. L'esserselo
tolto significa solo una cosa, che gli agenti avevano deciso di
abbassare le armi e di schierarsi con chi stava protestando,
dichiarando visivamente di condividerne le ragioni. Dalla questura di
Torino si sono affrettati a far sapere che non si trattava di un
gesto di ribellione degli agenti ma che “erano venute meno le
esigenze operative che ne avevano imposto l'utilizzo”. La smentita
del Siulp non si è fatta attendere. Ha detto infatti Felice Romano,
segretario generale del sindacato: “Il nostro è stato un segno di
manifesta solidarietà e totale condivisione delle ragioni a base
della protesta odierna contro i palazzi, gli apparati, e la stessa
politica ormai lontani dai problemi reali dei cittadini".
Dall'altra parte, c'erano agricoltori e allevatori che si sono
sentiti abbandonati dalle istituzioni. La protesta ha unito anche
venditori ambulanti, camionisti, precari, studenti, disoccupati,
immigrati e persino ultras delle curve calcistiche ed estremisti di
destra, rappresentanti di un mondo del lavoro esasperato, e quelli
delle solite teste di cazzo degli ultras di destra che colgono al
volo ogni occasione nella quale si profila un menare le mani che è
parte integrante della loro cultura. E Silvio parla di “colpi di
stato” ai suoi danni. Colpi di sole, Silvio, i tuoi sono solo colpi di sole.
lunedì 9 dicembre 2013
Cambiale in bianco per Matteo Renzi. Un mese. Nonostante tutto, questo Paese ha bisogno di una speranza
C'è
un dato chiarissimo che emerge dalle primarie del Pd: D'Alema ha
perso e con lui tutta la nomenclatura suicida delle ultime elezioni
politiche. Cuperlo ha perso, la faccia pulita del dalemismo non è
arrivata al 20 per cento, segnando in questo modo il definitivo
contrappasso dell'inciucismo pernicioso e volgarmente disgustoso del
bicameralino. In poche parole, i quasi tre milioni del Pd hanno detto
a Baffetto: “Vaffanculo”. Si spera che il politico più
intelligente della storia repubblicana comprenda e prenda atto, anche
se la frequentazione ventennale con il “satiro” non depone per
una sana, agrippiana vecchiaia. Civati ha perso, è vero. Ma se non
si lascia prendere dallo scoramento e spara bene le cartucce che ha,
il prossimo segretario del Pd, con Renzi a Palazzo Chigi, potrebbe
essere lui. Guardiamoci un attimo intorno. Silvio sembra il tenente
colonnello Antonio Tejero, lo ricordate? Era quell'ufficiale della
Guardia Civil che, pistola in pugno, tentò da solo di impedire la
svolta democratica in Spagna, un franchista di ferro che non venne
garrotato solo perché re Juan Carlos lo perdonò. Se Silvio potesse,
entrerebbe pistola in pugno nell'aula di Palazzo Madama per andarsi a
sedere sulla poltrona di Piero Grasso, e invece che fa? Telefona a
Paolo Becchi (l'ideologo del M5S), lo invita ad Arcore e cerca di
farselo alleato. Lui e Grillo hanno un nemico comune da combattere,
si chiama LettaLetta e siede, secondo Grillo, abusivamente a Palazzo
Chigi. La morale della prossima intesa fra Forza Italia e il
Movimento 5 Stelle? I nemici dei miei nemici sono miei amici. Tolti
dalla scena i nostalgici del proporzionale puro, resta proprio lui,
Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, eletto ieri sera con il quasi 70
per cento dei voti dei primariani, segretario del Partito
Democratico. Renzi non ci è mai piaciuto, lo abbiamo scritto ogni
volta che abbiamo avuto la possibilità di parlarne. Però, in questo
momento, de' Renzi è l'ultimo scoglio visibile nel mare di rifiuti
organici nel quale galleggiamo. Lo abbiamo ascoltato ieri sera subito
dopo la lapalissiana vittoria. Ci è sembrato il Veltroni del
“Lingotto”, un po' più spigliato, un po' più paraculo. Però,
forse, è proprio quel minimo di paraculaggine in più che potrebbe
bastargli per dare il segnale a questo popolo stremato, che è
possibile ancora darsi una mossa. Contrariamente a quanto ci si
potrebbe aspettare da noi, a Renzi consegniamo, da questo momento, una
cambiale in bianco. Durerà inevitabilmente poco, 30 giorni. Poi,
sarà guerra esattamente come quella che combattiamo da venti anni
contro il genocida di emozioni.
