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giovedì 24 ottobre 2013

Ma come si fa a non essere faziosamente antiberlusconiani? Ennesimo rinvio a giudizio per Silvio. A Napoli. L'11 febbraio 2014 la prima udienza

"Senza titolo" di Giuseppe Piscopo
Siamo faziosi, lo siamo sempre stati. Lo siamo per lo sport, la vita, il lavoro, la politica, le donne, gli amici, i compagni di strada, gli sfigati e i clochard. La faziosità prevede la passione non l'ottusità. Lo si diventa quando si costruiscono certezze e ci si convince di stare dalla parte giusta: ovviamente parliamo di ideali, non di marchette. Così, nel tempo, siamo diventati faziosi nei confronti dei grandi voli di pensiero, di qualche sogno, di idealità mai speciose né costruite ad arte pro domo nostra. Siamo anti-berlusconiani da quando il Cavaliere “interrompeva le emozioni” con la pubblicità, da quando Silvio ha iniziato a fare l'imprenditore dell'inarrivabile e vendeva prodotti facendo sottoscrivere cambiali. Se poi Pietro Maso ammazzava i suoi per ereditare e comprarsi una Porsche, nessuno poteva stupirsi, come dice Giovanardi quando il branco violenta sedicenni. E la faziosità antiberlusconiana aumenta di giorno in giorno, e diventa irrefrenabile quando, come accaduto ieri, arriva l'ennesimo rinvio a giudizio per la compravendita del senatore Sergio Di Gregorio, alias l'impallinatore di Romano Prodi. La compravendita politica, il voto di scambio, è un reato gravissimo che Silvio aveva già messo in atto con i finanziamenti a gogò della chiesa cattolica ergo, nel caso del “pallone” napoletano, si tratta di reiterazione. E noi siamo faziosi. Abituato a pagare 80 euro un chilo di fagiolini, spendere 3 milioni per comprarsi un Idv, peraltro di un certo peso, a Silvio deve essere sembrato un prezzo di realizzo e così se l'è portato a casa insieme alla poltrona più alta di Palazzo Chigi, arrivata subito dopo con un trasporto speciale dell'UPS. L'inchiesta dei pm Alessandro Milita, Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio e Henry John Woodcock, si è così chiusa con il patteggiamento di Di Gregorio a 20 mesi e con il rinvio a giudizio di Silvio: prima udienza a Napoli, l'11 febbraio 2014. Ovviamente si sono scatenati gli altri faziosi, quelli favorevoli al vecchio lenone che hanno riacceso la tiritera della persecuzione giudiziaria e della magistratura vestita di rosso, armata contro un solo obiettivo, l'Innocente a prescindere di Arcore. L'ex senatore Di Gregorio, ha avuto ieri parole di comprensione nei confronti del suo fu acquirente tanto al chilo. Gli ha mandato a dire: “Credo che questa vicenda acceleri il tramonto di un percorso politico ormai arrivato al redde rationem. Consiglio a Berlusconi di ritirarsi dalla scena politica, liberando l'Italia
e la sua persona da tante infamie. Ho avuto un comportamento che oggi ritengo assolutamente disdicevole, finalizzato a ribaltare il governo Prodi in una sorta di guerra santa denominata dallo stesso Berlusconi 'operazione libertà'. Mi sento sollevato da un peso, ho detto la verità. Oggi non rimetterei la mia intelligenza, la mia capacità operativa, le mie conoscenze internazionali al servizio di Berlusconi: quell'uomo non meritava il mio aiuto”. La nostra faziosità ci spinge al punto di chiederci: ma se perfino un corrotto che pagherà l'essersi fatto corrompere con 20 mesi di galera, dice che non aiuterà mai più un uomo come Berlusconi, come può il PD continuare a tenere a galla il “killer” (come lo definisce l'Huffington Post) di Prodi? Giriamo la domanda al segretario Epifani e, in subordine, a Massimo D'Alema e Matteo Renzi anche se la risposta la conosciamo già: “responsabilità”. Che poi è il nome nuovo della correità. 

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