Eppure
potrebbe essere tutto molto semplice. Seguite questo ragionamento. I
pidini nella Giunta per le elezioni bocciano la relazione di Andrea
Augello. Prima del voto di decadenza, a questo punto scontato perché
il Pdl lo ha inserito nella stessa relazione introduttiva, Silvio si
dimette, se ne va da Palazzo Madama e sconta la pena restante di un
anno ai servizi sociali (dove, fra parentesi, potrebbe rifarsi, fra
dentiere e pannoloni, una verginità mediatica immensa). Nel
frattempo i figli chiedono la grazia all'Innominabile il quale, preso
atto della “buona volontà” del reo certificata dalle dimissioni, gliela concede senza colpo ferire e a stretto giro di decreto.
Scontata la pena e ricreatasi una reputazione (come le mignotte che
entrano nella Croce Rossa), Silvio potrebbe tornare a presentarsi
illibato alle prossime elezioni, dopo aver atteso il tempo necessario
che la Corte d'appello di Milano avrà stabilito con la nuova
sentenza sull'interdizione. Non è affatto scontato, viste le
condizioni venutesi a creare, che la Corte decida per l'interdizione
lunga, quella che la Cassazione ha previsto in tre anni. Potrebbe
essere “mite”: un anno. A questo punto resterebbero da verificare
solo le condizioni di salute del Capataz che, a quanto dicono, sono
ottime e simili a quelle di un ventenne fiaccato solo dall'eccessivo
uso del testosterone. Tutto cambierebbe, niente cambierebbe, come
avviene dall'unità d'Italia senza che nessuno abbia mai provato a
porre un argine al gattopardismo viscerale delle nostre genti. Così
sarebbero tutti contenti, un happy end memorabile: il Pd coerente; il
Pdl non perdente; Silvio preoccupato solo delle avance della nostra
amica casalinga pensionata di Abbiategrasso; l'Innominabile che ci ha
messo l'ennesima pezza; i mercati che non fibrillerebbero più, e
perfino Dudù che si è rotto le palle di portare ogni giorno il
Giornale al fidanzato attempato e un po' fuori di testa della
padrona. Il più felice di tutti? LettaLetta che potrebbe continuare
a sedersi su una poltrona che ha iniziato ad amare più della moglie.
Ma, come in quasi tutti i lieto-fine, una nuvola s'addensa
all'orizzonte. È un cirro con tanto di nome, cognome e incarico:
Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Matteo sta mordendo il freno. Non
ne può più di stare in panchina e, da quando il suo amico
Enrichetto ha fatto intendere che correrà anche lui per la
segreteria del Pd, non vede l'ora di sparigliare le carte. È
irrequieto, un po' nervoso, tende a stare sopra le righe e ha aperto,
di fatto, la corsa per la leadership del Pd. Iera sera, in quel
salotto che più bianco non si può di Bruno Vespa, ne ha avute per
tutti ad iniziare proprio dal Presidente del Consiglio, che ha
accusato senza mezzi termini di essere un amante delle poltrone,
peraltro immobile. Apparentemente critico sui contenuti dei
provvedimenti del governo, Matteo sta recitando la parte che fu di Valter Veltroni nella caduta del governo di Romano Prodi; eletto
segretario dell'appena nato Partito Democratico, Vuolter fece sapere
a Mastella e a Dini che alle elezioni avrebbe corso senza di
loro. Mastella, che ne sa una più del diavolo, gli rispose: “E
'sti cazzi?”, trasferendosi il giorno appresso tra le calde braccia
di Silvio che lo stava aspettando con ansia. Ma Vuolter fece di
peggio, distrusse con un colpo solo di Magnum 44 quello che rimaneva
della sinistra storica. Matteo a questo non potrebbe mai arrivare,
ma solo perché la Sinistra (non solo quella storica) non esiste più.
Intanto
è iniziata a girare una voce maligna, talmente maligna da rasentare
la perversione. Sembra che Silvio non voglia dimettersi perché
propenderebbe a far votare all'aula di Palazzo Madama la sua
decadenza. Mica fesso, il Capataz. Sà perfettamente che se il voto
dovesse essere segreto, ci sarebbero 101 zozzoni del Pd disposti a
salvargli il culo. Le vere mine vaganti di tutta questa sporca
storia, sono ancora gli “anonimi” 101 zozzoni che hanno affossato
Prodi per tutelare gli interessi dell'Italia dando vita alle larghe
intese. Una vergogna per un partito che ambisce a guidare la nazione
ma che, al massimo, potrebbe salire a bordo di una Topolino del 1936 e solo con la strada asciutta.
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