domenica 8 dicembre 2013
sabato 7 dicembre 2013
venerdì 6 dicembre 2013
Lo sapete che l'Italia sta fallendo? No? Ahi ahi ahi... Arrivederci, Madiba
Tre
dati. Per Eurostat in Italia è l'allarme povertà. 18 milioni di
cittadini sono a rischio, peggio di noi sta solo la Grecia. Le
statistiche dell'Inps ci dicono che il potere d'acquisto delle
pensioni è crollato del 10 per cento e che una su due è inferiore
ai mille euro. Il fisco comunica che è crollato anche il gettito
Iva, i soldi dei consumatori finali che entrano nelle casse dello
Stato: in dieci mesi -3,4 miliardi, segnale che l'aumento di un punto
non ha portato più entrate ma molte di meno, lo sapevano tutti ma non i governanti europei e le marionette italiane. Dall'altra parte
scoppia lo scandalo dei rimborsi spese dei consigli regionali, si
scoprono 65 milioni di euro di tangenti per Milano-Expo 2015, un
altro milione di bonus per Formigoni e che la corruzione e l'evasione
fiscale sono arrivate a cifre e a livelli non più sostenibili. Però
l'8 dicembre ci sarà il nuovo segretario del Pd e tutti i nostri
problemi, puff, scompariranno in un attimo. Hanno ragione gli
economisti meno allineati a dire che la situazione dell'Italia è
tale che inventarsi qualcosa per non sprofondare è praticamente
impossibile. Occorrerebbero coraggio e fantasia, mentre la voglia di
“uccidere” l'Italia patria di eccellenze e unica nazione al mondo
ad aver dato al “made” lo stesso significato di “stile”, è
forte da parte di nazioni molto meno qualificate ma, evidentemente,
più “nazioni” di noi. Restiamo il paese dei piccoli privilegi,
quello che se devi andare all'ufficio anagrafe per chiedere un
certificato, domandi prima agli amici se hanno un amico che gli possa
far saltare la fila. Siamo un popolo di maleducati, di gente che non
rispetta il proprio turno e gli inventori del “lei non sa chi sono
io”, frase che detta in qualsiasi parte del mondo causerebbe un moto
irrefrenabile di risate, uno scompisciamento totale. Le statistiche
ci dicono che in Italia sono aumentati i ricchi del 9 per cento.
Fase economica direttamente proporzionale, più aumentano i poveri
più aumentano i ricchi fino alla scoperta, ormai quotidiana, di
evasori fiscali totali. Questo significa che l'allarme da economico si
è trasformato in sociale e che, avendone le palle piene, la gente
sta lucidando e oliando i forconi. C'è una brace sotto la cenere di
una nazione stremata, che i nostri governanti non immaginano neppure,
per loro i servizi televisivi sulle nuove povertà sono cinema-verità
o mockumentary. I nostri politici vivono su un altro pianeta e lo
testimonia Antonio Razzi quando afferma che lui, in dodicimila euro
mensili, ci sta appena dentro. Ecco spiegata la ragione per la quale,
il povero Cota è costretto a mettere nel rimborso spese anche i
boxer verdi acquistati in America e Formigoni a farsi pagare le
vacanze da Daccò (lo ha detto Danielona Santanchè).
È
morto Madiba. Qualche anno fa, quando frequentavamo congressi (c'era
ancora l'apartheid), ci capitò di ascoltare il rappresentante
dell'African National Congress a Parigi. Di una pacificazione, in
Sudafrica non si parlava neppure. Mandela era ancora ospite delle
carceri bianche di Robben Island e i suoi seguaci venivano definiti “terroristi”.
Il rappresentante dell'ANC terminò il suo discorso con una frase che
ci è rimasta dentro per anni e che pronunciamo ancora, in francese,
quando ci sembra di soccombere alle vicissitudini della nostra
esistenza: “La lutte continue”...
giovedì 5 dicembre 2013
È tutto illegittimo anzi peggio: incostituzionale. E ieri si sono rischiati i forconi
Fu il
regalo di Natale agli italiani nel 2005. Elevò “baluba”
Calderoli al ruolo di statista, e consegnò l'Italia nelle mani di
Silviuccio vostro che ne approfittò solo per ri-farsi, come sempre,
i cazzi suoi. L'impareggiabile Giovanni Sartori la battezzò dandole
il nome di Porcellum a Matrix, ma lo spunto glielo diede direttamente
il legislatore che la definì da se medesimo di persona personalmente, “una porcata”. C'è da dire che se
ieri la Corte Costituzionale non si fosse pronunciata contro la
legittimità della Porcellum, probabilmente sarebbero scesi in piazza
i forconi. Erano nall'aria fredda di questi giorni, ben
conservati nei magazzini e nei sottoscala e perfino nei salotti.
