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sabato 13 luglio 2013

La “sguaiatezza istituzionale” fa il suo esordio nel vocabolario della politica. E Silvio dice: “Sarò assolto”

Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del Capo dello Stato in un futuro indeterminato, sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale. Danno il senso di una assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita politica. Questo il comunicato (scritto in un italiano più che zoppicante, claudicante) che il Quirinale ha divulgato dopo i titoli a tutta pagina (la prima) degli ultimi due giorni di Libero. L'altro ieri, Maurizio Belpietro aveva scritto: “Giorgio facci la grazia”, mentre ieri, provando ad ascrivere nella campagna pro-Silvio anche il premier, aveva titolato: “Grazia a Silvio, ci sta anche Letta”. LettaLetta si è incazzato da morire (anche se lo ha fatto nel silenzio di un confessionale), mentre Giorgio Napolitano ha preferito rispondere per le rime e con un comunicato ufficiale. Stanco di trangugiare ettolitri di Maalox sciroppo a causa dei titoli del FattoQuotidiano, Giorgio non se l'è sentita di aumentare la dose serale di antiacido e ha preferito sbottare per iscritto. Il fatto è che se fosse per i lettori che Libero ha, nessuno dovrebbe preoccuparsi di quanto scrive e, spesso, sproloquia. La fregatura è che tutte le principali rassegne stampa delle televisioni pubbliche e private, lo inseriscono nelle loro mazzette e quindi, l'immagine del giornale che riceve finanziamenti dallo Stato perché organo del Partito Monarchico, è mediaticamente molto forte. Belpietro d'altronde, fa il gioco di sponda con Sallusti. I due direttori, magari si telefonano la sera e, fra una chiacchiera e l'altra, concordano i titoli di testa; bastano quelli perché poi il resto non lo legge nessuno. Per cui, se la politica entra in fibrillazione, non è perché dietro le due testate ci siano poi falangi di lettori pronte a prendere in mano il forcone, ma solo perché le tv e le radio gli danno uno spazio giustificato solo se si parlasse di gossip. Ma si sa, il servizio o il mezzo-servizio pari sono, e poco importa che gli editori siano persone fisiche diverse, il padrone resta uno e uno solo e non si chiama Paolo. Immotivato poi, questo accanirsi su una probabile “grazia”, quando Silvio ha dichiarato senza dubbio alcuno, che la Cassazione lo assolverà. Eppure, dopo tanti anni di frequentazione delle aule giudiziarie, Silvio dovrebbe sapere che non è nei poteri della Corte di Cassazione condannare o assolvere. La Cassazione dovrà solo stabilire se il processo d'appello si è svolto secondo le regole previste dai codici. Punto. E qualora dovesse decidere che le regole sono state violate, si dovrebbe rifare il processo d'appello e via dicendo, fino all'eternità o, meglio, fino alla prescrizione. Il democristiano Pd, a questo punto più Balena Bianca dell'originale, continua a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, anche se chi lo da, pure in questo caso sono persone fisiche diverse. Un manipolo di senatori, 25 per la precisione, ha deciso in queste ore di modificare la legge del 1957 cambiando la “ineleggibilità” in “incompatibilità” e dando un anno di tempo al Cavaliere per vendere le sue imprese, familiari non compresi. Come sempre è accaduto nella storia della vecchia DC, questa proposta ha suscitato reazioni diverse a seconda dell'appartenenza a una corrente piuttosto che ad un'altra. Laura Puppato, ad esempio, ha detto chiaro e tondo che l'ineleggibilità è l'ineleggibilità e basta e che questa proposta allontanerebbe ancora di più la base dal partito. Luigi Zanda, uno dei firmatari, è invece convinto del contrario, che cioè se la proposta dei 25 dovesse essere accolta, il Cavaliere sarebbe costretto a scegliere e, sempre secondo loro, ad andarsene. Torna la domanda fatta ieri ai vertici del Pd. Ma nel vostro partito, chi cazzo comanda?

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