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martedì 13 agosto 2013

Parte il “brand” Forza Italia ma Silvio stavolta è fuori. Continuerà a comandare il gioco da dentro

Prima di parlare del futuro prossimo di questa nazione di teledipendenti a senso unico, vorremmo riportare tre titoli di Repubblica senza aggiungere nessun commento: “Genova, sfigurata con l'acido nell'ospedale dove lavora”; “Pinzolo, uccide a coltellate la ex e ne abbandona il corpo nell'auto”; “Avola, uccide la moglie e si suicida”. E un quarto: “14enne gay suicida, il dramma dei genitori 'Non abbiamo capito il suo disagio'”. Tutto qui. Nessun commento. Passiamo ad altro.
Ormai nel Pdl stanno prendendo atto che dovranno correre senza Silvio capolista ovunque, anche in Molise. Lo dice la legge Severino e, da quanto è possibile capire, neppure dalla bacchetta magica dell'Innominabile, questa volta potrà uscire l'incantesimo utile a farlo restare sullo scranno senatoriale di Palazzo Madama. Silvio è fuori dai giochi fatti in prima persona, starà però in tribuna perché gli sarà negata pure la panchina. Che i carabinieri continueranno a salutarlo militarmente, come si fa con i rappresentanti istituzionali della Repubblica, non sarà che un inciso, per quanto sgradevole ma un inciso. La sentenza Mediaset passata in giudicato, impedisce di fatto qualsiasi interpretazione diversa della legge “Severino” che, come si ricorderà, fu votata anche dai pidiellini convinti, dopo le dimissioni di Silvio e l'ingresso sulla scena del governo Monti, dell'inattaccabilità-impunità perenne del loro capo supremo. Le cose non sono andate così. Silvio a settembre lascerà Palazzo Madama per andare, probabilmente, ai domiciliari da dove, armato di tutto punto, guiderà la rinata squadra di Forza Italia alle prossime elezioni politiche (probabilmente a febbraio o in primavera). Nonostante il falco Nitto Palma (il vero pasdaran della giustizia secondo Berlusconi) preveda un ricorso al Tar per l'immissione in lista di Silvio, la strada sembra essere definitivamente chiusa, di più, sbarrata con i Cavalli di Frisia. Ecco allora la genialata tratta direttamente dal manuale del perfetto marketingettista: puntare tutto sul brand “Forza Italia”. Detta così, per i non frequentatori del mondo della comunicazione pubblicitaria sembra un argomento difficilissimo, invece non lo è. Facciamo un esempio. Marlboro non è solo un marchio, è un vero e proprio brand. È, insomma, la qualità assoluta rispetto al valore puro e semplice della “marca” di sigarette. Wikipedia lo definisce così: “Il brand management è l'applicazione delle tecniche di marketing a uno specifico prodotto, linea di prodotto o marca. Lo scopo è aumentare il valore percepito dal consumatore rispetto a un prodotto, aumentando di riflesso il brand equity (valore del marchio o patrimonio di marca). Gli operatori del marketing vedono nella marca la 'promessa' di qualità che il cliente si aspetta dal prodotto, determinandone così l'acquisto nel futuro”. Torniamo alla Marlboro. Quando un fumatore va dal tabaccaio e chiede un pacchetto di Marlboro (rosse morbide), si domanda chi è il presidente o l'amministratore delegato dell'azienda? Ma proprio no! Acquista quella “marca” perché la ritiene migliore delle altre. Riportiamo il ragionamento a bomba. Lavorare sul brand “Forza Italia” significa “aumentare il valore percepito dal consumatore” rispetto al prodotto politico, privilegiare la “marca” rispetto a chi presiede o dirige l'azienda che la fabbrica. Così Silvio intende fare con Marina: la nominerà amministratore delegato di un'azienda che fabbrica un prodotto di qualità assoluta in grado di catturare l'attenzione del futuro consumatore. In questo momento storico, il nome di Silvio non potrà sparire dai 6x3 (o 3x6 è uguale) né dagli striscioni che voleranno sulle teste degli italiani in spiaggia a ferragosto. Lo vogliono la logica della continuità e una sorta di ringraziamento perenne al fondatore. Ma vedrete, con il passare delle settimane, una volta che il “brand” si sarà fissato nei cervelli tanto al chilo di una vagonata di italiani invasati dalla voglia di lusso esibito, al posto del nome di Silvio ci sarà quello di Marina. Insomma, conta più il marchio di chi lo rappresenta. Questa è stata la chiave del successo di Silvio in politica, aver modificato la percezione dell'italiano-elettore in italiano-consumatore, aver venduto Forza Italia come le sue tivvù facevano con Bilba di Cadey o il Prosciutto Cotto Rovagnati dei break pubblicitari di Mike Buongiorno. Già da allora, primi anni '90, molti italiani si resero conto che sotto c'era una fregatura colossale, uno straordinario cambiamento della società e dei costumi che, come primo risultato, produsse personaggi alla Pietro Maso, il criminale che uccise i genitori per comprarsi la Porsche. Se a Giulio Andreotti la storia non ha potuto addebitare le Guerre Puniche, a Silvio Berlusconi, e al berlusconismo, potrà invece tranquillamente addossare la responsabilità dell'imbarbarimento di una intera nazione trasformata in un supermarket delle illusioni ad altissimo costo. Chi dice che il nostro anti-berlusconismo è solo snobismo intellettuale, rispondiamo che siamo anti-berlusconiani da molto prima che Silvio scendesse in politica. Era il suo sedersi sotto l'albero di Natale circondato da una moltitudine di bambini belli, biondi e con gli occhi azzurri, che ci stava sulle palle. Allora era solo il presidente di Mediaset, ma la voglia di sentirsi Gesù Cristo c'era già tutta. Chiediamo scusa per questo post poco ferragostano, ma al solo pensiero di andare in spiaggia e vederci svolazzare sulla testa un aereo con la scia “Forza Silvio” ci piglia di un male...

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