Questo Paese è stanco e qualsiasi tentativo di rinvio sarebbe stato
percepito come l'ennesimo favore alla Casta. I giudici se ne sono
(evidentemente) resi conto e, accontentandosi di un panino a pranzo, sono arrivati a sentenza certificando quello che tutti
sapevano ma che per anni hanno ignorato. Tutti coloro che ci
governano dal 21 dicembre 2005, siedono illegittimamente sugli
scranni e le poltrone che hanno occupato e continuano a occupare: il
presidente della repubblica, i membri del Csm, i deputati, i
senatori, i presidenti del consiglio, i ministri, i sottosegretari,
gli alti manager di stato, i presidenti e gli amministratori delegati
delle partecipate. Non solo, tutte le leggi e i provvedimenti emanati
dal Parlamento sono stati presi da deputati e senatori che non
potevano farlo perché non eletti ma nominati. E ora cambia tutto,
siamo tornati al proporzionale puro, siamo tornati, signore e
signori, alla Prima Repubblica. Morirete tutti democristiani,
prendetene atto e continuate a campare e a fare l'albero di Natale...
se potete.
mercoledì 4 dicembre 2013
martedì 3 dicembre 2013
Dai morti cinesi alla Porcellum oggi in Corte Costituzionale. L'Italia è il paese del cordoglio perenne
Come
vivono i cinesi in Italia lo sanno tutti. La più grande coglionata
che abbiamo sentito è “a loro sta bene così”, come se lo stato
di schiavitù fosse una libera scelta. Negli anni ci è capitato di
interessarci di sicurezza sul lavoro, soprattutto quando le cronache
di veri e propri disastri hanno iniziato a riempire le prime pagine
dei giornali. È stato allora che ci siamo resi conto che di lavoro
si moriva, bruciati dall'olio incendiario della Thyssen o soffocati
dai gas velenosi delle cisterne improbabili delle raffinerie sarde
dei Moratti. Poi l'amianto e l'Ilva, dieci, cento, mille Bhopal.
Improvvisamente di lavoro si è iniziato a morire di meno, grazie,
non c'è più! Però quando accade, come a Prato, parte il cordoglio
e sgorgano le solite lacrime di circostanza, perché alla fine sono
cinesi e taroccano le firme del made in Italy, quindi chi se ne
frega? Queste sono le stranezze dell'Italia, pronta a fare quel numero sul
cellulare per due euro da dare alle ong convinta di essersi lavata la
coscienza di fronte alle ingiustizie. Però nessuno protesta se in
Senato non si trova la quadra per una legge elettorale decente,
nessuno si indigna pensando che questa legge, che assicura solo una
ingovernabilità non più sostenibile, è ancora lì a disposizione
di Silvio, di Grillo e della Lega che non vogliono saperne di dare un
governo serio a una nazione allo stremo. Se qualuno non lo
ricordasse, la Porcellum fu voluta fortemente da Berlusconi che se la
inventò non per far riposare i parlamentari il sabato, come ha
millantato nell'ultimo s-comizio di Roma, ma per impedire a Prodi di
governare con una maggioranza certa. La Porcellum ottenne l'effetto
desiderato, la compravendita dei senatori fece il resto. Indovinate
chi vinse le elezioni subito dopo? Esatto, Silvio che instaurò l'Impero di Arcore. Ma la notizia più appetitosa delle ultime
ore, non riguarda le primarie del Pd né il Vaffa Day di Genova. E,
anche se Renzi ha berlusconianamente promesso un milione di posti di
lavoro (nel turismo però), e Grillo delirato ancora una volta nella
sua città, la confessione di Baffetto alle Iene ci ha colpito
profondamente perché per la prima volta in vita sua, Massimo D'Alema
ha ammesso di non essere un mostro d'intelligenza politica,
convinzione che lo accompagna praticamente dalla nascita. “Fu un
errore – ha ammesso il Leader Maximo – andare a Palazzo Chigi. Fu
un errore cadere nella trappola di Cossiga e di Mastella. Fu un
errore cedere alla mia ambizione di sedere sulla poltrona di primo
ministro perché da allora mi porto addosso la fama di 'inciucione'”.
