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domenica 4 novembre 2012

Gli americani conoscono esattamente i programmi dei candidati presidenti. Gli italiani anche, porc...

Gli americani ne hanno piene le palle. Una campagna elettorale di un anno e mezzo non si sopporterebbe in nessuna parte del mondo, figuriamoci negli States dove il tempo, così dicono, sembra che scorra più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo. Diciotto mesi di campagna elettorale sfibrerebbero chiunque, farebbero perdere la cognizione del tempo e dello spazio, provocherebbero una crisi di rigetto da astensione di massa. Ma negli Stati Uniti sembra non sia così. Anche se su YouTube gira il video di una bambina che, papale papale, dice che non ne può più. Il risultato di questa prolungata rincorsa alla presidenza è che, a tutt’oggi, i due candidati sono appaiati, fermi al 48% a testa. Il che significa che basterà il voto di uno stato con tre grandi elettori per far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. Quello che è emerso in tutta chiarezza però, da questa infinita campagna elettorale, sono le posizioni dei due contendenti. Tutti gli americani hanno capito cosa accadrebbe se vincesse l’uno o l’altro. Tutto si può rimproverare a Obama e a Romney meno la mancanza di idee e di chiarezza su quello che sarà il futuro della più importante nazione del mondo (ancora per poco, anzi pochissimo). Gli americani sanno, insomma, cosa aspettarsi qualora venisse riconfermato Obama o se dovesse prevalere Mitt Romney. Sperando che non si ripeta lo scandalo dell’elezione di George W. Bush contro Al Gore, con il riconteggio dei voti bloccato dai tribunali, il poter andare a votare conoscendo il programma dei candidati non è poca cosa, esattamente quello che accade in Italia da sempre. O no? Dalle nostre parti pur di accaparrarsi i voti dei “moderati”, i partiti giocano all’appiattimento. E anche se continuiamo ad attendere fiduciosi l’arrivo di un Messia che ci dica cosa cazzo significa essere “moderati”, la sensazione di ritrovarsi ancora una volta di fronte al muro democristiano dei “messaggi trasversali” è netta, molto netta. Prendiamo la Lombardia dove si voterà a gennaio. Il centro-destra si presenterà con due liste, una del Pdl e una Civica, capitanata dall’ex-sindaco di Milano, Gabriele Albertini, sì, proprio quello della grande cementificazione della città e delle sfilate in mutande. Con Albertini dovrebbero scendere in campo anche Montezemolo, Fli e Udc, notoriamente forze appartenenti all’area della “moderazione”. Domandandoci di cosa e di chi faccia parte il Pdl, constatiamo come la Lega non abbia alcuna intenzione di recedere dalla presentazione di Bobo Blues Maroni, candidato Governatore. Nonostante Silvio continui ad affermare “un’altra grande regione del Nord mai a un leghista”, dalle parti di via Bellerio gli fanno sapere che sono semplicemente affari suoi, che la Lega andrà avanti e che a Silvio interessano più le poltrone che la politica. Ma va! Tutto tace, invece, sul fronte del centrosinistra e, in particolare, nessuna nuova dal Pd dopo che Umberto Ambrosoli gli ha cortesemente, ma fermamente, risposto “no grazie”. Orfano dell’Udc, il Pd non sa che pesci pigliare e, pur dovendo confrontarsi con una controparte decisamente frantumata (eufemismo), preferisce continuare a perdere, che costa sempre una minore fatica che vincere e poi governare. Finalmente il Quirinale torna a parlare. Il presidente Napolitano ha detto chiaro e tondo che non ci sono le condizioni per votare anticipatamente, e ha anche fatto capire che il nuovo parlamento, legittimato dalle elezioni politiche, dovrà provvedere innanzitutto a eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, ferma la sua volontà di non proseguire il mandato. A questo punto è facile immaginare quale sarà il prossimo scenario: una grande ammucchiata al centro per accaparrarsi gli ultimi spazi costituzionali disponibili, cioè la presidenza del Consiglio e quella della Repubblica. In tutta questa storia c’è una incognita grande come il mondo. Si chiama M5S e sta arrivando.

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