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giovedì 6 dicembre 2012
Silvio rimembra gli antichi fasti e si (ri)getta nella pugna: “Messeri, il più grande resto mi”.
Travolto
da milioni di lettere, cartoline (comprese quelle postali che le PT
hanno dovuto ristampare appositamente), bigliettini profumati al
mughetto, alla lavanda e al borotalco, email con smile che facevano
l'occhiolino, migliaia di migliaia di telegrammi (tanto che il
portalettere di Arcore ha chiesto un anno di aspettativa per stress)
e da centinaia di mms, con allegate foto di labbra, alla fine Silvio
ha ceduto. Dice, anzi, dichiara ufficialmente: “Sono assediato
dalle richieste dei miei perché annunci al più presto la mia
ridiscesa in campo. La situazione oggi è ben più grave di un anno
fa quando lasciai il governo. Non lo posso consentire e ciò
determinerà le scelte che prenderemo assieme nei prossimi giorni”.
Tutto come ampiamente previsto. Il Dux torna in campo e tutti gli
altri si fanno da parte. E lo fa di suo pugno, perché un comunicato
così sgrammaticato, Paolino non lo avrebbe scritto neppure sotto
tortura. Non solo, da statista finissimo (e fighissimo) qual è,
Silvio motiva la sua scelta di tornare a menare le mani, e il regale
augello, con argomentazioni che, da una parte, investono la struttura
interna del Pdl: “Alfano Angelino mi ha profondamente deluso. Il migliore
resto mi”. Dall'altra, la situazione politica generale: “L'economia
è allo stremo. Un milione di disoccupati in più, tanto che questa
volta devo raddoppiare la balla, portando a due i milioni di nuovi
posti di lavoro. Il debito aumenta. Il potere d'acquisto crolla e
devo chiudere Mediashopping. La pressione fiscale è a livelli
insopportabili. Le famiglie italiane sono angosciate perché non
possono pagare l'Imu. Le imprese chiudono. L'edilizia è crollata, e a
Edilnord abbiamo dovuto far ricorso alla cassa integrazione. Il mercato dell'auto
è distrutto, e devo farmi arrivare le Mini rosse col tettino bianco, direttamente
dall'Inghilterra, sopportando i costi del trasporto. Non posso
consentire che il mio paese precipiti in una spirale recessiva senza
fine, altrimenti mi toccherà chiudere tutte le imprese che, con me
al potere, hanno triplicato il loro valore. Non è più possibile
andare avanti così, non è più possibile che con i dividendi delle
mie società, io non riesca più a comprarmi manco l'ala di un
castello quando prima, per due cent, mi pigliavo pure il ponte
levatoio”. Le geremiadi del Capo continuano con tutta una serie di
piagnistei che dimostrano, ancora una volta, che il problema sono gli
affari suoi e non l'”impresa Paese” che ha tentato di costruire
sul modello della Fininvest. Il Pdl è un partito padronale. Lo
sapevano e lo sanno tutti. Perfino l'Italia, per venti anni, è stato
un Paese padronale nel quale il Principe aveva tutti i diritti,
compreso lo ius primae noctis, i vassalli una coscia di pollo, e i
poveracci le molliche sotto il tavolo. Silvio vive di ricordi? Non
sembra affatto. Berlusconi conosce benissimo gli italiani e sa che,
ramazzando e rastrellando un po' qua e un po' la, in Parlamento lui
tornerà alla grande. Sta già provando il nuovo modello di Caraceni
a un petto, perché qualcosa di nuovo Silvio dovrà pur dimostrare di
avere, magari addosso. In testa non c'è nulla, a parte quell'unica
sinapsi rimasta accesa che gli ripete in continuazione: “Arraffa,
arraffa”.
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Berlusconeide allo stato puro. Come fare sintesi di un potere logoro.
RispondiEliminaMarco
un patetico vecchio che delira... Sembra che a villa San Matrino abbiano messo dei veli sugli specchi: della serie 'il gloria swanson italiota sul viale del tramonto'.
RispondiEliminaAttenzione al tramonto di Berlusconi, non vorrei che, come nella migliore tradizione letteraria, uscissero fuori le iene e gli avvoltoi...
RispondiEliminaSignificativa (subliminale), la foto a corredo... Sintesi mirabile.
RispondiEliminaan