L'Onu e il diritto all'aborto. Nulla è come appare
Non
sembri un refrain anche perché non è una canzone [purtroppo].
Viviamo in uno strano paese e la consapevolezza che lo sia davvero,
passa attraverso le grandi e le piccole cose della vita, quegli atti
e gesti stupidi che accompagnano il nostro essere cittadini
appartenenti a una comunità e non a una tribù, con tutto il
rispetto per le tribù.
Da
sempre, dal lunghissimo potere temporale della Democrazia Cristiana,
l'Italia è il paese del fatta la legge, trovato l'inganno. A
volte abbiamo avuto il sospetto che l'inganno fosse nascosto
addirittura nelle pieghe della stessa legge e che i legislatori DC,
partito onnicomprensivo di tutte le tendenze politiche presenti sulla
piazza, coscientemente prevedessero il tutto e il nulla, l'assunto e
il suo contrario. Pesavano da una parte il desiderio di rendere quel
potere ad libitum, dall'altra l'esigenza di pacificare e unire una
nazione che ne aveva viste di tutti i colori. Come realizzare questa
duplicità al meglio? Parificando di fatto le classi sociali,
rendendo i ricchi un po' meno ricchi e i poveri un po' meno
proletari. Così, tanto per fare un esempio, l'accesso allo studio da
parte di quelle classi che non se lo sarebbero mai sognato, fu la
logica conseguenza della lotta (vinta) all'analfabetismo. Arrivare
alla laurea, il sogno di milioni di padri contadini e operai per i
figli, diventò una realtà: l'operaio metalmeccanico poteva dire,
vantandosi, di avere un figlio medico o ingegnere o avvocato o
professore.
Fino a
qualche anno fa, non c'era la fuga dei cervelli e tutti i
professionisti trovavano lavoro in patria. Solo che in Italia il
lavoro occorreva prima trovarlo poi mantenerlo, e per farlo si
ricorreva al compromesso con il partito, il barone, la chiesa, la
lobbie, le associazioni più o meno segrete.
Il
primo giorno di un qualsiasi lavoro, i colleghi di solito chiedevano:
“Chi ti ha raccomandato?” e rispondere “l'onorevole” o “il
vescovo” non era uno scandalo, funzionava così. Poi, vuoi lo
scorrere del tempo chiamato progresso, vuoi il numero sproporzionato
dei laureati, le maglie delle raccomandazioni si sono ristrette e oggi
trova lavoro solo chi supinamente accetta le regole imposte dal
raccomandatore. Deve essere questa la ragione per la quale, specie
nell'ambito della sanità, alcuni ruoli di peso vengono occupati da
super-raccomandati che si ritrovano costretti ad accettare le linee
di principio di chi li ha messi in quel posto.
Non si
capisce altrimenti perché in Italia sia così alto il numero degli
“obiettori di coscienza” che, introdotti come categoria in una
legge (la 194/78) figlia come le altre di assurdi e antistorici
compromessi, di fatto oggi ne impediscono l'attuazione. Eppure una
legge dello Stato dovrebbe essere il caposaldo del nostro vivere
comunitario, invece fatta la legge trovato l'inganno; inserita
la categoria degli obiettori nel testo, qualcuno ha pensato di
porli a baluardo della distorta idea della “salvaguardia della
vita”.
La
conseguenza è che se n'è accorta anche l'Onu che ha recentemente
bacchettato l'Italia perché non riesce ad assicurare l'aborto
legale.
La considerazione dell'Onu parte dai dati sugli aborti
clandestini che da noi, come se la 194 non fosse mai stata
introdotta, sono un numero altissimo. Siccome
siamo un popolo di nostalgici, a noi la figura della “mammana” fa
ancora un certo effetto, che poi le donne morissero di emorragie era
considerato un danno collaterale.
Le
donne, come gli uomini, hanno il diritto di decidere della loro vita,
e questo che rappresenta il punto centrale dei diritti umani, a volte
si riduce a un optional.
Fatta
la legge, trovati gli obiettori.
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