Una
via di fuga chiamata alcol. Tra i giovani trionfa il bingedrinking
Sono
tantissime le ragioni per le quali uno inizia a bere, e non è detto
che lo faccia perché l'alcol è la droga meno costosa. Spesso si
inizia per puro piacere e si finisce in coma epatico all'ospedale.
Apparentemente sembra che l'alcol, con il suo effetto stordente,
contribuisca a far dimenticare guai e tristezze, quotidianità
invivibili e altrettante frustrazioni. Il bicchiere di vino a pasto
diventa un fuori pasto e controllarne la quantità diventa sempre più
difficile. Aumentano di pari passo tristezze e bicchieri, così, uno
dopo l'altro, la sbronza diventa inevitabile, come le diverse
sfumature che si porta dietro. C'è chi infatti diventa allegro e
loquace e chi silenzioso e violento, in mezzo alle due tipologie
classiche della sbronza non esistono sfumature grigie né nere, non
esistono proprio.
Escono
le statistiche, e se da una parte ci consola il fatto che l'alcolismo
è in tendenza discendente, dall'altra è preoccupante l'età
d'inizio di un fenomeno che porta all'autodistruzione: 11 anni.
Inutile
sottolineare come la precocità sia legata alle abitudini familiari.
Genitori che bevono tanto rappresentano infatti lo start, l'inizio di
una abitudine che presto, anzi prestissimo, si trasforma in vizio. E
questa pessima tendenza arriva fino ai 24 anni quando, per forza o
per scelta, o si passa a sostanze più pericolose dell'alcol o si
smette. E che si smetta è un dato di fatto.
Anni
fa, inascoltati, affrontammo con piglio da combattenti dell'Esercito
della Salvezza, il problema dei softdrink per i giovani. L'alcol
mischiato ai succhi di frutti era la bevanda per i minorenni sia
nelle discoteche che nei bar del paesello. Lo Stato ovviamente non
fece nulla e continuò (e continua) a venderli tranquillamente senza
prescrizioni che ne vietino espressamente la distribuzione ai minori.
E non era un alibi la bassa gradazione visto che se ne beveva a
litri, né rappresentava un deterrente la pericolosità insita in
quel mix di zucchero e alcol che devastava fegati giovanissimi. Oggi,
a regnare incontrastato è il bingedrinking, ovvero l'abbuffata
alcolica che ha sostituito i softdrink.
I ragazzi bevono
compulsivamente liquori di diversa gradazione e composizione, non
sorseggiano ma trangugiano, non assaporano e non gustano ma hanno un
diverso scopo che è poi quello che l'alcol passa dalla bocca per
arrivare direttamente al cervello.
Le
conseguenze sono disastrose, la sbronza è assicurata a una velocità
altrimenti impossibile, le sinapsi vanno in pappa e l'impotenza è
dietro l'angolo. Come accade spesso, nessuno fa nulla e la pubblicità
dell'alcol è ancora lì, in tv, a dirci che bere si può.
Totalmente
diverso è il ragionamento sull'altra fascia di età a rischio, gli
ultrasessantaquattrenni. Arrivati alla pensione nonostante la
Fornero, gli uomini e le donne ritengono di non avere più nulla da
dire né da fare. Invece di spendere i loro risparmi in viagra e
succedanei erotici, preferiscono dilapidare pensioni acquistando
l'alcol (o grattaevinci) che diventa un amico fedele, quello che non
ti abbandona mai e che nel momento del bisogno c'è.
Sembra, insomma,
che superata una certa età la vita non possa più regalarti nulla e
che il suicidio a lungo termine sia l'arma migliore di rispondere
alla noia.
Cari
amici e quasi coetanei, non è vero. Che un bicchiere di vino possa
aiutare a vincere la timidezza potrebbe anche essere vero, ma che una
damigiana distrugga lo è altrettanto. Vince, secondo noi e come
sempre, la “teoria della vena varicosa”. Ma questo è davvero un
altro discorso, destinato soprattutto a chi è fermamente convinto
che la vita non finisca con gli ...anta.
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