Ieri
un solo indagato nel Partito delle Libertà (loro), per altro di
risulta. Nel mirino dei magistrati è finita Melania De Nichilo,
moglie del produttore cinematografico Angelo Rizzoli, il devastatore
di una delle più grandi famiglie di editori italiani. Angelo Rizzoli
acquistò il Corriere della Sera per trasformarlo nella dependance
della P2 di Licio Gelli perché già da allora, il Piano di Rinascita
per l'Italia predisposto dal Gran Maestro della Loggia massonica
segreta, prevedeva il controllo totale sull'informazione. Inutile
dire chi ha portato avanti il progetto, ci verrebbe da ridere e
offenderemmo la vostra intelligenza. L'accusa, per Angelo Rizzoli, è
di bancarotta fraudolenta. Anche lui, come molti altri imprenditori
italiani, aveva messo in piedi una rete di scatole cinesi, di società
più o meno fantasma, con le casse vuote e la partita Iva in sonno.
Società che funzionavano solo per eludere le tasse e incrementare i
fondi neri della casa madre. Non ci sorprende, quindi, che la compagna di
Rizzoli sia una deputata del Pdl perché la logica di quel partito,
riaffermata ieri dal Capo supremo, è proprio quella di far cassa in
barba alle leggi e in nome del libero mercato e della libera
concorrenza. Se fossimo indiani, dopo quello che Silvio ha detto
delle tangenti-prassi, dichiareremmo guerra all'Italia, perché
sentirsi dare del “terzo mondo”, “democrazia incompiuta” e
“acchiappa acchiappa” dal propugnatore dell'evasione fiscale
totale, ci farebbe girare terribilmente le palle. Piergigi Bersani se l'è
cavata con un “fermiamolo” che dice tutto e niente, mentre Mario Monti,
dopo la marchetta elettorale di Schaeuble, ha incassato anche quella
di Barack Obama, segno che il rapporto del console americano a Roma
ha colto nel segno. La colpa? Di Nichi Vendola, ovviamente, il
Majakovskij italiano che riempie di frasi poetiche i suoi interventi
politici. Ma l'uscita improvvida di Berlusconi sulla bontà delle
tangenti, ha causato l'insurrezione della Lega. Il popolo celtico non
ci sta a schierarsi con un tangentista dichiarato e Bobo Maroni, per
direttissima, ha preso le distanze dall'ennesima boutade del
lasciamacerie. L'impressione è che se la Lega dovesse (fatto
auspicabile) perdere la Lombardia, l'alleanza posticcia con il
Capataz finirebbe dritta a naufragare nel Po. Umberto Bossi non
aspetta altro per riprendere in mano il partito e continuare a
comprare i giochetti per la Play Station di Renzo. Silvio lo sa e
questa mattina, di buonora, è corso ai ripari smentendo nuovamente
se stesso. Ha detto: “Le tangenti vanno punite”, un po' tardi per
essere una opinione credibile ma sempre in tempo per i milioni di
creduloni che ancora lo voteranno. Sempre più inguaiato, invece, il
Celeste. Ora che sono caduti i veli sulle richieste di rinvio a
giudizio per l'ex governatore della Lombardia, si viene a sapere di
più su che personaggio sia Roberto Formigoni ma, soprattutto, si
capisce per quale ragione, durante le sue lussuose vacanze, non
pagasse neppure una brioche. Scrivono i giudici: “L'esame dei
rapporti bancari svolto sinora, ha posto in evidenza come, pur in
assenza di prelievi dai conti correnti, Formigoni avesse
significative disponibilità di denaro del quale non è nota la
provenienza”. E proseguono: “L'esame dei conti permette
pacificamente di constatare come, di fronte a un elevato tenore di
vita di Formigoni, non risultino, dall'analisi di ogni singolo conto
esaminato, uscite o addebiti riconducibili a tali importanti spese,
ma neppure conciliabili con le necessità quotidiane di una comune
persona”. Insomma, il Celeste spendeva quotidianamente l'iradiddio, ma sui suoi conti correnti non figura neppure un prelievo. Per la
serie, la moltiplicazione dei pani e dei pesci non avveniva solo con
i pani e i pesci.
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