È
inutile che Beppe Grillo s’incazza. Lui c’è abituato a farsi pagare per
rilasciare interviste, ma non sono mica tutti come lui e, soprattutto, non
tutti hanno lo stesso appeal mediatico. Regola fissa nelle tivvù commerciali,
stipulare contratti per interviste programmate e a scadenza fissa, è
sicuramente una delle maggiori fonti di guadagno, con la pubblicità, delle ex
televisioni libere, quelle che “libere” davvero, in fondo, non lo sono mai
state. Quello che è accaduto in Emilia-Romagna fa scandalo solo perché, in questo
gran puttanaio dell’informazione dopata, è incappato un esponente importante
del M5S, Giovanni Favia il quale, lontano da ogni parvenza di pentimento, ha
detto testualmente al suo capo che lo aveva bacchettato via web: “Il contratto
con la televisione ce l’ho, ho pagato, non ho nessuna intenzione di rinunciare”.
E ha così concluso: “L’informazione non è libera”. Ma che ti venga un bene! A noi
queste scoperte traumatizzano. Le televisioni “incriminate” (virgolettato
perché non è stato commesso nessun crimine), sono Rete7 e ètv. Nulla da dire
sulla prima, fa il suo lavoro, ti propone un pacchetto commerciale, arriva il
giornalista, ti domanda quello che vuoi ti domandi, dai la risposta che
desideri. Il gioco è fatto, il contratto rispettato. Diverso, invece, il
discorso che riguarda ètv che non solo è una emittente dei vescovi ma che fino
a ieri ha decisamente negato ogni tipo di “marchetta” strutturata. Le Loro Eccellenze
non hanno però potuto negare l’evidenza, com’è nel loro costume e nella loro
indole cattolica, perché i rappresentanti della Lega, dell’Udc, del Pdl e
perfino di Sel hanno mostrato pubblicamente i contratti. L’Ordine dei Giornalisti
(al quale apparteniamo, per cui è anche il nostro), ha deciso di vederci chiaro
perché, pur non essendoci, lo ripetiamo a scanso di equivoci, nessun reato e
nessuna legge violata, quella che viene messa pesantemente in discussione è la deontologia
di un lavoro nato per non fare sconti a nessuno mentre si scopre che, dopo
quattro interviste, una è gratis. L’Ordine, insomma, sta mettendo in discussione
la professionalità di persone che si fanno pagare per quello che dovrebbe essere
un fondamento del nostro mestiere: “Intervistare per capire”, mentre qui si
intervista per mangiare. Che gli organi di informazione si facciano pagare le
notizie non lo scopriamo sicuramente noi. Ci sono giornali che realizzano
pagine di pubblicità mascherate da servizi per poi farsi
compensare con l’acquisto di decine se non di centinaia di copie. Abbiamo
lavorato per testate locali, sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando. Le
marchette, nel nostro mestiere, sono all’ordine del giorno per cui si assiste tranquillamente
ai buoni pasti regalati a un collega per una serie di servizi su un ristorante.
Una pagina pubblicitaria costerebbe molto di più, tanto vale rivolgersi al marchettaro
di turno. Con l’avvento di Silvio questo tipo di “informazione” ha avuto uno
scatto in avanti formidabile. Ti pago perché quel servizio non appaia, è
diventato un tormentone che ha finito per evidenziare ricatti di ogni genere e
natura, non solo politica. Questo è un mestiere maledettamente serio che
bisognerebbe affrontare e vivere quasi con spirito di sacrificio. Dare notizie
manipola in qualche modo l’opinione pubblica, darle false o drogate dovrebbe
essere un reato: di circonvenzione di incapace.
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Non sei tenero con i tuoi colleghi, lo so che ne stimi molti ma l'impressione è che questo tipo di giornalismo con te non c'entri nulla, che ti indispettisca...Sbaglio?
RispondiEliminaan