Il
fatto è che se dalle parti dei berluscones stai sulle palle a qualcuno, non ti
mollano mica tanto facilmente! È come se Maroni avesse smesso di rosicchiare il
polpaccio del poliziotto addentato durante la famosa perquisizione (1996) nella
sede della Lega Nord: innaturale. È quello che deve aver pensato Gianfranco
Fini leggendo l’attacco di Libero ai suoi presunti privilegi di Presidente
della Camera. Aver costretto il loro capo ad elemosinare un misero voto a
Scilipoti (“testina di minchia”, lo chiama la mamma da quando Mimmuzzo non si
vede più in tivvù), a Razzi e a quel veltroniano di ferro di Massimo Calearo, per
loro deve essere stata un’onta da lavare a sangue e gossip perché oltre,
onestamente, non sanno andare. Sull’ennesimo “caso Fini” è dovuta intervenire addirittura la ministra capa del Viminale, tal signora Cancellieri che,
addirittura supportata dal capo della polizia in persona Manganelli (un nome,
un destino), ha riaffermato che la sicurezza del Presidente della Camera non è
una fisima personale di Gianfry ma risponde a un protocollo di Stato. Incassata la
dichiarazione dei due big della sicurezza nazionale, Gianfranco Fini ha dato
mandato ai suoi legali di rimettere querela alla vittima dei più ridicoli
attentati terroristici degli ultimi 150 anni, Maurizio Belpietro che di
mestiere, dicono, fa purtroppo il giornalista. Se dovessero incontrarsi di
persona personalmente in un’aula di tribunale, fra i due se ne dovrebbero
vedere delle belle perché, diciamolo, si odiano a tal punto che odiarsi di più
sarebbe amore. Volendo però lasciare da parte il ridicolo, non possiamo non
prendere atto che alla Fiat e a quel gran pezzo di manager che risponde al nome
di Sergio Marchionne, la legge italiana non ne lascia passare una. L’ultima è
di ieri. La Corte d’appello di Roma ha respinto il ricorso della Fiat contro il
pronunciamento dello stesso Tribunale di Roma che aveva sancito l’immediata
riammissibilità dei 145 operai Fiom che la newco Fabbrica Italia Pomigliano,
aveva deciso di lasciare a casa. Questa ennesima decisione “contro” da parte di
un tribunale italiano, dovrebbe far capire a Marchionne che non sempre può fare
quel che diavolo gli pare, nonostante Chiamparino lo consideri un semidio e
Fassino il cittadino più illustre di Torino, città nella quale va ogni tanto a
lavorare in elicottero per fuggire quanto prima la sera e tornarsene a dormire in
Svizzera, questione di silenzio. Da Torino fanno sapere che la decisione della
Corte d’Appello di Roma è solo un “fatto tecnico” e che loro non hanno alcuna
intenzione di far rientrare in fabbrica gente che va ancora in giro con la
bandiera rossa, fischietta l’Internazionale, sputa per terra, non si lava i
piedi, puzza terribilmente di vodka e rhum cubano e, abiezione delle abiezioni,
va in giro con la tuta bianca sulla quale spicca una macchietta di pomodoro. Ma
siamo sicuri, monsieur Sergiò, che si tratti di pomodoro e non di sangue
operaio?
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Spumeggiante,rinfrescante,propio quello che ci voleva.Non avevo dubbi,ma mi fa piacere constatare che si è ripreso benissimo dalle passate vicissitudini.M.M.
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