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venerdì 24 marzo 2017

Cornetto&Cappuccino. Il dottor Norberto Confalonieri e il giuramento anti-Ippocrate



Il dottor Norberto Confalonieri e il giuramento anti-Ippocrate

Se c'è una cosa che ci fa letteralmente imbestialire, è il giocare d'azzardo sulla pelle dei malati. Già dare carne avariata a un bambino nella mensa scolastica, dovrebbe essere un crimine da saldare con l'ergastolo, ma lucrare indegnamente su chi ripone in te speranze di vita, è aberrante.
In Italia siamo abituati a tutto. Rubare nella cassetta delle elemosine è diventato uno sport nazionale; costruire con la sabbia invece che con il cemento armato, un vezzo che fa crollare palazzi e viadotti; turlupinare vecchi pensionati indifesi, una regola quasi fissa; perfino alterare l'angolazione degli autovelox per riscuotere multe salatissime, è diventata prassi comune; non pagare i prestatori d'opera o saldarli con i voucher, nascondendo il reale rapporto di lavoro, è ormai un'abitudine che hanno preso anche i sindacati che quei lavoratori dovrebbero tutelare; insomma, il contra-legem da noi è prassi, tanto che se tutti rispettassimo le leggi l'Italia non sarebbe più l'Italia ma l'Islanda.
In tutto questo mercimonio di regole, allora, anche “Ho rotto un femore a una vecchietta per allenarmi”, rientra a pieno titolo nelle nefandezze della vita quotidiana di un italiano che non può permettersi di andare a curarsi in SvizzeraQuando i colleghi parlavano del primario dell'ospedale Pini di Milano, dicevano: “Ora non gli resta che operare le renne di Babbo Natale”, tanti e tali erano gli interventi per applicare protesi che l'attività del dottor Confalonieri poteva essere annoverata fra quelle ad alta intensità.
E un motivo c'era. Al dottore, al quale le case farmaceutiche produttrici di protesi pagavano consulenze, vacanze esotiche e comparsate televisive, difettava un po' l'onestà. A lui non “fregava un cazzo” se la cardiologa prima di un intervento pretendesse “ulteriori accertamenti”, a lui interessava solo operare e mettere quelle maledette protesi che avrebbero procurato a lui tanto benessere (economico) e al malato un calvario. C'è da aggiungere che, il bravo dottore, lavorava anche nel pubblico, all'Ospedale di Sesto San Giovanni per cui, i danni che procurava nel privato cercava di rimediarli nel pubblico, a spese nostre.
Vabbè che ormai l'ergastolo lo danno solo a Totò Riina, Tano Badalamenti, Bernardo Provenzano e a chi non si pente, però un “fine pena mai” con un 41bis trentennale, a volte, per alcuni medici, potrebbe essere la soluzione.


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