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martedì 18 febbraio 2014
Inizia l'avventura renziana. Che la galleria di ritratti degli ex leader gli serva da insegnamento
Bimbobello è al lavoro. Ieri,
durante l'ultimo (affollatissimo) consiglio comunale della città di
cui è stato sindaco, Matteo si è lasciato andare ai ricordi senza
mai cedere all'emozione. Ha rifatto l'elenco della spesa.
Puntigliosamente ha ripercorso tutti i suoi successi da primo
cittadino, attraverso il diario delle inaugurazioni fatte durante il
suo mandato. Quando parla, Renzi non annoia tutt'al più, fedele alle lezioni nell'aula dentro la pancia della Balena Bianca, non si capisce
una mazza di quello che dice, ma in politica può succedere. Renzi è il
leader del centrosinistra e, al contrario di tutti quelli che l'hanno
preceduto, non sembra avere sempre, costantemente, in estate come in
inverno, il peso dell'umanità sulle spalle. Capita, parlando di un
leader della sinistra, di rivedersi davanti le facce appenate,
contrite, con il taglio di labbra pendente e l'occhio acquoso di
D'Alema, Veltroni, Bersani, Longo, Pajetta, e poi Rizzo, Diliberto,
Bertinotti, Cossutta, il primo Vendola, insomma di tutta quell'attrezzeria vetero comunista che non ha mai permesso di avere
in Italia un serio governo della sinistra. Di fronte a certi
personaggi, incazzati dalla mattina alla sera, e comunque prima di
sedersi nei salotti buoni della borghesia illuminata e di quella
tendente al risparmio energetico, li guardavamo in tivvù e ci
chiedevamo sgomenti: “Possibile che anche oggi gli sia morto il
gatto?” L'elettore, reduce dall'ultimo film di Franco e Ciccio
prima, di Checco Zalone poi, scappava come morso dalla tarantola e il
ridanciano barzellettiere circondato da inutili idioti, vinceva le
elezioni con la velocità di uno Speedy Gonzales senza competitori.
Tristi, bui, grigi come le costruzioni della CCCP, arruginiti,
ferruginosi, i leader della sinistra italiana erano come il Totò
della “Patente”: quando passavano per strada gli uomini si
mettevano le mani sugli attributi e le donne contribuivano con una
lisciatina non trovando una ringhiera a portata di mano. Per carità,
lo sappiamo che non c'è una mazza da ridere, nessuno potrebbe mai
chiedere a Massimo D'Alema di scompisciarsi dalle risate, ma di non
avere sempre la faccia di quello reduce da un funerale, vivaddio sì.
Ora c'è Matteo. Non ride neppure lui (vorremmo vedere), ma almeno
non spinge l'elettore di cui sopra a massaggiarsi continuamente i
cabasisi anche perché, il rischio orchite è sempre dietro l'angolo.
Matteo è talmente convinto di sé che rischia di essere contagioso.
Piace, agli italiani, l'aria decisa e Silvio ne sa qualcosa. I
barzellettieri però stanno perdendo terreno. Avete visto Berlusconi
fare lo showman con quello sfigato di Cappellacci? Ha indossato pure
la maschera tradizionale sarda e tutti hanno riso. Barzelletta dopo
barzelletta Ugo e Silvio hanno perso le elezioni. Capito Matteo?
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