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giovedì 12 settembre 2013

Silvio: “Non mi dimetto. Sono il più grande. Siete solo invidiosi”. Tiè!

Eppure potrebbe essere tutto molto semplice. Seguite questo ragionamento. I pidini nella Giunta per le elezioni bocciano la relazione di Andrea Augello. Prima del voto di decadenza, a questo punto scontato perché il Pdl lo ha inserito nella stessa relazione introduttiva, Silvio si dimette, se ne va da Palazzo Madama e sconta la pena restante di un anno ai servizi sociali (dove, fra parentesi, potrebbe rifarsi, fra dentiere e pannoloni, una verginità mediatica immensa). Nel frattempo i figli chiedono la grazia all'Innominabile il quale, preso atto della “buona volontà” del reo certificata dalle dimissioni, gliela concede senza colpo ferire e a stretto giro di decreto. Scontata la pena e ricreatasi una reputazione (come le mignotte che entrano nella Croce Rossa), Silvio potrebbe tornare a presentarsi illibato alle prossime elezioni, dopo aver atteso il tempo necessario che la Corte d'appello di Milano avrà stabilito con la nuova sentenza sull'interdizione. Non è affatto scontato, viste le condizioni venutesi a creare, che la Corte decida per l'interdizione lunga, quella che la Cassazione ha previsto in tre anni. Potrebbe essere “mite”: un anno. A questo punto resterebbero da verificare solo le condizioni di salute del Capataz che, a quanto dicono, sono ottime e simili a quelle di un ventenne fiaccato solo dall'eccessivo uso del testosterone. Tutto cambierebbe, niente cambierebbe, come avviene dall'unità d'Italia senza che nessuno abbia mai provato a porre un argine al gattopardismo viscerale delle nostre genti. Così sarebbero tutti contenti, un happy end memorabile: il Pd coerente; il Pdl non perdente; Silvio preoccupato solo delle avance della nostra amica casalinga pensionata di Abbiategrasso; l'Innominabile che ci ha messo l'ennesima pezza; i mercati che non fibrillerebbero più, e perfino Dudù che si è rotto le palle di portare ogni giorno il Giornale al fidanzato attempato e un po' fuori di testa della padrona. Il più felice di tutti? LettaLetta che potrebbe continuare a sedersi su una poltrona che ha iniziato ad amare più della moglie. Ma, come in quasi tutti i lieto-fine, una nuvola s'addensa all'orizzonte. È un cirro con tanto di nome, cognome e incarico: Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Matteo sta mordendo il freno. Non ne può più di stare in panchina e, da quando il suo amico Enrichetto ha fatto intendere che correrà anche lui per la segreteria del Pd, non vede l'ora di sparigliare le carte. È irrequieto, un po' nervoso, tende a stare sopra le righe e ha aperto, di fatto, la corsa per la leadership del Pd. Iera sera, in quel salotto che più bianco non si può di Bruno Vespa, ne ha avute per tutti ad iniziare proprio dal Presidente del Consiglio, che ha accusato senza mezzi termini di essere un amante delle poltrone, peraltro immobile. Apparentemente critico sui contenuti dei provvedimenti del governo, Matteo sta recitando la parte che fu di Valter Veltroni nella caduta del governo di Romano Prodi; eletto segretario dell'appena nato Partito Democratico, Vuolter fece sapere a Mastella e a Dini che alle elezioni avrebbe corso senza di loro. Mastella, che ne sa una più del diavolo, gli rispose: “E 'sti cazzi?”, trasferendosi il giorno appresso tra le calde braccia di Silvio che lo stava aspettando con ansia. Ma Vuolter fece di peggio, distrusse con un colpo solo di Magnum 44 quello che rimaneva della sinistra storica. Matteo a questo non potrebbe mai arrivare, ma solo perché la Sinistra (non solo quella storica) non esiste più.
Intanto è iniziata a girare una voce maligna, talmente maligna da rasentare la perversione. Sembra che Silvio non voglia dimettersi perché propenderebbe a far votare all'aula di Palazzo Madama la sua decadenza. Mica fesso, il Capataz. Sà perfettamente che se il voto dovesse essere segreto, ci sarebbero 101 zozzoni del Pd disposti a salvargli il culo. Le vere mine vaganti di tutta questa sporca storia, sono ancora gli “anonimi” 101 zozzoni che hanno affossato Prodi per tutelare gli interessi dell'Italia dando vita alle larghe intese. Una vergogna per un partito che ambisce a guidare la nazione ma che, al massimo, potrebbe salire a bordo di una Topolino del 1936 e solo con la strada asciutta.

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