Inutile
dire che al Partito Democratico abbiamo guardato da sempre con
attenzione e interesse. Inutile dire che l'idea che fu di Prodi,
quella di un grande partito progressista all'americana, per alcuni
aspetti ci affascinò. Poi arrivarono D'Alema (che si alleò con
Kossiga, Mastella e Dini e dichiarò Mediaset “patrimonio culturale
nazionale”, rubando il mestiere all'Unesco); Violante (che disse
che i morti sono tutti uguali e che nessuno avrebbe toccato le
imprese del Cavaliere); Veltroni (che fece una campagna elettorale da
premier senza nominare mai Berlusconi, ma prima aveva trombato il
Prodi2); Bersani (che non ha capito una mazza sbagliando una corsa a
Palazzo Chigi da vincente dichiarato); Renzi (che va ad Amici e
pranza ad Arcore con Silvio); LettaLetta (che tutto è meno che un
pidino ma la peggiore riedizione del doroteismo) e poi tutti gli
altri teodem che, arrivato Francesco al soglio papale e sull'orlo del precipizio
Bertone, stanno cercando di riposizionarsi dalle parti dei
neocatecumenali (almeno questi pregano e non fanno danni). Il fatto è
che il Partito Democratico, ringalluzzito da amministrative nelle
quali si sono affermati i non-ortodossi alla Marino, sta
ripercorrendo gli errori di sempre: litiga. Litigano tutti con tutti,
anche quando non serve. Perché litigare, il Pd ce l'ha nel dna. Ora
il problema, per i democrat, è come organizzare il prossimo
congresso. Chi deve votare? Quanti devono votare? Dove devono votare?
Segretario anche premier naturale o no? E poi. Possono votare anche
gli animali? Solo quelli con il microchip sottopelo o anche le rane
del laghetto dell'Eur? I Rom dei campi della Capitale hanno diritto
al voto libero o devono prima pagare la tessera? I clochard milanesi
e i commercianti di Ballarò a quale circolo devono iscriversi? E poi
ancora. Veltroni lancia Renzi (che lo ha rottamato), però gli dice
“Sii più profondo, non fare solo battute”. Dai Matteo che ce la
puoi fare, se la profondità veltroniana è quella dei suoi romanzi,
ce la puoi fare anche tu. D'Alema sta appollaiato sul ramo e si sente
bene, una rivisitazione jakubiskjana, da cinema creativo dell'Est
degli Anni '80. Maximo tace, ma solo per il momento, vuole vedere
come si sistemeranno le truppe in campo, prima di sfogliare per la
centesima volta Sun Zu (nelle altre 99 non ci ha capito una mazza) e
decidersi come combattere la personale battaglia di sopravvivenza
politica. Secondo noi, nel Pd c'è un solo nodo da sciogliere, un
solo passo politico da compiere: scovare i 101 zozzoni che hanno
trombato Prodi. Stanarli tutti, uno per uno, sottoporli a giudizio
berijano e buttarli fuori. Assisteremmo al più grande rinnovamento
politico e generazionale di un partito che governerebbe almeno per
ventanni, proprio come Silvio. E poi, diciamolo, le espulsioni sono
all'ordine del giorno. Lunedì sarà il turno della senatrice
fivestar, Gambaro. Il capo è stato perentorio e ha posto l'aut aut:
“O lei o io” e i leccapiedi sceglieranno lui. Ieri, senza appello
e senza possibilità di replica, è toccato alla consigliera leghista
del comune di Padova, Dolores Valandro. Una donna, anche se della
Lega, sempre una donna dovrebbe essere. E sentire una donna dire di
un'altra donna: “Perché nessuno la stupra?”, parlando della
ministra Kyenge, è un abominio. Piccole Borghezio crescono, piccole
Gentilini prosperano. Meno male che la Lega non esiste più,
altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi.
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