Il cuore grande di Silvio
Per
anni lo abbiamo combattuto come una piaga da lupus. Ci siamo
scagliati contro di lui con una veemenza fuori da ogni umano
controllo. Al sentirlo nominare ci si accapponava la pelle, e avere
preso atto che nei confronti degli italiani aveva compiuto un vero e
proprio genocidio culturale, ci ha spinto a criticarlo aspramente a
ogni piè sospinto. La sua politica economica creativa, alla
trallallà, ha ridotto questo Paese allo stremo, reso i ricchi ancora
più ricchi e i poveri, poveri davvero. Sotto il suo regno, i consumi
di beni di lusso sono saliti alle stelle e gli smartphone, ben più
di uno a testa, hanno definitivamente rincoglionito chi stava già
sulla buona strada. La distruzione sistematica della scuola pubblica,
del ruolo del sindacato (toh! sembra si stia parlando di Renzi),
della sanità, della cultura nuova e vecchia, dell'ambiente e
dell'ecosistema passano ora in secondo piano perché Silvio è stato,
ed è, un uomo dal cuore grande che più grande non si può.
Migliaia
le persone da lui sistemate e beneficiate. Milioni quelle che hanno
tratto vantaggio con seconde case, visite da Cartier, suv e barche
delle dimensioni più disparate. Gli evasori lo hanno sempre
santificato perché grazie al suo cuore e alla sua generosità, si
sono potuti permettere pied-a-terre, amanti giovani e sniffate
chilometriche di coca.
Di
tanta generosità se ne sono accorti personaggi che, altrimenti, non
sarebbero stati adatti neppure di fare i magazzinieri alla Coop:
Gasparri, Bondi, Bonaiuti, Confalonieri, Dell'Utri, Brunetta,
Capezzone (lo ricordate Capezzone?), Scilipoti, Razzi e tutto il
parlamento forzaitaliota di questa repubblica delle banane dominate
dal Dux. Perché Silvio, nel bene e nel male, è stato e resta il
Dux.
Ora,
al tramonto della sua vita, è stato costretto a recarsi in tribunale
per difendere un amico, il talent-scout al confronto del quale le
Giovani Marmotte erano dilettanti: Lele Mora.
La
storia è antica, come quella delle Olgettine e della vecchia
terremotata aquilana che aveva perso la dentiera. Lele Mora stava
fallendo. Una vita dispendiosa e fuori da ogni schema lo stavano
riducendo sul lastrico.
Tramite
Emilio Fede, amico e sodale di sempre, chiese un prestito a Silvio
Cuor d'Oro e lo ottenne, 2 milioni e 750 euro sull'unghia. Senonché,
l'Emilio fedigrafo, se ne tenne una buona parte per sputtanarla al
casinò e a Lele non restarono che le briciole.
Ma
Silvio, forte del suo ruolo di pater familias, non se n'è fatto un
cruccio.
Ha detto che quello era stato un prestito a fondo perduto e
che non sapeva che il fedele Emilio, avesse fatto quella manfrina per
un pugno di euro.
In
tribunale, l'affetto che legava Silvio a Lele è venuto fuori in
tutta la sua melensa drammaticità. E le lacrime copiose hanno reso
l'incontro ad alto tasso recitativo, da Actor's Studio diremmo. Uno
dei protagonisti delle cene di gala di Arcore si trovava sul banco
degli imputati come un qualsiasi lenone e Silvio non poteva
permetterlo. Quei soldi, tanti soldi, dati a Lele Mora erano stati un
gesto di generosità assoluta e totale, nessuna estorsione per
carità, solo colpa di un cuore che più grande non ce n'è.
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