Ci
sono momenti in cui occorrerebbe che la storia facesse il proprio corso senza
intralciarne la volontà. La Storia, si sa, è maestra di vita e come tale in
grado di assumere il ruolo anche della nemesi, anche del riscatto, anche della
catarsi. I giudici di Palermo scoprono il flusso ininterrotto di milioni di
euro che, dai conti di Berluspony finiscono direttamente in quelli di Marcello
Dell’Utri. Questo fiume di denaro cash (si dice quaranta milioni di euro), diventa
inarrestabile pochi giorni prima che la Corte di Cassazione emetta la sentenza
che avrebbe potuto mandare Marcellino in galera, qualora gli fosse stata
confermata l’accusa di “mafiosità”. Quel denaro, come poi scopriranno i giudici
palermitani, servì a comprare una villa sul lago di Como pagata molto al di
sopra del suo valore commerciale, una pezza d’appoggio utilizzata da Dell’Utri
per acquistare anche una casa a Santo Domingo, dove poi attese la sentenza
della Corte. In poche parole, se Dell’Utri fosse stato condannato, la giustizia
italiana non avrebbe mai potuto mandarlo in galera perché nel frattempo, armi e
bagagli, si era trasferito nella repubblica dominicana. Con il braccio sinistro
di Silvio, era finita nel registro degli indagati anche la di lui consorte responsabile,
a quanto sembra, del movimento di denaro dalle casse del Capo a quelle del
maritino. Tutti quei soldi, sempre secondo i giudici palermitani, erano il
pagamento di una estorsione che Dell’Utri avrebbe fatto al suo padrone per
tacere sui rapporti economici che Silvio aveva intrattenuto, negli anni ’70, con
noti esponenti della mafia siciliana. Come tutti sanno, fra Marcellino e i
giudici di Palermo non corre buon sangue. Lo hanno tirato dentro a quasi tutte
le inchieste che riguardano i rapporti fra mafia e politica e perfino nel “trattatuni”
intercorso fra i colletti bianchi di Totò Riina e alcuni grand commis dello Stato.
Un rapporto sfociato poi nella pesantissima accusa di essere un collettore di
rapporti mafiosi al Nord, una specie di ambasciatore plenipotenziario o, se si
preferisce, considerato il potere che ha, un nunzio apostolico. Inevitabile che
gli avvocati di Dell’Utri tentassero di ricusare i magistrati ed altrettanto inevitabile,
visto che i fatti imputati si erano svolti a Milano, che i fascicoli passassero
dalla procura di Palermo a quella del capoluogo lombardo. Nei giorni scorsi si
era espresso a favore del trasferimento lo stesso procuratore nazionale
antimafia Aldo Grasso, e la cosa aveva causato non pochi malumori. Il fatto è
che, nonostante la disperata resistenza dei giudici siciliani, tutto l’incartamento
è stato trasferito a Milano. Sapete dove? Nell’ufficio di Ilda Boccassini.
Quando si dice il culo...
Una ricostruzione più letteraria che giornalistica e un finale da urlo, con quei punti di sospensione che suonano come una condanna a morte. Bellissimo pezzo Max.
RispondiEliminaVania