“Essere
cittadina di Roma mi fa sentire cittadina del mondo”. Queste sono
le parole che Aung San Suu Kyi ha detto ieri in Campidoglio,
ricevendo la cittadinanza onoraria della Capitale dal sindaco Ignazio
Marino. A Bossi e ai terun della Padania devono essere fischiate le
orecchie, ma una bistecca d'orso e un fantozziano rutto libero, dovrebbero aver risolto il problema. Il capo dell'opposizione birmana, è
reduce da un tour europeo durante il quale ha potuto ricevere
personalmente i premi che in questi lunghi anni di arresti
domiciliari (quindici) non aveva potuto ritirare. La San Suu Kyi è
una di quelle donne che in questi anni hanno dimostrato che il
coraggio, la coerenza, la fermezza, il sacrificio personale, sono
doti che appartengono ormai all'ex sesso debole, visto che gli uomini
hanno alzato bandiera bianca da un pezzo, e che tanto per riaffermare
il loro ruolo di padroni del nulla, si sono dati allo stalkeraggio,
spesso con femminicidi finali. Sono le donne che hanno dentro la
forza delle idee, donne alle quali le rughe intorno agli occhi danno
un fascino che nessun botulino potrà conquistare... a pagamento.
Donne come Aung San Suu Kyi che non hanno bisogno del chirurgo
estetico per tirarsi le pieghe dell'età stampate in faccia né di
ricorrere a diete cervellotiche per infilarsi una 42. Sono
semplicemente donne che fanno del coraggio, e di un ideale di libertà
senza compromessi, l'unica ragione di vita. Quando le dissero che
Michael Aris, un marito amato più di se stessa, stava morendo di
cancro, le autorità birmane tentarono di convincerla a partire
sapendo che non l'avrebbero mai fatta tornare in patria, dove era
diventata un simbolo. Lei rifiutò di lasciare la sua terra consapevole che il lavoro che stava portando avanti a rischio della vita, non
poteva essere interrotto, era l'unica speranza di un popolo
oppresso da una dittatura sanguinaria. Luc Besson, che sulla vita di
Aung ha girato un film, The Lady, ha detto: “Se riuscivo a capire
anche solo un po' come una persona che pesava 50 chili era riuscita a
tenere testa, da sola, a un esercito di 300mila uomini, ai generali
della giunta militare, be' allora questo segreto avrebbe cambiato
anche la mia vita”. Sorpresa, quasi intimorita da tutti quei figuri
in giacca e cravatta, Aung San Suu Kyi nel momento in cui ha iniziato
a parlare, ha dimostrato di che pasta è fatta. La voce ferma, gli
occhi puntati negli occhi di chi la stava ascoltando, ha dichiarato
ancora una volta, senza tentennamenti, tutto il suo amore per la
giustizia e per la libertà, un messaggio che fra quelle mura, alla
fine, è risultato anche stonato. Chissà perché parlare di Aung San
Suu Kyi ci fa sempre venire in mente Anna Politkovskaja. Forse perché
sono due donne che amiamo profondamente, forse perché hanno molto da
insegnare, forse perché, se non fosse stato per le pressioni
internazionali e il Premio Nobel, anche Aung sarebbe stata sparata in
faccia da sicari governativi spacciati per delinquenti comuni e mai
processati. Fortunatamente la leader birmana è ancora viva e il suo
soggiorno italiano sarà brevissimo, chissà cosa avrebbe pensato
ascoltando Calderoli dare del gorilla alla Kyenge.
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