Queste
speculazioni su provvedimenti di competenza del Capo dello Stato in
un futuro indeterminato, sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza
istituzionale. Danno il senso di una assoluta irresponsabilità
politica che può soltanto avvelenare il clima della vita politica.
Questo il comunicato (scritto in un italiano più che zoppicante,
claudicante) che il Quirinale ha divulgato dopo i titoli a tutta
pagina (la prima) degli ultimi due giorni di Libero. L'altro ieri,
Maurizio Belpietro aveva scritto: “Giorgio facci la grazia”,
mentre ieri, provando ad ascrivere nella campagna pro-Silvio anche il
premier, aveva titolato: “Grazia a Silvio, ci sta anche Letta”.
LettaLetta si è incazzato da morire (anche se lo ha fatto nel
silenzio di un confessionale), mentre Giorgio Napolitano ha preferito
rispondere per le rime e con un comunicato ufficiale. Stanco di
trangugiare ettolitri di Maalox sciroppo a causa dei titoli del
FattoQuotidiano, Giorgio non se l'è sentita di aumentare la dose serale di
antiacido e ha preferito sbottare per iscritto. Il fatto è che se
fosse per i lettori che Libero ha, nessuno dovrebbe preoccuparsi di
quanto scrive e, spesso, sproloquia. La fregatura è che tutte le
principali rassegne stampa delle televisioni pubbliche e private, lo
inseriscono nelle loro mazzette e quindi, l'immagine del giornale che
riceve finanziamenti dallo Stato perché organo del Partito
Monarchico, è mediaticamente molto forte. Belpietro d'altronde, fa
il gioco di sponda con Sallusti. I due direttori, magari si
telefonano la sera e, fra una chiacchiera e l'altra, concordano i
titoli di testa; bastano quelli perché poi il resto non lo legge
nessuno. Per cui, se la politica entra in fibrillazione, non è
perché dietro le due testate ci siano poi falangi di lettori pronte
a prendere in mano il forcone, ma solo perché le tv e le radio gli
danno uno spazio giustificato solo se si parlasse di gossip. Ma si
sa, il servizio o il mezzo-servizio pari sono, e poco importa che gli
editori siano persone fisiche diverse, il padrone resta uno e uno
solo e non si chiama Paolo. Immotivato poi, questo accanirsi su una
probabile “grazia”, quando Silvio ha dichiarato senza dubbio
alcuno, che la Cassazione lo assolverà. Eppure, dopo tanti anni di
frequentazione delle aule giudiziarie, Silvio dovrebbe sapere che non
è nei poteri della Corte di Cassazione condannare o assolvere. La
Cassazione dovrà solo stabilire se il processo d'appello si è
svolto secondo le regole previste dai codici. Punto. E qualora
dovesse decidere che le regole sono state violate, si dovrebbe rifare
il processo d'appello e via dicendo, fino all'eternità o, meglio,
fino alla prescrizione. Il democristiano Pd, a questo punto più
Balena Bianca dell'originale, continua a dare un colpo al cerchio e
uno alla botte, anche se chi lo da, pure in questo caso sono persone
fisiche diverse. Un manipolo di senatori, 25 per la precisione, ha
deciso in queste ore di modificare la legge del 1957 cambiando la
“ineleggibilità” in “incompatibilità” e dando un anno di
tempo al Cavaliere per vendere le sue imprese, familiari non
compresi. Come sempre è accaduto nella storia della vecchia DC,
questa proposta ha suscitato reazioni diverse a seconda
dell'appartenenza a una corrente piuttosto che ad un'altra. Laura
Puppato, ad esempio, ha detto chiaro e tondo che l'ineleggibilità è
l'ineleggibilità e basta e che questa proposta allontanerebbe ancora
di più la base dal partito. Luigi Zanda, uno dei firmatari, è
invece convinto del contrario, che cioè se la proposta dei 25
dovesse essere accolta, il Cavaliere sarebbe costretto a scegliere e,
sempre secondo loro, ad andarsene. Torna la domanda fatta ieri ai
vertici del Pd. Ma nel vostro partito, chi cazzo comanda?
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