Il
dottor Norberto Confalonieri e il giuramento anti-Ippocrate
Se c'è
una cosa che ci fa letteralmente imbestialire, è il giocare d'azzardo sulla pelle dei malati. Già dare carne
avariata a un bambino nella mensa scolastica, dovrebbe essere un
crimine da saldare con l'ergastolo, ma lucrare indegnamente su chi
ripone in te speranze di vita, è aberrante.
In
Italia siamo abituati a tutto. Rubare nella cassetta delle elemosine
è diventato uno sport nazionale; costruire con la sabbia invece che
con il cemento armato, un vezzo che fa crollare palazzi e viadotti; turlupinare
vecchi pensionati indifesi, una regola quasi fissa; perfino alterare
l'angolazione degli autovelox per riscuotere multe salatissime, è
diventata prassi comune; non pagare i prestatori d'opera o saldarli
con i voucher, nascondendo il reale rapporto di lavoro, è ormai
un'abitudine che hanno preso anche i sindacati che quei lavoratori
dovrebbero tutelare; insomma, il contra-legem da noi è prassi, tanto
che se tutti rispettassimo le leggi l'Italia non sarebbe più
l'Italia ma l'Islanda.
In
tutto questo mercimonio di regole, allora, anche “Ho rotto un
femore a una vecchietta per allenarmi”, rientra a pieno titolo
nelle nefandezze della vita quotidiana di un italiano che non può
permettersi di andare a curarsi in Svizzera. Quando
i colleghi parlavano del primario dell'ospedale Pini di Milano,
dicevano: “Ora non gli resta che operare le renne di Babbo Natale”,
tanti e tali erano gli interventi per applicare protesi che
l'attività del dottor Confalonieri poteva essere annoverata fra
quelle ad alta intensità.
E un
motivo c'era. Al dottore, al quale le case farmaceutiche produttrici
di protesi pagavano consulenze, vacanze esotiche e comparsate
televisive, difettava un po' l'onestà. A lui non “fregava un
cazzo” se la cardiologa prima di un intervento pretendesse
“ulteriori accertamenti”, a lui interessava solo operare e
mettere quelle maledette protesi che avrebbero procurato a lui tanto
benessere (economico) e al malato un calvario. C'è da aggiungere che, il bravo dottore,
lavorava anche nel pubblico, all'Ospedale di Sesto San Giovanni per
cui, i danni che procurava nel privato cercava di rimediarli nel
pubblico, a spese nostre.
Vabbè
che ormai l'ergastolo lo danno solo a Totò Riina, Tano Badalamenti,
Bernardo Provenzano e a chi non si pente, però un “fine pena mai”
con un 41bis trentennale, a volte, per alcuni medici, potrebbe essere
la soluzione.
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