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lunedì 7 ottobre 2013

LettaLetta accetta le dimissioni della Biancofiore. Michaela: “Mobbing... mobbing”. Chi silurò Prodi? Baffetto, Monti&Co.

Non si tira la corda con un democristiano, lo sanno anche i bambini. I DC sembrano tolleranti, amiconi, baciano, abbracciano, danno pacche sulle spalle, sorridono perfino. Poi, quando c'è da arrivare al sodo ci arrivano eccome, a costo di passare sul cadavere della nonna. Non si scherza con un democristiano, perché hanno tutti uno spiccato senso dell'umorismo, ma quello di Andreotti, talmente sottile da tagliare come un rasoio (letteralmente). Così, dall'alto della sua perspicacia e acume politico, Michaela Biancofiore sta provando in queste ore cosa significa ciurlare nel manico con un balenottero bianco. Il fatto. Come tutti i suoi colleghi del Pdl, ministri e sottosegretari, rispondendo ai desiderata del Capataz, La Biancofiore-simbolo d'amore, ha presentato come una brava scolaretta le dimissioni. Un po' distratta dagli eventi, un po' impegnata dal parrucchiere, un po' sopra le righe come spesso le accade, la bionda pasdaran del Popolo della Libertà, non si è accorta che, dopo il voto al Senato, tutti i suoi colleghi avevano ritirato le dimissioni. Passata la linea Alfano, sono diventati quasi tutti alfaniani e, quindi, tenutari dei loro incarichi di governo. Pensando che la riconferma nel ruolo fosse cosa automatica, la Michaela si è presentata regolarmente al Ministero della Funzione Pubblica e della Semplificazione per riprendere il suo lavoro. Ma, arrivata all'ingresso le hanno detto: “Scusi, ma lei chi è? E soprattutto che vuole?” Facendo finta di cadere dalle nuvole, la berluschina doc si è incazzata come una iena himalayana dopo essersi bruciata le zampette sulla neve, e, ricordandosi di non aver ritirato le dimissioni, ha gridato: “Questo è mobbing politico”. Intervistato da Maria Latella, LettaLetta è stato laconico: “Ma che vuole che le dica, la Biancofiore non ha ritirato le dimissioni e io le ho accettate”. Mai far incazzare un DC perché, nonostante il cognome sia anche il titolo dell'inno della Balena Bianca, quando c'è da saldare i conti senza rilasciare la ricevuta i democristiani non sono secondi a nessuno.
Sandra Zampa, ex portavoce di Romano Prodi, racconta in un libro di prossima uscita chi e perché trombò il Professore. Brevemente, questa la storia. Appresa da Piergigi Bersani la notizia della sua candidatura al Quirinale, Prodi, che non è un fesso, prese il telefono e dall'Africa telefonò, nell'ordine, a D'Alema, Mario Monti e Stefano Rodotà. Baffetto gli disse papale papale che a lui non era andata giù la modalità con la quale Prodi era stato nominato dall'assemblea del Pd. E che cazzo, tutta quella democrazia, l'applauso a scena aperta, il mancato ricorso alle sotto-intese con tanto di posti da assegnare a tavolino, a lui non erano affatto piaciuti. Nelle prime elezioni, due dei suoi avevano provato, votandolo, a far capire che al Leader Maximo sarebbe tanto piaciuto salire al Quirinale. Ma la cosa non passò, nonostante sul suo nome anche Silvio avrebbe potuto convergere. Così Prodi, che è un volpino, capì che non avrebbe mai avuto il voto dei dalemiani. Seconda telefonata a Mario Monti. “Caro Romano – sembra gli abbia risposto il Professore2 – io ti voto se mi ridai la Presidenza del Consiglio”. Prodi, ovviamente, lasciò cadere la proposta giocandosi anche i voti di Scelta Civica. Restava la terza telefonata, quella a Rodotà. Se il Professore3 si fosse ritirato dalla corsa, i pentastelluti avrebbero potuto votare Prodi, rientrava fra gli eleggibili della Rete e quindi nessuno scandalo. La risposta di Rodotà invece, fu un'altra. “Io mi ritiro – disse a Prodi – solo se me lo chiede Beppe Grillo, altrimenti continuo la mia corsa fino alla fine”. Sandra Zampa racconta anche quello che fu il commento del Capo Five Stars: “Ero convinto – disse Grillo – che Rodotà, amico di Prodi, si ritirasse. Invece mi disse chiaro e tondo che se avessi voluto lui avrebbe fatto un passo indietro, altrimenti, sarebbe andato avanti. A quel punto non potevo chiedergli di ritirarsi”. Gli zozzoni non furono solo i 101 del Pd ma 115/120, una folla.

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