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giovedì 8 novembre 2012
Siamo un paese malato di omofobia. Pdl, Lega e Udc bocciano ancora una volta la legge che la punisce.
Tutto
ha una logica. La Lega è ancora in preda a un celodurismo forsennato. I
piediellini e gli ex aennini farebbero transitare volentieri i froci e le
lesbiche per le camere a gas. L’Udc non potrebbe mai approvare una legge che
possa incupire le eminenze di Oltretevere, figuriamoci far lacrimare Benedetto
XVI°. Ancora una volta, con una baldanza tanto incivile quanto fuori dal mondo,
l’asse dei macho men del centrodestra ha bocciato, in Commissione Giustizia
della Camera, la proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia, quella
che tendeva ad allargare la “legge Mancino” anche ai reati commessi e motivati
dall’orientamento sessuale. Inutile dire
che in altre parti del mondo le cose vanno diversamente. In Spagna, la Corte
Suprema ha sancito la validità dei matrimoni gay. In Francia, proprio in questi
giorni, il Parlamento sta per varare la legge contro l’omofobia. In America, la
nazione dei quacqueri e del Tea Party, tre stati approvano il matrimonio fra
persone dello stesso sesso e gli americani rieleggono un presidente apertamente
schierato a favore del matrimonio omosessuale. Noi italiani, invece, dobbiamo
farci distinguere, nel bene e nel male. Dobbiamo essere originali e creativi,
concreti e fantasiosi ma, soprattutto, dobbiamo tenere alto il nostro status di
latin lover inveterati pur se precocemente invecchiati. Cosa passi nella
testa degli uomini e delle donne del Pdl, della Lega e dell’Udc non ci è
chiaro. Quale perverso meccanismo li tenga ancora morbosamente legati a un
concetto di famiglia etero che non esiste più, ci è sconosciuto. A meno che
quei geni incompresi del centrodestra ignorino completamente il significato
etimologico della parola “omofobia”, e non la ritengano foriera di evirazione
tout court, la loro posizione non ha giustificazione alcuna se non nei retaggi
ultraconservatori dei casini aperti, delle donne oggetto, dei gay portatori di
malattie e dei trans figli naturali di Belzebù. Il problema, dopo anni di vanti
da escobador perduti nelle brume delle lenzuola di seta nera, è che in questo
caso non c’entrano la religione, il pericolo di devianze pericolose per i giovani,
l’essere o costituire un cattivo esempio per i turisti stranieri che affollano
le spiagge nostrane in attesa di pappagalli, la difesa ad oltranza di un
assunto di virilità fuori da ogni logica e dalla Storia. Torna, prepotente, la
paura ancestrale della “diversità”, del non essere “normale” sancito (secondo i
destrorsi) da madre natura, di una lettura dei sacri testi parziale e ancora intrisa di
tradizione e di pessime interpretazioni. Inutile dire che tutti i movimenti dei
gay e delle lesbiche hanno sonoramente protestato, che l’Idv e il Pd (meno Fioroni) ripresenteranno in aula la loro proposta, che i giornali di tutto il mondo
stigmatizzano l’arretratezza di una destra machista e forcaiola (contro i
sessualmente “diversi” da Giovanardi), che continua a giustificare e tollerare
delitti che sono innanzitutto prima contro la persona e poi contro le presunte
minoranze. I quacquaracquà del centrodestra italiano ci sembrano quel
petroliere texano che si vantava di non essere razzista affermando: “Io non
sono razzista, è lui che è negro”. Così, da Silvio a Pierfy passando per Bobo
Blues e il Vietti fotografato con la ballerina discinta, tutti si vantano di
avere amici gay che stimano e rispettano perché tanto, poverini, loro non sono
omofobi, sono gli altri a essere froci.
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