Nel
Pd si litiga per entrare in lista, altro che far parte dei
finalisti del Festival di Sanremo! I protagonisti della politica pidina nazionale
e periferica, non demordono, anzi, s’incazzano e denunciano estromissioni forzate
volute dal komintern, ad esempio i montiani e i renziani. Come dire: i nodi
stanno venendo al pettine. Il problema è che, primarie o non primarie, Bersani
ha dalla sua un listino talmente vasto che era ovvio che, nelle province,
venissero paracadutati personaggi designati dalla segreteria nazionale. D’altronde,
da che politica è politica, in Italia i siciliani hanno sempre dovuto votare
per un paio di romani, così come i lombardi, i veneti, i molisani, i
marchigiani, qualche abruzzese e perfino i sudtirolesi. È vero, questa volta si
pensava che almeno il Pd rinunciasse alla consuetudine, ma un po’ per ragioni
di fedeltà, un po’ perché, anche se i privilegi non sono così sfacciati come
quelli di qualche mese fa, ci sono sempre, per cui vale la regola che è meglio fare
politica che andare a lavorare, magari in un altoforno, magari in una catena di
montaggio, magari all’azienda municipalizzata monnezza e affini. E poi ci sono
tanti parenti e amici da sistemare, come si fa a mollare tutto? Noi viviamo in
un posto in cui il Pd sembra una confraternita. Difficilissimo entrarci, quasi
impossibile. Però, una volta dentro, ci si sente un po’ padroni del piccolo mondo
antico locale, posti di lavoro a gogò e anche se uno non sa fare una mazza, lo
mettono a gestire spazi nei quali non può far danni, quello che conta è lo
stipendio a fine mese. Sarà perché la disciplina del “nostro” Pd è molto simile
a quella del vecchio Pci, nessuno viene lasciato col sedere per terra, tutti
vengono riciclati e, perfino quando arrivano all’età della pensione, una collaborazione
da 500/600 euro al mese, gliela trovano. Perché occorre ricordare che un under
diciotto non vota, un ultrasettantenne sì. Nel M5S le cose non vanno meglio. Anche
se il movimento di Grillo non ha ancora l’anzianità di servizio dei pidini (o
dei democristiani di lungo corso), si litiga lo stesso, si litiga alla grande, nonostante
i profeti, i maghi del web, le casalinghe disperate, i disoccupati cronici e
nonostante il Beppe nazionale abbia dichiarato che un onorevole del suo
Movimento non prenderà più di 2000 euro al mese. E vi sembrano pochi? Mario
Monti è alle prese con le sue liste. Non ci sta dormendo la notte. Lui, che si spaccia per il “principe dei riformatori”, sta correndo il rischio di presentare
la sua newage con Fini, Casini, Buttiglione, Cesa, Frattini e con i peggiori,
vetusti attrezzi parlamentari, combattenti e reduci, della Prima Repubblica. E noi
dovremmo andare a votarli? Sì, ‘ndo culo.
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domenica 6 gennaio 2013
Nel Pd si litiga per i posti in lista. Nel M5S pure. IL Pdl arranca. Monti fa i conti e la Lega affoga nell’ennesimo scandalo: sotto accusa tutto il gruppo al Senato.
Partiamo
dalla fine. Certo che l’aria di Roma deve aver fatto malissimo ai viking padani.
Se la definizione “ladrona”, è stata per anni la tag della politica bossiana, qualche
ragione doveva pur esserci. Ma più che l’aria di Roma, a nuocere deve essere il
clima che si respira a Palazzo Montecitorio e a Palazzo Madama che obnubila le
menti e riempie le tasche. L’ultimo scandalo che sta investendo in queste ore
gli adoratori di Odino, è quello relativo ai fondi del gruppo senatoriale. Dal
novembre scorso, Manuela Maria Privitera, segretaria del tesoriere Piergiorgio
Stiffoni, sta fornendo ai pm romani le prove della gestione allegra del gruppo
leghista a Palazzo Madama. “Prove”, significano pezze d’appoggio, ricevute,
bonifici, carte e documenti che testimoniano come lo stesso gruppo si faceva
carico di pagare affitti e spesucce varie ai componenti di maggior spicco. In
testa il capogruppo Bricolo, a seguire i suoi fedelissimi Mazzotta e Bodega,
ultimo della lista il teorico della parola “stronzo”, Roberto Calderoli al quale,
la signora Privitera, consegnava ogni mese 2000 euro in contanti, però, dietro
regolare ricevuta. Cosa ci facesse con 2000 euro il senatore Calderoli (pure
ministro), non si sa, quello che è certo è che bastava la sua firma su una
ricevuta per intascarli e amen. Di sciupii, la magistratura romana ne sta
scoprendo a vagonate. Il risultato è che i cappi e i cartelli inneggianti alla
legalità, all’onestà e alla probità, che per anni sono apparsi in tutte le aule
della Repubblica, oggi appaiono una solenne presa per il culo mediatica, visto
che venivano puntualmente pubblicati sui giornali di tutto il mondo libero e
perfino di qualche pianeta vicino. A questo punto crediamo che a Maroni non
resti che accettare la proposta di matrimonio di Silvio, fra simili ci si
intende solitamente alla grande e, dove non può la condivisione ideale, arriva
la furfanteria.
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Max, non riposi neppure per la Befana. E Bersani ne sa qualcosa, gli altri ormai...
RispondiEliminaMarco