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sabato 3 novembre 2012
Idv: tutti contro Tonino. Ma siamo proprio sicuri che Di Pietro non c’azzecchi più?
Per
anni è stato il padre-padrone indiscusso dell’Idv, acronimo che sintetizza l’ “Italia
dei Valori”. Su come ci sia diventato, e lo abbia fatto, non ci convincono né la
sua versione né quella di Elio Veltri né quella di Filippo Facci. Di Pietro è
uno e trino, variabile come il tempo di questi anni tropicali, un po’ pazzo
come marzo. All’Italia dei Valori ci siamo avvicinati quando era l’unico
partito, o meglio Tonino l’unico leader, che le cantava chiare a Silvio. Gli
altri lo consideravano un avversario politico da battere e non un malfattore,
come invece l’ex pm di Mani Pulite che evidentemente di carte sul Nano ne aveva lette
a bizzeffe. Di Pietro litiga con l’italiano come il sagrestano con la corda
attorcigliata delle campane, spesso non ne viene a capo ma alla fine le campane
suonano lo stesso. Di Pietro è un po’ rozzo, il suo apologo sul moscone verde
(citato anche in questi giorni convulsi), è subliminalmente terribile. Ha detto
fin dall’inizio “con Casini Mai”, e ha mantenuto la barra dritta fino alla rottura
definitiva con il Pd tremebondo dell’era Bersani. Ha detto del Presidente della Repubblica quello che tutti pensano ma nessuno dice. Con la scusa di essere un
po’ buzzurro, fino a qualche tempo fa si permetteva di emettere frasi sibilanti non azzeccando uno straccio di verbo, transitivo o intransitivo che fosse, che dette da un altro
sarebbero sembrate bestemmie o vilipendi. A noi, sinceramente, delle case di Di
Pietro non frega una mazza. Tonino non sarà un fine linguista, ma conosce
benissimo il codice penale, qualcuno può pensare che abbia mai agito contra
legem? Al massimo un po’ di furberie sparse, ma sulla legalità delle sue
intraprese non staremmo tanto a discutere. A Tonino abbiamo sempre rimproverato
di aver imbarcato sul suo partito personaggi dal passato politico discutibile,
tutti incensurati, per carità, ma il Nano ci ha fatto capire che spesso non è
necessaria la sentenza di un tribunale per essere un figlio di puttana
matricolato. A Tonino abbiamo sempre rimproverato di non aver mai fatto pulizia
nell’Idv, buttato fuori riciclati e riciclatori, padroncini e signori delle
tessere, buoni per una elezione ma letali per un partito che fa della passione
una delle sue spinte partecipative più forti. A Tonino abbiamo rimproverato la
conduzione del congresso nazionale, la deriva plebiscitaria, il non aver tolto
il nome dal simbolo del partito, il non aver mai praticato la democrazia
interna, l’aver sostenuto De Luca alle elezioni regionali campane per fare un
piacere a Bersani, salvo essere liquidato subito dopo come “non attendibile”. Ma
soprattutto, a Tonino abbiamo sempre rimproverato l’abbandono della linea
movimentista da parte dell’Italia del Valori. Era talmente convinto di essere
diventato forza di governo, che l’ex pm aveva voluto cambiare pelle. E mentre
Pancho Pardi e compagnia cantando lo accusavano di essersi messo in pantofole, lui
tirava avanti con le alleanze fino alla foto di Vasto. Ora tutto è cambiato. Lo
accusano di aver rotto con il Pd, rotto con Sel e di aver re-intrapreso la
strada movimentista facendo l’occhiolino a Grillo e al Movimento 5 Stelle. Capo
della ribellione è Massimo Donadi che i congiuntivi li azzecca, che è sempre
stato il “dialogatore” dell’Idv nel salotto buono di Bruno Vespa, insomma il
poliziotto buono mentre Tonino giocava a fare quello cattivo. Dopo l’intervista
a Report, dalla quale il “Presidente” è uscito con le ossa rotta, è iniziata la
rivolta. A noi viene il sospetto che quella più che una intervista sia stata un’imboscata,
ma non abbiamo prove quindi, come sempre, tacciamo. Il fatto che Tonino abbia, subito dopo, detto: “Basta, faccio pulizia”, evidentemente ha messo la fifa blu addosso a
qualcuno. Il fatto che abbia ripreso a dialogare con Beppe Grillo fa paura un
po’ a tutti, Bersani e Vendola compresi. Il fatto che un’alleanza con il M5S
possa combinare uno sconquasso è palese, e pertanto inizia a prevalere la
regola del meglio prevenire che curare. Che poi Marco Travaglio venga
addirittura additato come l’ispiratore del dialogo, ci sembra più che altro il
tentativo penoso di individuare l’ennesimo guru di una politica che non è più politica, ma il tentativo estremo di assicurarsi l’ultima rendita di posizione
praticabile in un paese di morti. E nessuno venga a dirci che giochiamo allo
sfascio perché se qualcuno non se ne fosse accorto, lo sfascio c’è già.
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I vecchi amori non si scordano mai, vero Max?
RispondiEliminaMarco
Sempre controcorrente anzi, controvento...
RispondiEliminaan