La
speranza è che un'ondata di pidini, sellini, rivoluzionari civili,
grillini e montiani lo sommerga, perché questo è l'unico metodo
democratico che esiste per farlo tacere. Perfino nel “giorno del
silenzio” elettorale, Silvio ha violato le regole e tutto, come
sempre, è destinato a finire in gloria. Approfittando spudoratamente
della conferenza stampa del Milan per farsi vedere anche ieri in
televisione, Berlusconi è andato oltre quando, con un “amico”
giornalista della stampa greca, ha parlato della situazione italiana,
secondo lui. Ha paragonato la magistratura alla mafia siciliana, ha
attaccato Bersani, Monti, Fini, Casini, la Merkel e la stampa estera
comunista e infine se l'è cavata dando la colpa al giornalista greco
che ha diffuso la sua intervista prima di domani. Talmente grossa, la
puttanata, che Palazzo Grazioli è dovuto correre ai ripari cercando
di mettere una pezza all'ennesima intemperanza senile del Capataz.
Altro che Grillo, altro che rivoluzionari civili, l'unico e solo
pericolo per la giovane, ma già stanca, democrazia italiana è
ancora lui, Silvio Berlusconi da Arcore, Papa, Imperatore e Buffone
di Corte (la sua ovviamente). Ma le urne sono aperte e, a parte
questo prologo dal vago sapore politico, oggi non parleremo di
politica ma di donne. Non siamo stati colti da un attacco di
berlusconite acuta, il fatto è che questa sera, Riccardo Iacona in
“Presadiretta”, parla di quel crimine di Stato noto come
“femminicidio”. Su “IlFattoweb”, Iacona ha spiegato perché
considera il femminicidio un crimine di Stato, motivazione
riassumibile nella totale indifferenza con la quale la repubblica
italiana continua a tenere i reati contro le donne. Se pensiamo che
ci sono voluti anni, decenni, perché nel nostro codice penale la
violenza sulle donne venisse considerato non più un reato contro la
morale ma contro la persona, il conto è presto fatto. Se
consideriamo che fino a qualche anno fa, il codice penale prevedeva
ancora il “delitto d'onore”, non possiamo meravigliarci poi se,
come dice Iacona, il ministero degli Interni non si è ancora dotato
di un osservatorio sui crimini contro le donne, per cui, anche i
numeri che vengono dati ogni anno, rischiano di non fotografare mai
una situazione che è, e resta, drammatica. D'altronde, questo fa il
paio con la legge sull'omofobia che la destra, e qualche cretino
della sinistra, continuano ancora a tenere bloccata in Parlamento.
Volendo tornare sui numeri, potremmo anche dire che rappresentano
solo la punta dell'iceberg di un fenomeno che è molto più vasto,
diffuso e sottile di quanto possa sembrare. I numeri si riferiscono ai
“delitti certificati”, quelli che i giornali riportano con sempre
minor interesse e togliendo progressivamente una decina di righe a
pezzo. Non vengono tenute infatti in considerazione le donne che si
rivolgono alle comunità di accoglienza, quelle che denunciano per
stalking i loro partner o gli ex, coloro che si rivolgono alle forze
dell'ordine per chiedere una maggiore protezione contro un congiunto
particolarmente violento. Poi, sempre i numeri, non tengono in
considerazione le donne che non denunciano i partner per vergogna,
per non sfasciare la famiglia (come se essere picchiata sia un segno
di serenità domestica), che subiscono senza reagire non solo
violenze fisiche ma anche, e soprattutto, psicologiche che finiscono
per distruggere l'anima oltreché il corpo. A questa donne
occorrerebbe fare un appello composto da una sola parola: denucia.
Perché, nonostante sia una comica, ha ragione Luciana Littizzetto che
a Sanremo ha detto “Dopo uno schiaffo ne arriverà un altro e poi
un altro ancora”, e la conclusione di queste serie di schiaffi, è
sempre una e una sola, il cassonetto o un campo in periferia
destinato ad accogliere il falò del corpo di una donna. Non abbiamo
mai capito chi picchia le donne, e dire che a volte si incontrano
soggetti (femminili) ai quali un po' di sano tottò sul culetto non
farebbe una lira di danno, eppure, nonostante le profonde incazzature
che una donna può scatenare, il fatto stesso di metterle una mano
addosso ci scatenerebbe un conflitto interiore da suicidio. Abituati
a non sopprimere neppure i ragnetti che ogni tanto ci salutano dalle
pareti di casa, il solo pensare a un gesto di violenza contro un
altro essere umano, ci sconvolge profondamente. Non si tratta di
essere gentiluomini, basta essere uomini.
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