Di
alcool ne sappiamo qualcosa, quindi ci permetterete di definire
l'accordo sottoscritto ieri da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, come
il risultato di una sbronza colossale. Eppure era partito bene,
sobrio diciamo, quello stato di leggera ebrezza che spesso giova ai
contatti e ai contratti sociali. Il presupposto era: “Mai più
larghe intese. Chi vince prende tutto”, una regola che vige in
quasi tutti i paesi del mondo, almeno in quelli dove si vota senza un
kalashnikov puntato alla testa. Il presupposto resta, e infatti chi
raggiunge il 37 per cento a prima botta o dopo il ballottaggio,
governa. Poi, evidentemente, è subentrato lo stato di ubriachezza
che è diventata molesta quando i due leader hanno raggiunto
l'accordo sul salva-Lega. Incuranti dei richiami della Corte
Costituzionale sulle preferenze, i più grandi statisti degli ultimi
152 anni, sono andati avanti per la loro strada in attesa che
qualche cittadino avveduto ponga un'altra volta la questione davanti
alla Corte. Perché questo è uno strano paese. Dopo otto anni nei
quali tutti volevano abrogare il Porcellum ma nessuno lo faceva, ci
hanno pensato due stimati cittadini qualsiasi a toglierlo di mezzo.
Cuperlo non ha tutti i torti quando nel corso della direzione del Pd
ha posto il problema, perché quello delle preferenze resta un
problema. E a maggior ragione ora che, apprendiamo dal testo
definitivo dell'accordo, sono state escluse anche le primarie seppur
facoltative. Silvio, insomma, non ha nessuna intenzione di passare (o
di far passare) lui o il suo delfino, sotto la tagliola delle
consultazioni interne. L'Italia, come ormai tutti sanno, non è,
costituzionalmente, il Paese delle grandi rivoluzioni. Da noi basta
vincere un mondiale o un europeo che l'opposizione si acqueta. Però
l'Italicum almeno un merito lo ha: scongiura gli inciucioni. Sempre
se Massimo D'Alema non dovesse tornare alla segreteria del Pd,
naturalmente.
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