Qualcuno potrebbe dire “meglio tardi che mai”, ma non è così.
Se i guasti di quella decisione ce li portiamo ancora appresso, è
difficile trovare una scusante, seppur umana, per il più grande
inciuciatore della storia della repubblica.
Oggi
la Corte Costituzionale deciderà il destino del Porcellum. È un
appuntamento importantissimo e lo sanno tutti. E la dimostrazione
finale che questa politica e questi politici non servono più a
nulla.
lunedì 2 dicembre 2013
Renzi, Alfano e LettaLetta. Se questo è il nuovo che avanza, a ridatece baffone...
Più
che di nuovo, magari converrebbe parlare di vintage, ma con
l'aggravante dell'età. Messi insieme, o presi singolarmente, questi
quarantenni che dovrebbero segnare le sorti prossime e future del
nostro Paese non valgono un Gillo Dorfles, per non parlare degli
ultimi novantenni che hanno deciso di andare a svernare nelle verdi
praterie del cielo in compagnia di Manitù. In questi giorni di
pioggia diluviesca, abbiamo avuto la possibilità di seguirne le
gesta in tivvù e di leggerne le sfavillanti idee sui giornali.
Ebbene, la convinzione che ci siamo fatti è quella che due su tre
(Alfano e LettaLetta) abbiano alle spalle una scuola vecchia come
Bacucco, e che il terzo, Renzi, ormai parli solo inseguendo Baricco
che ha dato (a pagamento) anche a lui i primi rudimenti di “politica
creativa”. Ma il meglio di sé, i nostri lo danno durante le
interviste o le conferenze stampa. Pur di dimostrare di avere le
palle, d'acciaio o di caucciù fa lo stesso, aggrediscono tutti i
giornalisti che provano a fare domande non velinate, sapete quelli
che ogni tanto vengono colti da un improvviso raptus deontologico?
Proprio quelli. E la postura dei tre degli Ovetti Kinder è la
stessa: inarcano le sopracciglia, alzano leggermente il tono della
voce e smettono quel sorrisetto a metà fra lo scemo e il
presupponente che sta a loro come il burlesque a Silvio o il cacio
sui maccheroni: la morte loro. Sono cresciuti tutti e tre con le
merendine e il sospetto che ci nasce, è quello che essendoci
all'epoca pochi controlli, la percentuale di burro nei Buondì fosse
davvero molto alta, roba da sconquassare il cervello facendo strage
di sinapsi. Democristianamente parlando (la denominazione di origine
controllata e protetta è la stessa), il loro proporsi politico è
quello della trasversalità: parlare a nuora perché suocera intenda.
Si lanciano messaggi di fuoco salvo poi andare in privato su FB e
ridere insieme delle ultime puttanate espresse pubblicamente. Vuoti
come un guscio d'uovo, cercano di imitare i “padri”, ma sono
talmente sbiaditi che la fotografia che ne esce è taroccata come
quelle di Silvio in cui dimostra trentanni. LettaLetta ormai ha
imparato un refrain e non lo molla. A ogni pensiero aggiunge “con
forza” e “questa sarà la nostra priorità”. Facendo i conti,
sono talmente tante le priorità del Nipote che non si capisce più
quali siano quelle vere e quelle presunte. Sono infatti priorità la
disocupazione giovanile, l'immigrazione, la ripresa dei consumi, la
scuola, la cultura, la sanità, la tutela ambientale, la salvaguardia
dell'orso marsicano, del camoscio trentino, del parmigiano reggiano,
delle mandorle di Noto e del pecorino sardo che abbiamo corso il
rischio di perderci nel mare magnum delle emergenze. A Renzi se
chiedi cosa ne pensa della riforma elettorale, si corre il rischio di
fare un giro gratis fra le costituzioni europee e quelle di Marte
tanto che, l'ultima proposta, è quella di rifarsi al sistema
elettorale spagnolo. Per non parlare di Angelino che sta tentando con tutte le
sue forze di apparire un leader quando sa che per dire la sua deve
prima inviare un sms ad Arcore. E se tituba un momento, è perché il
padrone è impegnato con la cacchina di Dudù o ad asciugare le
lacrime di Bondi. Purtroppo nessuno ha ancora spiegato ai tre
galletti, che di politica si può anche fare a meno. E poi, c'è la
Playstation montata nel salotto...
domenica 1 dicembre 2013
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