"Senza titolo" di Giuseppe Piscopo |
Siamo
faziosi, lo siamo sempre stati. Lo siamo per lo sport, la vita, il
lavoro, la politica, le donne, gli amici, i compagni di strada, gli
sfigati e i clochard. La faziosità prevede la passione non
l'ottusità. Lo si diventa quando si costruiscono certezze e ci si
convince di stare dalla parte giusta: ovviamente parliamo di ideali,
non di marchette. Così, nel tempo, siamo diventati faziosi nei
confronti dei grandi voli di pensiero, di qualche sogno, di idealità
mai speciose né costruite ad arte pro domo nostra. Siamo
anti-berlusconiani da quando il Cavaliere “interrompeva le
emozioni” con la pubblicità, da quando Silvio ha iniziato a fare
l'imprenditore dell'inarrivabile e vendeva prodotti facendo
sottoscrivere cambiali. Se poi Pietro Maso ammazzava i suoi per
ereditare e comprarsi una Porsche, nessuno poteva stupirsi, come dice
Giovanardi quando il branco violenta sedicenni. E la faziosità
antiberlusconiana aumenta di giorno in giorno, e diventa
irrefrenabile quando, come accaduto ieri, arriva l'ennesimo rinvio a
giudizio per la compravendita del senatore Sergio Di Gregorio, alias
l'impallinatore di Romano Prodi. La compravendita politica, il voto
di scambio, è un reato gravissimo che Silvio aveva già messo in
atto con i finanziamenti a gogò della chiesa cattolica ergo, nel
caso del “pallone” napoletano, si tratta di reiterazione. E noi
siamo faziosi. Abituato a pagare 80 euro un chilo di fagiolini,
spendere 3 milioni per comprarsi un Idv, peraltro di un certo peso, a
Silvio deve essere sembrato un prezzo di realizzo e così se l'è
portato a casa insieme alla poltrona più alta di Palazzo Chigi,
arrivata subito dopo con un trasporto speciale dell'UPS. L'inchiesta
dei pm Alessandro Milita, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e
Henry John Woodcock, si è così chiusa con il patteggiamento di Di
Gregorio a 20 mesi e con il rinvio a giudizio di Silvio: prima
udienza a Napoli, l'11 febbraio 2014. Ovviamente si sono scatenati
gli altri faziosi, quelli favorevoli al vecchio lenone che hanno
riacceso la tiritera della persecuzione giudiziaria e della
magistratura vestita di rosso, armata contro un solo obiettivo,
l'Innocente a prescindere di Arcore. L'ex senatore Di Gregorio, ha
avuto ieri parole di comprensione nei confronti del suo fu acquirente
tanto al chilo. Gli ha mandato a dire: “Credo che questa vicenda
acceleri il tramonto di un percorso politico ormai arrivato al redde
rationem. Consiglio a Berlusconi di ritirarsi dalla scena politica,
liberando l'Italia
e la
sua persona da tante infamie. Ho avuto un comportamento che oggi
ritengo assolutamente disdicevole, finalizzato a ribaltare il governo
Prodi in una sorta di guerra santa denominata dallo stesso Berlusconi
'operazione libertà'. Mi sento sollevato da un peso, ho detto la
verità. Oggi non rimetterei la mia intelligenza, la mia capacità
operativa, le mie conoscenze internazionali al servizio di
Berlusconi: quell'uomo non meritava il mio aiuto”. La nostra
faziosità ci spinge al punto di chiederci: ma se perfino un corrotto
che pagherà l'essersi fatto corrompere con 20 mesi di galera, dice
che non aiuterà mai più un uomo come Berlusconi, come può il PD
continuare a tenere a galla il “killer” (come lo definisce
l'Huffington Post) di Prodi? Giriamo la domanda al segretario Epifani
e, in subordine, a Massimo D'Alema e Matteo Renzi anche se la
risposta la conosciamo già: “responsabilità”. Che poi è il
nome nuovo della correità.
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