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lunedì 28 ottobre 2013

Aung San Suu Kyi a Roma. Meno male che in Campidoglio non c'era Calderoli

Essere cittadina di Roma mi fa sentire cittadina del mondo”. Queste sono le parole che Aung San Suu Kyi ha detto ieri in Campidoglio, ricevendo la cittadinanza onoraria della Capitale dal sindaco Ignazio Marino. A Bossi e ai terun della Padania devono essere fischiate le orecchie, ma una bistecca d'orso e un fantozziano rutto libero, dovrebbero aver risolto il problema. Il capo dell'opposizione birmana, è reduce da un tour europeo durante il quale ha potuto ricevere personalmente i premi che in questi lunghi anni di arresti domiciliari (quindici) non aveva potuto ritirare. La San Suu Kyi è una di quelle donne che in questi anni hanno dimostrato che il coraggio, la coerenza, la fermezza, il sacrificio personale, sono doti che appartengono ormai all'ex sesso debole, visto che gli uomini hanno alzato bandiera bianca da un pezzo, e che tanto per riaffermare il loro ruolo di padroni del nulla, si sono dati allo stalkeraggio, spesso con femminicidi finali. Sono le donne che hanno dentro la forza delle idee, donne alle quali le rughe intorno agli occhi danno un fascino che nessun botulino potrà conquistare... a pagamento. Donne come Aung San Suu Kyi che non hanno bisogno del chirurgo estetico per tirarsi le pieghe dell'età stampate in faccia né di ricorrere a diete cervellotiche per infilarsi una 42. Sono semplicemente donne che fanno del coraggio, e di un ideale di libertà senza compromessi, l'unica ragione di vita. Quando le dissero che Michael Aris, un marito amato più di se stessa, stava morendo di cancro, le autorità birmane tentarono di convincerla a partire sapendo che non l'avrebbero mai fatta tornare in patria, dove era diventata un simbolo. Lei rifiutò di lasciare la sua terra consapevole che il lavoro che stava portando avanti a rischio della vita, non poteva essere interrotto, era l'unica speranza di un popolo oppresso da una dittatura sanguinaria. Luc Besson, che sulla vita di Aung ha girato un film, The Lady, ha detto: “Se riuscivo a capire anche solo un po' come una persona che pesava 50 chili era riuscita a tenere testa, da sola, a un esercito di 300mila uomini, ai generali della giunta militare, be' allora questo segreto avrebbe cambiato anche la mia vita”. Sorpresa, quasi intimorita da tutti quei figuri in giacca e cravatta, Aung San Suu Kyi nel momento in cui ha iniziato a parlare, ha dimostrato di che pasta è fatta. La voce ferma, gli occhi puntati negli occhi di chi la stava ascoltando, ha dichiarato ancora una volta, senza tentennamenti, tutto il suo amore per la giustizia e per la libertà, un messaggio che fra quelle mura, alla fine, è risultato anche stonato. Chissà perché parlare di Aung San Suu Kyi ci fa sempre venire in mente Anna Politkovskaja. Forse perché sono due donne che amiamo profondamente, forse perché hanno molto da insegnare, forse perché, se non fosse stato per le pressioni internazionali e il Premio Nobel, anche Aung sarebbe stata sparata in faccia da sicari governativi spacciati per delinquenti comuni e mai processati. Fortunatamente la leader birmana è ancora viva e il suo soggiorno italiano sarà brevissimo, chissà cosa avrebbe pensato ascoltando Calderoli dare del gorilla alla Kyenge

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